L'ARBITRO

    Nel   giudizio   per  arbitrato  rituale  promosso  da:  Cristina
Vincenzi, nata a Venezia il 20 luglio 1954, c.f. VNC CST 54L60 L736S,
res.  in  Venezia,  Favaro  Veneto, via S. Andrea 3, nei confronti di
avv.  prof.  Gianluca  Sicchiero, nato a Venezia il 10 febbraio 1962,
c.f.  SCC GLC 62B 10 L736S, con studio in Mestre, c.so del Popolo 58,
ordinanza   di   rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
pronunciata  dall'arbitro  dott.  Francesca  Galbusera, con studio in
30172 Venezia Mestre, corso del Popolo n. 58.
               Svolgimento del procedimento arbitrale
    Con compromesso datato 16 luglio 2004 i sig. ri Cristina Vincenzi
e  avv.  prof. Gianluca Sicchiero hanno devoluto in arbitrato rituale
alla  scrivente  le  richieste  della sig.ra Vincenzi, di ottenere la
restituzione  dell'importo  di 8,17 versate a titolo di contributo 2%
cpa  e  di  Euro 83,33 pagate a titolo di I.V.A. sulla fattura n. 302
del  2004.  L'avv.  Sicchiero  assiste infatti la sig.ra Vincenzi nel
procedimento  r.g.  1783/04  avanti al tribunale di Venezia, relativo
allo   scioglimento  del  matrimonio  della  stessa  ed  ha  ricevuto
l'acconto  di cui alla fattura indicata e ne ha chiesto altro di pari
importo.  La  cliente, peraltro ritiene che in base all'art. 19 della
legge  n. 74  del  1987  non  sia  dovuta  alcuna  tassa o contributo
sull'onorario  che ha versato e deve versare al suo legale, mentre il
prof.  Sicchiero e' di avviso contrario, pur ritenendo che la cliente
abbia  ragione  quanto  alla  illegittimita'  delle  disposizioni che
impongono  il pagamento di quelle somme. Entrambi hanno quindi deciso
di  far  decidere,  la questione in sede arbitrale, con lodo rituale;
essendo  il  problema  ben  chiarito  nel compromesso, le parti hanno
deciso di rinunciare alle memorie scritte e, sentite personalmente ed
in  contraddittorio  dallo  scrivente arbitro in data 20 luglio 2004,
hanno chiesto che sia emesso il lodo stesso.

                       Considerato in diritto

    Le questioni sottoposte allo scrivente arbitro sono due:
        a) la richiesta della sig.ra Vincenzi all'avv. prof. Gianluca
Sicchiero, di restituzione dell'iva e del contributo del 2% per cassa
nazionale  avvocati, versati sulla fattura n. 320 del 2004, in quanto
somma indebitamente pagata non ritenendo che l'onorario versato fosse
da gravare di tale imposta;
        b)  la  pretesa della sig.ra Vincenzi di non versare l'iva ed
il  contributo  2%  c.n.a. sull'ulteriore acconto di euro 500 chiesto
dall'avv. prof. Sicchiero.
    La  sig.ra  Vincenzi  motiva  le  sue  pretese  sul  rilievo  che
l'art. 19  della  legge  6  marzo  1987, n. 74, indica che «tutti gli
atti,  i  documenti  ed  i  provvedimenti relativi al procedimento di
scioglimento  del matrimonio ... sono esenti dall'imposta di registro
e da ogni altra tassa».
    Poiche'  la Corte costituzionale, con le sentenze n. 176 del 1992
e  n. 154  del  1999  ha  dichiarato  l'incostituzionalita'  di detta
disposizione  laddove  non comprende nell'esenzione del tributo anche
le  iscrizioni  di  ipoteca  effettuate a garanzia delle obbligazioni
assunte  dal  coniuge  nel giudizio di separazione (sent. 176/1992) e
piu'  in  generale  laddove  quanto  ivi  previsto  non si estenda in
generale  al  procedimento di separazione (sent. 154/1999), la stessa
ritiene  che  di  conseguenza  che la legge preveda in linea generale
l'esenzione  da  qualsiasi  tassa  dovuta allo Stato per i giudizi di
divorzio  e  separazione,  senza  distinzione tra il tipo di tassa od
imposta da applicare.
