ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 5 e
seguenti, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 15
della  legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla  normativa in
materia di immigrazione e di asilo), promossi, nell'ambito di diversi
procedimenti  di  sorveglianza,  dai  Magistrati  di  sorveglianza di
Alessandria  con  ordinanza  del  10 dicembre  2002,  di Cagliari con
ordinanza  del  22 gennaio  2003,  di Reggio Emilia con ordinanza del
6 marzo  2003,  di Bologna con ordinanza del 1° marzo 2003, di Reggio
Emilia con ordinanza del 29 marzo 2003 e di Bologna con ordinanza del
3 aprile  2003, rispettivamente iscritte ai numeri 26, 207, 342, 391,
509  e  510  del  registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  numeri  6,  17,  24,  26 e 32, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 aprile 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il Magistrato di sorveglianza di Alessandria (r.o.
n. 26  del  2003)  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 27
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 16,  comma 5  e seguenti, del decreto legislativo 25 luglio
1998,   n. 286   (Testo   unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  come  modificato  dalla  legge  30 luglio  2002,  n. 189
(Modifica  alla  normativa in materia di immigrazione e di asilo), in
quanto  prevede,  a  titolo  di  «sanzione alternativa», l'espulsione
dello straniero che debba scontare una pena detentiva, anche residua,
non superiore a due anni;
        che  il  rimettente  premette  di  essere chiamato a decidere
sull'espulsione  dal territorio dello Stato di un cittadino straniero
detenuto  in  espiazione  della  pena,  del  quale  risulta accertata
l'identita'  e  la  nazionalita'  e  nei  cui  confronti sussistono i
presupposti   per   l'espulsione  a  norma  dell'art. 16,  comma 5  e
seguenti, del decreto legislativo menzionato;
        che  ad  avviso del rimettente tale disciplina contrasterebbe
con l'art. 27 Cost., anche in rapporto agli artt. 2 e 3 Cost;
        che   infatti,   essendo   la  misura  della  espulsione  dal
territorio dello Stato priva di contenuto e finalita' rieducativi, la
normativa  censurata  potrebbe giustificarsi sul piano costituzionale
soltanto   se   si  dovesse  ritenere  che  nelle  ipotesi  in  esame
l'espulsione  non  puo'  essere  assimilata  ne' a una pena ne' a una
misura  alternativa, e costituisce invece una mera «sospensione della
pena,  una  temporanea  rinuncia  dello  Stato  ad  applicarla», come
affermato  dalla  stessa  Corte  costituzionale,  fra  l'altro, nella
sentenza  n. 62 del 1994, in relazione alla cosi' detta espulsione «a
richiesta»  dello  straniero  prevista  dall'art. 7,  commi 12-bis  e
12-ter,  del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito nella
legge  28 febbraio  1990,  n. 39,  nel  testo introdotto dall'art. 8,
comma 1,  del  decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito nella
legge 12 agosto 1993, n. 296;
        che la disciplina oggi censurata si discosterebbe tuttavia da
quella  scrutinata  dalla  Corte  costituzionale proprio in relazione
agli  aspetti  che  allora  la  Corte ritenne qualificanti al fine di
escluderne  l'illegittimita' costituzionale, tra i quali l'iniziativa
del condannato, quale garanzia del «necessario rispetto di un diritto
inviolabile dell'uomo»;
        che  l'espulsione  in esame e' invece del tutto «automatica»,
dovendo  essere  disposta  sulla  base  della mera ricognizione della
sussistenza  dei  presupposti fissati dalle disposizioni censurate, e
si  fonderebbe quindi sulla presunzione assoluta e invincibile che la
parte  di pena espiata ha gia' raggiunto la finalita' rieducativa, in
contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost;
        che sarebbero inoltre irragionevolmente equiparate situazioni
affatto  diverse,  quali  quella  del  detenuto che abbia tenuto «una
condotta   penitenziaria  pessima»  e  quella  di  chi  abbia  invece
effettivamente completato il suo percorso rieducativo, e discriminati
manifestamente  i  soggetti legittimati a rimanere in Italia rispetto
ai non legittimati, «anticipandosi» nei confronti di costoro l'uscita
dal carcere solo perche' «clandestini»;
        che,  essendo le informazioni la cui acquisizione e' prevista
dalla  norma  censurata destinate soltanto ad accertare l'identita' e
la  nazionalita'  dello  straniero,  risulterebbe  preclusa qualsiasi
concreta   valutazione   del   giudice   circa  l'effettivo  percorso
rieducativo del condannato;
        che infine, non essendo l'espulsione «condizionata [...] alla
volonta' del soggetto», la disciplina censurata violerebbe, alla luce
di  quanto  affermato  dalla  Corte  nella  sentenza  n. 62 del 1994,
l'art. 2 Cost;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione venga dichiarata manifestamente
infondata,   in  quanto  «l'espulsione  in  esame  costituisce  [...]
