ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli  articoli 282 e 474 del codice di procedura civile promosso con
ordinanza  del  14 luglio  2003  dal  giudice  unico del Tribunale di
Torino  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Lacu Angela e Diana
Marisa,  iscritta  al n. 936 del registro ordinanze 2003 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 46,  prima  serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 maggio 2004 il giudice
relatore Romano Vaccarella.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Il giudice unico del Tribunale di Torino, con ordinanza del
14 luglio  2003, ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli articoli
3,  24,  111,  secondo  comma,  della Costituzione e (in motivazione)
anche  all'art. 6  della  Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali del 4 novembre 1950, resa
esecutiva   con   la   legge  4 agosto  1955,  n. 848,  questione  di
legittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli 282
e 474 del codice di procedura civile.
    1.1.  -  In  punto  di  fatto,  il  giudice  a quo riferisce che,
notificato  dalla parte creditrice precetto per ottenere il pagamento
delle  spese di lite liquidate dalla sentenza con la quale il giudice
di  primo  grado aveva dichiarato la propria incompetenza, l'intimato
aveva  proposto  opposizione all'esecuzione ex art. 615, primo comma,
cod. proc. civ.
    Riferisce,  inoltre,  il giudice rimettente che l'opposizione era
fondata   sul  consolidato  principio  giurisprudenziale  --  di  cui
costituiscono  espressione  Cass.  12 giugno  2000,  n. 9236  e Cass.
24 maggio  1993,  n. 5837  --  secondo cui la condanna alle spese del
giudizio,   contenuta  nella  sentenza  di  primo  grado,  e'  titolo
esecutivo  ai  sensi  dell'art. 474  cod.  proc.  civ.  solo  ove sia
accessoria  ad  una pronuncia di condanna provvisoriamente esecutiva,
secondo   quanto   disposto   dall'art. 282  cod.  proc.  civ.  (come
modificato dall'art. 33 della legge 26 novembre 1990, n. 353, recante
«Provvedimenti  urgenti  per  il  processo  civile»)  e non anche ove
acceda, come nel caso di specie, ad una pronuncia di rigetto.
    1.2.  -  Con  riguardo  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione,  il  giudice  a  quo  osserva  che tale orientamento della
giurisprudenza  di legittimita', costituente ormai «diritto vivente»,
«nella  parte in cui non prevede che anche la sentenza del giudice di
primo  grado, di condanna al pagamento delle spese di lite, quando e'
conseguente a declaratoria di rigetto della domanda o di incompetenza
del  giudice  adito, e' titolo esecutivo», pone il combinato disposto
degli  articoli 282 e 474 cod. proc. civ. in conflitto con il dettato
costituzionale e, in particolare:
        con  il  principio  della  ragionevole durata del processo --
sancito dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo   e   delle   liberta'   fondamentali,   ed  oggi  recepito
espressamente dall'articolo 111, secondo comma, della Costituzione --
in  quanto  la mancata previsione della provvisoria esecutivita' solo
per alcune sentenze di primo grado alimenterebbe gli appelli dilatori
e le opposizioni all'esecuzione forzata;
        con il principio di uguaglianza di fronte alla legge (sancito
dell'articolo  3  della  Costituzione) e della parita' delle armi nel
processo  (sancito dall'art. 111, secondo comma, della Costituzione),
in  quanto  --  analogamente a quanto disponevano, in favore del solo
lavoratore,  nel  processo  del  lavoro l'art. 431, primo comma, cod.
proc.   civ.   nella  formulazione  precedente  la  modifica  operata
dall'art. 69  della  legge  26 novembre 1990, n. 353 e, in favore del
danneggiato  da  sinistro  stradale,  l'art. 5-bis  del decreto-legge
23 dicembre  1976,  n. 857,  convertito con modificazioni dalla legge
26 febbraio 1977, n. 39 -- realizza una disparita' di trattamento tra
soggetti  che  si  trovano  nella stessa condizione di aver vinto una
causa, col concedere solo ad alcuni di essi l'immediata azionabilita'
del diritto alle spese consacrato nella pronuncia di primo grado;
        con  il  principio  dell'azionabilita'  dei  propri diritti e
dell'effettivita'  delle  garanzie  processuali (sancito dall'art. 24
della Costituzione), in quanto la sentenza di primo grado che non sia
anche  provvisoriamente esecutiva costituisce un diritto limitato con
riguardo  al termine iniziale di azionabilita', esponendo altresi' la
parte   vittoriosa,  che  intenda  procedere  in  via  esecutiva,  al
pagamento  delle  spese  del giudizio di opposizione ex art. 615 cod.
proc. civ.
