IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello n. 546/03, proposto da l'Impresa Eurorock s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualita' di capogruppo mandataria del costituendo R.T.I. con l'impresa CO.GER. s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Immordino, con domicilio eletto in Palermo, via Liberta' n. 171, presso lo studio dello stesso; Contro la Provincia regionale di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Lo Verde, con domicilio eletto in Palermo, via XX Settembre n. 48 presso lo studio dello stesso; e nei confronti della Consortile Baucina S.r.l. (gia' R.T.I. tra Sicilstrade s.n.c., Costanza Costruzioni s.r.l., Forte Costruzioni s.r.l. e Cinquemani Antonio), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Caterina Giunta e Maria Di Liberto, con domicilio eletto in Palermo, via Nunzio Morello 20, presso lo studio della prima; per l'annullamento della sentenza n. 682/03 del 17 aprile 2003, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sede di Palermo, sez. II, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento: 1) del verbale di riapertura della gara del 2 luglio 2002, concernente l'appalto dei lavori di ammodernamento e miglioramento del tracciato stradale svincolo Cannizzaro-Baucina-Ventimiglia-Trabia S.P. n. 6 di Raucina e Ventimiglia, nelle parti in cui il seggio di gara non ha escluso anche l'A.T.I. Virgilio e l'appalto e' stato aggiudicato all'A.T.I. controinteressata; 2) ove occorra, della determinazione dirigenziale n. 18 del 22 gennaio 2002; 3) del provvedimento n. 37556 del 10 ottobre 2002, di conferma delle risultanze del suddetto verbale di gara. Visto il ricorso in appello di cui in epigrafe; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Regionale di Palermo e della controinteressata Consortile Baucina s.r.l.; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Vista l'ordinanza n. 36403 dell'8 - 10 luglio 2003, con la quale e' stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell'esecutivita' della sentenza impugnata; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 10 marzo 2004 il consigliere Giorgio Giaccardi e uditi, altresi', l'avv. G. Immordino per la parte appellante e l'avv. C. Giunta per la controinteressata appellata; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. F a t t o L'impresa Eurorock, in proprio e nella qualita' di cui in epigrafe, ricorre in appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Palermo, sez. II, n. 682/03, che ne ha rigettato il ricorso proposto avverso i provvedimenti in epigrafe indicati, con i quali la Provincia Regionale di Palermo, a seguito di riapertura della gara d'appalto ivi specificata conseguente a decisione di annullamento dell'originaria aggiudicazione in favore dell'odierna appellante (sentenza Tribunale amministrativo regionale Sicilia n. 262/02, confermata in appello da questo Consiglio con dec. n. 573/02), ha pronunziato l'aggiudicazione in favore del R.T.I. controinteressato. A sostegno dell'appello vengono dedotti i seguenti motivi: 1) erroneita' della sentenza del Tribunale amministrativo regionale anche in relazione all'ordinanza C.G.A. n. 980/02 del 13 dicembre 2002; 2) erroneita' della sentenza del Tribunale amministrativo regionale in relazione all'art. 9, comma 2, del bando di gara, in relazione all'art. 13, comma 5, della legge n. 109/1994, come modificato dall'art. 9, comma 23, della legge 415/1998; illegittimita' derivata; difetto di motivazione; 3) erroneita' della sentenza in relazione agli artt. 12 a) e 12 b) del bando di gara e art. 18, comma seconda, del bando di gara; 4) illegittimita' derivata. Resistono all'appello la Provincia Regionale di Palermo e la controinteressata Consortile Baucina s.r.l. (subentrata al raggruppamento aggiudicatario), chiedendone il rigetto. Con decreto presidenziale n. 15/03 del 5 maggio 2003 veniva accolta la richiesta di misura cautelare urgente avanzata dall'appellante, e con ordinanza n. 364/03 del 10 luglio 2003 il Collegio confermava il suddetto decreto, sospendendo la sentenza impugnata nonche' il verbale di riapertura della gara impugnato in prime cure. Alla pubblica udienza del 10 marzo 2004, il difensore della controinteressata sollevava verbalmente alcune questioni di legittimita' costituzionale relative alla composizione del Collegio, chiedendo la rimessione degli atti alla Corte costituzionale; a tale richiesta aderiva il difensore di parte appellante. D i r i t t o Il Collegio chiamato a decidere sull'appello in epigrafe ritiene innanzitutto di dover affrontare taluni dubbi di costituzionalita' concernenti la composizione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana come risulta dal decreto legislativo 373/2003, in parte sollevati in sede di discussione orale dalla difesa di parte controinteressata, alle cui conclusioni ha aderito la difesa di parte appellante. Al riguardo il Collegio osserva che tali questioni, rilevanti ai fini dell'esercizio della giurisdizione e preliminari ad ogni decisione in rito e in merito, non appaiono manifestamente infondate per quanto di seguito verra' esposto. 1. - Lo statuto speciale della Regione siciliana, per ragioni storiche, in parte legate al secondo conflitto mondiale, e' anteriore alla proclamazione della Repubblica ed alla Costituzione repubblicana in quanto e' stato approvato nel 1946 con regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455 e con la espressa riserva, contenuta nel secondo comma dell'articolo unico, di essere sottoposto all'Assemblea costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato. Come e' noto, tale coordinamento non vi e' stato. Invero, la Costituzione repubblicana e' stata pubblicata il 27 dicembre 1947 ed e' entrata in vigore il 1° gennaio 1948 ai sensi della XVIII disposizione transitoria e lo Statuto siciliano venne convertito in Legge costituzionale con l'art. 1, primo comma della Legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 2 ed e' entrato in vigore, ai sensi dell'art. 2 della legge anzidetta, il 10 marzo 1948. Il coordinamento con la Costituzione non avvenne ne' in sede di Assemblea costituente e neppure in epoca successiva. Il secondo comma dell'art. 1 della legge cost. 2/1948 prevedeva bensi' modifiche allo statuto, modifiche che avrebbero dovuto essere effettuate entro un biennio con legge ordinaria, d'intesa con la Regione, ma, come e' noto, l'Alta Corte per la Regione siciliana dichiaro' incostituzionale tale disposizione con decisione 10 settembre 1948 n. 4. Pertanto, lo Statuto siciliano e' rimasto nel testo originario ed il mancato coordinamento e' stato sovente sottolineato dalla dottrina e dalla giurisprudenza anche costituzionale (v. Corte cost. nn. 38/1957; 6/1970, 115/1972, 113/1993 e, da ultimo n. 314/2003). Per quello che concerne la questione in oggetto l'art. 23 dello Statuto siciliano prevede semplicemente che «gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione» e che «Le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno, altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive, e di controllo amministrativo e contabile.». Il decentramento non ha mai avuto attuazione per quanto concerne le sezioni civili e penali della Cassazione, la quale ha sempre respinto le questioni di costituzionalita' in relazione all'art. 25 Cost. argomentando con la natura meramente programmatica della norma statutaria (v. Cass. 12 settembre 1991 n. 9534; 8 aprile 1992 n. 4270). Non sono state decentrate neppure la Commissione tributaria centrale e il Tribunale superiore delle acque pubbliche. Il decentramento e' stato invece attuato per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti con i coevi decreti legislativi del 6 maggio 1948 rispettivamente n. 654 e n. 655. Questo Consiglio con ordinanza n. 185/2003 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 1ª serie speciale n. 28 del 16 luglio 2003 e con ordinanza n. 303/2003 ha sollevato talune questioni di costituzionalita' del decreto legislativo 654/1948 sotto vari profili in rapporto a numerose disposizioni sia dello Statuto siciliano sia della Costituzione. Nelle more del giudizio innanzi alla Corte costituzionale e' stato emanato il decreto legislativo 373/2003 il quale, come recita l'art. 14, sostituisce integralmente il decreto legislativo 645/1948 ed il decreto di modifica dello stesso, e cioe' il d.P.R. 204/1978. Non pochi interrogativi posti nelle anzidette ordinanze sono stati superati dalle nuove disposizioni. In particolare, e' venuto meno un gruppo di questioni concernenti la supposta violazione di principi costituzionali sia in tema di delega legislativa sia dell'art. 43 dello statuto siciliano, e cio' poiche' il decreto legislativo 654/1948 sarebbe stato emanato in base a norme di delega a contenuto indeterminato e comunque prescindendo dall'intervento della commissione paritetica di cui all'art. 43 dello statuto siciliano. Un altro gruppo di censure concerneva altri supposti vizi di costituzionalita' dell'art. 2 del decreto legislativo 654/1948 (come sostituito dal d.P.R. 204/1978) in relazione a taluni principi costituzionali per non essere assicurata ai membri laici della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sufficienti garanzie di indipendenza e di imparzialita' e per non essere previsto un termine per la loro designazione nonche' meccanismi sostitutivi. Anche tali interrogativi sono stati superati dal decreto legislativo 373/2003 e, in particolare, dalle previsioni degli articoli 6 e 7 che hanno esteso ai membri laici il regime giuridico e disciplinare, nonche' il trattamento economico dei togati e ne hanno previsto la cessazione automatica al termine del sessennio di nomina. Peraltro, ad avviso del Collegio, e come rilevato dalla controinteressata e dall'appellante, il decreto legislativo 373/2003 non ha eliminato un dubbio di costituzionalita', gia' adombrato nelle ordinanze 185/2003 e 303/2003, e concernente, in particolare la possibilita' che in sede di norme di attuazione dell'art. 23 dello Statuto siciliano sia possibile prevedere una composizione mista di laici e togati del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana in sede giurisdizionale. Pertanto, gli articoli 4, primo comma e secondo comma, e 6 secondo comma del decreto legislativo 373/2003 lasciano inalterati gli stessi dubbi di costituzionalita' che erano stati gia' evidenziati in precedenza nelle citate ordinanze 185/2003 e 303/2003 in relazione all'art. 2 del decreto legislativo 654/1948 come sostituito dal d.P.R. 204/1978. 2. - Al riguardo, si premette in via generale che anche le leggi costituzionali (come ad esempio gli Statuti speciali regionali) sono soggette al sindacato di legittimita' costituzionale (v. Corte cost. n. 38/1957 sull'Alta Corte siciliana e n. 6/1970 sulla responsabilita' penale avanti all'Alta Corte del Presidente della Regione). A fortiori sono denunciabili per incostituzionalita' le norme di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale le quali, sotto questo profilo, sono state ritenute sullo stesso piano delle leggi statali (Corte cost. 14 luglio 1956 nn. 14, 15, 16; 16 luglio 1956 n. 20; 19 luglio 1956 n. 22; 26 gennaio 1957 n. 15; 18 maggio 1959 n. 30, etc.) e cio' ancorche' le norme di attuazione degli Statuti speciali si ritiene operino ad un livello superiore a quello della legge statale (Corte cost. 18 maggio 1959 n. 30, Corte cost. n. 13/1974). Per quanto poi concerne la natura ed il contenuto delle norme di attuazione, va rilevato che la giurisprudenza della Corte costituzionale (dec. n. 20/1956 cit. ha precisato come queste non siano da qualificare alla stregua di norme di mera esecuzione dello Statuto regionale, come se si trattasse di semplici regolamenti esecutivi. Al contrario, esse possono contenere norme primarie, ancorche' di «attuazione» degli Statuti, e quindi rivestono carattere legislativo. Da tale carattere discende la necessita' che il loro contenuto non sia in contrasto ne' con la Costituzione, e neppure con lo Statuto speciale, ma debbono, semmai, essere «in aderenza» al medesimo. Il concetto di «aderenza» puo' essere poi sottoposto al controllo della Corte costituzionale proprio con riferimento al contenuto delle norme di attuazione e cioe' verificando se le stesse siano contrarie o meno allo Statuto. Al di la' delle ipotesi di norme di attuazione contra statutum la Corte costituzionale (sempre nella citata decisione n. 20/1956) si e' posta il problema delle norme di attuazione praeter legem, o anche apparentemente secundum legem, risolvendolo testualmente come segue. «Se poi le norme di attuazione siano praeter legem, nel senso che abbiano integrato le disposizioni statutarie od abbiano aggiunto ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano, bisogna vedere se queste integrazioni od aggiunte concordino innanzi tutto con le disposizioni statutarie e col fondamentale principio dell'autonomia della Regione, e se inoltre sia giustificata la loro emanazione dalla finalita' dell'attuazione dello Statuto. Laddove, infine, si tratti di norme secundum legem, e' ovvio che se esse, nel loro effettivo contenuto e nella loro portata, mantengano questo carattere, non e' a parlarsi di illegittimita' costituzionale, ma sarebbe pur sempre da dichiararsene la illegittimita' nel caso che esse, sotto l'apparenza di norme secundum legem sostanzialmente non avessero tal carattere, ponendosi in contrasto con le disposizioni statutarie e non essendo dettate dalla necessita' di dare attuazione a queste disposizioni». Questo insegnamento e' stato mantenuto fermo fino ad ora e, sullo specifico punto, la decisione 20/1956 e' stata costantemente richiamata dalla successiva giurisprudenza costituzionale (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2001). 