sanzione  sostitutiva o alternativa alla detenzione, onde ad essa non
si applica il disposto dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione»
e   «rientra   nella  discrezionalita'  del  legislatore  individuare
fattispecie  [...] nelle quali lo Stato rinuncia alla propria pretesa
punitiva ricorrendo a sanzioni di natura extrapenale»;
        che  inoltre,  secondo  l'Avvocatura, la disciplina censurata
sarebbe  «di  sicuro favor per l'interessato», in quanto si limita ad
anticipare  un'espulsione  che dovrebbe comunque essere eseguita dopo
l'espiazione integrale della pena;
        che  non  sussisterebbe, infine, alcuna ragione per acquisire
la  manifestazione  di  volonta'  del  detenuto  essendogli  comunque
riconosciuta  la  facolta'  di  impugnare  con  effetto sospensivo il
provvedimento che dispone l'espulsione;
        che analoga questione di legittimita' costituzionale e' stata
sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 111 della
Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari (r.o. n. 207
del 2003);
        che   il   rimettente   -   premesso   di   non   condividere
l'affermazione  secondo  cui  l'espulsione, concretando «una sorta di
rinuncia  all'esecuzione della pena principale», si tradurrebbe in un
beneficio, anche perche' in tal caso si sarebbe dovuto consentire «al
"beneficiario"   di   rinunciarvi»,  mentre  la  disciplina  positiva
prescinde  dal consenso dell'interessato - ritiene che l'espulsione a
titolo  di  sanzione  alternativa,  se  non  si  vuol  consentire  al
legislatore  «di eludere i limiti posti dalla Costituzione attraverso
una sorta di "truffa delle etichette" realizzata con la previsione di
un  tertium  genus  di  sanzioni penali», abbia sicuramente natura di
pena;
        che,   cosi'  inquadrata,  la  disciplina  censurata  non  si
conformerebbe  al  principio  rieducativo  di  cui all'art. 27, terzo
comma,  Cost.  e  violerebbe  inoltre  gli  artt. 2 e 3 Cost., per la
irragionevolezza  delle  scelte legislative che l'assistono e perche'
lede diritti inviolabili;
        che,   in   particolare,   la  normativa  denunciata  sarebbe
caratterizzata  da  un  automatismo  espulsivo  inconciliabile con il
principio   della  finalita'  rieducativa  della  pena  e  imporrebbe
altresi'  un irragionevole obbligo di disporre l'espulsione di chi ha
commesso   reati  piu'  lievi  a  fronte  del  divieto  di  procedere
all'espulsione  dei  condannati  per  i  reati  piu'  gravi  elencati
nell'art. 407,  comma 2,  lettera a), del codice di procedura penale;
obbligo  che  si  porrebbe inoltre in contrasto con l'esigenza - gia'
rappresentata  nella  sentenza  n. 62  del  1994 - dell'impulso della
parte privata, a garanzia «di un diritto inviolabile»;
        che   il   giudice   a  quo  dubita  infine,  in  riferimento
all'art. 111,  commi  primo  e secondo, Cost., della legittimita' del
procedimento   per   l'applicazione   della   «sanzione  alternativa»
delineato  dalla  norma  censurata in quanto, nonostante abbia natura
giurisdizionale,  non  assicura  il «contraddittorio tra le parti, in
condizioni di parita»;
        che  inoltre  nel  procedimento  -  de  plano e ad iniziativa
officiosa  -  al pubblico ministero e' precluso l'esercizio delle sue
attribuzioni  istituzionali,  volte  in  particolare  al controllo di
legalita'  della  decisione,  in  quanto, ove il condannato non abbia
interesse  ad  impugnare  il provvedimento di espulsione, al pubblico
ministero, nei cui confronti non e' prevista neppure la comunicazione
del  decreto  di espulsione, sarebbe precluso ogni concreto spazio di
intervento;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  le questioni siano dichiarate inammissibili o
infondate;
        che  l'Avvocatura  rileva  che  lo straniero versa gia' nelle