    1.3. - Osserva, quindi, il giudice rimettente che la questione e'
sicuramente  rilevante nel giudizio a quo atteso che, nel caso in cui
venisse   dichiarata   l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme
denunciate, la sentenza di primo grado, provvisoriamente azionata per
le  spese,  andrebbe  considerata  (ab  initio) titolo esecutivo, con
conseguente rigetto della opposizione all'esecuzione.
    2.  -  E'  intervenuto,  a  mezzo  dell'Avvocatura generale dello
Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso
per  la  inammissibilita'  o  per  la  manifesta  infondatezza  della
questione.
    Rileva  in  primo  luogo la difesa erariale che dall'ordinanza di
rimessione  non  risulta se la sentenza del giudice di pace, azionata
in  via  esecutiva,  sia stata o meno gravata degli ordinari mezzi di
impugnazione  (appello o ricorso per cassazione, a seconda del valore
della causa, non essendo esperibile, ai sensi dell'art. 46 cod. proc.
civ.,  il  regolamento di competenza), in tale ultimo caso risultando
irrilevante la questione proposta.
    Nel   merito,   ad   opinione   dell'Avvocatura,   la   manifesta
infondatezza   della  questione  si  coglierebbe  con  riguardo  alle
circostanze: a) che la ragionevole durata del processo non ha nulla a
che  vedere  con  l'esecutivita'  della sentenza e con il sistema dei
gravami ma, piuttosto, col tempo necessario ad emettere la pronuncia;
b) che il principio di eguaglianza non puo' essere invocato allorche'
vi  sia  disomogeneita'  tra  le fattispecie raffrontate, come e' nel
caso  di specie per le sentenze di condanna da una parte e per quelle
di accertamento e costitutive dall'altra; c) che «l'art. 24 Cost. non
e'  certo  incompatibile  con il sistema dei gravami, per il quale la
`ragione'  e  il  `torto'  costituiscono  la  verita' processuale del
giudicato, nella garanzia del "controllo" del giudice superiore».

                       Considerato in diritto

    Il  Tribunale di Torino dubita della legittimita' costituzionale,
in  riferimento  agli  artt. 3,  24  e  111,  comma  secondo, Cost. e
all'art. 6   della   Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, del combinato disposto degli
artt. 282  e  474  del codice di procedura civile, nella parte in cui
non  prevede  che sia titolo provvisoriamente esecutivo anche il capo
della  sentenza  di primo grado, di condanna al pagamento delle spese
di lite, quando e' accessorio a declaratoria di rigetto della domanda
o di incompetenza.
    L'eccezione di inammissibilita' proposta dall'Avvocatura generale
dello Stato per carenza della motivazione sulla rilevanza deve essere
respinta:   dall'ordinanza  emerge,  infatti,  che  la  notifica  del
precetto  (20 settembre  2002)  e'  avvenuta  quando,  anche  per  la
sospensione  dei  termini  nel periodo feriale, certamente era ancora
pendente   il  termine  per  impugnare  la  sentenza  (pubblicata  il
30 luglio  2002),  e  pertanto  sarebbe  stata del tutto superflua la
precisazione,  da parte del rimettente, della effettiva proposizione,
o non, dell'impugnazione.
    Nel merito, la questione e' infondata.
    Va premesso che i parametri della ragionevole durata del processo
-- di cui agli artt. 111, secondo comma, Cost., e 6 della Convenzione
europea  dei diritti dell'uomo -- e del principio della azionabilita'
dei  diritti  --  di  cui all'art. 24 Cost. - sono manifestamente non
pertinenti  dal  momento  che il preteso incentivo a proporre appelli
dilatori  e  la  possibilita' di subire opposizioni all'esecuzione in
caso  di  esercizio  dell'azione  esecutiva  costituiscono,  a  tutto
concedere  alla loro plausibilita', inconvenienti di mero fatto e non
certamente    indici    della   violazione   delle   invocate   norme
costituzionali.