3. - Orbene, se si esaminano a confronto le disposizioni dello statuto siciliano e le norme di attuazione in materia di giurisdizione amministrativa relativamente alla composizione mista del Collegio si evince come queste ultime siano di segno contrario rispetto alle previsioni statutarie e comunque non in aderenza con la lettera e con lo spirito delle previsioni statutarie stesse. L'art. 23 primo comma dello statuto, infatti stabilisce semplicemente che «gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive saloni per gli affari concernenti la Regione». Nello statuto non e' contenuto alcun accenno, come tutta la dottrina costituzionalistica dell'epoca non ha mancato di sottolineare, alla composizione dei Collegi giudicanti e neppure per i Collegi chiamati a decidere in sede consultiva e di controllo (art. 23 secondo comma). Gli articoli 4 e 6 del d.lgs. 373/2003 non si limitano a dettare norme attuative o che comunque costituiscano la logica e naturale espansione del principio statutario (decentramento degli uffici e trasferimento di personale per consentire la presenza in loco di sezioni delle giurisdizioni superiori per gli affari regionali), ma modificano la struttura ordinaria dell'organo giurisdizionale introducendo un principio del tutto estraneo allo statuto e contrario, come verra' in seguito chiarito, a precise norme e principi di rango costituzionale. D'altra parte e' del tutto evidente che la composizione dell'organo giurisdizionale in modo diverso dall'ordinario non puo' essere considerata, nel silenzio dello statuto al riguardo, come una necessaria integrazione e specificazione della norma statutaria. La citata decisione della Corte n. 20 del 1956, e' precisa nell'affermare che la legittimita' costituzionale delle norme di attuazione e' subordinata alla sussistenza di due requisiti. Innanzitutto occorre la concordanza tra norme di attuazione e statuti (e nella specie ictu oculi tale concordanza non esiste); in secondo luogo le norme di attuazione debbono essere giustificate dalla finalita' di dare attuazione allo statuto. Neppure tale ultimo requisito sussiste nella specie. A proposito di quest'ultimo la Corte ha affermato che «l'esigenza delle norme di attuazione si manifesta nel bisogno di dar vita, nell'ambito delle ben definite autonomie regionali, ad una organizzazione dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che si armonizzi con l'organizzazione dello Stato nell'unita' dell'ordinamento giuridico» (dec. nn. 14/1962, 30/1968, 136/1969) ed ha ribadito tale convincimento anche nella decisione 12 luglio 1984 n. 212 nella quale ha anche precisato che «le finalita' della attuazione vanno accertate nel contesto delle autonomie regionali e nei principi costituzionali». Nella citata decisione n. 212/1984 la Corte, nel dichiarare la illegittimita' costituzionale della istituzione di una sezione giurisdizionale e delle Sezioni unite della Corte dei conti in Sardegna, ha argomentato con il fatto che ne' dalla lettera dello statuto regionale, ne' dal suo spirito, ne' dalle sue finalita' era in alcun modo ricavabile che si fosse inteso prevedere, neppure per implicito, Sezioni di organi centrali neppure nei limiti degli affari concernenti la Regione e cio' a differenza di quanto stabilito per altre regioni, richiamando appunto l'art. 23 dello statuto siciliano e l'art. 90 dello statuto del Trentino-Alto Adige. Al riguardo tuttavia non puo' non sottolinearsi la differenza fondamentale tra lo statuto siciliano e quello del Trentino - Alto Adige i quali, ai fini in esame, non possono porsi sullo stesso piano. Infatti, mentre lo statuto siciliano si limita alla pura e semplice localizzazione in Sicilia delle sezioni delle giurisdizioni superiori, lo statuto del Trentino-Alto Adige e' di ben diverso contenuto. Innanzitutto, l'art. 90 del Testo Unico delle leggi costituzionali di cui al d.P.R 31 agosto 1972 n. 670 istituisce espressamente il T.R.GA. e rinvia espressamente alle norme di attuazione per il suo ordinamento. Inoltre, il successivo art. 91 disciplina espressamente la composizione della sezione giurisdizionale per la provincia di Bolzano del T.R.G.A. cosi' come prevede espressamente che la meta' dei componenti la Sezione e' nominata dal Consiglio provinciale di Bolzano (art. 91 secondo comma). Le norme di attuazione dello statuto del Trentino (d.P.R. 6 aprile 1984 n. 426) di conseguenza, essendo a cio' espressamente delegate dallo statuto, disciplinano le modalita' di scelta dei magistrati cosiddetti laici, individuando le categorie tra cui questi debbono essere scelti, il ruolo in cui debbono essere collocati, le garanzie che li assistono, lo stato giuridico e il trattamento economico (articoli 2, 4, 5, d.P.R. 6 aprile 1984 n. 426). In proposito, nella decisione 137/1998 la Corte costituzionale ha espressamente rilevato come la specialita' del T.R.G.A. risieda nella delega contenuta nell'art. 90 dello statuto speciale da cui legittimamente discendono le norme di attuazione adottate con lo speciale procedimento della commissione paritetica. Anche il decreto legislativo 373/2003 di attuazione dello statuto siciliano contiene, agli articoli 4 e 6, norme di contenuto analogo alle norme di attuazione dello statuto del Trentino, ma con la fondamentale differenza che lo statuto siciliano ne' prevede la istituzione di un organo speciale giurisdizionale a composizione mista e neppure ne delega il suo ordinamento alle norme di attuazione. Nessun accenno - ripetesi - ne' esplicito ne' implicito e' contenuto nello statuto siciliano circa la istituzione di un organo giurisdizionale a composizione speciale per la Regione siciliana e neppure circa la necessita' che parte del Collegio giudicante sia costituito da magistrati laici di designazione regionale. Ne' potrebbe sostenersi che la presenza in Collegio di magistrati laici di designazione regionale costituisca la logica e naturale conseguenza, se non della lettera, almeno dello spirito e delle finalita' autonomistiche dello statuto siciliano. Un conto infatti e' la localizzazione di una funzione, un altro e' la organizzazione della funzione. Sono due aspetti del tutto diversi che il legislatore costituzionale puo' disciplinare diversamente a seconda dei casi cosi' come dimostra lo statuto del Trentino-Alto Adige (istituzione espressa dell'organo speciale, delega espressa alle norme di attuazione, localizzazione e previsione di giudici laici), quello della Valle d'Aosta (limitata competenza per gli uffici di conciliazione), quello della Regione Sardegna e del Friuli-Venezia Giulia (nessuna disposizione sulla giurisdizione) e della Sicilia (solo localizzazione degli organi ordinari). La Corte costituzionale - come verra' meglio chiarito in prosieguo - ha sempre rifiutato qualsiasi esegesi finalistica anche delle competenze normative statutarie primarie, sottolineando la necessita' di attenersi al tenore letterale degli statuti (Corte cost. nn. 124/1957, 66/1961,46/1962, 66/1964, 115/1972). 4. - D'altra parte, la riprova che le deroghe alla organizzazione giurisdizionale nazionale sono e debbono essere contenute negli statuti si rinviene nello stesso statuto siciliano. Innanzitutto va osservato che quando si e' voluta una composizione mista, lo statuto siciliano lo ha espressamente sancito, come risulta dal confronto dell'art. 23 con l'art. 24 primo comma secondo cui i membri dell'Alta Corte dovevano essere nominati «in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione». Peraltro, un ulteriore argomento si ricava dal testuale tenore dello stesso art. 23. Invero, l'art. 23 terzo comma dello statuto siciliano si da' carico di precisare che i magistrati della Corte dei conti sono nominati «d'accordo dai Governi dello Stato e della Regione». Il legislatore costituzionale ha talmente avvertito l'effetto derogatorio al normale e limitato assetto organizzatorio della designazione del giudice contabile togato, da ritenerne necessaria la specificazione nello statuto. Orbene, di fronte a tale espressa specificazione dello statuto per una delle magistrature superiori, non si vede come si possa sostenere che invece l'assoluto silenzio dello stesso legislatore circa le altre possa essere interpretato come una implicita delega a disciplinare, in sede di attuazione, la nomina, la composizione, la stessa struttura del giudice amministrativo in una organizzazione giurisdizionale del tutto difforme da quella ordinaria. La Corte costituzionale ha affermato chiaramente che, anche laddove gli statuti prevedano in via generica la emanazione di norme di attuazione, sarebbe illogico ritenere che queste ultime debbano essere emanate per tutte le materie statutarie perche' in tal modo si perverrebbe «all'assurdo di giudicare che esse sono state previste anche in caso in cui il testo statutario avesse avuto in se' piena completezza e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. In tali ipotesi le norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi per mancanza di oggetto» (Corte cost. 1° luglio 1969, n. 136). 5. - Neppure potrebbe sostenersi, sotto altro profilo, che nella previsione statutaria siciliana, limitata alla localizzazione, sia implicita la disciplina della organizzazione giurisdizionale. Al riguardo la Corte costituzionale ha sempre affermato che in materia di ordinamento giudiziario esiste, ex art. 108 Cost., una riserva di legge statale (Corte cost. n. 4/1956, n. 76/1995, n. 134/1998, n. 86/1999). E' stato anche affermato che il disegno del costituente e' stato «di procedere bensi' per determinate materie ad un decentramento istituzionale nel campo legislativo ed amministrativo a favore dell'Ente Regione, ma di escludere dal decentramento tutto il settore giudiziario e di sottrarlo, quindi, a qualsiasi competenza delle regioni anche di quelle a statuto speciale dettando cosi' uno di quei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato che costituiscano limite insuperabile all'attivita' legislativa delle regioni» (Corte cost. n. 4/1956, v. anche Corte cost. n. 43/1982). In questa ottica appare oltremodo significativa la decisione n. 150/1993 in cui si trattava di stabilire la legittimita' costituzionale della legge statale 374/1991 istitutiva del giudice di pace asseritamente lesiva delle competenze statutarie della Regione Valle d'Aosta disciplinanti la istituzione degli uffici di conciliazione (art. 41 legge cost. 4/1948). In quella occasione la Corte ha affermato «Il Titolo VII dello statuto di autonomia della Valle d'Aosta, rubricato come «Ordinamento degli uffici di conciliazione»; prevede nella sua unica norma (l'art. 41) determinate attribuzioni, di natura amministrativa, in favore del Presidente della Giunta, nonche' della Giunta stessa, attribuzioni concernenti sia l'istituzione degli uffici di conciliazione (che e' disposta con decreto del Presidente della Giunta previa deliberazione di questa); sia la nomina, la decadenza, la revoca e la dispensa dall'ufficio dei giudici conciliatori e viceconciliatori (che e' disposta dal Presidente della Giunta in virtu' di delegazione del Presidente della Repubblica); sia, infine, l'esercizio delle funzioni di cancelliere e di usciere (che e' autorizzato anch'essa dal Presidente della Giunta). Orbene, il significato limitativo espresso dal tenore testuale della previsione statutaria riferentesi esclusivamente - sia nella rubrica del titolo, sia nella formulazione della sua unica norma - al giudice conciliatore ed al suo ufficio, e non al «giudice onorario» in generale, trova conforto non solo nella considerazione che la piu' ampia figura, appunto, del «giudice onorario» - ricomprendente in se' quella del «giudice conciliatore» gia' all'epoca esistente nell'ordinamento giudiziario - non poteva non essere presente al legislatore costituente, essendo la Carta costituzionale (che tale figura «generale» conosce ed ammette: art. 106, secondo comma Cost.) antecedente, sia pure di poco, allo Statuto di autonomia, ma trova conferma anche in altre varie e concorrenti ragioni. La norma statutaria, per il suo contenuto precettivo, incide sull'ordinamento giudiziario e sullo «status» di un giudice dell'ordine giudiziario. Sotto il primo profilo (incidenza sull'ordinamento giudiziario), va innanzi tutto ribadito che in tale materia c'e' riserva di legge (art. 108 Cost.) e questa Corte ha gia' piu' volte puntualizzato trattarsi di riserva di legge statale, con conseguente esclusione di qualsivoglia interferenza della normativa regionale (sent. n. 767 del 1988, sent. n. 43 del 1982, sent. n 81 del 1976, sent. n. 4 del 1956). Deve quindi ripetersi che alla legge statale «compete in via esclusiva disciplinare in modo uniforme per l'intero territorio nazionale e nei confronti di tutti (art. 3 Cost.) i mezzi e le forme di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (articoli 24, primo comma, e 113 Cost.)» (sent. n. 81 del 1976, citata). Tale riserva abbraccia sia la disciplina degli organi giurisdizionali, sia la normativa processuale, anch'essa riservata esclusivamente alla legge statale (sent. n 505 del 1991, sent. n. 489 del 1991). Come la legge processuale (secondo il disegno costituzionale del nostro ordinamento), cosi' anche la normativa degli organi giurisdizionali non puo' che essere uniforme su tutto il territorio nazionale, dovendo a tutti essere garantiti pari condizioni e strumenti nel momento di accesso alla fruizione della funzione giurisdizionale, il cui esercizio e' imprescindibilmente neutro, perche' insensibile alla localizzazione in questa o quella regione, oltre che neutrale, perche' svolto in posizione di terzieta' rispetto ai poteri dello Stato, non escluso il potere esecutivo delle regioni. Pertanto le attribuzioni regionali in materia di giudice conciliatore, in quanto incidenti in materia soggetta a riserva di legge statale, hanno carattere di specialita' sicche' l'art. 41 della legge Cost. n. 4 del 1948 (statuto) si pone come deroga a tali principi, consentita soltanto dal rango costituzionale della norma stessa: deroga doppiamente eccezionale perche' contempla un'interferenza regionale in materia di esclusiva competenza statale e perche' tale interferenza nell'ordinamento giudiziario si realizza a livello non gia' di legge regionale, bensi' esclusivamente di atti dell'esecutivo. Tale connotazione di eccezionalita' non puo' che confinare la norma statutaria nel ristretto ambito del suo tenore letterale sicche' in Valle d'Aosta e' solo il «giudice conciliatore», e non anche il «giudice onorario» ex art. 106, secondo comma, Cost., ad essere in qualche misura diverso dal giudice conciliatore sul restante territorio del Paese. Il rilevato carattere derogatorio si appalesa poi ancora piu' marcato se si considera il contenuto della norma statutaria, che - seppur su delegazione del Presidente della Repubblica - prevede una serie di provvedimenti di competenza dell'esecutivo della Regione che incidono in radice sullo status di giudice conciliatore, condizionandone la nomina, la decadenza, la revoca e la dispensa. Anche sotto questo secondo profilo giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato come la riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e' posta «a garanzia dell'indigendenza della magistratura» (sent. n. 72 del 1991); indipendenza che costituisce valore centrale per uno stato di diritto, sicche' l'eventuale difetto di presidi a sua difesa puo' rifondare in vizio di incostituzionalita' (sent. n. 6 del 1970); indipendenza che e' assicurata in generale, ma anche con specifico riferimento al giudice onorario, dalle competenze del Consiglio superiore della Magistratura, sicche' anche per la nomina dei giudici di pace e' in generale prevista la previa deliberazione dello stesso (art. 4 della legge n. 374 del 1991). Quindi, anche sotto questo profilo dell'esigenza di garanzia dell'indipendenza del giudice, la previsione, contenuta nell'art. 41 della legge Cost. 26 febbraio 1948 n. 4 (statuto Valle d'Aosta), del potere (seppur delegato) del Presidente della giunta di dichiarare la decadenza e la dispensa del giudice conciliatore, e soprattutto il potere di revocarne la nomina, denuncia il suo carattere singolare e del tutto eccezionale, nella specie consentito dal rango costituzionale della norma stessa». Il principio ricavabile dalla anzidetta decisione sembra molto chiaro: innanzitutto nel senso che la deroga alla riserva costituzionale di legge statale in materia di giurisdizione e' consentita solo se espressamente prevista da una norma speciale di pari rango costituzionale e, in secondo luogo, che le disposizioni degli statuti speciali in materia di giurisdizione hanno carattere eccezionale e che quindi, come si esprime la Corte «tale connotazione di eccezionalita' non puo' che confinare la norma statutaria nel suo ristretto ambito del tenore letterale». In sostanza la Corte ribadisce per le norme di attuazione il divieto generale di esegesi finalistica delle competenze statutarie di cui alle citate decisioni 124/1957, 66/1961, 46/1962, 66/1964, 115/1972. Non meno importante, ai fini che qui interessano, e' la affermazione della necessaria uniformita' su tutto il territorio nazionale della «normativa degli organi giudiziari» che viene ricondotta alla necessita' di garantire a tutti i cittadini pari condizioni e strumenti di accesso alla funzione giurisdizionale di cui viene affermato il carattere neutro ed insensibile alle localizzazioni in una piuttosto che in altra Regione. Non puo' non rilevarsi, in proposito, la stringente analogia di tali affermazioni con quelle concernenti la attuale tematica dei limiti alle potesta' normative regionali derivanti dalle cosiddette materie trasversali (Corte cost. nn. 282/2002, 407/2002, 536/2002, 88/2003, 303/2003) e cio' per la tutela di esigenze unitarie ed infrazionabili. 