condizioni  che  legittimerebbero  -  ex  art. 13, comma 2, del testo
unico  n. 286  del  1998  -  l'espulsione  in via amministrativa, non
eseguita  soltanto  a causa dello stato di detenzione, e che pertanto
l'istituto  in esame non rappresenta una forma di sostituzione di una
pena  (espulsione)  ad un'altra (detenzione), ma costituisce una mera
sospensione della pena detentiva;
        che  in  quest'ottica,  proprio perche' lo straniero dovrebbe
comunque  essere  espulso a fine pena, il fatto che non si preveda la
richiesta del detenuto non recherebbe alcun vulnus all'art. 2 Cost;
        che  non sussisterebbe alcuna violazione dell'art. 3 Cost. in
quanto  anche  i  soggetti condannati per i piu' gravi delitti devono
comunque  essere  espulsi  dopo  la  completa  espiazione  della pena
detentiva,  avendo il legislatore ritenuto per motivi di opportunita'
che non venga anticipatamente disposta la sospensione dell'esecuzione
della pena;
        che  parimenti  infondate  sarebbero  le censure sollevate in
riferimento  all'art. 111,  commi primo e secondo, Cost., dal momento
che   i   principi  del  giusto  processo  riguarderebbero  «solo  il
procedimento penale di cognizione» e che comunque, nella sostanza, il
principio del contraddittorio sarebbe pienamente rispettato;
        che,  in particolare, la previsione del procedimento de plano
(«senza  sentire  il  pubblico ministero ne' il detenuto») troverebbe
ragione nel fatto che l'espulsione si fonda di regola su «presupposti
di pronta e facile verificazione», ma nulla impedirebbe al magistrato
di sorveglianza di sentire il pubblico ministero o l'interessato;
        che  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Reggio  Emilia  ha
sollevato (r.o. n. 342 del 2003), in riferimento agli artt. 2, 3, 25,
secondo  comma  (indicato  solo  in  motivazione), e 27, terzo comma,
Cost.,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 16 (anche
in  relazione  agli artt. 13 e 19) del decreto legislativo n. 286 del
1998, come modificato dall'art. 15 della legge n. 189 del 2002, nella
parte  in  cui  fa  obbligo al magistrato di sorveglianza di disporre
l'espulsione  dello straniero che si trova in taluna delle situazioni
indicate   nell'articolo 13,   comma 2,  e  deve  scontare  una  pena
detentiva, anche residua, non superiore a due anni;
        che il rimettente premette di procedere ai sensi dell'art. 16
citato  nei  confronti  di  un  detenuto  in  regime di semiliberta',
titolare  di  un permesso di soggiorno scaduto, in relazione al quale
risulterebbero integrati tutti i presupposti previsti dalla legge per
l'espulsione dal territorio dello Stato;
        che,  sulla  base  di considerazioni analoghe a quelle svolte
dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari (r.o. n. 207 del 2003), il
giudice   a  quo  ritiene  che  l'espulsione  a  titolo  di  sanzione
alternativa  abbia un evidente contenuto afflittivo, in quanto: a) il
procedimento e' avviato d'ufficio, anche in assenza di una iniziativa
di  parte  (a  differenza  dell'espulsione a richiesta, oggetto della
sentenza  n. 62  del  1994); b) non occorre l'adesione del condannato
ne'  e'  prevista  una  facolta'  di "rinuncia"; c) l'espulsione puo'
determinare l'interruzione del trattamento rieducativo in atto ovvero
la  recisione  dei  legami  familiari;  d)  la  misura  e'  del tutto
automatica,  senza  che  il  giudice possa tenere conto dei risultati
dell'osservazione  in carcere, del trattamento svolto e dell'adesione
mostrata dal condannato;
        che  sotto  questi  profili la disciplina in esame violerebbe
l'art. 27,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto  preclude o addirittura
interrompe  il  processo rieducativo, in assenza di una richiesta del