    La dedotta violazione del principio di eguaglianza di fronte alla
legge  (art. 3  Cost.)  e, conseguentemente, della parita' delle armi
(art. 111,  secondo  comma,  Cost.) tra il vincitore della causa che,
vedendo  accolta  la  sua  domanda,  ottiene un capo di condanna alle
spese  provvisoriamente  esecutivo  ed  il vincitore della causa che,
vedendo  rigettata la domanda proposta nei suoi confronti, ottiene un
capo  di  condanna  alle  spese  privo  della  provvisoria  efficacia
esecutiva, non sussiste.
    Il  rimettente muove dal presupposto che, secondo il c.d. diritto
vivente,  il capo di condanna alle spese sia «accessorio» rispetto al
capo  della  sentenza  che decide il merito della causa e che da tale
«accessorieta»  discenda  inesorabilmente che, ove il capo principale
non  rechi condanna (esecutiva ex lege: art. 282 cod. proc. civ.), il
capo relativo alle spese verrebbe attratto nel medesimo regime quanto
alla  non  esecutivita' immediata: e cio' nonostante il capo relativo
alle  spese  sia di condanna e, pertanto, anch'esso assoggettabile al
principio - sancito dall'art. 282 cod. proc. civ. - dell'esecutivita'
ex lege di tutte le sentenze di primo grado di condanna.
    In  proposito  e'  agevole  rilevare  come  l'impostazione  della
questione  sia  erronea  sotto  un  duplice  profilo: in primo luogo,
perche'  essa  trascura di considerare che l'art. 282 cod. proc. civ.
mira  -  per  finalita'  certamente  non irragionevoli perseguite dal
legislatore    -    ad    anticipare,   rispetto   a   quello   della
irretrattabilita',  il  momento  della  efficacia  della  sentenza di
merito  di  primo  grado  (cosi'  come,  ante  Novella  del  1990, il
legislatore aveva fatto con riguardo alla sentenza di secondo grado);
in  secondo  luogo, perche' adotta un concetto del tutto improprio di
accessorieta',  laddove  l'art. 31  cod.  proc. civ. designa con tale
locuzione   domande   ulteriori  rispetto  a  quella  principale,  in
relazione  alla  quale  si  radica  la  competenza  territoriale  del
giudice.
    Ove avesse tenuto conto di cio', il rimettente avrebbe constatato
che  l'art. 282  cod.  proc.  civ. non impedisce certamente che siano
muniti di efficacia esecutiva immediata capi condannatori «accessori»
(id  est  di accoglimento di domande accessorie ex art. 31 cod. proc.
civ.)  rispetto  a  capo  non  condannatorio  relativo  alla  domanda
principale,  e  cioe' che, ove di vera accessorieta' si tratti, opera
pienamente  il  principio  dell'anticipazione  della  efficacia della
sentenza   di   merito   (di  condanna)  rispetto  al  momento  della
definitivita'.
    Cosi'  come  avrebbe  constatato  che il capo della condanna alle
spese  non  puo'  certamente  definirsi «accessorio» nel senso di cui
all'art. 31  cod.  proc.  civ., in quanto non solo la pronuncia sulle
spese  non  presuppone  affatto, affinche' il giudice possa (ed anzi,
debba)  adottarla,  una domanda di parte (la quale, pure se proposta,
e'  irrilevante ai fini del valore della causa: arg. ex artt. 10 e 31
cod.  proc.  civ.),  ma  essa  ha  il suo «titolo» esclusivamente nel
contenuto   della   decisione   sul  merito  della  controversia,  in
applicazione  del  principio  della  soccombenza  (art. 91 cod. proc.
civ.).
    Di qui la conseguenza che il capo sulle spese, quando costituisce
corollario  (piu'  che  «accessorio»)  di una pronuncia di merito non
suscettibile  per  il  suo  contenuto  di  vedere  anticipata  la sua
efficacia   rispetto   alla   definitivita',  non  chiama  in  gioco,
nonostante  sia  un  capo di condanna, l'art. 282 cod. proc. civ., il
quale,  si ripete, riguarda di per se' esclusivamente la decisione di
merito;  sicche'  la  questione  e'  sollevata  in  base  ad  erroneo
presupposto interpretativo.