ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale   dell'art. 1  del
decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18 (Disposizioni urgenti in materia
di    giudizio    necessario   secondo   equita),   convertito,   con
modificazioni,   nella  legge  7 aprile  2003,  n. 63,  promossi  con
ordinanze  del 4 novembre 2003 dal giudice di pace di Genzano di Roma
e   del   26 settembre  2003  dal  giudice  di  pace  di  Napoli  nei
procedimenti  civili vertenti tra S. P. e La Fondiaria - SAI S.p.a. e
tra   B.   L.   e   le   Assicurazioni   Generali   S.p.a.,  iscritte
rispettivamente  ai  numeri  307  e 571 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 17 e 25,
1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 17 novembre 2004 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che  nel  corso  di un giudizio instaurato, con atto di
citazione  per  l'udienza  del  16 maggio  2003,  nei confronti della
S.p.a.  La Fondiaria - SAI per ottenerne la condanna alla ripetizione
di  una  somma  versata  per  un  premio  relativo ad una polizza per
responsabilita'   civile   autoveicoli,  risultata  in  eccedenza  in
conseguenza  della  costituzione  di un «cartello» tra le imprese del
settore  gia'  sanzionato  dall'Autorita' garante della concorrenza e
del  mercato, il giudice di pace di Genzano di Roma ha sollevato, con
ordinanza  del  4 novembre  2003 (r.o. n. 307 del 2004), questione di
legittimita'  costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,
dell'art. 1  della legge 7 aprile 2003, n. 63 (recte: dell'art. 1 del
decreto-legge  8 febbraio  2003, n. 18, recante «Disposizioni urgenti
in  materia  di  giudizio necessario secondo equita», convertito, con
modificazioni, nella legge 7 aprile 2003, n. 63), nella parte in cui,
sostituendo  il  secondo comma dell'art. 113 cod. proc. civ., esclude
il  giudizio  secondo  equita'  per tutte le controversie relative ai
contratti  conclusi  secondo  le  modalita' di cui all'art. 1342 cod.
civ., indipendentemente dal loro valore;
        che  il  giudice  a  quo,  per quel che riguarda la rilevanza
della   questione,   precisa   che   dalla  sua  definizione  dipende
l'applicabilita'  o meno, al giudizio in corso, del vecchio testo del
secondo comma dell'art. 113 del codice di procedura civile;
        che il remittente, dall'insieme delle norme che hanno via via
disciplinato  il  giudizio  secondo  equita'  ampliandone la sfera di
applicazione  e  dalla  sentenza  n. 716 del 1999 delle Sezioni unite
della Corte di cassazione, desume che la possibilita' di ottenere una
decisione  secondo  equita'  «nelle  cause di valore non superiore al
vecchio  milione di lire» - nelle quali, non a caso, l'art. 82, primo
comma,  cod.  proc.  civ.,  consente  alla parte di stare in giudizio
personalmente  -  e' una delle particolari configurazioni del diritto
di difesa costituzionalmente garantito;
        che,  quanto alla violazione del principio di uguaglianza, la
norma  impugnata  introduce, ad avviso del remittente, una disparita'
di  trattamento  tra  i giudizi che si svolgono davanti al giudice di
pace,  irragionevole  in  quanto  non giustificata dalla specificita'
della  materia  trattata, ma dal tipo di contratto utilizzato, che e'
suscettibile  di  essere  applicato da parte del contraente «forte» a
qualsiasi  tipologia  di  transazione commerciale, con evidente danno
dei contraenti deboli (cioe' dei consumatori);
        che, d'altra parte, la natura di contraenti «forti» rivestita
dai  grandi  gruppi  di imprese che gestiscono i contratti di massa -
contratti  che  riguardano,  nei casi di maggior rilievo, prestazioni
delle quali il singolo cittadino non puo' assolutamente fare a meno -
da'  conto  della  ragione  per  la  quale,  in  simili  materie,  e'
indispensabile  poter  usufruire  del  giudizio  secondo equita', che
garantisce  al  consumatore  una  giustizia  del  caso  concreto, non
fondata  sulla  necessita' della rigorosa applicazione delle norme di
diritto,  ed  e'  in grado di tutelare, senza spese, la posizione dei
soggetti meno abbienti;
        che,  conseguentemente,  la  possibilita'  che in simili casi
venga  introdotto il giudizio di appello (a seguito dell'eliminazione
del  giudizio  di  equita) andrebbe, altresi', a vanificare la tutela
costituzionale  del  diritto  di  difesa  di tali ultimi soggetti, in
contrasto con l'art. 24, terzo comma, Cost.;
        che,  nel corso di un giudizio instaurato nei confronti della
S.p.a.  Generali  Assicurazioni,  il  giudice  di pace di Napoli, con
ordinanza del 26 settembre 2003 (r.o. n. 571 del 2004), ha sollevato,
in   riferimento   all'art. 24,  terzo  comma,  Cost.,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1  del  d.l.  n. 18 del 2003,