6. - Se cio' e' esatto, se ne deve concludere che le norme di attuazione dello statuto siciliano di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 373/2003 hanno introdotto in Sicilia un istituto eccezionale, quale la possibilita' di nomina di magistrati laici, e hanno disciplinato il loro status (ed anche, ex art. 8 quello dei togati) in modo diverso da quello ordinario e cio' al di fuori di qualsiasi previsione statutaria, in una materia costituzionalmente riservata alla disciplina statale necessariamente uniforme sul punto - come verra' chiarito in prosieguo - e pertanto derogabile solo per espressa previsione di norma equiordinata e cioe' di rango costituzionale. Tale natura non e' riconosciuta - ripetesi - alle norme di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale. Con riferimento al decreto legislativo 654/1948 (corrispondente per natura al decreto legislativo 373/2003) la Corte costituzionale ha affermato «che il predetto decreto legislativo ha valore di legge ordinaria» (Corte cost. n. 61/1975). Inoltre, piu' in generale, la Corte ha affermato che le norme di attuazione degli statuti speciali «hanno dunque valore di legge, e per alcuni statuti; come per quello sardo, e' prevista la loro compilazione da parte di una commissione paritetica e occorre sentire il parere di alcuni organi regionali. Sia per ragioni formali che per ragioni sostanziali, esse si pongono dunque su un piano diverso e superiore rispetto alle leggi da emanare nelle materie da esse regolate; ma non per questo si puo' ad esse attribuire il carattere di leggi costituzionali» (v. Corte cost. n. 30/1959 cit). E' stato infatti osservato «esse sono, per definizione, norme dettate per «l'attuazione» di norme costituzionali. Se esse risultano conformi alla norma costituzionale (secundum legem), nessuna questione puo' essere sollevata; ma se, al contrario, si dimostrano in contrasto con la norma costituzionale, della quale dovrebbero rendere possibile l'attuazione (contra legem), non si comprende come e perche' potrebbero sottrarsi ad una pronuncia di illegittimita' costituzionale. Piu' delicati possono essere i casi, nei quali, pur non prospettando un manifesto contrasto, la norma di attuazione ponga un precetto nuovo, non contenuto neppure implicitamente nella norma costituzionale (praeter legem): casi, che mal si prestano ad essere classificati preventivamente in via generale e che possono richiedere piuttosto decisioni di specie. E' chiaro, comunque, che ai fini di tali decisioni, non si potra' prescindere dal criterio fondamentale stabilito dallo stesso costituente (art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1), che ha affidato alla Corte costituzionale il compito di garantire che non avvengano invasioni nella sfera di competenza assegnata alla Regione dalla Costituzione. A meno di attribuire alle norme di attuazione natura ed efficacia di vere e proprie norme costituzionali (il che, in verita', non e' stato sostenuto neppure dall'Avvocatura generale dello Stato), la competenza della Corte ad esaminarle e a pronunciare sulla legittimita' costituzionale di esse non puo' essere posta in dubbio» (v. Corte cost. n. 14/1956). In relazione alla necessita' che in materia di giurisdizione occorra una deroga espressa di rango costituzionale, va anche ricordato, che la riserva dell'art. 108 della Costituzione concerne «la disciplina di tutto quanto concerne l'Amministrazione della giustizia, sia riguardo alla istituzione dei giudici, che alle loro funzioni ed alle modalita' del correlativo esercizio» (v. Corte cost. n. 4/1956). Tale principio e' stato sempre tenuto fermo dalla giurisprudenza della Corte che ne ha fatto rigorosa applicazione numerose volte anche in Sicilia sino al punto di affermare la incostituzionalita' anche di norme meramente riproduttive della disciplina nazionale (v. Corte cost. nn. 154/1995, 115/1972), nonche' di norme che anche soltanto in via indiretta interferivano con l'esercizio della funzione giurisdizionale (Corte cost. n. 94/1995). In proposito va altresi' ricordato che - come gia' osservato - alle censure di costituzionalita' riguardo alla giurisdizione non si e' sottratto neppure lo stesso statuto siciliano di cui sono stati dichiarati incostituzionali gli articoli 26 e 27 sulla giurisdizione penale dell'Alta Corte (Corte cost. n. 6/1970). Premesso poi che la funzione delle norme di attuazione, in Sicilia, come nelle altre Regioni a statuto speciale, consiste nel rendere possibile il trasferimento alle Regioni delle funzioni e degli uffici nelle materie di competenza (v. Corte cost. nn. 17/1961, 14/1962, 180/1980), va poi sottolineato che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che, nella specie, l'art. 23 dello statuto siciliano, a differenza dello statuto del Trentino Alto Adige non contiene, in materia di composizione dei Collegi e di status dei magistrati, ne' una delega alle norme di attuazione, ne' alcun accenno alla possibilita' di nomina regionale di giudici laici poiche' esso stabilisce soltanto che gli organi giurisdizionali centrali debbano avere in Sicilia le Sezioni per gli affari concernenti la Regione» (Corte cost. n. 189/1992) ed inoltre «l'art. 23 del R.D.L. 15 maggio 1946 n. 455 attiene soltanto al decentramento degli organi giurisdizionali centrali per gli affari concernenti la Regione» (Corte cost. n. 61/1975). Se tutto cio' e' esatto, l'art. 4 primo comma lettera d), il successivo secondo comma, nonche' l'art. 6 del decreto legislativo 373/2003, laddove prevedono la presenza e la designazione di laici regionali, solo apparentemente rivestono il carattere di norme di attuazione, ma, in realta', rientrano in quella categoria individuata dalla Corte costituzionale nelle decisioni 14/1956 e 20/1956 e suscettibili di essere censurate in sede di giudizio incidentale di costituzionalita'. Si tratta di norme che, sotto l'apparenza di norme secundum legem, in realta', in primo luogo contrastano con le disposizioni statutarie e, comunque, non sono dettate dalla necessita' di dare attuazione a queste disposizioni. Cio' si evince con chiarezza poiche' il legislatore costituzionale aveva limitato - ripetesi - la autonomia regionale alla sola localizzazione in Sicilia degli organi delle giurisdizioni superiori, cosi' come evidenziato dal tenore letterale dell'art. 23 e come riconosciuto nelle citate decisioni della Corte costituzionale n. 189/1992 e n. 61/1975. 7. - Il decreto legislativo 373/2003 appare quindi «contra statutum» poiche', al pari del decreto legislativo 654/1948, istituisce in Sicilia «un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria fisionomia e struttura» (Corte cost. n. 25/1976), diverso da quello ordinario, perche' composto anche con giudici laici di nomina regionale. Esso quindi ha ampliato enormemente la sfera di autonomia regionale, ma cio' ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e soprattutto lo spirito della disposizione costituzionale statutaria, che limitava la autonomia regionale nel solo ambito della presenza in Sicilia di sezioni delle magistrature superiori, senza alcuna intenzione di alterarne la struttura e le funzioni (v. in questo senso l'ordinanza 6 marzo 1975 con cui l'Adunanza Plenaria rimise alla Corte costituzionale la questione su cui poi intervenne la dec. 25/1976). L'incostituzionale ampliamento dell'autonomia regionale, dapprima operato con le norme di attuazione di cui al decreto legislativo 654/1948, e, attualmente, con gli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 373/2003, le ha portate di conseguenza a collidere con i principi costituzionali sanciti dall'art. 108 per quanto concerne la riserva di legge statale sulla amministrazione della giustizia e, in particolare, sulla nomina di magistrati laici. A dimostrazione poi che la materia disciplinata dagli articoli 4 e 6 del d.l.gs. 373/2003 rientra nella riserva di legge statale in materia di giurisdizione e' sufficiente rammentare l'insegnamento della Corte costituzionale nelle decisioni 585/1989, 224/1999 e 25/1976. Nella prima, che si riferiva alla Regione Trentino-Alto Adige, si e' affermato che, salvo il principio della proporzionale etnica, che non veniva peraltro messo in discussione, spettava allo Stato stabilire le variazioni qualitative e quantitative della pianta organica dei magistrati addetti agli uffici giudiziari della provincia di Bolzano. Nella seconda, con riferimento alla Regione Sicilia, si e' affermato che anche la disciplina degli incarichi extraistituzionali a magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti operanti in Sicilia rientra nella competenza esclusiva statale in quanto attinente al loro stato giuridico. Ancora piu' significativa la affermazione contenuta nella decisione 25/1976 in cui, con espresso riferimento alla nomina dei componenti laici del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, la Corte costituzionale ha rilevato che trattasi di «questione che incide in modo diretto sulla giurisdizione dell'organo o, quanto meno, sull'esercizio della medesima». Se cio' e' esatto, sembra evidente che con gli articoli 4 e 6 delle norme di attuazione dianzi citate si sia invasa una sfera di competenza e riservata al legislatore statale. 8. - Peraltro, quando anche le disposizioni degli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 373/2003 volessero qualificarsi non gia' contra legem, ma semplicemente praeter legem, le conclusioni non muterebbero. La legittimita' costituzionale delle norme di attuazione degli statuti speciali praeter legem e' infatti subordinata - ripetesi - alla duplice condizione del dovere concordare con le disposizioni statutarie e con il principio dell'autonomia regionale e dell'essere giustificate dalla finalita' di dare attuazione allo statuto. Nessuna di queste condizioni e' ravvisabile nella nomina regionale di giudici laici presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Tale previsione non concorda affatto con lo statuto (Corte cost. n. 189/1992 e n. 61/1975 cit.) e neppure concorda con il principio dell'autonomia regionale in quanto, in difetto di apposita deroga di rango costituzionale, la norma di attuazione non puo' impingere su altri principi costituzionali non conferenti con l'autonomia regionale (Corte cost. n. 150/1993). La Corte costituzionale in proposito ha sempre affermato che «la capacita' additiva si esprime pur sempre nell'ambito dello spirito dello statuto e delle sue finalita' e - come s'e' pure rilevato - nel rispetto dei principi costituzionali» (Corte cost. n. 212/1984, n. 213/1998). La nomina dei giudici laici di designazione regionale neppure e' giustificata dalla necessita' di dare attuazione allo statuto. Tale necessita', com'e' costante insegnamento della Corte costituzionale, si concreta nel trasferimento di funzioni e uffici (Corte nn. 17/1961, 14/1962, 30/1968, 180/1980) al fine di dar vita «nell'ambito delle ben definite autonomie regionali ad una organizzazione degli uffici e delle pubbliche funzioni che si armonizzi con l'organizzazione dello Stato nell'unita' dell'ordinamento amministrativo generale» (Corte cost. nn. 14/1962, 213/1998 cit.). Orbene, ai fini del mero trasferimento di una sezione del Consiglio di Stato in Sicilia - poiche' tale e' l'oggetto dell'art. 23 dello statuto siciliano (Corte cost. n. 189/1992 e n. 61/1975) - non si vede perche' era necessario cambiare la composizione ordinaria della sezione con l'introduzione nel Collegio giudicante di giudici laici di designazione regionale. E' stato infatti affermato che la norma di attuazione, intanto puo' porsi in funzione di integrazione dello statuto «sempreche' sia giustificata da un rapporto di strumentalita' logica rispetto all'attuazione di disposizioni del medesimo» (Corte cost. n. 260/1990). Diversamente, ove il testo statutario sia completo, le norme di attuazione sarebbero prive di oggetto (Corte cost. n. 136/1969 cit.). Sotto altro profilo neppure potrebbe sostenersi che lo Stato e la Regione, in sede di commissione paritetica, possano d'accordo attribuire alla norma statutaria una portata maggiore di quella risultante dal tenore letterale della stessa. In altri termini, non e' possibile che in sede di commissione paritetica lo Stato autorizzi una limitazione dei suoi poteri, in assenza di qualsiasi previsione statutaria, ed al di la' delle finalita' tipiche delle norme di attuazione (decentramento), specie poi se rapportate alla chiara previsione statutaria nel medesimo senso. Va infatti considerato che a tale abdicazione corrisponderebbe un parallelo ampliamento dei poteri regionali e, quindi, in sostanza, una surrettizia modifica dello Statuto speciale. Gli Statuti speciali, poi, sono norme costituzionali (art. 116 primo comma Cost.) approvati e modificabili secondo il procedimento speciale di cui all'art. 138 Cost. (v. per la Sicilia l'art. 41-ter dello statuto, aggiunto dall'art. 1 della legge cost. 31 gennaio 2001 n. 2). Non sarebbe quindi ammissibile che una fonte di rango subordinato, quale le norme di attuazione, potesse modificare una normativa di rango costituzionale. Neppure sembrerebbe possibile sostenere che nel nuovo assetto costituzionale equiordinato (art. 114 primo comma) i vari enti possano esercitare qualsiasi potere loro attribuito purche' in forma di collaborazione e cioe' anche prescindendo dalla ripartizione di competenze normative di cui all'art. 117. In effetti una simile possibilita' non e' prevista neppure negli ordinamenti propriamente federali ed a Costituzione flessibile. Il nuovo Titolo V prevede in molti casi l'intesa tra Stato e Regioni, ma, nessuno di essi, neppure in forza della clausola di maggior favore, di cui all'art. 10 della legge Cost. 3/2001, potrebbe sovrapporsi o comunque modificare il regime e le caratteristiche del sistema di cooperazione tipico del procedimento delle norme di attuazione dello Statuto speciale siciliano in subiecta materia. L'art. 116 ultimo comma, l'art. 117 quinto comma e l'art. 118 terzo comma della Costituzione riguardano infatti materie diverse e presuppongono comunque la preesistenza di una legge ad hoc. Neppure sarebbe ipotizzabile una intesa Stato-Regione ex art. 118 primo comma. Invero, ai sensi di tale disposizione l'intesa tra Stato e Regioni puo' solo concorrere a spostare verso l'alto, e cio' in vista di esigenze unitarie, funzioni amministrative tipicamente locali. Tale principio e' stato esteso dalla giurisprudenza costituzionale anche alla funzione piu' propriamente legislativa, ma solo a condizione che quest'ultima avesse ad oggetto esclusivamente la organizzazione e regolazione di quelle stesse funzioni