LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocuoria sul ricorso proposto da: Nelli Ermanno, Mazzafoglia Annunziata, elettivamente domiciliati in Roma via Ovidio 32, presso l'avvocato Leonardo Malorni, che li rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso, ricorrenti; contro Rossini Angelo, Dionisi Giovanna, elettivamente domiciliati in Roma via Dardanelli 46, presso l'avvocato Enrico Picchioni, che li rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso, controricorrenti avverso la sentenza n. 869/2000 del Tribunale di Viterbo, depositata il 14 settembre 2000. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 maggio 2004 dal consigliere dott. Gianfranco Gilardi; Udito per il resistente, l'avvocato Picchioni che ha chiesto il rigetto del ricorso; Udito il p.m. in persona del sostituto Procuratore generale dott. Pasquale Paolo Maria Ciccolo che ha concluso per l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto Con atto di citazione notificato il 5 febbraio 1997 Angelo Rossini e Giovanna Dionisi convenivano in giudizio innanzi al Pretore di Viterbo - Sezione distaccata di Civita Castellana Ermanno Nelli, Annunziata Mazzafoglia e Giovanni Crescenzi per sentir condannare i primi due alla restituzione di L. 22.000.000 oltre interessi e, quanto al terzo, per sentir accertare la legittimita' dell'attivita' da lui compiuta quale liquidatore della S.n.c. Di Manero, di cui gli attori erano soci al 50%. A fondamento delle domande gli attori deducevano che la societa' era stata messa in liquidazione; che il Crescenzi, nominato liquidatore di essa e rilevato che la situazione patrimoniale presentava un disavanzo, aveva chiesto ai soci, pro quota, il versamento nelle case sociali di L. 44.000.000; e che alla richiesta avevano ottemperato soltanto essi attori, provvedendo a pagare anche la quota degli altri soci al fine di scongiurare il pericolo di dichiarazione di fallimento. Si costituivano in giudizio i convenuti Ermanno Nelli ed Annunziata Mazzafoglia chiedendo il rigetto della domanda avversaria e formulando domanda riconvenzionale di condanna del Crescenzi a rendere il conto della gestione ed al risarcimento del danno. Con sentenza del 18 gennaio 1999 il Pretore di Viterbo respingeva la domanda degli attori. Con sentenza del 7/14 settembre 2000 il Tribunale di Viterbo, riformando la sentenza del Pretore, condannava Ermanno Nelli ed Annunziata Mazzafoglia al pagamento solidale della somma di L. 22.000.000, oltre interessi di legge. Contro la sentenza del Tribunale di Viterbo hanno proposto ricorso Ermanno Nelli ed Annunziata Mazzafoglia, sulla base di cinque motivi. Hanno resistito, notificando controricorso, Angelo Rossini e Giovanna Dionisi. Con ordinanza del 16 dicembre 2003 questa corte, rilevato che la comunicazione della data fissata per l'udienza di discussione era stata effettuata presso il domicilio del difensore, nel frattempo deceduto; rilevato ulteriormente che, in base al consolidato orientamento interpretativo della stessa corte, nel giudizio di cassazione non trova applicazione l'istituto dell'interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con la conseguenza che, una volta instauratosi il giudizio a seguito della notifica del ricorso, la morte della parte o del difensore non produrrebbe interruzione; e considerato che tale orientamento, con riferimento alla morte del difensore ed anche alla luce del nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione, potrebbe non essere conforme alle esigenze del giusto processo, disponeva la trasmissione degli atti al primo presidente ai sensi degli artt. 374 e 376 c.p.c. per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite. Il primo presidente, ritenendo di non dover investire le sezioni unite, ha restituito gli atti alla sezione. Considerato in diritto In base al consolidato orientamento interpretativo di questa corte, nel giudizio di cassazione non trova applicazione l'istituto dell'interruzione del processo per gli eventi previsti dagli artt. 299 e ss. c.p.c., e cio' in quanto da un lato il giudizio di cassazione si caratterizza per l'impulso d'ufficio, dall'altro lato le norme sull'interruzione sono insuscettibili di applicazione analogica nel giudizio di legittimita' (cfr., tra le altre, Cass. s.u. 14 novembre 2003, n. 17295; Cass. 17 luglio 2003, n. 11200; Cass. 10 aprile 2003, n. 5672; Cass. 11 febbraio 2003, n. 18300; Cass. 11 febbraio 1998, n. 12198). Tale conclusione vale, secondo l'orientamento ugualmente consolidato della corte, anche quando l'evento attenga alla morte del difensore (Cass. 11 giugno 1999, n. 5755) certificata, come nel caso di specie, dalla relata negativa di notifica dell'avviso di udienza, dal momento che la prospettazione delle ragioni del ricorrente nel giudizio di cassazione e' affidata per intero all'atto