nella  parte in cui istituisce il grado di appello nelle controversie
relative  ai  c.d.  contratti  di massa anche di importo inferiore ai
millecento  euro  e  determina  cosi'  una limitazione dell'ambito di
applicabilita' dell'art. 82, primo comma, cod. proc. civ. rispetto ai
soggetti non abbienti;
        che  il remittente, in punto di rilevanza della questione, si
limita  ad  affermare  che  la risoluzione della stessa condiziona la
definizione  del giudizio in corso, del quale, peraltro, non fornisce
alcuna concreta indicazione;
        che,  nel  merito,  il giudice a quo osserva, principalmente,
che  con  l'entrata  in vigore del d.l. n. 18 del 2003, essendo stato
istituito  il  doppio  grado di giudizio anche per le cause di valore
inferiore ai millecento euro riguardanti contratti di massa, non solo
si  e'  limitato  in  modo  sostanziale  il diritto di difesa dei non
abbienti  garantito dal parametro invocato, ma si e' altresi' esposto
lo  Stato  all'eventualita'  di  un  eccessivo  esborso  per spese di
giustizia  (per  il gratuito patrocinio), a fronte di cause di modico
valore;
        che  in entrambi i giudizi davanti alla Corte e' intervenuto,
con  atti  di  contenuto  identico,  il  Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  chiesto  una dichiarazione di inammissibilita' delle
questioni  in  ragione  del fatto che, nei giudizi a quibus, le parti
private  sono  assistite da avvocati, cosi' dimostrando di non essere
«non abbienti», e ha sostenuto, nel merito, la manifesta infondatezza
delle   censure,  in  quanto  sarebbe  poco  convincente  l'equazione
istituita  dai  giudici remittenti tra causa di modico valore e causa
del  non  abbiente,  cosi'  come  sarebbero  del  tutto ipotetiche le
critiche  relative  a  maggiori esborsi cui si esporrebbe lo Stato e,
comunque,  in  quanto  la  posizione  del contraente «debole» avrebbe
maggiore tutela in un giudizio secondo diritto che non in un giudizio
secondo equita'.
    Considerato  che il giudice di pace di Genzano di Roma dubita, in
riferimento   agli   artt. 3   e   24   Cost.,   della   legittimita'
costituzionale  dell'art. 1  del decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  giudizio  necessario secondo
equita),  convertito  con  modificazioni,  dalla legge 7 aprile 2003,
n. 63,  nella  parte in cui sottrae al giudizio secondo equita' tutte
le  controversie  relative ai contratti conclusi secondo le modalita'
di cui all'art. 1342 cod. civ., indipendentemente dal loro valore;
        che  analoga questione e' prospettata, in riferimento al solo
art. 24,  terzo  comma,  Cost.,  dal  giudice  di  pace di Napoli con
riguardo  all'art. 1  del  d.l.  n. 18  del 2003, per la parte in cui
istituisce  il  grado  di appello nelle controversie relative ai c.d.
contratti  di  massa  anche di importo inferiore ai millecento euro e
determina   cosi'   una  limitazione  dell'ambito  di  applicabilita'
dell'art. 82, primo comma, cod. proc. civ. in favore dei soggetti non
abbienti;
        che  le  due  ordinanze pongono questioni analoghe, sicche' i
relativi giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente decisi;
        che  l'ordinanza  del  giudice  di  pace  di  Napoli, che non
contiene  alcun  riferimento alla legge di conversione n. 63 del 2003
pur   essendo   ad  essa  successiva,  non  fornisce  neppure  alcuna
descrizione  della  fattispecie  concreta oggetto del giudizio a quo,
onde  la  questione  da  essa  sollevata va dichiarata manifestamente
inammissibile  per  carenza  di  motivazione  sulla  rilevanza,  solo
apoditticamente  affermata  dal  remittente (v., da ultimo, ordinanza
n. 302 del 2004);
        che   anche   la   motivazione   sulla   rilevanza  contenuta
nell'ordinanza  del  giudice  di  pace  di  Genzano  di Roma non puo'
considerarsi  esauriente  in  quanto,  ancorche'  in essa si richiami
espressamente  la  legge n. 63 del 2003, non viene tuttavia precisata
la  data  di notifica dell'atto di citazione, mentre tale elemento e'
necessario  per  lo  svolgimento del prescritto controllo preliminare
sulla  rilevanza,  dal momento che l'art. 1-bis del citato d.l. n. 18
del  2003,  introdotto  dalla  legge  di  conversione n. 63 del 2003,
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale del 10 aprile 2003, ha stabilito
che  le  disposizioni  di  cui  all'art. 1  dello  stesso  decreto si
applicano   ai   giudizi  instaurati  con  citazioni  notificate  dal
10 febbraio 2003;
        che,  pertanto,  anche  la questione sollevata dal giudice di
pace  di  Genzano  di  Roma  deve  essere  dichiarata  manifestamente
inammissibile (v. ord. n. 299 del 2004).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.