LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Colagiovanni Gianluca, nato a Campobasso il 14 novembre 1977; Avverso la sentenza emessa il 12 marzo 2002 dal giudice del tribunale di Campobasso; Udita nella pubblica udienza del 22 aprile 2004 la relazione fatta dal consigliere Amedeo Franco; Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale dott. Mario Favalli, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio perche' il fatto non e' piu' previsto come reato e in subordine si riporta alla requisitoria scritta del 9 settembre 2003; Svolgimento del processo Il giudice del Tribunale di Campobasso, con sentenza del 12 marzo 2002, dichiaro' Colagiovanni Gianluca colpevole del reato di cui agli artt. 16 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l'esecuzione del TULPS) e 221 del t.u.l.p.s. perche', quale esercente di attivita' di compravendita di vetture usate, non teneva il prescritto registro vidimato dalle autorita' di P.S. con attestazione del numero di pagine, condannandolo alla pena di Euro 70,00 di ammenda. L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo: a) violazione e falsa applicazione degli artt. . 16 e 221 t.u.lp.s. Osserva che l'art. 16 del reg. di esecuzione del t.u.l.p.s. n. 635/1940 prescrive per l'esercizio di determinate attivita' la tenuta di speciali registri che devono essere regolarmente bollati, numerati e vidimati dalla autorita' di pubblica sicurezza, prescrizione la cui inosservanza e' sanzionata dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s. n. 773/1931, con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda. Il giudice di primo grado ha osservato che rilevava solo il fatto che l'imputato esercitasse in via professionali il commercio di merce usata, attivita' ricadente nella disposizione di cui all'art. 126 t.u.1.p.s., di cui l'art. 16 del regolamento e' norma generale, di piu' ampia portata. Ora, l'art. 128 del testo unico, nel richiamare espressamente le attivita' menzionate nel precedente art. 126, precisa, ai commi secondo e terzo, che gli esercenti il commercio di cose usate devono tenere un registro delle operazioni che compiono giornalmente in cui sono annotate le generalita' di coloro con i quali le operazioni stesse sono compiute e le altre indicazioni prescritte nel regolamento e che tale registro deve essere esibito ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti pubblica sicurezza. Il giudice di primo grado ha pero' omesso di considerare che le violazioni previste dagli arrt. 126 e 128 t.u.l.p.s. sono state ormai depenalizzate dall'art. 17-bis del medesimo t.u.l.p.s. (introdotto dall'art. 3 del d.lgs. 14 luglio 1994, n. 480), il quale prevede o solo una Sanzione amministrativa pecuniaria. b) mancata applicazione dell'art. 221-bis t.u.lp.s. Osserva ancora che l'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s., si apre con l'inciso «salvo quanto previsto dall'art. 221-bis ...», di modo che quest'ultimo pone la norma speciale prevalente. Nella specie doveva appunto escludersi l'applicabiita' dell'art. 221 t.u.l.p.s. a favore del successivo art. 121-bis, in quanto questo di spone che le violazioni alle disposizioni di cui agli artt. ... 221 ... limitatamente alle attivita' previste dall'art. 126 del presente testo unico sono soggette alla sanzione amministrativa de pagamento di una somma ... Pertanto, il giudice, nel momento in cui ha sussunto la attivita' dell'imputato tra quelle menzionata nell'art. 126, doveva applicare l'art. 221-bis in luogo dell'art. 221. L'Ufficio per l'esame preliminare dei ricorsi, ravvisando l'inammissibilita' del presente ricorso, lo trasmise alla settima sezione di questa Corte. In quella sede il procuratore generale deposito' requisitoria scritta con la quale chiese di sollevare questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma Cost., degli artt. 16 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 e 221 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 in relazione agli artt. 126 e 128 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773. Osservo' il procuratore generale che la condanna inflitta nella specie concerne la mancata vidimazione, ai sensi dell'art. 16 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635, del registro prescritto dall'art. 128 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 per chi esercita - al sensi dell'art. 126 di quest'ultimo r.d. - commercio di cose usate. Infatti, per effetto delle modificazioni introdotte dall'art. 17-bis del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (art. 3 del d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480) e dall'art. 37 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, l'omessa tenuta del registro previsto dall'art. 128 del t.u.l.p.s. e' ora depenalizzata e