    Quindi  anche  l'imposta  sul  valore  aggiunto  e  il contributo
previdenziale  che  il cliente deve versare al suo difensore, perche'
questi    lo    versi   a   propria   volta   alla   Cassa   forense,
rappresenterebbero tasse che invece non sono dovute.
    A  nulla  rileverebbe poi il fatto che la Cassa avvocati sia ente
di diritto privato: la contribuzione a carico del cliente rappresenta
pur  sempre un prelievo forzoso che costituisce un aggravio del costo
di  difesa  che  dovrebbe invece rappresentare l'unico onere a carico
della parte.
    Aggiunge poi che la lettura estensiva del termine tassa, e' stato
avallato anche dalla giurisprudenza della corte di cassazione, ad es.
con  le  sentenze  della  sez. tributaria 22 maggio 2002, n. 7493; 24
novembre 2000, n. 15212; 12 maggio 2000, n. 6065.
    Rileva   anche  che  dopo  l'ordinanza  n. 538/1995  della  Corte
costituzionale,  che  aveva  dichiarato  inammissibile per difetto di
motivazione   la   questione  di  legittimita'  costituzionale  della
disposizione,   sopra  citata,  in  ordine  alla  mancata  previsione
dell'Invim  al  tempo  in  vigore,  la cassazione, con la sentenza 17
febbraio 2001, n. 2347, ha invece accertato che nemmeno detta imposta
trova   applicazione   ai   trasferimenti   effettuati   in  sede  di
scioglimento del matrimonio.
    Di  qui,  allora,  la sua pretesa di vedersi restituire dall'avv.
prof.  Sicchiero  quanto  gia'  versato per iva e cpa e di non-pagare
quanto  egli  chiede, a titolo di accessori di legge, su un ulteriore
acconto  relativo  al giudizio di separazione in cui il legale la sta
assistendo.
    Il  prof.  Sicchiero  ha  dichiarato  di  condividere in linea di
principio   le   ragioni  fatte  valere  dalla  cliente,  ma  che  le
disposizioni in tema di iva e di contributo previdenziale della cassa
forense  lo  autorizzano  a  chiedere  al  cliente il pagamento delle
imposte medesime per versarle poi all'erario ed alla cassa forense.
    In  particolare  osserva  che  l'art. 11 della legge 20 settembre
1980,  n. 576,  obbliga  l'iscritto  ad  applicare  una maggiorazione
percentuale,  attualmente  del 2% su tutti i corrispettivi rientranti
nel  volume d'affari ai fini I.V.A. e versarne alla Cassa l'ammontare
indipendentemente  dall'effettivo  pagamento che ne abbia eseguito il
debitore.   La   ma   ggiorazione  e'  ripetibile  nei  confronti  di
quest'ultimo.  Dunque  ove  egli  non  applicasse la maggiorazione in
esame, il relativo importo resterebbe a suo carico.
    Quanto  all'I.V.A.,  l'applicazione dell'imposta alle prestazioni
professionali  e'  regolata  dal  d.p.r.  26 ottobre 1972, n. 633 che
riconduce alla base imponibile anche le attivita' professionali, agli
artt. 1, 5, 13 e 14, imponendo l'applicazione dell'imposta stessa con
l'aliquota  indicata  nell'art. 16. Tale d.p.r., inoltre, non esclude
le attivita' professionali perche' non le comprende tra le operazioni
esenti da imposta di cui all'art. 10.
    Ora poiche' il soggetto passivo dell'imposta e' il professionista
(art. 17),  salva  la  rivalsa  sul  cliente  ex  art. 18,  anche qui
l'imposta resterebbe a suo carico ove non la ripetesse dal cliente.
    Il  prof.  Sicchiero  osserva  infine  che  le imposte in oggetto
potrebbero  ritenersi non dovute dal cliente solo a condizione che le
fatture   emesse  possano  ritenersi  incluse  nella  dizione  «atti,
documenti  e  provvedimenti  relativi al processo di scioglimento del
matrimonio»  di cui all'art. 19 legge n. 74/1987, il che non gli pare
essere.  Dunque poiche' la legge esenta il coniuge da quelle tasse ma
non impone al difensore di non ripeterle dal cliente, ritiene che sia
suo diritto addebitarle al cliente stesso.