amministrative assunte dallo Stato in forza del principio di sussidiarieta'. La deroga al riparto delle competenze legislative sarebbe quindi piu' apparente che reale, presentandosi invece come una logica conseguenza del nuovo principio costituzionale di sussidiarieta'. Peraltro, ove non ricorrano i presupposti della sussidiarieta' e non venga previsto un procedimento di coordinamento orizzontale, riprenderebbe vigore, quanto alla distribuzione di competenze legislative, il principio di «rigidita' della Costituzione» (Corte cost. n. 303/2003, v. anche Corte cost. n. 376/2003). Nulla di tutto cio' e' ravvisabile nella fattispecie in esame. Innanzitutto non sembra previsto dall'art. 118 primo comma che l'attrazione di competenza venga spostata a favore del livello inferiore. In secondo luogo difetta il presupposto fondamentale del principio di sussidiarieta' e cioe' l'esigenza di assicurare un esercizio unitario della funzione giurisdizionale amministrativa, esercizio la cui unitarieta' verrebbe anzi pregiudicata. In terzo luogo la materia de qua (composizione dei Collegi e stato giuridico dei giudici) sotto nessun profilo puo' essere fatta rientrare nella categoria delle funzioni amministrative, ma rientra invece nella funzione giurisdizionale (Corte cost. n. 25/1976 e n. 224/1999 cit). In conclusione, quindi, il procedimento (e i limiti intrinseci) afferenti la adozione delle norme di attuazione tramite le commissioni paritetiche, continuano ad applicarsi anche nelle ipotesi in cui fosse invocabile (ma non e' questo il caso) la cosiddetta clausola di maggior favore (v. in questo senso testualmente l'art. 11 secondo e terzo comma della legge 5 giugno 2003 n. 131). A cio' deve aggiungersi anche l'ulteriore considerazione (ripetutamente esaminata nei precedenti punti 5 - 6 - 7) secondo cui le deroghe al principio del regime uniforme della organizzazione giurisdizionale su tutto il territorio nazionale debbono comunque essere contenute in norme di rango costituzionale e che il carattere eccezionale di tale deroga non consente di superare il tenore letterale della norma statutaria (Corte cost. n. 150/1993 cit.). D'altra parte, neppure potrebbe ritenersi che la riserva di legge statale possa essere intesa in senso solamente formale e non anche sostanziale. In altri termini non e' possibile sostenere che, ai fini in esame, sia sufficiente la adozione di una legge da parte dello Stato il quale, assolto cosi' l'onere della riserva di legge, potrebbe ad libitum dettare composizioni degli organi giurisdizionali differenti da regione a regione. Una simile esegesi sarebbe insostenibile poiche' contraria a specifici principi costituzionali ed alla costante interpretazione fornitane dalla Corte costituzionale. Invero, se si affermasse il principio, dianzi soltanto ipotizzato, che nella materia de qua sia ammissibile una riserva di legge in senso soltanto formale, quale ulteriore corollario dovrebbe anche ammettersi che il legislatore statale potrebbe incidere non solo sulla struttura dei Collegi, disciplinandoli diversamente da regione a regione, ma potrebbe differenziare a livello regionale anche la struttura dei processi (civile, penale, amministrativo) e cio', non solo in relazione alle regioni a statuto speciale, ma anche con riferimento alle regioni a statuto ordinario. Verrebbero pregiudicati cosi' i canoni costituzionali di cui agli articoli 3, 24 primo comma, 113 primo comma, 102 primo e secondo comma, 108 primo comma della Costituzione differenziando irragionevolmente l'esercizio della giurisdizione in funzione della residenza e violando cosi' i principi di uguaglianza (art. 3) e della parita' di tutela dei diritti ed interessi legittimi (art. 24 primo comma art. 113 primo comma). Piu' in generale, verrebbe anche vulnerato il principio dell'unita' dell'ordinamento giuridico il cui valore, gia' riconosciuto in passato in forza dell'art. 5 della Costituzione, e' attualmente ribadito, a livello costituzionale, anche dall'art. 120 secondo comma nel testo introdotto dalla Legge costituzionale n. 3/2001. La Corte costituzionale ha infatti sempre affermato che «le modalita' di esercizio del fondamentale principio della tutela giurisdizionale non possono essere diverse in una Regione rispetto al restante territorio nazionale» (Corte cost. n. 113/1993) e che esiste una «esigenza di uniformita' di tutela in ordine a situazioni soggettive di identica natura» (Corte cost. n. 42/1991). In altri termini va riconosciuto che la unitarieta' della materia giurisdizionale non puo' non ricomprendere tutti i suoi aspetti, ivi compresi quelli concernenti il reclutamento, la nomina e lo stato giuridico dei giudici (Corte cost. nn. 224/1999, 25/1976 cit.), che, ovviamente, devono restare identici su tutto il territorio nazionale. Sotto questo profilo, pertanto, la normativa statale non potrebbe introdurre differenziazioni a livello regionale senza incorrere in censure e vizi di costituzionalita'. L'unica deroga, come piu' volte sottolineato, e' ammessa solo in base ad una disposizione di pari rango costituzionale, da interpretare inoltre, in quanto deroga, in senso strettamente letterale. Pertanto, e in conclusione su questo punto, l'art. 23 dello statuto siciliano nella sua chiara previsione, limitata alla sola localizzazione della funzione giurisdizionale, rappresenta un punto fermo e insuperabile di modo che ne' la commissione paritetica ne' lo Stato (autonomamente o in sede di commissione paritetica) potrebbero adottare una disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria che incida su aspetti della funzione giurisdizionale diversi dalla pura e semplice localizzazione. 9. - Il Collegio e' consapevole della circostanza che la questione della composizione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e' stata ripetutamente affrontata anche dalla Corte costituzionale, ma sempre sotto angoli di valutazione diversi. Nella decisione n. 25/1976 la Corte costituzionale si e' occupata del problema, con riferimento tuttavia soltanto all'art. 5 terzo comma del decreto legislativo 654/1948 e cioe' all'istituto dell'appello all'Adunanza Plenaria delle decisioni emesse in unico grado del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana allora, prima della istituzione dei Tribunale amministrativo regionale In quell'occasione la Corte ha fatto altresi' riferimento alla nota decisione delle Sezioni Unite della Cassazione 11 ottobre 1955 n. 2994 dichiarando di condividerla. Nella anzidetta decisione la Cassazione, non essendo ancora in funzione la Corte costituzionale, si pose il problema della costituzionalita' in generale della istituzione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sotto un duplice aspetto: estrinseco ed intrinseco. Sotto il profilo estrinseco si trattava di accertare l'osservanza o meno del principio di cui all'art. 76 della Costituzione e quindi l'esistenza di una norma di delega, nonche' la attribuzione o meno di una competenza legislativa alla commissione paritetica di cui all'art. 43 dello Statuto siciliano anziche' al Governo. Tale profilo, di cui si e' trattato nella ordinanza di questo Consiglio 185/2003, non viene piu' in discussione in relazione al decreto legislativo 373/2003. Sotto il profilo intrinseco, invece, la costituzionalita' si pose con preciso riferimento alla questione se il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana dovesse considerarsi o meno un giudice speciale (la cui istituzione era ed e' vietata ex art. 102 secondo comma della Costituzione) che i ricorrenti ritenevano offrisse minori garanzie rispetto ad una ordinaria sezione del Consiglio di Stato. A riprova della specialita' venivano addotte la diversita' del numero dei votanti (5 anziche' 7) e la differenza di talune prerogative: inamovibilita' dei componenti le sezioni del Consiglio di Stato; temporaneita' dei due membri designati dalla Giunta regionale; partecipazione al Collegio esclusa per gli allora referendari del Consiglio di Stato. La Cassazione, com'e' noto, affermo' che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana non poteva considerarsi quale giudice speciale, ma soltanto una sezione specializzata del Consiglio di Stato superando in questo modo la eccezione di incostituzionalita'. Ne' in quella occasione ne' successivamente e' stato posto ex professo alla Corte costituzionale il profilo del rapporto tra la lettera e lo spirito dell'art. 23 dello Statuto e le norme di attuazione che prevedono la designazione regionale di magistrati laici. Tuttavia, pur non essendo stata sollevata una specifica questione in tal senso, se si esaminano i precedenti, emerge chiaramente, nel pensiero e nelle parole della Corte costituzionale, la consapevolezza che il decreto legislativo 654/1948 era andato ben al di la' della lettera e dello spirito dell'art. 23 dello Statuto. Invero, nella decisione n. 61/1975 la Corte - come gia' rilevato - afferma che «l'art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455 attiene soltanto al decentramento degli organi giurisdizionali centrali per gli affari concernenti la Regione». Nella decisione 25/1976 occupandosi della indipendenza dei membri laici del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, per quanto qui interessa, la Corte ha affermato testualmente che «certamente l'art. 23 dello statuto della Regione siciliana prevedeva semplicemente l'istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato ed e' innegabile che con il decreto legislativo n. 654/1948 e' stato invece istituito un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria particolare fisionomia e struttura». Nella decisione dianzi citata la Corte ha confermato l'orientamento della Cassazione circa la natura del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (sezione specializzata del Consiglio di Stato e non giudice speciale, anche se la anzidetta definizione fa pensare piu' ad un giudice speciale che ad una sezione specializzata) ma, com'e' noto, cio' non le ha impedito di dichiarare incostituzionale il decreto legislativo 654/1948 nella parte in cui (art. 3 terzo comma) prevedeva la possibilita' di rinnovo dei giudici laici. Sotto il profilo della composizione mista il decreto legislativo 373/2003 non presenta alcuna differenza rispetto al d.lgs. 654/1948 dal momento che entrambi, invece di limitarsi a localizzare in Sicilia, per quanto qui interessa, una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, ne disciplinano una composizione diversa da quella ordinaria. 10. - Possono pertanto proporsi le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4 primo comma lettera d) e del successivo secondo comma, nonche' dell'art. 6 secondo comma del decreto legislativo 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno lettera d)» in rapporto agli articoli 23 e 43 dello Statuto siciliano nonche' agli articoli 3, 24 primo comma, 113 primo comma, 108 primo comma, 102 primo e secondo comma e al primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione. I profili relativi al rapporto tra gli anzidetti commi del decreto legislativo 373/2003 e gli articoli 23 e 43 dello Statuto ed all'art. 108 primo comma della Costituzione sono stati in precedenza esposti nel senso che le anzidette norme di attuazione disciplinano materie riservate alla competenza esclusiva statale. 11. - Quanto al rapporto tra il decreto legislativo 373/2003 e gli articoli 3, 24 primo comma, 113 primo comma Cost. va rilevato che nell'esercizio della tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi legittimi tutti i cittadini debbono essere posti nelle medesime condizioni non essendo ammissibile un esercizio della giurisdizione diversificato su alcune parti del territorio nazionale (Corte cost. nn. 4/1956, 43/1982, 113/1993, 150/1993) a meno che - ripetesi - cio' non sia legittimato da una deroga di rango costituzionale, deroga peraltro nella specie inesistente. Nel concetto di esercizio diversificato non puo' poi non ricomprendersi anche una composizione collegiale diversa da quella ordinaria (in questo senso v. testualmente la citata dec. Corte cost. n. 25/1976) e da cio' la violazione dei parametri costituzionali dianzi indicati. Circa il rapporto tra il decreto legislativo 373/2003 e gli articoli 102 primo e secondo comma e 108 primo e secondo comma della Costituzione occorre sottolineare che anche qualificando il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana come sezione specializzata, la istituzione di sezioni specializzate innanzitutto deve essere prevista da una legge statale. Invero, solo la legge statale puo' disciplinare l'ordinamento della giurisdizione come si evince dall'art. 102 primo comma per il giudice ordinario e dall'art. 108 primo comma per i giudici speciali. Esiste, quindi, a livello costituzionale, una ancora piu' speciale riserva esclusiva di legge statale circa la istituzione di sezioni specializzate, derogabile quindi solo in presenza di norma espressa di pari rilevanza costituzionale (Corte cost. n. 150/1993 cit.). Nella specie - ripetesi - in nessun comma dell'art. 23 dello statuto siciliano e' contenuto il minimo accenno, ne' implicito ne' esplicito alla possibilita' che in Sicilia vengano istituite sezioni specializzate ne' del Consiglio di Stato ne' delle altre magistrature superiori. Il decentramento puro e semplice (Corte cost. n. 61/1975 e n. 25/1976) non implica affatto di per se' la creazione ex novo di sezioni specializzate tanto piu' che l'unico accenno di specialita' contenuto nell'art. 23 riguarda, come gia' osservato, il concerto tra Stato e Regione, sulla nomina soltanto dei magistrati della Corte dei conti. Va poi rammentato che la Carta costituzionale prevede la istituzione di sezioni specializzate soltanto nell'ambito della magistratura ordinaria (art. 102 secondo comma) per cui la sezione specializzata viene considerata «non gia' un tertium genus fra la giurisdizione speciale e quella ordinaria, bensi' una species di quest'ultima» (Corte cost. nn. 76/1961, 394/1998 e ordinanza n. 424/1989). E' stato infatti rilevato che, a fronte del divieto di istituire giudici speciali, la deroga costituzionale a favore delle sole Sezioni specializzate, dipende proprio dalla loro compenetrazione istituzionale con il giudice ordinario (Corte cost. nn. 4/1984, 424/1989). Pertanto, se la istituzione di sezioni specializzate e' consentita dalla Costituzione (ex art. 102 secondo comma) solo nell'ambito della magistratura ordinaria e cio' in ragione del nesso organico con quest'ultima, se ne dovrebbe anche inferire che, cosi' come non e' possibile istituire nuovi giudici speciali, alla stessa stregua non sarebbe possibile istituire sezioni specializzate all'interno dei giudici speciali attualmente esistenti. La questione non e' stata affrontata e risolta nell'unico caso in cui il problema si e' posto nei confronti di un giudice speciale gia' esistente o, meglio, gia' previsto dalla Costituzione. Invero, nella decisione n. 49/1968 esaminando la legittimita' costituzionale delle sezioni dei Tribunale amministrativo regionale del contenzioso elettorale ex art. 2 legge 23 dicembre 1966 n. 1147, la Corte costituzionale da un lato ha escluso il loro carattere di nuovi giudici speciali in quanto «parte degli istituendi Tribunale amministrativo regionale» ex art. 125 Cost. e non essendo vietata «la gradualita' nell'introduzione di nuovi organi di giustizia amministrativa». Peraltro, la Corte neppure ha riconosciuto alla anzidetta sezione elettorale la natura di sezione specializzata degli istituendi Tribunale amministrativo regionale pervenendo ad affermare che si trattava di «un'articolazione di tribunale amministrativo» e che, in quanto tale non richiede la presenza di giudici togati cosi' come non sembra che la richieda questo stesso tribunale». In altri termini, nel pensiero della Corte sembrerebbe che mentre si ammetteva che il giudice speciale da istituire ex novo, come i Tribunale amministrativo regionale, potesse anche essere interamente composto da laici (salvo le garanzie di indipendenza ex art. 108 secondo comma Cost.), lasciava impregiudicato il problema se, nell'ambito dell'istituendo giudice speciale, fosse costituzionale istituire sezioni specializzate in analogia a quanto previsto dall'art. 102 secondo comma per il giudice ordinario. 