punita con una sanzione amministrativa. La depenalizzazione, circoscritta invece soltanto a talune violazioni previste dal r.d. 6 maggio 1940, n. 635 - come risulta dall'attuale testo degli artt. 221 e 221-bis r.d. 18 giugno 1931, n. 773 - continua a configurare la mancata vidimazione e bollatura del predetto registro quale contravvenzione punita con l'arresto o con l'ammenda, ai sensi del citato art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s. Concluse quindi il procuratore generale che il permanere della repressione anche in via penale della condotta di chi tiene il registro in questione non vidimato o non bollato, quando la piu' grave condotta di chi risulta privo dello stesso registro e' attualmente sanzionata in via amministrativa, sembra integrare una situazione analoga a quella che ha determinato la Corte costituzionale, con sent. n. 354 del 2002, a dichiarare l'incostituzionalita', per intrinseca irrazionalita' e violazione della finalita' rieducativa della pena (artt. 3 e 27 Cost.) dell'art. 688, secondo comma, cod. pen. La settima sezione ha quindi disposto la trasmissione degli atti a questa sezione. Motivi della decisione L'eccezione di illegittimita' costituzionale proposta dal Procuratore generale con la sua requisitoria scritta del 9 settembre 2003 e' fondata, e conseguentemente va sollevata la questione di legittimita' costituzionale in seguito specificata. Sembra opportuno preliminannente accennare allo stato della normativa in materia. L'art. 126 del r.d. 18 giugno 1931. n. 773, contenente il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, dispone che «non puo' esercitarsi il commercio di cose antiche o usate senza averne fatta dichiarazione preventiva all'autorita' locale di pubblica sicurezza». Il successivo art. 127 dispone che «i fabbricanti, i commercianti, i mediatori di oggetti preziosi, hanno l'obbligo di munirsi di licenza del questore» (il testo originario, modificato dall'art. 16, primo comma, del d.lgs.31 marzo 1998, n. 112, estendeva l'obbligo anche ai cesellatori, agli orafi, agli incastratori di pietre preziose ed agli esercenti industrie o arti affini). L'art. 128 del medesimo testo unico, infine, dispone, ai commi secondo e terzo, che i fabbricanti, i commercianti, gli esercenti e le altre persone indicate negli articoli 126 e 127 (fatta eccezione per le operazioni su oggetti preziosi nuovi, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 121 del 1963) devono tenere un registro delle operazioni che compiono giornalmente, in cui sono annotate le generalita' di coloro con i quali le operazioni stesse sono compiute e le altre indicazioni prescritte dall'art. 247 del regolamento, approvato con r.d. 6 maggio 1940, n. 635, e che tale registro deve essere esibito agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, ad ogni loro richiesta. La violazione dell'obbligo di tenuta di tale registro era punito, ai sensi dell'art. 17 del t.u.l.p.s., con l'arresto fin a tre mesi o con l'ammenda. Per effetto dell'introduzione dell'art. 17-bis ad opera dell'art. 3 del d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480, tuttavia, sono state depenalizzate una serie di violazioni delle disposizioni del t.u.l.p.s. In particolare l'art. 17-bis, comma terzo, disponeva che erano punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire due milioni, tra le altre, le violazioni alle disposizioni di cui agli artt. 126 e «128, escluse le attivita' previste dall'art. 126». Ne risultava quindi che la violazione dell'obbligo di tenuta del registro di cui all'art. 128 era depenalizzata per quanto riguardava i fabbricanti, i commercianti, ed i mediatori di oggetti preziosi, mentre continuava a costituire reato, punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire 400.000 per la mancata tenuta del registro da parte dei commercianti di cose antiche o usate. Per quanto concerne, invece, le modalita' con cui deve adempiersi all'obbligo di tenuta dei registri di cui all'art. 128 del t.u.l.p.s., viene in considerazione l'art. 16 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635, contenente il regolamento per l'esecuzione del t.u.l.p.s., il quale dispone, al primo comma, che i registri in questione «devono essere debitamente bollati, a norma di legge, in ogni foglio, numerati e, ad ogni pagina, vidimati dall'autorita' di pubblica sicurezza che attesta del numero delle pagine nell'ultima di esse» (il quarto comma, aggiunto dall'art. 2 del d.P.R. 28 maggio 2001, n. 311, prevede poi che i registri possono essere anche tenuti con modalita' informatiche). La violazione all'obbligo previsto dal citato art. 16 concernente la bollatura, numerazione e vidimazione ad ogni pagina da parte dell'autorita' di pubblica sicurezza, e' configurata come: reato dall'art. 221 