    Sulla  base  di  queste  premesse,  l'arbitro deve decidere se la
sig.ra  Vincenzi possa ripetere dal prof. Sicchiero quanto egli abbia
riscosso  per  cpa ed i.v.a. sull'acconto ricevuto e se la stessa sia
tenuta a versare tali imposte anche sull'ulteriore acconto richiesto.
Cio' detto

                            O s s e r v a

    1.  - Sulla competenza dell'arbitro. Questo arbitro e' competente
a  giudicare  sulla  lite in essere, che riguarda un mero rapporto di
diritto privato (ripetizione di indebito; accertamento del diritto di
non   pagare  una  somma)  ancorche'  involga  questioni  di  diritto
tributario.  Sul  punto  e'  sufficiente richiamare la giurisprudenza
della   cassazione:  Cass.,  sez.  un.,  11  febbraio  2003,  n. 1995
«appartiene  alla  giurisdizione del giudice ordinario e non a quella
delle   commissioni   tributarie   la   controversia   nella   quale,
in relazione  al  pagamento  dell'I.V.A., il cedente faccia valere in
via  di  rivalsa,  il  proprio credito nei confronti del cessionario,
atteso  che  detto  credito non ha natura tributaria e che il giudice
ordinario,  in  assenza  di  specifci  divieti, puo' risolvere (senza
efficacia  di  giudicato)  tutte  le  questioni  che costituiscano un
antecedente logico della decisione che e' chiamato ad emettere, anche
se attribuite alla cognizione di altro giudice».
    2.  -  Sulla  fondatezza  della domanda della sig.ra Vincenzi. Le
disposizioni  richiamate dal prof. Sicchiero depongono senza ombra di
dubbi  per il suo diritto di agire in rivalsa verso la cliente per il
ristoro  del  contributo  soggettivo c.p.a. del 2% e dell'I.V.A. 20%,
sicche' la domanda della sig.ra Vincenzi dovrebbe venir respinta, non
contenendo   quelle  regole  alcuna  esenzione  per  il  giudizio  di
divorzio.  Inoltre  l'art. 19  della  legge n. 74 del 1987, quando si
riferisce all'esenzione delle imposte e tasse sugli atti, documenti e
provvedimenti  del  procedimento,  non  si  estende  ai  costi che il
cliente  debba  subire  per  far  valere il proprio diritto di difesa
mediante  il proprio difensore, la cui fattura e' solo impropriamente
un «documento» ed e' comunque estranea al procedimento, riguardando i
rapporti tra cliente e professionista. Non e' quindi possibile alcuna
interpretazione  diversa  delle  disposizioni  sopra  rammentate, che
consenta  a  questo  arbitro  di  accogliere  la domanda della sig.ra
Vincenzi.
    3.  -  Sulla  illegittimita' costituzionale delle disposizioni da
applicare.
    Ritiene  questo arbitro che il rigetto delle domande della sig.ra
Vincenzi  si  fondi  peraltro  su  disposizioni  in  contrasto  con i
principi  di  ragionevolezza  e di coerenza sanciti dall'art. 3 della
Costituzione.  L'irragionevolezza  sta  in  cio':  il  legislatore ha
ritenuto di esentare i coniugi che debbano separarsi o divorziare, da
qualsiasi  costo  fiscale,  eliminando,  fra  le altre, le imposte di
bollo  e  di  registro.  La giurisprudenza della cassazione condivide
tale  impostazione,  al  punto  di  aver ritenuto che i provvedimenti
stessi  fossero  esenti  da  Invim,  quando  l'imposta era in vigore,
ancorche'   la   relativa   normativa   non  fosse  stata  dichiarata
incostituzionale.   I  costi  di  tali  imposte,  peraltro,  erano  e
sarebbero  marginali: quella di bollo, oggi abrogata, prevedeva somme
davvero  marginali  (Euro  10,66  per foglio); l'imposta di registro,
attualmente  in vigore, prevederebbe una tassazione del 3% sui valori
enunciati  nell'atto  e  sarebbe  invece  a  tassa  fissa nelle altre
ipotesi, come indica in generale l'art. 8 della tariffa, parte prima,
allegata   al   d.p.r.  26  aprile  1986,  n. 131  e  come  disponeva
specificamente,  per  le  separazioni ed i divorzi, la relativa lett.