detenuto,  di  un  comportamento colpevole dello stesso e soprattutto
senza   che   al   giudice   sia   riconosciuto   alcun   margine  di
discrezionalita' nell'applicare la misura;
        che  la  lesione  del  principio  della finalita' rieducativa
della  pena  sarebbe  ancora  piu' evidente ogni qual volta la misura
dell'espulsione  debba  essere disposta, come nel caso di specie, nei
confronti di un soggetto che, essendo stato ammesso alla semiliberta'
e  svolgendo  attivita'  lavorativa,  ha  concretamente dimostrato di
«avere avviato un processo rieducativo e di risocializzazione»;
        che  del  resto la stessa Corte costituzionale nella sentenza
n. 62  del  1994  aveva  valorizzato,  in riferimento alla previgente
disciplina  della  espulsione  a richiesta, il fatto che la pronuncia
del giudice non fosse obbligatoria e automatica, in quanto il giudice
doveva  acquisire  informazioni  dagli  organi di polizia, sentire il
pubblico   ministero   e  le  altre  parti,  e  che  sarebbe  percio'
irragionevole  negare  -  come  invece  fa  la disciplina censurata -
analoghi  poteri  al  magistrato  di  sorveglianza,  organo  deputato
all'applicazione  delle misure alternative alla detenzione attraverso
un  procedimento  giurisdizionalizzato che si basa sulla osservazione
del condannato e sull'analisi del suo percorso rieducativo;
        che  la  disciplina  altererebbe inoltre l'intero sistema del
trattamento penitenziario e delle misure alternative, consentendo che
siano  «a  un  tempo»  emessi provvedimenti favorevoli al condannato,
sulla   base  della  positiva  progressione  nel  trattamento,  e  il
provvedimento di espulsione obbligatoria, a prescindere dai progressi
compiuti;
        che,  infine,  la  disciplina  censurata violerebbe l'art. 25
Cost.,  in  quanto la novella del 2002, prevedendo l'espulsione anche
dei  soggetti  gia'  condannati e in stato di detenzione alla data di
entrata  in vigore della legge, introdurrebbe con effetto retroattivo
un trattamento sanzionatorio sfavorevole;
        che il Magistrato di sorveglianza di Bologna (r.o. n. 391 del
2003)  ha  sollevato,  in  riferimento  ai  soli  artt. 3 e 27 Cost.,
questione  di  legittimita'  costituzionale  in  parte  analoga  alla
precedente;
        che  il rimettente, premesso che procede nei confronti di uno
straniero  che  si  trova  in  regime  di  semiliberta',  rileva che,
nonostante  l'espulsione  costituisca  una  «misura alternativa» alla
detenzione  in  carcere, deve essere applicata d'ufficio senza alcuna
valutazione  discrezionale  che  tenga  conto della pericolosita' del
soggetto  o  della sussistenza di un percorso rieducativo in atto, in
violazione  percio'  degli  artt. 3  e  27  Cost.,  per disparita' di
trattamento,  irragionevolezza  intrinseca e violazione del principio
della finalita' rieducativa della pena;
        che il giudice a quo invoca percio' una pronuncia della Corte
che   consenta   al   magistrato   di   sorveglianza   «di   valutare
discrezionalmente  la  necessita' di applicare, nel caso concreto, la
sanzione  alternativa  in  esame  alla  stregua  delle altre misure e
comparativamente con queste, [...] nell'ambito di un procedimento che
effettivamente garantisca i diritti della difesa, nel contraddittorio
delle parti»;
        che   questione   in  parte  analoga,  ma  piu'  ampia  nella
prospettazione delle censure, e' stata sollevata, in riferimento agli
artt. 3 e 27, terzo comma, 13, secondo comma, 97, 101, secondo comma,
102, primo comma, e 111, secondo comma, Cost., da altro Magistrato di
sorveglianza di Reggio Emilia (r.o. n. 509 del 2003);
        che  il  rimettente  rileva che il detenuto nei cui confronti
dovrebbe  essere  disposta  l'espulsione  ha  sempre  mantenuto buona