12. - In ogni caso, quando anche si pervenisse alla conclusione che l'art. 102 secondo comma e l'art. 108 primo comma Cost. non implicano di per se' il divieto di istituire sezioni specializzate nell'ambito del giudice speciale gia' esistente, non sembra possa dubitarsi che tale possibilita' sia coperta da riserva di legge statale ex art. 102 primo comma e 108 primo comma Cost. e che comunque la riserva di legge statale non potrebbe dettare, in subiecta materia, e in assenza di specifiche disposizioni di deroga di rango costituzionale, un regime differenziato da regione a regione. Il vizio di costituzionalita' degli articoli 4 e 6 del decreto legislativo n. 373/2003 verrebbe pertanto a porsi negli stessi termini dianzi enunciati. Quanto poi al rapporto tra il decreto legislativo n. 373/2003 e la VI disposizione transitoria della Costituzione, va rammentato che la stessa prevedeva di procedere, entro 5 anni, alla revisione delle giurisdizioni speciali eccettuando espressamente il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e i Tribunali militari. In questa espressa eccezione trova concordanza la formulazione dell'art. 23 dello statuto siciliano che si limitava al mero decentramento. Il decreto legislativo n. 654/1948 prima, e il decreto legislativo n. 373/2003 poi, istituendo una sezione specializzata hanno invece apportato sicuramente una modificazione all'organo giurisdizionale, ponendosi in contrasto oltre che con lo Statuto siciliano anche con il primo comma della VI disposizione transitoria. A questo proposito l'assenza di coordinamento tra lo statuto siciliano e la Costituzione si avverte in modo ancora piu' evidente se si considera che lo Statuto (art. 23 primo comma) prevedeva un decentramento negli organi giurisdizionali centrali, decentramento peraltro neppure generalizzato, ma limitato ai soli «affari concernenti la Regione». Innanzitutto non era e non e' agevole stabilire, in sede di giurisdizione (civile, penale, amministrativa e contabile) quali siano gli «affari concernenti la Regione» dal momento che la giurisdizione e' un valore e una funzione neutra «insensibile alla localizzazione in questa o quella Regione» (Corte Cost. n. 150/1993 cit.). La riprova di tale difficolta' e' dimostrata dal fitto che per le giurisdizioni civili, penali, tributarie e delle acque pubbliche non e' mai stata data attuazione alla previsione statutaria e, che in quella amministrativa si e' reso necessario estendere la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana anche ad atti emessi da autorita' statali (art. 5, primo comma decreto legislativo n. 654/1948; art. 4 comma 3 decreto legislativo n. 373/2003) di modo che attualmente, atteso che in via generale, (salvo specifiche eccezioni) la competenza territoriale del giudice amministrativo e' derogabile, e' possibile conoscere in Sicilia anche di ogni sorta di atti da chiunque emanati. Inoltre, per evitare di compromettere l'unita' del sistema giuridico della giustizia amministrativa, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana venne configurato, relativamente agli atti statali, come organo sottordinato rispetto al Consiglio di Stato al quale era prevista la possibilita' di appellarsi (art. 5 terzo comma decreto legislativo n. 654/1948). Vale la pena di ricordare, in proposito, la decisione della Corte costituzionale n. 25/1976. In quella occasione l'appello all'Adunanza plenaria avverso pronunce del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana su atti statali veniva giustificato con il venir meno, in quel caso, delle «ragioni per cui gli era stata conferita quella particolare composizione caratterizzata dalla presenza di due giuristi designati dalla giunta regionale e poteva a cio' costituire opportuno rimedio la previsione dell'impugnabilita' delle sue decisioni». L'appello veniva inoltre giustificato non tanto per «attribuire ai ricorrenti davanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana una tutela giurisdizionale maggiore di quella riconosciuta alla generalita' dei cittadini davanti al Consiglio di Stato quanto piuttosto per assicurare una definitiva uniformita' di controllo sugli atti delle amministrazioni dello Stato». Tale competenza di primo grado e' venuta meno dapprima in forza di una esegesi pretoria (Adunanza plenaria n. 21/1978 e n. 18/1979) ed ora risulta espressamente sancita dal citato art. 4 comma 3 del decreto legislativo n. 373/2003, ma rimane innegabile il superamento della lettera e dello spirito della norma statutaria che limitava e limita la competenza ai soli «affari concernenti la Regione». Le anzidette considerazioni dimostrano le difficolta' di adattamento della previsione statutaria anche con riferimento al solo e limitato aspetto della localizzazione. Pertanto, estendere la portata dell'art. 23 sino a modificare la struttura dell'organo giudicante legittima il sospetto di una incostituzionale revisione (sia pure parziale) della giurisdizione del Consiglio di Stato. 13. - In conclusione sui precedenti punti possono per ora essere avanzate nell'ordine e in subordine le seguenti questioni di costituzionalita' con riserva di successiva integrazione in prosieguo: A) dell'art. 4 comma 1 lettera d) e del successivo comma 1, nonche' dell'art. 6 comma 2 del decreto legislativo n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno lettera d)» in rapporto all'art. 23 dello Statuto siciliano ed all'art. 102 primo comma e 108 primo comma Cost. in quanto l'art. 23 dello Statuto non prevede alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato da localizzare in Sicilia; in rapporto agli articoli 102 primo comma e 108 primo comma Cost. in quanto il decreto legislativo n. 373/2003 cit. disciplina una materia riservata dalla Costituzione alla legge statale, per cui eventuali deroghe a favore dell'autonomia regionale debbono essere supportate da una espressa previsione di pari rango costituzionale che - come piu' volte rappresentato - non e' rinvenibile nell'art. 23 dello Statuto siciliano; nonche', in rapporto agli articoli 3, 24 primo comma, 113 primo comma Cost., in quanto introduce una ingiustificata differenziazione dell'organo giudicate, e quindi dell'esercizio della giurisdizione su una parte del territorio nazionale; A1) in subordine dell'art. 4 comma 1 lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6 comma 2 del decreto legislativo n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno lettera d)» in rapporto all'art. 23 primo comma dello statuto siciliano che non prevede ne' una sezione specializzata del giudice speciale ne' una composizione collegiale diversa da quella ordinaria e cio' anche in relazione, quale tertia comparationis, (e con riferimento all'art. 3 della Costituzione) all'art. 24 primo comma dello Statuto siciliano concernente la composizione dell'Alta Corte, nonche' all'art. 23 terzo comma del medesimo Statuto, all'art. 10 del decreto legislativo 6 maggio 1948 n. 655 concernente la istituzione di sezioni della Corte dei conti per la Regione siciliana, all'art. 1 del decreto legislativo 18 giugno 1999 n. 200 ed agli articoli 90 e 91 secondo comma del T.U. delle leggi costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670; A2) in subordine dell'art. 4 comma 1 lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6 comma 2 del decreto legislativo n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno lettera d)» in rapporto allo stesso art. 23 primo comma dello statuto siciliano, nonche' in rapporto all'art. 102 secondo comma e 108 primo e secondo comma della Costituzione, non essendo consentito istituire sezioni specializzate nell'ambito dei giudici speciali. A3) in subordine dell'art. 4 comma 1 lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6 comma 2 del decreto legislativo n. 373/2003, limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno lettera d)» in rapporto all'art. 23 primo comma dello statuto siciliano ed in rapporto al primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione che esclude dalla revisione la giurisdizione del Consiglio di Stato. 14. - La questione sub A1 consente di porre sotto un diverso angolo di visuale l'affermazione, contenuta nella gia' citata decisione delle Sezioni unite della Cassazione n. 2994/1955, circa la aderenza del decreto legislativo n. 654/1948 allo spirito dell'art. 23 dello statuto siciliano. In quella occasione la Cassazione si e' preoccupata di chiarire che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, per la sua composizione, non e' un giudice capite deminutus quanto a quantita', qualita' e garanzia dei suoi membri. La Cassazione non si e' invece data carico della questione di costituzionalita' a monte e cioe' se lo statuto e la Costituzione legittimavano la istituzione (gia' fortemente criticata dalla dottrina costituzionalistica dell'epoca) di una sezione, sotto molteplici profili, diversa rispetto a una sezione ordinaria del Consiglio di Stato, ma si e' limitata ad affermare apoditticamente che «le variazioni morfologiche del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sono in funzione di quella stessa esigenza di decentramento che ha giustificato l'istituzione dell'Ente Regione». A questo proposito e' opportuno segnalare, anche a chiarimento del richiamo che e' stato operato quale tertium comparationis, al decreto legislativo n. 655/1948, che, nella stessa data del 6 maggio 1948, venne adottato, oltre al decreto legislativo n. 654/1948, anche il decreto legislativo n. 655/1948 relativo alla istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale e di controllo della Corte dei conti. Com'e' noto, il predetto decreto legislativo n. 655/1948 non dispone una composizione delle Sezioni diversa da quella ordinaria, ma si e' limitato a ribadire (art. 10 primo comma) la previsione statutaria (art. 23 terzo comma) della intesa tra Stato e Regione sulla nomina dei magistrati. Va ulteriormente rimarcato che in sede di modifica delle norme di attuazione del predetto decreto legislativo n. 655/1948, il decreto legislativo 18 giugno 1999 n. 200, adottato questa volta su determinazione della commissione paritetica ex art. 43 dello statuto siciliano, ha introdotto all'art. 1 del decreto legislativo n. 655/1948 un secondo comma che testualmente dispone che «la composizione e la competenza delle sezioni sono determinate dalle disposizioni della legge statale». Orbene, nell'unico caso in cui l'art. 23 dello Statuto siciliano prevedeva, al terzo comma, un accenno di specialita', ne' le prime norme di attuazione (adottate senza la procedura dell'art. 43 dello statuto), ne' le successive (adottate stavolta con il procedimento speciale) hanno ritenuto possibile e legittimo alterare la composizione ordinaria delle sezioni della Corte dei conti. Sulla base delle argomentazioni addotte dalle Sezioni unite della Cassazione nella decisione 2994/1955 in merito alle «esigenze del decentramento» non e' agevole giustificare come mai, in sede di attuazione della stessa norma statutaria, nei confronti della clausola di una qualche maggiore specialita' si sia mantenuta la composizione ordinaria della Corte dei conti, mentre, di fronte alla clausola dell'art. 23 primo comma, del tutto anodina sotto questo profilo, si sia ritenuto di poter istituire una sezione specializzata del Consiglio di Stato. Comunque, le vicende del coevo decreto legislativo n. 655/1948 e come pure le successive determinazioni della commissione paritetica del 1999 allorche' e' stato introdotto il secondo comma all'art. 1 del predetto decreto legislativo n. 655/1948 concernente la Corte dei conti, costituiscono ulteriore riprova del fatto che le norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 373/2003, che riproducono, in parte qua, quelle di cui al decreto legislativo n. 654/1948, sono in palese contrasto con la lettera e lo spirito dello statuto siciliano. Ne' potrebbe addursi, a giustificare il differente regime tra i due decreti legislativi del 6 maggio 1948, e, conseguentemente, del decreto legislativo n. 373/2003, l'argomento secondo cui non sarebbe ammissibile che nell'organo controllante (Corte dei conti) siano presenti magistrati designati dal soggetto controllato (Regione). Va infatti sottolineato che l'art. 23 dello Statuto siciliano e il decreto legislativo n. 655/1948 prevedono anche la localizzazione in Sicilia della sezione giurisdizionale per i giudizi di conto, responsabilita' e pensionistici e che la composizione di tale sezione non e' stata mai modificata, neppure dalla recente legge 5 giugno 2003 n. 131. Questa infatti, all'art. 7, ha previsto la mera possibilita' che le sole sezioni regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate con due componenti di nomina regionale. Non va poi dimenticato che la norma in esame e' contenuta in una legge statale di portata generale ed uniforme su tutto il territorio nazionale. Pertanto, qualora si volesse riconoscere identico carattere giurisdizionale anche alla funzione di controllo della Corte dei conti, la norma sarebbe ugualmente in linea con i principi costituzionali della riserva di legge statale e della uniformita' della giurisdizione su ogni parte del territorio nazionale. In altri termini, se per effetto dell'art. 7 della legge n. 131/2003 (ove applicabile alle regioni a statuto speciale) la sezione di controllo della Corte dei conti in Sicilia dovesse essere integrata con consiglieri di designazione regionale, cio' sarebbe dovuto all'efficacia di una legge statale uniforme su tutto il territorio nazionale, e non gia' in forza di una norma di attuazione dello Statuto siciliano che avesse introdotto un regime derogatorio rispetto a quello ordinario. Circa poi la attuazione dello Statuto siciliano va ricordato storicamente che la prima commissione paritetica del 1946, nelle prime ed uniche norme da essa «deliberate» non aveva modificato la composizione delle magistrature superiori esistenti e certamente non per superficialita' o per ignoranza delle norme statutarie. Invero, il Presidente della commissione, come e' noto, e come aveva lui stesso dichiarato in una nota 24 maggio 1947, indirizzata all'Assemblea regionale siciliana, era stato uno dei redattori dello statuto. Tuttavia, ne' lui, ne' nessun altro dei padri fondatori dello statuto (Giovanni Salemi, Mario Mico, lo stesso Movimento per l'Autonomia della Sicilia) pensarono mai ad organi giurisdizionali superiori a composizione mista paritetica. Com'e' noto lo statuto siciliano e' frutto di una commissione nominata con decreto 