scritto del ricorso mentre la discussione orale, cui e' preordinato l'invio dell'avviso, riveste un valore solo complementare (Cass. 26 giugno 1997, n. 5719. Conf., con riferimento al rilievo meramente complementare dell'udienza di discusssione, Cass. 28 marzo 2003 relativa all'ipotesi di morte della parte). Confermando l'indirizzo tradizionale, con la sentenza a sezioni unite del 14 ottobre 1992, n. 11195 questa corte rilevo' tra l'altro che l'istituto dell'interruzione - ispirato all'esigenza di tutelare la parte a carico della quale si e' verificato l'evento interruttivo - mira anche ad evitare che l'altra parte subisca comunque un pregiudizio da tale situazione e, soprattutto, a garantire l'effettivita' del contraddittorio ed una efficiente rappresentanza tecnica delle parti nel processo. Tuttavia, non ogni evento che possa in fatto, ma non anche in diritto, compromettere il contraddittorio, determinerebbe un effetto interruttivo; ed al riguardo non puo' essere trascurata la circostanza che il codice di procedura civile del 1949, a differenza di quello del 1865, abbia limitato la rilevanza degli eventi interruttivi per fatti relativi al procuratore alle tre ipotesi della morte, della radiazione e della sospensione del procuratore stesso (art. 301, comma 1, c.p.c.), escludendo espressamente la revoca della procura e la rinuncia al mandato (art. 301, comma 3, c.p.c.), malgrado in tutte le ipotesi venga meno lo ius postulandi del difensore. In realta' il legislatore, nei limiti della ragionevolezza, puo' ridurre la rilevanza di eventi astrattamente suscettibili di compromettere il contraddittorio, ponendo a base di questa scelta la circostanza che quando non e' prevista l'interruzione sussiste un obbligo di attivarsi, sia a carico della parte - nella ipotesi di revoca della procura - sia a carico del difensore - in caso di rinuncia al mandato - che dovrebbe impedire gli effetti della compromissione del contraddittorio, con la conseguenza che qualora a tale onere non si ottemperi gli effetti che ne derivano trovano la loro causa in un comportamento omissivo e non anche in un vizio della normativa. Analoghe considerazioni possono formularsi - si legge ancora nella sentenza - per il giudizio di legittimita'. E' ben vero che in tale giudizio, dominato dall'impulso d'ufficio, esistono una serie di attivita' che presuppongono la presenza del difensore, ma la circostanza che il legislatore non abbia previsto, proprio per tale motivo, la rilevanza degli eventi di cui agli artt. 299 ss. c.p.c., non induce ne' ad applicare in via analogica le norme predette, ostandovi il divieto dell'art. 14 delle preleggi, ne' ad affermare l'incostituzionalita' di tale mancata previsione, dovendosi invece ritenere che la struttura del giudizio di legittimita' impone un particolare onere di attenzione per la parte, con la conseguenza che la mancata osservanza di quest'onere, per fatti relativi al procuratore, ricadrebbero sulla parte stessa che non si sia attivata per ovviare alle conseguenze derivanti da eventi che essa avrebbe potuto e dovuto conoscere. Ritiene la corte che questo indirizzo debba essere sottoposto a rimeditazione, in quanto la conclusione fondata sull'irrilevanza della morte del difensore nel giudizio di cassazione (almeno quando si tratti dell'unico difensore da cui la parte e' assistita) puo' condurre a risultati contrastanti con lo svolgimento del diritto di difesa, determinando una disparita' di trattamento che non appare razionalmente giustificabile. Se e' indubbiamente vero che il giudizio di cassazione e' dominato dall'impulso d'ufficio sicche', rispetto ad esso, non appare configurabile la ratio delle norme sull'interruzione collegata al carattere dispositivo del processo ed all'esigenza di affidarne la prosecuzione - come accade appunto per il giudizio di merito all'impulso di parte, cio' non toglie che le stesse norme mirano ad un tempo a tutelare anche il diritto della difesa e del contraddittorio, con previsioni tali (art. 301 c.p.c.) che nel caso di morte, radiazione e sospensione dall'albo dell'unico procuratore, a mezzo del quale la parte sia costituita in giudizio, l'interruzione del processo si produce automaticamente, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza; e tale evento preclude, a pena di nullita', ogni ulteriore attivita' processuale. Ora e' certo che nel giudizio di cassazione le difese sono affidate essenzialmente - per cio' che concerne la parte ricorrente - al ricorso; ma cio', a parere del collegio, non esclude l'eventualita' di altre attivita' difensive che potrebbero essere compiute unicamente con il ministero del difensore ne', di per se', appare giustificare la conclusione che affida alla partecipazione del difensore all'udienza orale di discussione un rilievo del tutto secondario e marginale. Sotto