condotta,  ha  partecipato  all'opera rieducativa, frequentando corsi
scolastici e di formazione professionale, e ha fruito con regolarita'
di  permessi  premio  presso  una cooperativa sociale, sino ad essere
ammesso  al regime di semiliberta' con provvedimento nel quale si da'
particolare   rilievo   ad   elementi   indicativi  di  un  effettivo
radicamento del soggetto nel territorio;
        che  tale  situazione  sarebbe  compromessa,  con inevitabile
interruzione  del  trattamento rieducativo e pericolo di reiterazione
di   condotte   antigiuridiche,   per  effetto  dell'automatismo  del
provvedimento di espulsione, in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo
comma, Cost;
        che  il  rimettente,  al  pari degli altri, ritiene che nella
disciplina  attuale  il legislatore abbia mantenuto solo il primo dei
tre elementi (limite di pena, discrezionalita' del giudice e consenso
del  condannato)  in  base  ai  quali  la  Corte costituzionale aveva
escluso   l'illegittimita'   costituzionale   della   espulsione   «a
richiesta»;
        che,  poiche'  l'espulsione  in  esame  configura  una misura
alternativa  alla  detenzione,  essa  dovrebbe essere disciplinata in
conformita'  ai  principi  della  finalita'  rieducativa della pena e
della differenziazione del trattamento;
        che la norma censurata violerebbe percio' non solo l'art. 27,
terzo  comma,  Cost., ma anche gli artt. 3 e 13, secondo comma, Cost.
in  quanto,  «precludendo  una  valutazione  nel  merito da parte del
giudice,  prescrive che, in materia di liberta' personale, condizioni
personali diverse trovino identica risposta»;
        che   il   rimettente   ritiene   che  dalla  obbligatorieta'
dell'espulsione  discenda  altresi'  la  violazione  degli artt. 101,
secondo  comma, e 102 Cost.: la limitazione del sindacato del giudice
alla  sola  valutazione  dei presupposti formali, infatti, da un lato
precluderebbe   l'esercizio   delle  funzioni  giurisdizionali  della
magistratura  di  sorveglianza,  «svilendole»  «a  mero  esercizio di
potesta'   amministrative»;   dall'altro,  imponendo  l'emissione  di
provvedimenti  incidenti  sulla liberta' personale in base alla «mera
verifica  della  sussistenza  di  un  requisito  amministrativo»  (in
relazione  al  quale al giudice non e' neppure riconosciuto lo stesso
margine di discrezionalita' che spetta all'autorita' amministrativa),
menomerebbe  il  principio della sottoposizione del giudice solo alla
legge;
        che,  quanto  alla  censura  riferita  all'art. 111 Cost., il
rimettente ritiene che la disciplina del procedimento di espulsione e
la  previsione  della  sola  opposizione  del  condannato  violino  i
principi  del  contraddittorio  e  della parita' fra le parti, il cui
rispetto  avrebbe  quantomeno  imposto  di  prevedere  la facolta' di
opposizione anche del pubblico ministero;
        che,   infine,   la  omessa  previsione  della  notifica  del
provvedimento  di espulsione al difensore violerebbe l'art. 24 Cost.,
impedendo al condannato di fruire di assistenza tecnica ai fini della
presentazione dell'opposizione;
        che   ulteriore  questione  di  legittimita'  costituzionale,
analoga  alle  precedenti,  e'  stata  sollevata, in riferimento agli
artt. 3  e  27, terzo comma, Cost., dal Magistrato di sorveglianza di
Bologna (r.o. n. 510 del 2003);
        che  anche il giudice di Bologna muove dal riconoscimento del
carattere  afflittivo  della  espulsione  come  sanzione alternativa,
ritenendo  -  sulla  base  di  considerazioni affatto simili a quelle
svolte  nelle  precedenti  ordinanze - che l'automatismo della misura
sia  irragionevole,  violi  il  principio della finalita' rieducativa
della  pena  e  determini  disparita'  di  trattamento  fra  detenuti
extracomunitari.