1° settembre 1945 dall'Alto Commissario per la Sicilia on.le Salvatore Aldisio. La commissione prese a base dei lavori quattro progetti predisposti rispettivamente dal prof. Giovanni Salemi, dall'on.le Giovanni Guarino Amella, dal dott. Mario Mineo e dal Movimento per l'Autonomia della Sicilia. Per quanto concerne gli organi giurisdizionali il progetto del prof. Salemi all'art. 21 primo comma cosi' recitava: «l'organizzazione giudiziaria e' stabilita con legge dello Stato ed e' a carico dello Stato». Il progetto dell'avv. Guarino Amella all'art. 30 si limitava a stabilire che: «Tutti gli organi per la definizione delle controversie nel campo civile, penale, commerciale, amministrativo, tributario e sindacale e in tutti i gradi di giurisdizione, debbono risiedere nella Regione, in modo che tutte le controversie abbiano in Sicilia il loro intero e totale svolgimento». Il progetto del dott. Mineo all'art. 37 prevedeva semplicemente che: «lo Stato istituire in Sicilia sezioni autonome di ciascuno dei suoi supremi organi giurisdizionali». Il progetto del Movimento per l'Autonomia della Sicilia agli articoli 26 e 27 era cosi' formulato: «Articolo 26 - L'ordinamento giudiziario e' stabilito con legge dello Stato. La creazione di nuovi uffici giudiziari e le modifiche alle circoscrizioni giudiziarie sono pero' stabilite con provvedimento del Consiglio regionale. Articolo 27 - L'Amministrazione della giustizia nella Regione e' a carico del bilancio dello Stato. Tutti gli Organi per la definizione delle controversie nel campo civile, penale, commerciale, amministrativo, tributario e del lavoro, ed in tutti i gradi di giurisdizione, debbono risiedere nella Regione, in modo che tutte le controversie abbiano in Sicilia il loro intero e totale svolgimento». Se poi si esaminano i resoconti stenografici della commissione (riportati in un volume, dedicato ai lavori preparatori dello Statuto dal presidente della commissione prof. Giovanni Salemi) e, in particolare quelli delle sedute del 21 dicembre 1945 e del 22 dicembre 1945 si trova documentato che la formula (inserita nell'art. 20) «l'organizzazione giudiziaria e' stabilita con legge dello Stato» venne eliminata su proposta del consigliere Taormina il quale «basandosi sul principio che la funzione giurisdizionale e' riservata allo Stato propone la soppressione dell'articolo 20 ...» ... «La Consulta respinge l'articolo. Ne dissente solo il cons. Romano Battaglia». In relazione poi alla stesura dell'art. 21 (poi divenuto il definitivo art. 23) i lavori cosi' riportano: «Scartata la proposta del prof. Di Carlo, di votare al riguardo l'art. 27 del progetto del "Movimento per l'autonomia", si approva nei seguenti termini il primo comma dell'art. 21: "Gli organi giurisdizionali aventi oggi la sede soltanto in Roma saranno istituiti anche in Sicilia per gli affari concernenti la Regione". Sul secondo comma dello stesso articolo, intervengono il prof. Majorana e il cons. Cartia; l'uno proponendo di non assegnare al Consiglio di Stato in Sicilia la funzione consultiva, alfine di soddisfare meglio alle esigenze dell'autonomia; l'altro per dare alla Corte dei conti una composizione mista, con rappresentanti; cioe' dello Stato e della Regione, essendo comune ai due enti l'interesse al controllo contabile. Si invita il relatore a presentare la redazione definitiva del detto comma». «Il relatore presenta un'altra formula, piu' semplice e comprensiva: "Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione". Essa viene approvata e diventa il primo comma dell'art. 21. Ritornando al secondo comma dello stesso art. 21, il relatore propone di metterlo in armonia col primo, dicendo: "Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti" anziche' "Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti". Alfine di attuare la rappresentanza mista dello Stato e della Regione in seno alla Corte dei conti, suggerisce il seguente nuovo comma: "I magistrati della Corte dei conti sono nominati di accordo dai Governi dello Stato e della Regione"». (v. all. A pag. 69-70). Il progetto definitivo venne poi approvato dalla Consulta siciliana, poi dalla Consulta nazionale. Per quanto qui interessa non vennero apportati emendamenti, e venne infine approvato con decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455. Emerge quindi con chiarezza che mai nessuno, in sede di redazione dello statuto, penso' ad una organizzazione delle magistrature superiori diversa da quella disciplinata dalla legge statale e che, se vi fu un accenno di specialita', esso riguardo' solo il giudice contabile. Pertanto, la affermazione delle Sezioni unite 2994/1955 dianzi citata secondo cui «le variazioni morfologiche del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sono in funzione di quella stessa esigenza di decentramento che ha giustificato l'istituzione dell'Ente Regione» non solo non trova alcun riscontro, ma anzi e' smentita proprio dalle vicende accorse in sede di istituzione dell'Ente Regione e cio' senza considerare che le «variazioni» non sono solo «morfologiche» ma di sostanza. Anche i lavori preparatori dello Statuto confermano quindi testualmente e sul piano storico quanto piu' volte in precedenza osservato circa il carattere «contra statutum» del decreto legislativo n. 654/1948 e, in parte qua, del decreto legislativo n. 373/2003. Se poi ci si chiede come mai, nel 1948 in sede di norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 654/1948 sia stata cosi' radicalmente stravolta la lettera e lo spirito, tanto dello statuto siciliano, quanto della conforme proposta della prima commissione paritetica, puo' farsi riferimento a coloro che, in dottrina, attribuiscono storicamente il tenore del decreto legislativo n. 654/1948 ad un accordo personale intercorso tra Ferdinando Rocco e l'on.le Luigi Sturzo, del quale, peraltro, sembra non sia rimasta traccia. A questo proposito non varrebbe richiamarsi, come sovente assume taluna pubblicistica, ad un supposto carattere «pattizio» dello statuto siciliano che lo differenzierebbe percio' solo dagli altri statuti speciali. Anche se fosse possibile assimilare lo statuto ad un accordo tra entita' equiordinate, al pari cioe' di un trattato internazionale, resterebbe comunque indubbio che ai patti occulti, in ogni caso, non potrebbe riconoscersi alcun valore. A giustificazione della composizione mista del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana confermata dal decreto legislativo n. 373/2003 neppure potrebbe invocarsi una sorta di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo. Si tratterebbe infatti, in ambedue i casi, di istituti o fonti di integrazioni sconosciute al livello di norme costituzionali e comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida. In altri termini non sembrerebbe possibile sostenere (come tal volta adombrato) che la sussistenza della composizione mista del C.G.A. per oltre mezzo secolo costituirebbe di per se' una riprova della sua costituzionalita'. Innanzitutto, va rammentato che il periodo subindicato non e' decorso senza interrogativi. Invero, taluni aspetti di tale composizione mista non hanno superato il vaglio del giudice delle leggi (Corte cost. 25/1976) ovvero hanno subito modificazioni, piu' o meno radicali, a seguito o in prospettiva del giudizio della Corte (v. il d.P.R. n. 204/1978 e lo stesso decreto legislativo n. 373/2003). In secondo luogo non puo' ritenersi che la permanenza di una norma nell'ordinamento, per un periodo piu' o meno lungo, costituisca garanzia di costituzionalita', come dimostrano gli esempi dei Consigli comunali e provinciali in tema di contenzioso elettorale amministrativo (Corte cost. n. 93/1965), dei Consigli di prefettura (Corte cost. n. 55/1966), delle giunte provinciali amministrative (Corte cost. n. 30/1967), della giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta (Corte cost. n. 33/1968), del Tribunale superiore delle acque (Corte cost. n. 305/2002), dei Tribunali regionali delle acque (Corte cost. n. 353/2002), della Giunta speciale presso la Corte di appello di Napoli (Corte cost. n. 393/2002) etc. Neppure sembrerebbe ostativo a questi fini, il richiamo al mutato quadro istituzionale introdotto dal decreto legislativo n. 373/2003 ed alla intervenuta assimilazione del regime giuridico ed economico dei membri laici del C.G.A. a quello dei laici nominati in Consiglio di Stato. In altri termini, non sembrerebbe possibile sostenere che il superamento delle questioni concernenti sia i profili formali (delega in bianco e mancato intervento della Commissione paritetica) sia taluni di quelli sostanziali (indipendenza, imparzialita', regime giuridico ed economico nonche' meccanismi di rinnovo dei laici del C.G.A.) valga di per se' a dimostrare la sopravvenuta manifesta infondatezza della questione concernente il contrasto tra la pura localizzazione prevista dall'art. 23 primo comma dello statuto siciliano e la composizione mista di cui all'art. 4 del decreto legislativo n. 373/2003. In sostanza, non potrebbe sostenersi che la anzidetta questione risultava non manifestamente infondata in un quadro normativo in cui ai laici non erano assicurate imparzialita' ed indipendenza, mentre non apparirebbe piu' tale nell'ambito del decreto legislativo n. 373/2003 in cui tali garanzie sono state assicurate. Tale argomentazione non sembrerebbe convincente per un duplice ordine di considerazioni. Innanzitutto le questioni dianzi esaminate ed elencate non hanno alcun riferimento alla maggiore o minore indipendenza o imparzialita' dei laici. Invero, la questione che ne occupa, similmente a quanto ritenuto nelle ordinanze n. 185/2003 e n. 303/2003 di questo Consiglio, consiste nell'interrogativo se, in assenza di copertura costituzionale, sia possibile introdurre una forma di giurisdizione differenziata solo su una parte del territorio nazionale. Su un piano poi piu' propriamente sostanziale, la circostanza che ai componenti laici sia assicurata, a decreto legislativo n. 373/2003, lo stesso trattamento giuridico ed economico dei laici nominati in Consiglio di Stato, non elimina il dato di fatto della esistenza di una giurisdizione differenziata. Al riguardo e' sufficiente rilevare innanzitutto che il regime giuridico non e' identico poiche', trattandosi di nomine temporanee per un sessennio difetta, ad esempio, quel definitivo allontanamento dalla professione (art. 3 legge n. 303/1998), ovvero dalla amministrazione di provenienza che caratterizza i Consiglieri di Stato e della Corte dei conti di nomina politica. In secondo luogo, ma non meno decisivo a dimostrazione della esistenza di una differenziata singolarita', e' sufficiente richiamare il disposto dell'art. 4 comma 2 del decreto legislativo n. 373/2003 secondo cui il collegio giudicante e' necessariamente composto con due membri laici di nomina politica regionale, il che comporta una differenziazione, non solo formale, ma anche sostanziale dell'esercizio della giurisdizione (Corte cost. n. 25/1976 cit.). Nei collegi amministrativi tale tipo di composizione sottintende la necessita' che vengano rappresentate esigenze, prospettive, e interessi di natura locale, il che, ovviamente, non ha ragione di essere in un collegio giurisdizionale tenuto soltanto ad applicare le norme dell'ordinamento quale che ne sia la fonte (internazionale, comunitaria, nazionale, regionale etc.). L'unico esempio di collegio giurisdizionale amministrativo in cui e' stata prevista la composizione mista e' rappresentato dal T.R.G.A., ma con norma di rango costituzionale e in base alla dichiarata e specifica finalita' di tutela delle minoranze etniche e linguistiche presenti nella Regione (v. artt. 90, 91, 92 d.P.R. n. 670/1972). Neppure sembrerebbe possibile, a questi fini, richiamarsi all'inciso di cui all'art. 23 primo comma dello Statuto siciliano che fa riferimento agli «affari concernenti la Regione» interpretando cioe' la formula come se questa implicitamente sottintenda che il contenzioso amministrativo tra un qualsiasi privato e le autorita' amministrative locali siciliane debba essere risolto da un giudice in composizione speciale. Infatti, non sarebbe spiegabile come tale esigenza avesse ragion d'essere solo in Sicilia e, quando anche cosi' fosse, come non sia emersa al livello statutario, ed anzi risulti ignorata nei lavori preparatori dello Statuto. In proposito neppure sembra probante la argomentazione secondo cui la composizione mista di cui al decreto legislativo n. 654/1948, prima, ed al decreto legislativo n. 373/2003 poi, potrebbe giustificarsi in funzione della autonomia regionale e della intima connessione della giustizia amministrativa con l'amministrazione attiva. Invero, per quanto concerne la autonomia regionale possono richiamarsi le considerazioni dianzi esposte in merito alla necessita' di una esegesi letterale delle norme statutarie concernenti la funzione giurisdizionale (Corte cost. nn. 124/1957, 66/1964, 115/1972, 150/1993 cit.), e quelle circa la funzione delle norme di attuazione degli statuti speciali (Corte cost. 14/1956, 20/1956, 212/1984, 353/2001 cit.). Quanto alla supposta connessione della giustizia amministrativa con la amministrazione attiva non e' dato ravvisare, almeno allo stato attuale della legislazione, una connessione tra il ruolo e la funzione del giudice amministrativo e quello del pubblico amministratore. Se invece la affermazione sottintende che la giustizia amministrativa tocca prevalentemente interessi circoscritti e territorialmente localizzati, sembra evidente che cio' si verifica con la stessa frequenza nei giudizi ordinari civili e penali che traggono causa o presupposto dagli stessi atti amministrativi direttamente impugnabili davanti al giudice amministrativo, ma per questi giudizi civili e penali, come e' noto, l'art. 23 dello statuto siciliano non e' mai stato attuato neppure nella forma di semplice delocalizzazione. Del pari ininfluente appare la argomentazione, spesso da piu' parti prospettata, secondo cui l'attuale generale tendenza al federalismo potrebbe supportare, sul piano costituzionale, la disciplina di cui al decreto legislativo n. 373/2003. Al riguardo va innanzitutto sottolineata la inattualita', al livello costituzionale, di una scelta propriamente federalistica e, in secondo luogo, come la disciplina del decreto legislativo n. 373/2003 non sarebbe del tutto coerente neppure con tale futura impostazione. Potrebbe infatti predicarsi, anche in questo caso, quanto gia' dianzi osservato in relazione alla portata generale ed uniforme dell'art. 7 della legge n. 131/2003. Invero, anche ammettendo, in ipotesi, una scelta federalistica gia' in atto, non si comprenderebbe perche' questa scelta debba giustificare un esercizio differenziato della giurisdizione che debba valere solo per la giustizia amministrativa, solo per la Regione siciliana, e solo per l'ultimo grado di giudizio. In altri termini, anche volendo ipotizzare, de jure condendo ed in una visione federalistica, una giurisdizione amministrativa diversa da quella attuale, e cio', in una ottica di collegamento con le autonomie locali, sembrerebbe evidente che tale riforma dovrebbe trovare specifica disciplina in una legge statale ex art. 117 secondo comma lettera l) della Costituzione (Corte cost. n. 29/2003 cit.). Inoltre, in base ai principi costituzionali sulla uniformita' della giurisdizione su tutto il territorio nazionale, siffatta