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, che la punisce con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a lire duecentomila. Come e' noto, l'art. 7 del d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480, ha introdotto nel t.u.l.p.s. l'art. 221-bis, con il quale sono state depenalizzate tutta una serie di violazioni al regolamento di esecuzione approvato con r.d. 6 maggio 1940, n. 635, le quali sono ora punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire sei milioni (fissata, per pochi casi, dal primo comma) o di una somma da lire trecentomila a lire due milioni (fissata. per la pluralita' dei casi, dal secondo comma). L'art. 221-bis del t.u.l.p.s. non include tra le ipotesi di depenalizzazione da esso previste anche la violazione degli obblighi di cui all'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., la quale quindi continua a costituire reato punito dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s. Per venire al caso oggetto del presente giudizio, ossia a quello del commerciante di cose antiche o usate, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480, costituiva reato sia la mancata tenuta del registro previsto dall'art. 128 del t.u.l.p.s. (punita dall'art. 17, primo comma, del medesimo t.u.l.p.s.) sia la mancata bollatura e/o vidimazione del registro stesso ai sensi dell'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s. (punita dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s.). Tuttavia, con l'art. 37, primo comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e' stato modificato il terzo comma dell'art. 17-bis del t.u.l.p.s., nel senso che laddove e' prevista la depenalizzazione della violazione alla disposizione di cui all'art. 128, sono state soppresse le parole «escluse le attivita' previste dall'art. 126». Per effetto di tale modificazione, pertanto. la violazione dell'obbligo di tenuta del registro di cui all'art. 128 t.u.l.p.s. in tutti i casi, anche se commessa da commercianti di cose antiche o usate, costituisce ormai un semplice illecito amministrativo punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire due milioni. Al contrario, la violazione dell'obbligo di bollatura o vidimazione del medesimo registro previsto dall'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., continua a costituire reato punito dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s. con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a lire duecentomila. Da qui il dubbio di legittimita' costituzionale sollevato dal Procuratore generale, determinato dal fatto che, per effetto dell'art. 37, primo comma, legge 23 dicembre 2000, n. 388, continua ad essere configurata come reato punito con l'arresto o con l'ammenda la mancata bollatura o vidimazione dei registri in questione, mentre la piu' grave condotta di chi violi addirittura lo stesso obbligo di tenuta dei detti registri costituisce ormai un semplice illecito amiministrativo, il che determinerebbe una intrinseca irrazionalita' della disciplina ed una violazione della finalita' rieducativa della pena. Deve solo precisarsi che la discrasia rilevata dal Procuratore generale non si e' verificata solo per effetto delle modifiche introdotte al terzo comma dell'art. 17-bis del t.u.l.p.s. dall'art. 37. primo comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, in quanto gia' a seguito dell'introduzione (da parte dell'art. 3 del d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480) dell'art. 17-bis, era stata depenalizzata la violazione dell'obbligo di tenuta dei registri da parte dei fabbricanti, commercianti e mediatori di oggetti preziosi, mentre continuava a costituire reato ai sensi dell'art. 221 t.u.l.p.s. la mancata bollatura o vidimazione dei medesimi registri anche da parte di questi soggetti. La questione di legittimita' costituzionale appare innanzitutto ammissibile perche' essa non investe in alcun modo (come invece richiesto dal Procuratore generale) la disposizione di cui all'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s, approvato con r.d. 6 maggio 1940, n. 635 - nel qual caso sarebbe competente questa Corte a doverne valutare la legittimita' costituzionale ed eventualmente a doverla disapplicare - bensi' investe esclusivamente la norma che pone la sanzione contenuta nell'art. 221 del t.u.l.p.s. approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, ossia una disposizione avente forza e valore di legge, sicche' la competenza a valutarne la conformita' alle norme e principi costituzionali spetta alla Corte costituzionale. Non vengono infatti in alcun modo in discussione le disposizioni che prevedono, da un lato, l'obbligo di tenuta di determinati registri da parte di certi soggetti (art. 128 t.u.l.p.s.) e, dall'altro, l'obbligo di