    Considerato  che  i  Magistrati  di  sorveglianza di Alessandria,
Cagliari,  Reggio  Emilia  e  Bologna hanno sollevato, in riferimento
agli  artt. 2,  3,  13,  24,  25, secondo comma, 27, 97, 101, secondo
comma,  102,  primo  comma,  e  111,  commi  primo  e  secondo, della
Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale  della
disciplina  dell'espulsione,  a titolo di «sanzione alternativa» alla
detenzione,   dello   straniero  che  debba  scontare  una  pena  non
superiore,  anche  quale  pena residua, a due anni di reclusione o di
arresto,  prevista  dall'art. 16,  comma 5  e  seguenti,  del decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello  straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189
(Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo);
        che, in particolare, i rimettenti ritengono violati:
          l'art. 2   della   Costituzione,   perche'   la  disciplina
censurata  non  riserva  al condannato, quale garanzia del necessario
rispetto   di  un  diritto  inviolabile  dell'uomo,  l'iniziativa  di
chiedere l'espulsione;
          l'art. 3   Cost.,   perche'  l'espulsione  in  esame  opera
automaticamente  ed  indiscriminatamente  in  relazione  a situazioni
affatto  diverse,  quali  quella  del  soggetto  che abbia tenuto una
condotta   penitenziaria   pessima  e  quella  di  chi  abbia  invece
completato il suo percorso rieducativo, ledendo cosi' il principio di
eguaglianza;
          l'art. 3  Cost.,  sotto il profilo della ragionevolezza, in
quanto l'automatismo della «sanzione alternativa» non si concilia con
il  sistema penitenziario, all'interno del quale l'espulsione risulta
essere  l'unica misura che puo' provocare l'interruzione del percorso
rieducativo del condannato, prescindendo dai dati dell'osservazione e
del trattamento;
          l'art. 3  Cost.,  in  quanto l'espulsione dovrebbe fondarsi
sulla  presunzione  che la parte di pena espiata abbia gia' raggiunto
la   finalita'   rieducativa;   presunzione   che   irragionevolmente
concernerebbe soltanto stranieri extracomunitari e tra costoro quelli
che hanno commesso reati piu' lievi;
          gli  artt. 3  e  27 Cost., in quanto l'espulsione in esame,
nonostante  abbia  natura  di sanzione penale, e' in realta' priva di
contenuto   e   finalita'   rieducativi   e   deve   essere  disposta
automaticamente  e  obbligatoriamente,  prescindendo da ogni concreta
valutazione dell'effettivo percorso rieducativo del condannato, anche
quando  l'imputato  abbia  gia'  goduto di benefici penitenziari o si
trovi in regime di semiliberta';
          gli  artt. 3  e  13  Cost.,  perche'  impone  in materia di
liberta'  personale  un  identico  trattamento  di situazioni affatto
diverse   pur   all'interno  della  medesima  categoria  di  soggetti
condannati  per  reati non ostativi e con un residuo pena inferiore a
due anni;
          l'art. 25,   secondo   comma,  Cost.,  per  violazione  del
principio  di irretroattivita' della legge penale, in quanto e' stato
introdotto  con  effetto  retroattivo  un  trattamento  sanzionatorio
sfavorevole per il condannato gia' in stato di detenzione;
          gli artt. 101, secondo comma, e 102, primo comma, Cost., in
quanto    l'obbligatorieta'   dell'espulsione   preclude   di   fatto
l'esercizio delle funzioni giurisdizionali conferite al magistrato di
sorveglianza;
          l'art. 111,  commi  primo  e  secondo,  Cost.,  perche' nel
procedimento  per l'applicazione dell'espulsione a titolo di sanzione
alternativa  non  e'  garantita  la  partecipazione  delle  parti  in
condizioni   di   parita'   nella   fase  davanti  al  magistrato  di
sorveglianza  e perche' al pubblico ministero e' precluso l'esercizio
delle  sue  attribuzioni  istituzionali,  non  essendo in particolare