riforma dovrebbe avere portata generale senza differenziazioni di regime da regione a regione (Corte cost. nn. 42/1991, 113/1993, 150/1993 cit.). Non meno irrilevante e' la argomentazione, peraltro meta giuridica, secondo cui sul decreto legislativo n. 373/2003 si sarebbe espresso favorevolmente, nel senso della sua costituzionalita', il Consiglio di Stato nella Adunanza generale del 2 ottobre 2003. In proposito va evidenziato che in quella occasione il Consiglio di Stato, preso atto della pendenza della questione di costituzionalita' sollevata dall'ordinanza di questo Consiglio n. 185/2003, ha espressamente rilevato «come l'Adunanza generale non abbia titolo ad interloquire in ordine all'ampia serie di censure sollevate dal C.G.A., anche per un doveroso rispetto istituzionale nei confronti della Corte costituzionale» (Allegato B). Una assicurazione in questo senso venne invece fornita, come da procedura, dall'Ufficio legislativo del Ministero di grazia e giustizia con nota 11 luglio 2003 prot. n. 1499/-30/21-113. Il Ministero infatti ha testualmente affermato che lo schema trasmessogli «appare complessivamente idoneo a superare le censure di costituzionalita' che il C.G.A. ha mosso alla vigente normativa, sia per cio' che attiene ad eventuali eccessi di delega, sia per cio' che attiene alla composizione dell'organo giurisdizionale» (Allegato C). Trattasi di formula apodittica alla quale, comunque, non potrebbe essere riconosciuta alcuna efficacia preclusiva dell'attuale giudizio di costituzionalita'. Per le suesposte argomentazioni si ritiene che il quadro normativo offerto dal decreto legislativo n. 373/2003, ancorche' sostanzialmente migliorativo rispetto al precedente quanto a talune garanzie di imparzialita' ed indipendenza dei membri laici del C.G.A., non abbia risolto (come gia' avvertito dai primi commentatori) la questione di fondo concernente la legittimita' della istituzione di una forma di esercizio della giurisdizione amministrativa in Sicilia diversa dal resto del territorio nazionale in assenza - ripetesi - di una specifica copertura costituzionale. Pertanto si ritiene che il nuovo quadro normativo non valga, per cio' solo, a rendere manifestamente infondate le anzidette questioni di costituzionalita' che meritano quindi di essere riproposte al vaglio del giudice delle leggi. Le questioni di costituzionalita' dianzi esposte appaiono poi rilevanti ai tini del presente giudizio in quanto la legittimita' costituzionale della composizione del Collegio rappresenta un presupposto imprescindibile per l'esercizio della funzione giurisdizionale (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2002). Quanto alla non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che tale requisito sussista sia con riferimento all'assetto costituzionale precedente, sia anche con riferimento all'assetto costituzionale quale risulta dopo la modifica del Titolo V della Costituzione per effetto della legge Cost. n. 3/2001. 15. - Al riguardo va innanzitutto ricordato, alla stregua del pacifico insegnamento della Corte costituzionale, inaugurato con la sua stessa prima decisione (n. 1/1956), che le norme ordinarie, ancorche' nate costituzionalmente legittime, possono essere affette da illegittimita' costituzionale sopravvenuta per contrasto con nuove norme costituzionali (Corte cost. n. 13/1974). Cio' vale anche per lo Statuto siciliano, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455 prima della Costituzione repubblicana, i cui articoli 26 e 27 - come gia' accennato - sono stati dichiarati incostituzionali malgrado la costituzionalizzazione dello Statuto fosse intervenuta successivamente (Corte cost. n. 6/1970 cit.). In altri termini, non sarebbe possibile una lettura delle norme statutarie in senso non conforme alla Costituzione e ai suoi principi fondamentali poiche', in tal caso, le stesse norme statutarie potrebbero risultare affette da incostituzionalita' (Corte cost. nn. 30/1971, 31/1971, 32/1971, 12/1972, 175/1973, 1/1977, 18/1982, 183/1983, 170/1984, 1146/1988). Nella specie, peraltro, la norma statutaria in esame, e cioe' l'art. 23 primo comma, nel suo tenore letterale e nella sua ratio, appare perfettamente coerente con i principi costituzionali in tema di uguaglianza dei cittadini nella tutela dei propri diritti ed interessi, nonche' di uniformita' dell'esercizio della giurisdizione limitandosi - come piu' volte osservato - al puro e semplice decentramento degli organi giurisdizionali superiori nella loro composizione ordinaria. Gli interrogativi non riguardano quindi il disposto statutario, ma soltanto la sua attuazione, attuazione che, travalicando tale disposto, ne e' stata fornita, dapprima con il decreto legislativo n. 654/1948, ed attualmente, sotto il vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, con il decreto legislativo n. 373/2003. Cio' premesso, il nuovo Titolo V della Costituzione, ad avviso del Collegio, non solo non fa' venir meno le questioni di costituzionalita' dianzi prospettate, ma rafforza, se mai, il peso delle argomentazioni di cui sopra. Mantiene, infatti, identica rilevanza e non manifesta infondatezza la questione rubricata sub A3 concernente la violazione del primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione. Quanto agli altri profili, puo' ritenersi anche per essi la perdurante rilevanza ed anzi la maggiore fondatezza per effetto delle disposizioni del nuovo Titolo V. Com'e' noto, l'art. 10 della legge Cost. n. 3/2001 dispone che sino all'adeguamento dei rispettivi Statuti, le disposizioni del nuovo Titolo V si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite (cosiddetta clausola di maggior favore). Peraltro, in precedenza si e' denunciata la incostituzionalita' di talune disposizioni del decreto legislativo n. 373/2003 in quanto norme di attuazione statutaria contra legem, o comunque, praeter legem perche' in contrasto con la lettera e lo spirito dello Statuto siciliano oltreche' con principi e precise disposizioni costituzionali. Tuttavia, tali principi e tali disposizioni sono contenuti nel Titolo IV della Costituzione e non gia' nel Titolo V le cui modifiche, pertanto, dovrebbero risultare ininfluenti ai fini qui in esame. Peraltro, per indispensabile completezza, dovrebbero esaminarsi taluni aspetti della riforma, aspetti che comunque non incidono sulle conclusioni dianzi esposte ma, se mai, le rafforzano. Innanzitutto va premesso che nella specie si tratta di valutare la costituzionalita' di una normativa emanata successivamente alla entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001. Quindi i canoni circa il riparto di competenze legislative tra Stato e regioni dovrebbero essere valutati alla stregua del nuovo assetto costituzionale non essendo applicabile il principio di continuita' dell'ordinamento (Corte cost. n. 422/2002). Cio' premesso, va osservato che, come gia' accennato, nel vigore della distribuzione delle competenze legislative anteriore alla riforma del Titolo V la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato, sin dalla decisione 124/1957, la necessita' di distinguere lo Stato quale unico ente a fini generali dalle regioni (ordinarie o a Statuto speciale) «enti con fini predeterminati e inderogabilmente fissati» (Corte cost. n. 66/1964). Da tale esigenza e' stato ricavato il corollario della impossibilita' di estendere in senso finalistico l'ambito delle materie elencate negli statuti. Pertanto, anche se uno statuto speciale avesse attribuito alla competenza esclusiva regionale il conseguimento di un certo fine, questo avrebbe potuto essere conseguito soltanto nell'ambito delle materie attribuite alla competenza regionale. E cosi', esemplificando con riferimento alla Regione siciliana, il fine statutario di cui all'art. 14 lettera e) «incremento della produzione agricola e industriale» pur attribuendo alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia, non le consentiva tuttavia di conseguirlo disciplinando il regime delle accise e dell'I.G.E. poiche' la materia dei tributi erariali non risultava attribuita alla Regione (Corte cost. n. 124/1957 cit.). Identiche conclusioni, sempre con riferimento alla Regione siciliana, sono state ribadite con riguardo alla giurisdizione, rilevandosi come la competenza esclusiva «e' strettamente limitata alle materie quali sono elencate negli statuti speciali restando escluso che, rispetto a queste, possano valere criteri finalistici chenon risultino da valutazioni del tutto obbiettive del loro contenuto» (Corte cost. n. 66/1964). Ed inoltre che non sarebbe possibile una esegesi dell'ambito delle varie materie «non suffragata dalla formulazione letterale della disposizione statutaria» (Corte cost. n. 115/1972). La necessita' di tracciare la linea di demarcazione tra le competenze statali e quelle regionali «che e' necessario tener ferma onde salvaguardare l'interesse all'unita' dell'ordinamento» (Corte cost. n. 46/1962) ha portato ad escludere sia una competenza normativa regionale in ambiti connessi alle materie attribuite (Corte cost. n. 46/1962 cit.), sia una esegesi finalistica delle materie attribuite poiche' «se cosi' non fosse la competenza legislativa delle Regioni si estenderebbe, potenzialmente, a tutto l'ordinamento giuridico ... e, per converso, tutta la potesta' legislativa dello Stato sarebbe limitata dalla potesta' della Regione di regolare qualunque rapporto giuridico nel campo delle attivia' attribuite alla competenza regionale, in modo diverso dalla legislazione statale» (Corte cost. n. 66/1961). Il quadro e' mutato con il nuovo Titolo V, ma la giurisprudenza costituzionale sembra orientata su una linea di continuita'. Nelle sue prime pronunce sull'argomento la Corte costituzionale infatti, da un lato ha sottolineato le novita' del quadro complessivo dei rapporti tra Stato e Regioni nel quale «sono apparsi particolarmente rilevanti l'art. 114, che pone sullo stesso piano lo Stato e le Regioni come entita' costitutive della Repubblica, accanto ai comuni, alle citta' metropolitane e alle province; l'art. 117, che ribalta il criterio prima accolto, elencando specificatamente le competenze legislative dello Stato e fissando una clausola residuale in favore delle regioni; e infine l'art. 127, che configura il ricorso del Governo contro le leggi regionali come successivo, e non piu' preventivo». Peraltro, pur nel mutato assetto la Corte non ha mancato di sottolineare come, «nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato sia pur sempre riservata, nell'ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all'art. 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di un'istanza unitaria, manifestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le potesta' legislative (art. 117, primo comma) e dal riconoscimento dell'esigenza di tutelare l'unita' giuridica ed economica dell'ordinamento stesso (art. 120, secondo comma). E tale istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto, lo Stato, avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento» (Corte cost. n. 274/2003). Come si e' visto, nella ripartizione di competenze stabilita dal nuovo art. 117 della Costituzione le regioni (anche quelle a statuto speciale) hanno goduto di un significativo ampliamento della loro sfera di competenza legislativa che, ai sensi del quarto comma dell'attuale art. 117, e' divenuta generale in via residuale invertendosi l'originario criterio. Si discute quindi sul carattere esclusivo generale di tale competenza, e cioe' ci si chiede se una materia non riconducibile al secondo e terzo comma dell'art. 117 rientri, percio' solo, nella competenza generale residuale (v. Corte cost. 370/03). Ci si chiede poi se i limiti a tale competenza siano soltanto quelli generali di cui all'art. 117 primo comma o se ve ne siano anche degli altri. Inoltre, con riferimento alle regioni a statuto speciale, ci si interroga se la precedente competenza legislativa primaria sia transitata o meno nella residuale generale dell'art. 117 quarto comma e se ad essa debbano applicarsi i vecchi limiti presenti negli statuti speciali ovvero i nuovi ricavabili dall'art. 117 primo comma, e non solo da questo. In riferimento alle problematiche dianzi rilevate e di non agevole soluzione, che emergono dal nuovo Titolo V, e con riferimento alla questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo, se, a fronte, dell'ampliamento delle competenze legislative regionali derivante dalla attribuzione di competenza generale residuale, noi debba contrapporsi, anche per le regioni a statuto speciale, la riserva di legislazione esclusiva a favore dello Stato cosi' come elencata all'art. 117 secondo comma. Al riguardo, la Corte ha pronunciato alcune decisioni in cui si afferma che il nuovo Titolo V non si applica alle Regioni a Statuto speciale, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite (v. Corte cost. ord. n. 377/2002, decisioni nn. 408/2002, 533/2002, 48/2003, 103/2003). Tuttavia, in un'altra decisione, concernente la Regione Sardegna, e in materia di caccia in cui tale Regione gode di potesta' normativa primaria, le argomentazioni della Corte appaiono molto piu' articolate in quanto si e' affermato (con riferimento espresso al nuovo Titolo V) che «la disciplina statale rivolta alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema puo' incidere anche sulla materia caccia pur riservata alla potesta' legislativa regionale, ove l'intervento statale sia rivolto a garantire standard minimi e uniformi di tutela della fauna trattandosi di limiti unificanti che rispondono ad esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello Stato» (Corte cost. n. 536/2002). Sembrerebbe quindi che la Corte costituzionale abbia riconosciuto che nel nuovo assetto delle competenze legislative, delineato dal nuovo Titolo V, le materie riservate in via esclusiva allo Stato si impongono anche alle competenze legislative primarie delle regioni a statuto speciale, ma non in toto, bensi' nel senso piu' ristretto di poter fissare a quelle autonomie regionali nuovi limiti prima inesistenti. Tale orientamento e' stato poi ribadito dalla Corte sia nei confronti (come era ovvio) delle regioni a statuto ordinario (decisione 227/2003) sia nei confronti della provincia autonoma di Trento dotata di competenza esclusiva in materia e cio' con riferimento ai preesistenti limiti statutari all'esercizio della competenza anzidetta (decisione 226/2003). In altri termini, nella esegesi della Corte sembra affermarsi il concetto che le esigenze di unitarieta' ed uniformita' dell'ordinamento (v. anche dec. 274/2003 cit.), insite nella elencazione delle competenze esclusive statali e specie in quelle trasversali (e cioe' definibili finalisticamente piu' che per l'oggetto, quali la tutela dell'ambiente, della concorrenza, del risparmio, la determinazione dei livelli essenziali v. Corte cost. nn. 282/2002, 407/2002, 88/2003, 303/2003, 376/2003, 14/2004), sono talmente rilevanti da condizionare ex novo anche la operativita' della clausola di maggior favore. Se cio' e' esatto, anche qualora lo Statuto siciliano avesse attiribuito espressamente alla competenza primaria della Regione la organizzazione, in ambito regionale, della giustizia civile, penale ed amministrativa di ultima istanza (il che non risulta ne' implicitamente ne' esplicitamente), ebbene, anche in questo ipotetico caso, la maggiore autonomia statutaria