f). Appare quindi irragionevole che il coniuge sia tenuto a versare a
titolo  di  contributo  c.p.a.  il 2% dell'onorario pagato al proprio
difensore  e,  calcolata  anche  su questo, l'I.V.A. nella misura del
20%,  il  che  porta il costo complessivo, per tasse e contributi, al
22,4%  dell'onorario versato al proprio difensore. In particolare, se
si  considera  che  un  giudizio contenzioso puo' costare migliaia di
euro, e' evidente che tale tassazione sarebbe ben piu' alta dei costi
che il legislatore ha voluto eliminare nell'art. 19 della legge n. 74
del  1987. Ed anche un giudizio di divorzio consensuale, per il quale
si ipotizzi un onorario minimo di 1.000-1.500 euro, vedrebbe un costo
non  inferiore  ad Euro 224, ovvero il doppio della tassa di registro
in  misura  fissa  sulla  sentenza,  che  pure e' stata eliminata per
questo  tipo  di  giudizi.  Inoltre il coniuge si vede tutelato dalle
pretese  dirette  del  fisco,  che non puo' tassare la sentenza e gli
altri  atti  e documenti del processo, ma non da quelle indirette che
si  attuano  mediante  l'applicazione dell'iva e del cpa riscosse per
conto  dell'erario  dal  professionista.  Cio' senza dimenticare, sia
chiaro,  che  il  contributo per cpa e' devoluto alla Cassa nazionale
forense,  che e' ente di diritto privato, ma senza sottacere peraltro
che  per il privato la natura privata o meno dell'ente che percepisce
il  contributo  obbligatorio  e' irrilevante, stante l'impossibilita'
per  il  medesimo  di non pagare la somma stessa. Dunque, dal profilo
del  soggetto percosso, si tratta pur sempre di un costo riscosso dal
professionista,  che  lo  deve  versare ad enti terzi per le funzioni
(qui:  previdenziali)  che questi svolgono addirittura nell'interesse
del  professionista  medesimo.  Che poi il meccanismo di applicazione
delle  imposte stesse non passi attraverso il processo, nel senso che
cpa  ed  iva non sono riscosso mediante tassazione operata sugli atti
del  fascicolo  di  causa  dall'Ufficio delle entrate, e' circostanza
accidentale  del tutto irrilevante, che non elimina il punto centrale
della  questione, ovvero che il coniuge che divorzia si vede comunque
tenuto  a  pagare  allo  Stato  l'I.V.A.  ed  alla  Cassa  forense il
contributo  c.p.a.  ancorche' la legge lo esoneri da qualsiasi tassa,
intesa  in  senso  ampio  come  fa la giurisprudenza di legittimita'.
Anzi,  proprio  tale circostanza dimostra la violazione del principio
di coerenza dell'art. 3 della Costituzione, perche' pur essendo stato
eliminato  ogni  costo  per  tassa  o  imposta, altri costi fiscali e
previdenziali  vengono  ugualmente riscossi dallo Stato e dalla Cassa
previdenziale,  sia pure con il meccanismo indiretto della rivalsa da
parte del professionista.
    4.  -  Sulla  competenza dell'arbitro a sollevare la questione di
costituzionalita'.  Il  presente  arbitrato  ha  natura  rituale e di
diritto;  l'arbitro e' quindi legittimato a sollevare la questione di
costituzionalita'  in  base  al  rilievo fatto proprio nella sentenza
della Corte costituzionale, 28 novembre 2001, n. 376. per cui appunto
gli  arbitri  rituali sono legittimati a sollevare in via incidentale
questioni di costituzionalita' delle norme di legge che sono chiamati
ad applicare.
    Cio'  premesso, l'arbitro dichiara rilevante e non manifestamente
infondata in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 19 della legge n. 47 del 1987
nonche'  degli  artt. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576 e 17 e
18  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica 26 ottobre 1972,
n. 633,  nella  parte  in  cui  assoggettano  a contributo soggettivo
c.p.a., oggi nella misura del 2% e ad iva, oggi nella misura del 20%,
le  attivita'  professionali del difensore del coniuge che assista il
coniuge  che  chieda  lo  scioglimento  del  matrimonio,  nonche' dei
medesimi articoli laddove comunque consentano che le predette imposte
e contributi gravino sul coniuge in quanto consentono al difensore la
rivalsa per i relativi importi sul coniuge stesso.