il primo profilo, e' gia' stato segnalato in dottrina come anche nel giudizio di cassazione, dopo la proposizione del ricorso, sussistono numerose attivita' che si perfezionano solo ad istanza di parte, quali: il deposito del ricorso; la produzione di documenti che riguardino la nullita' della sentenza impugnata e l'inammissibilita' del ricorso e del controricorso (art. 379, comma 1, c.p.c.); l'integrazione del contraddittorio nel corso del giudizio (art. 331 e 375 c.p.c.); il rideposito del fascicolo di parte; la rinnovazione della notificazione; la facolta' di rinuncia al ricorso, etc. sicche', attesa la coesistenza di atti di impulso di parte non surrogabili dall'impulso d'ufficio ed il cui mancato compimento, pur non addebitabile alla parte stessa, conduce, inevitabilmente, ad una pronuncia di improcedibilita' o di inammissibilita' del ricorso, dovrebbe ammettersi l'applicabilita' dell'istituto dell'interruzione, quanto meno per il compimento di tali attivita' e cio' al fine di evitare un vulnus alla garanzia costituzionale del pieno contraddittorio. D'altra parte la svalutazione dell'udienza di discussione a mero elemento di contorno dell'attivita' difensiva, pur trovando qualche fondamento nell'esperienza fattuale (non essendo raro il caso che i difensori in detta udienza si limitino a fare un puro e semplice richiamo agli atti scritti), non appare giustificata nel sistema normativo, alla cui stregua l'udienza pubblica e' appunto prevista come uno dei momenti di esplicazione dell'attivita' difensiva da parte dell'avvocato iscritto nell'apposito albo; e tale funzione dell'udienza pubblica - quale strumento di massima garanzia dei diritti di azione e difesa delle parti, che rende possibile ai difensori di esporre compiutamente i propri assunti nell'osservanza piu' piena del principio del contraddittorio, anche nei confronti del rappresentante del procuratore generale, sulle cui conclusioni e' consentito svolgere osservazioni scritte: Cass. s.u. 10 luglio 2003, n. 10841 - appare tanto piu' rilevante quanto tipiche e tassative sono le forme di esercizio del diritto di difesa in tale giudizio. Tale conclusione appare, secondo il collegio, rafforzata dal nuovo testo dell'art. 111 Cost. il quale, pur limitandosi a rendendo esplicite indicazioni che gia' potevano desumersi dall'ordinamento giuridico previgente, con il dichiarare espressamente che ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, «in condizioni di parita», ha reso ancora piu' evidente il ruolo della presenza del difensore (anche) nel giudizio di cassazione, dovendosi ritenere che il giusto processo di cassazione e' quello in cui al difensore che la legge presume particolarmente adeguato in quanto iscritto nell'apposito albo e' consentito di esercitare concretamente ed effettivamente tutte le opportunita' difensive riconosciute dalle norme processuali. Ben e' vero che non ogni evento che priva la parte del procuratore e' considerata dalla legge come evento determinativo dell'interruzione: nessun rilievo infatti e' attribuito in questo senso alla revoca della procura ed alla rinuncia al mandato (art. 301, comma 3, c.p.c.), nonostante anche in tali casi venga meno lo ius postulandi del difensore. Ma una simile distinzione, sicuramente giustificabile alla luce del principio di ragionevolezza in quanto l'onere di attivazione a carico della parte - nell'ipotesi di revoca della procura - e del difensore - nell'ipotesi di rinuncia al mandato - appaiono idonei a scongiurare la compromissione del contraddittorio, non toglie che la morte del difensore e' appunto sancita come causa di interruzione automatica del processo e che tale evenienza espressamente sancita dall'art. 301 c.p.c. per il giudizio di primo grado e - in virtu' del richiamo contenuto nell'art. 359 c.p.c. - per il giudizio d'appello, non e' invece previsto per il giudizio di cassazione, ne' ad esso appare estensibile stante la rilevata inapplicabilita' in via analogica delle norme sull'interruzione sul processo al giudizio di legittimita' (cfr. le richiamate sentenze n. 11200/2003; n. 5672/2003; n. 18300/203; n. 12198/1998; n. 11195/1992). In tale contesto, reputa la corte che si producano una disparita' di trattamento ed una lesione del diritto di difesa che il carattere ufficioso del giudizio di legittimita' non appaiono sufficienti a giustificare e che, attesa la rilevanza della questione ed il suo carattere di non manifesta infondatezza, debba sollevarsi questione di legittimita' costituzionale degli artt. 301 e 377, secondo comma c.p.c. nella parte in cui per il giudizio di cassazione non e' attribuita rilevanza alla morte dell'unico difensore verificatasi dopo la proposizione del ricorso e prima dell'udienza di discussione, e cio' per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e 111 della Costituzione.