prevista la facolta' di proporre opposizione avverso il provvedimento
del magistrato di sorveglianza;
          infine,  l'art. 24 Cost., perche' l'omessa previsione della
notifica  del provvedimento di espulsione al difensore del condannato
ne   menoma   l'esercizio   del  diritto  di  difesa  ai  fini  della
presentazione dell'opposizione al tribunale di sorveglianza;
        che,  avendo  tutte  le  ordinanze  di rimessione per oggetto
l'istituto  dell'espulsione  a  titolo  di sanzione alternativa, deve
essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che   il   nucleo  centrale  delle  censure  mosse  dai  vari
rimettenti  si  sostanzia  nel  rilievo che, pur essendo l'espulsione
«sicuramente  ascrivibile  al  novero  delle sanzioni penali», la sua
disciplina   (iniziativa   officiosa;   applicazione   automatica   e
obbligatoria  in  presenza  dei  presupposti  formali  previsti dalla
legge,  a  prescindere da ogni valutazione sul percorso rieducativo e
sulle  possibilita'  di  reinserimento  del  condannato)  si  pone in
contrasto  con la funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27,
terzo  comma,  Cost.,  e  con  l'art. 3  Cost., sotto i profili della
ragionevolezza   e   del  principio  di  eguaglianza,  posto  che  si
tratterebbe  dell'unica misura alternativa alla detenzione o comunque
dell'unica   sanzione  afflittiva  applicata  dalla  magistratura  di
sorveglianza,   senza  tenere  conto  degli  effetti  ai  fini  della
rieducazione  e  della  risocializzazione  del condannato e delle sue
condizioni personali;
        che  con  l'ordinanza  n. 369  del 1999 questa Corte ha avuto
occasione  di definire la natura dell'espulsione a titolo di sanzione
sostitutiva   disciplinata   dal  comma 1  dell'art. 16  del  decreto
legislativo  n. 286  del 1998 (gia' art. 14 della legge 6 marzo 1998,
n. 40,  rimasto  immutato dopo le modifiche recate dalla legge n. 189
del 2002), che presenta rilevanti affinita' con l'espulsione a titolo
di   sanzione   alternativa   oggetto   delle  attuali  questioni  di
legittimita'   costituzionale,   essendo   anch'essa,   tra  l'altro,
attribuita alla competenza di un organo giurisdizionale, nella specie
il giudice del processo di cognizione;
        che in tale decisione la Corte ha sostenuto che l'espulsione,
pur  se  disposta  dal  giudice,  si  configura  come  una  misura di
carattere amministrativo, in quanto, da un lato, la sua esecuzione e'
affidata  al  questore  anziche' al pubblico ministero, dall'altro il
testo    dell'art. 16,   comma 1,   «richiama   le   condizioni   che
costituiscono  il presupposto dell'espulsione amministrativa prevista
dall'art. 11  [ora  art. 13] del decreto legislativo n. 286 del 1998,
cosi'  rendendo  evidente  la  sostanziale sovrapposizione fra le due
misure  e  la  conseguente  necessita'  di  una  loro  armonizzazione
sistematica»;
        che,  affermata  la natura amministrativa dell'espulsione, la
Corte   ha  ritenuto  non  pertinenti  i  profili  di  illegittimita'
costituzionale   allora   prospettati  in  base  al  presupposto  che
l'espulsione integrasse gli estremi di una sanzione penale;
        che,  sulla base della interpretazione accolta nell'ordinanza
n. 369  del  1999, da cui questa Corte ritiene di non discostarsi, va
riconosciuta  natura  amministrativa  anche  alla espulsione prevista
dall'art. 16, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998, posto
che anche tale misura e' subordinata alla condizione che lo straniero
si  trovi in taluna delle situazioni che costituiscono il presupposto
dell'espulsione  amministrativa disciplinata dall'art. 13, alla quale
si   dovrebbe   comunque   e   certamente   dare   corso  al  termine
dell'esecuzione  della  pena  detentiva,  cosicche',  nella sostanza,