bollatura e vidimazione di detti registri (art. 16 regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s.) - obblighi in ordine ai quali non e' configurabile alcun dubbio di legittimita' costituzionale - ma solo le disposizioni del t.u.l.p.s. che stabiliscono le sanzioni per le violazioni di detti obblighi. L'oggetto della questione concerne infatti soltanto l'art. 221-bis del t.u.l.p.s. nella parte in cui non prevede tra le violazioni depenalizzate anche la violazione alla disposizione di cui all'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., in relazione anche alle disposizioni di cui agli artt. 17 bis, 126 e 128 del t.u.l.p.s. Piu' precisamente l'oggetto della questione va individuato nel secondo comma del detto art. 221-bis t.u.l.p.s., in quanto l'art. 17-bis., terzo comma, del t.u.l.p.s. punisce con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire due milioni la violazione dell'obbligo di tenuta dei registri di cui all'art. 128 t.u.l.p.s., per cui sarebbe irrazionale che la mancata bollatura o vidimazione dei medesimi registri fosse punita con la sanzione amministrativa del pagamento della maggior somma da lire un milione a lire sei milioni, come previsto dal primo comma dell'art. 221-bis, anziche' con il pagamento di una somma da lire trecentomila a lire due milioni, come previsto dal secondo comma dall'art. 221-bis. In secondo luogo si tratta di una questione che non puo' essere risolta da questa Corte mediante un'interpretazione adeguatrice degli artt. 221 e 221-bis del t.u.l.p.s., essendo indiscutibile che ipossono ritenersi depenalizzate esclusivamente le violazioni espressamente indicate dall'art. 221-bis t.u.l.p.s. - fra le quali non e' compreso e non puo' in via interpretativa ritenersi compreso l'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s. - mentre le violazioni delle altre disposizioni del medesimo regolamento, tra cui appunto l'art. 16, sono previste come reato e punite con l'arresto o con l'ammenda dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s. La questione e' poi certamente rilevante nel presente giudizio, in quanto la condotta contestata al ricorrente e per la quale questi e' stato condannato alla pena dell'ammenda ai sensi dell'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s., e' appunto quella di non aver adempiuto all'obbligo di cui all'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., per non avere tenuto, quale esercente attivita' di compravendita di autovetture usate, il prescritto registro vidimato dall'autorita' di pubblica sicurezza con attestazione del numero delle pagine. Un'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale, pertanto, inciderebbe in modo determinante sulla decisione, che in tal caso dovrebbe essere di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere (piu) il fatto previsto dalla legge come reato. La questione, infine, non appare manifestamente infondata, ossia pretestuosa o palesemente inaccoglibile, e quindi tale da non meritare di essere vagliata dal giudice delle leggi, unico competente a risolverla. Sussiste infatti certamente un dubbio sulla legittimita' costituzionale di una disciplina normativa che configura come semplice illecito amministrativo la piu' grave violazione dell'obbligo, per cosi' dire, principale, ossia addirittura la mancata tenuta, da parte di certi soggetti, del registro delle operazioni compiute giornalmente, mentre configura come reato, punito con l'arresto o con l'ammenda, la meno grave violazione di un obbligo strumentale al primo, ossia la mancata o irregolare bollatura o vidimazione del registro in questione. Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale rientra nella discrezionalita' del legislatore stabilire quali comportamenti debbano essere puniti e quali debbano essere la qualita' e la misura della pena e che l'esercizio di questo potere puo' essere censurato per violazione dell'art. 3 Cost. solo nei casi in cui non sia rispettato il limite della razionalita' (ord. n. 435 del 1998; sent. n. 370 del 1996; sent. n. 84 del 1997; sent. n. 760 del 1988; ord. n. 439 del 1987). Le valutazioni comparative di politica criminale sono invero, come tali, riservate all'esclusiva competenza del legislatore e solo quando l'esercizio della discrezionalita' legislativa rilevi aspetti di irragionevolezza puo' essere giustificato un controllo di costituzionalita' (sent. n. 215 del 1991; sent. n. 178 del 1992). Cosi', ad esempio, la Corte ha ritenuto irrazionale che fosse punito con una pena maggiore la condotta del militare «che, senza la necessaria autorizzazione esegue disegni, modelli, schizzi o fotografie di cose concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare dello Stato, ovvero fa ricognizione sulle cose medesime» rispetto alla condotta