spettante in base alla clausola di maggior favore ne uscirebbe ridimensionata nel senso che non potrebbe piu' disciplinare, in una forma derogatoria per la sola Regione siciliana, aspetti della organizzazione giudiziaria che, ex articolo 117 secondo comma lettera I), debbono restare necessariamente unitari per l'ordinamento generale della giustizia (composizione dei collegi, stato giuridico dei magistrati laici e togati etc.). Quanto poi al carattere finalistico della materia «giurisdizione», e' sufficiente osservare come questa attenga direttamente, ex articolo 24 Cost., «alla tutela dei propri diritti ed interessi legittimi» e quindi non sembrerebbe dubitabile che anche essa appartenga alla stessa categoria trasversale e finalistica al pari della tutela del risparmio, della concorrenza, dell'ambiente ed altresi' (forse anche nel suo contenuto) a quella dei livelli essenziali di prestazioni, come sembrerebbe gia' adombrato nella citata decisione Corte cost. 150/1993. Potrebbe invece consolidarsi una diversa esegesi nella applicazione dell'articolo 10 della legge Cost. n. 3/2001, nel senso cioe' che le materie riservate in via esclusiva allo Stato dal nuovo articolo 117 secondo comma non possono costituire od introdurre nuovi limiti ai piu' o ampi poteri normativi primari che, nelle stesse materie, sono previsti negli Statuti speciali, e che debbono, semmai, soltanto applicarsi i vecchi limiti statutari alla normativa primaria. Tuttavia, anche in questo caso, permarrebbe la rilevanza dei dubbi di costituzionalita' dianzi enunciati e la loro non manifesta infondatezza. Invero, la Corte costituzionale, nella decisione n. 48/2003 da un lato ha affermato che l'applicazione della clausola di maggior favore (condotta sulla base di una valutazione comparativa) esclude ovviamente le competenze normative statali, ma ha riconfermato nella specie, per quanto qui interessa, il limite statutario della armonia con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. Lo statuto siciliano, pur anteriore alla Costituzione, prevede similmente (articolo 14 primo comma) che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato. Non si e' mai dubitato quindi che la competenza primaria della Regione siciliana dovesse osservare i principi della Costituzione (Cort. cost. nn. 66/1964, 115/1972) cosi' come anche i principi fondamentali delle leggi di riforma economica-sociale (Corte cost. un. 545/1989, 4/2000, 314/2003). In questo caso i limiti alla possibilita' di legiferare in tema di giurisdizione sarebbero rappresentati, oltre che dall'articolo 14 primo comma dello Stato, da quelli ricavabili, come sottolinea la Corte costituzionale (dec. 274/2003 cit.) dall'articolo 5, dall'articolo 117 primo comma, e dall'articolo 120 secondo comma della Costituzione. In conclusione, quindi, i principi unitari, unificanti ed infrazionabili ricavabili dalla Costituzione, tra i quali va annoverata la uniformita' della disciplina della giurisdizione in ogni suo aspetto su tutto il territorio nazionale, si impongono comunque alle regioni a statuto speciale in assenza di una espressa deroga statutaria e, dopo la riforma del Titolo V, potrebbero anche limitare la portata di una eventuale espressa deroga statutaria. Tale prevalenza, che prescinde anche dalla clausola di maggior favore, si applica sia con riferimento ai limiti alla normativa primaria gia' presenti negli Statuti, sia ai nuovi limiti, e cio' sia con riferimento all'assetto antecedente la riforma del Titolo V, sia a quello successivo. In proposito la Corte costituzionale ha affermato che il potere di disciplinare l'esercizio della giurisdizione «alla Regione Sardegna come alle altre regioni a statuto speciale od ordinario non spetta, restando invece riservato alla competenza del legislatore statale (cfr. sentenza 115 del 1972; e v. oggi l'articolo 117, secondo comma lettera l) della Costituzione come sostituito dalla legge costituzionale n. 3 del 2001)» (Corte cost. n. 29/2003). Pertanto, sia la riserva di legge statale di cui all'articolo 117 secondo comma lettera l) della Costituzione, sia il disposto dell'articolo 14 primo comma dello Statuto siciliano nonche' degli articoli 5, 117 primo comma e 120 secondo comma della Costituzione, inducono tutti a ritenere che i vizi di costituzionalita' in precedenza denunciati si dovrebbero ritenere ulteriormente confermati. Al limite, qualora i dubbi di costituzionalita' dianzi esposti avessero potuto essere superati con riferimento al precedente assetto costituzionale, gli stessi dovrebbero essere inevitabilmente riconosciuti con riferimento al nuovo. Pertanto, il combinato disposto degli articoli 5, 102 primo comma, 108 primo comma, 117 primo e secondo comma lettera l) e 120 secondo comma della Costituzione dovrebbe ormai dimostrare in modo inconfutabile che le norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 373/2003 sembrano affette da incostituzionalita' alla luce della riforma del Titolo V. In altri termini, l'articolo 117 secondo comma rafforza, se ce ne fosse bisogno, la necessita' di attenersi ad una esegesi strettamente letterale dell'articolo 23 dello Statuto siciliano. Invero, nel silenzio totale dello Statuto in materia di organizzazione giudiziaria (oltre all'articolo 23 v. anche gli articoli 14 e 17) si osserva, innanzitutto, che non puo' scattare la clausola di maggior favore non essendo tale materia attribuita alla competenza regionale, e, in secondo luogo, che comunque, qualsiasi iniziativa normativa che dovesse essere assunta in proposito, vuoi in sede di commissione paritetica vuoi autonomamente dallo Stato o dalla Regione, dovrebbe in ogni caso tener conto dell'articolo 117 primo comma secondo cui la Costituzione (e quindi la competenza esclusiva statale da esercitare nella materia de qua con caratteri di uniformita) costituisce un limite insuperabile a qualsiasi categoria di normazione regionale sia essa primaria che concorrente e sia anche in sede di norme di attuazione che restano pur sempre subordinate alla Costituzione e quindi anche alle esigenze unitarie canonizzate negli articoli 5 e 120 secondo comma. 16. - Pertanto in relazione alle questioni elencate sub A, A1, A2, puo' essere posta anche la seguente: A4. in subordino qualora si potesse ritenere la costituzionalita' dell'articolo 4 comma 1 lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'articolo 6 comma secondo del decreto legislativo n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'articolo 4 comma uno lettera d)» in relazione alle questioni sollevate ai precedenti punti sub A, A1, A2, si ripropongono le stesse questioni in rapporto anche al disposto dell'articolo 117 secondo comma lettera l) della Costituzione, dell'articolo 14 primo comma dello statuto siciliano, dell'articolo 5, dell'articolo 117 primo comma e dell'articolo 120 secondo comma della Costituzione. In conclusione, quindi, tutte le questioni di cui ai precedenti punti sub A appaiono rilevanti, in quanto, la legittimita' costituzionale della composizione del Collegio costituisce, di per se', un presupposto per l'adozione di qualsivoglia decisione (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2002). Peraltro, come in precedenza osservato, mentre e' possibile adottare una esegesi costituzionalmente corretta sulla base del tenore letterale dell'articolo 23 primo comma dello Statuto siciliano, la tassativita' delle disposizioni di cui sopra non consente di adottare, in subiecta materia, una esegesi costituzionale corretta ne' sussiste un diritto giurisprudenziale vivente che la supporti (v. da ultimo Corte cost. ord. 30 gennaio 2003 n. 19). Il Collegio peraltro ritiene che il vigente regime transitorio ed anche la futura possibilita' di diversa composizione del Collegio per effetto di eventuali nuove nomine di laici regionali ex articoli 4, 6, 7 e 15 del decreto legislativo n. 373/2003 non influisca sulla rilevabilita' e rilevanza delle questioni sin qui prospettate. Innanzitutto va osservato che il decreto legislativo n. 373/2003 e' entrato in vigore il 29 gennaio 2004 e che, ai sensi dell'art. 14 dello stesso decreto da tale data sono abrogati il decreto legislativo n. 654/1943 e il D.P.R. n. 204/1978, per cui nessuna efficacia puo' piu' essere riconosciuta alla precedente normativa. Per quanto invece concerne le nomine effettuate sotto il vigore di quella va tuttavia considerato che, con espresso riferimento alle nomine precedenti, la norma transitoria di cui all'art. 15 comma primo del decreto legislativo n. 373/2003 consente ai laici componenti della Sezione giurisdizionale di rimanere in carica sino al compimento del sessennio a decorrere dal rispettivo giuramento, (sia pure subordinatamente ad una dichiarazione di insussistenza ovvero di intervenuta cessazione delle cause di incompatibilita), mentre il successivo comma 2 consente ai medesimi la permanenza in servizio per sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo, ancorche' versino in situazioni di incompatibilita' o comunque gia' scaduti. Pertanto, il regime transitorio di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 373/2003 consente l'esercizio della giurisdizione di questo C.G.A. nella composizione mista, atteso che per i membri laici presenti in questo Collegio il sessennio non e' ancora scaduto (v. allegati D, D1 e E, E1) e neppure e' scaduto il termine di sessanta giorni dalla entrata in vigore del predetto decreto legislativo (29 gennaio 2004). Conseguentemente, le anzidette questioni di costituzionalita' possono essere sollevate anche nei confronti del primo, cosi' come del secondo comma del citato articolo 15 ovviamente, in parte qua, e cioe' con esclusivo riferimento ai membri laici della Sezione giurisdizionale. Peraltro va anche sottolineato che si tratta di questioni che riguardano direttamente, e a regime, il modo di essere e di funzionare di questo Consiglio. Esse invero prescindono nel modo piu' completo dalla varia posizione che possano rivestire gli attuali membri laici di questo Consiglio in relazione al regime transitorio e cioe' se proseguano nell'incarico ovvero se vengano sostituiti da altri. Invero, le questioni prospettate in precedenza concernono la legittimita' costituzionale in apicibus di una composizione mista di questo Consiglio, questioni nei confronti della quale e' irrilevante e ininfluente la eventualita' di nuove nomine di membri laici in sostituzione o in aggiunta agli attuali. Inoltre, onde fugare eventuali eccezioni di inammissibilita', e' opportuno richiamare il pacifico e costante insegnamento della Corte costituzionale in tema di autonomia del processo costituzionale secondo cui «il requisito della rilevanza riguarda solo il momento genetico in cui il dubbio di costituzionalita' viene sollevato e non anche il periodo successivo alla remissione della questione alla Corte costituzionale» (v. da ultimo Corte cost. ord. n. 110/2000). Nella medesima ottica e' stato chiarito che «la vicenda del processo incidentale di legittimita' costituzionale non puo' essere influenzata da circostanze di fatto sopravvenute nel procedimento principale: e cio' in quanto, svolgendosi il processo incidentale nell'interesse pubblico, e non in quello privato, una volta che esso si sia validamente instaurato a norma dell'articolo 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, acquisisce una autonomia che lo pone al riparo dall'ulteriore atteggiarsi della fattispecie, financo nel caso in cui, per qualsiasi causa, fosse venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso (articolo 22 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale)» (Corte cost. ord. nn. 300/1984, 383/2002, e v. anche dec. nn. 135/1963, 701/1988, 52/1986). Quanto poi alla ammissibilita' delle questioni anzidette il Collegio si richiama parimenti all'insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost. nn. 177/1973, 25/1976 e 266/1988). La Corte ha infatti affermato che la possibilita' di una declaratoria di incostituzionalita' della composizione del Collegio non puo' far venir meno, ex ante, la ammissibilita' e rilevanza della questione (Corte cost. n. 177/1973) poiche', in tal caso, siffatte questioni non potrebbero mai venire sollevate (Corte cost. n. 266/1988). Il Collegio non puo' non rilevare infine anche la singolarita' della circostanza occorsa in sede di emanazione del decreto legislativo n. 373/2003 in esame, la cui norma di copertura finanziaria e' contenuta in un separato decreto-legge e precisamente nell'articolo 6 del decreto legislativo 24 dicembre 2003 n. 354 la cui entrata in vigore, ai sensi del successivo articolo 9, e' stata fissata per il 1° gennaio 2004 ed e' stato successivamente convertito nella legge 26 febbraio 2004 n. 45. Dalla relazione tecnica allegata, a articolo 11-ter legge n. 468/1978, al d.l. n. 354/2003 (v. allegato f), risulta che il maggior onere complessivo a carica dello Stato, pari ad Euro 697.500,00, veniva ripartito in Euro 279.000,00 per compensi e indennita' per un presidente di sezione e due consiglieri di Stato fuori ruolo ed in Euro 418.500,00 per la meta' a carico dello Stato del compenso iniziale di consigliere di Stato spettante ai nove componenti laici. In proposito, il Collegio osserva che la norma di cui sopra non incide sulla rilevabilita' e rilevanza delle questioni di costituzionalita' dianzi adombrate, in quanto ne rappresenta semplicemente i conseguenziali sviluppi sul piano della finanza statale, ma condiziona tuttavia la operativita' delle disposizioni della cui costituzionalita' si dubita. Di qui la necessita' di denunciarne la incostituzionalita' sia pure in via derivata e in parte qua. Va infine ricordato che, ex articolo 27 della legge n. 87/1953 e' possibile una declaratoria di incostituzionalita' derivata. Pertanto dalle censure rubricate sub A, A1, A2, A3, A4 dovrebbe derivatamente discendere la incostituzionalita' anche dell'articolo 6 del d. l. n. 354/2003, convertito nella legge 26 febbraio 2004 n. 45, peraltro limitatamente alla parte in cui assicura la copertura finanziaria dello Stato in misura pari alla meta' dello stipendio iniziale di consigliere di Stato per quattro componenti laici della sezione giurisdizionale e quindi per Euro 186.000,00. 17. - Con riferimento, peraltro, alle questioni in precedenza ritenute rilevanti e non manifestamente infondate, va rammentato in relazione ai possibili effetti delle pronunce di incostituzionalita' che «l'eventuale vuoto di disciplina che verrebbe a prodursi in conseguenza della dichiarazione d'illegittimita' costituzionale ... (vuoto di disciplina che spetterebbe in ogni caso al legislatore colmare)» non puo' incidere sulla ammissibilita' delle questioni di costituzionalita' (Corte cost. n. 266/1988 cit). A tale proposito va conclusivamente sottolineato che dall'eventuale accoglimento di taluna delle questioni di costituzionalita' dianzi esposte e ritenute rilevanti e non manifestamente infondate, non discenderebbe la eliminazione della presenza in Sicilia del giudice amministrativo di appello ma, come gia' sottolineato nelle ordinanze n. 185/2003 e n. 303/2003, solamente la sostituzione della sezione giurisdizionale del C.G.A. a composizione mista con una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato a composizione ordinaria. 18. - Ritenuto pertanto che l'appello non possa essere definito prescindendo dalla risoluzione delle anzidette questioni di costituzionalita'.