viene  solo  ad  essere  anticipato  un  provvedimento  di  cui  gia'
sussistono le condizioni;
        che  la  natura amministrativa dell'espulsione in esame rende
privi  di fondamento tutti i profili di illegittimita' costituzionale
prospettati  dai rimettenti sul presupposto che, essendo l'espulsione
una  misura  alternativa  alla  detenzione  o  comunque  una sanzione
penale,  ad  essa debbano applicarsi, sia sul terreno sostanziale che
su quello processuale, le garanzie stabilite per la pena;
        che,   peraltro,   la   natura  amministrativa  comporta  che
l'istituto  sia  comunque  assistito  dalle garanzie che accompagnano
l'espulsione disciplinata dall'art. 13 del decreto legislativo n. 286
del 1998;
        che  alcune  di tali garanzie sono espressamente previste nei
commi 5  e  seguenti  dell'art. 16,  mentre  altre  si  atteggiano in
maniera  diversa,  stante  il  differente contesto processuale in cui
intervengono i due provvedimenti di espulsione, ovvero possono essere
desunte  in  via  interpretativa  attraverso  il  confronto  tra  gli
artt. 13 e 16 del menzionato decreto legislativo;
        che  sono  comuni  alle  due  disposizioni,  tra  l'altro: il
divieto,   previsto   rispettivamente   nell'art. 13,   comma 12,   e
nell'art. 16,  comma 9,  di  procedere all'espulsione dello straniero
che si trovi nelle condizioni elencate nell'art. 19; l'impugnabilita'
del provvedimento di espulsione, rispettivamente prevista nel comma 8
dell'art. 13 e, con effetto sospensivo, nei commi 6 e 7 dell'art. 16;
la  garanzia  del  decreto  motivato,  rispettivamente richiamata nel
comma 3 dell'art. 13 e nel comma 6 dell'art. 16;
        che,  per quanto concerne l'espulsione prevista dall'art. 16,
comma 5,  la  garanzia dell'opposizione al tribunale di sorveglianza,
con  effetto  sospensivo, svolge anche la funzione di assicurare, sia
pure   in  un  momento  successivo  alla  pronuncia  del  decreto  di
espulsione, il contraddittorio tra le parti e l'esercizio del diritto
di  difesa,  alla  stregua  di  quanto dispone per il procedimento di
esecuzione  l'art. 666  cod.  proc.  pen., a cui fa espresso richiamo
l'art. 678  dello  stesso  codice nel disciplinare il procedimento di
appello davanti al tribunale di sorveglianza;
        che  l'obbligo  di  comunicare  allo  straniero il decreto di
espulsione  tradotto in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non
sia   possibile,   in   francese,   inglese  o  spagnolo,  unitamente
all'indicazione  delle  modalita'  di  impugnazione,  puo'  desumersi
invece  in  via  sistematica dalla prescrizione contenuta nel comma 7
dell'art. 13,  anche  alla  stregua  del rinvio di carattere generale
operato  dall'art. 16,  comma 5,  allo  straniero  che si trova nelle
situazioni di cui al comma 2 del medesimo art. 13;
        che  del  pari nulla impedisce al magistrato di sorveglianza,
prima di emettere il decreto di espulsione, di acquisire dagli organi
di  polizia  non solo, a norma dell'art. 16, comma 6, le informazioni
sull'identita'  e  sulla  nazionalita'  dello straniero, ma qualsiasi
tipo  di  informazione  necessaria  o  utile  al fine di accertare la
sussistenza  dei  presupposti  e  delle  condizioni  che  legittimano
l'espulsione,  posto che nel disporre l'analoga misura amministrativa
di cui all'art. 13, comma 3, il questore puo' evidentemente avvalersi
di  informazioni a tutto campo sullo straniero nei cui confronti deve
essere disposta l'espulsione;
        che,  tenuto  conto  di  tali  considerazioni  sistematiche e
interpretative,  tutte  le  questioni  di legittimita' costituzionale
sollevate  dai  rimettenti  devono  essere  dichiarate manifestamente
infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.