del procacciamento e della rivelazione di notizie segrete, non a scopo di spionaggio, dovendosi ritenere la irragionevolezza di un piu' grave trattamento sanzionatorio riservato a condotte preparatorie (sent. n. 298 del 1995); ed ha ritenuto che l'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nell'introdurre il sistema dei divieti obiettivi alla applicazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi mediante un'indicazione nominativa delle singole fattispecie di reato, avesse poi dato vita ad un sistema assolutamente squilibrato che aveva reso arbitrario il trattamento preclusivo esclusivamente per i reati di cui agli artt. 21 e 22 della lgge 10 maggio 1976, n. 319 (sent. n. 254 del 1994). Allo stesso modo, con la sentenza n. 354 del 2002 (ricordata dal procuratore generale nella sua requisitoria) la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l'articolo 688, secondo comma, cod. pen., che puniva con l'arresto il reato di ubriachezza, se commesso da chi avesse gia' riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o l'incolumita' individuale, e cio' perche' la norma risultava viziata da intrinseca irrazionalita' in relazione all'avvenuta trasformazione in illecito amministrativo del reato di ubriachezza, di cui al primo comma - e alle finalita' perseguite dalla depenalizzazione - poiche' essa non costituiva piu una circostanza aggravante, ma configurava un reato autonomo e finiva con il punire non tanto l'ubriachezza in se', ma una qualita' personale del soggetto. La Corte ha ritenuto altresi' vanificata la finalita' rieducativa che l'art. 27, terzo comma, Cost. assegna alla pena nonche' la violazione del principio di offensivita' del reato, di cui all'art. 25. secondo comma, Cost. e del limite ivi imposto alla discrezionalira' del legislatore. Per contro, la Corte, ad esempio, non ha ravvisato un esercizio irragionevole della discrezionalita' legislativa o la violazione della finalita' rieducativa della pena nel fatto che il reato di omissione della richiesta di autorizzazione per l'apertura di uno scarico da insediamento produttivo fosse punito con una pena piu' grave rispetto al reato di superamento, nello scarico produttivo, dei parametri di accettabilita', ben potendo il legislatore valutare come piu' grave l'omissione, che non consente o rende piu' difficoltoso individuare lo scarico ed effettuare i necessari controlli; cosi' come non ha ritenuto palesemente irragionevole che la stessa condotta di scarico senza autorizzazione amministrativa fosse prevista come semplice illecito amministrativo se proveniente da insediamenti civili o da pubbliche fognature, perche' la distinzione dei tipi di scarico puo' trovare giustificazione nell'esigenza, discrezionaimente ma non irrazionalmente apprezzata, di un regime complessivamente piu' severo per quelli ritenuti potenzialmente piu' inquinanti (sent. n. 435 del 1998). Allo stesso modo, non e' stato ritenuto manifestamente irragionevole il fatto che nella sanatoria tributaria non fosse stato incluso il reato di omessa o infedele annotazione in scritture contabili, mentre vi era stato compreso quello di omessa tenuta delle scritture contabili, e cio' perche' l'omessa o l'infedele annotazione presenta aspetti di maggiore insidiosita' e gravita' rispetto all'omessa tenuta (sent. n. 178 del 1992). Orbene, ritiene il Collegio che nel caso in esame non siano ravvisabili ragioni giustificatrici - quali la configurabilita' di un comportamento piu' insidioso o piu' grave - del fatto che la piu' grave violazione della condotta della norma che pone l'obbligo principale (ossia la tenuta dei registri delle operazioni giornalmente compiute), previsto dall'art. 128 t.u.l.p.s. sia - per effetto delle successive norme di depenalizzazione intervenute nella materia - ora configurata e punita come un semplice illecito amministrativo, mentre la meno grave violazione della norma di cui all'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., che prevede una condotta meramente strumentale all'adempimento dell'obbligo principale (necessita' che i registri siano bollati e vidimati in ogni pagina dall'autorita' di pubblica sicurezza) continui invece - probabilmente non per una precisa scelta del legislatore ma solo per un insufficiente coordinamento fra le varie disposizioni modificatrici susseguitesi nel tempo - ad essere qualificata come reato e punita con l'arresto o l'ammenda. Non puo' quindi negarsi che sussista per lo meno un dubbio sulla irragionevolezza della normativa attualmente in vigore e quindi sulla sua illegittimita' costituzionale per non conformita' ai principi costituzionali dianzi indicati, dubbio che impone di per se' di rimettere alla Corte costituzionale la risoluzione della relativa questione di legittimita' costituzionale.