ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 46, commi 2, 3,
4,  5,  6,  della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2003);  dell'art. 21,  comma 6  e parte del comma 7, del
decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 24 novembre
2003,  n. 326;  dell'art. 3,  commi 101,  116  e  117  e dell'art. 4,
comma 159,  della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2004),  promossi  con  un  ricorso della Regione Umbria,
notificato   il   28 febbraio  2003,  depositato  in  cancelleria  il
successivo  7 marzo  ed  iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2003,
con   tre   ricorsi  della  Regione  Emilia-Romagna,  rispettivamente
notificati  il  1° marzo  2003,  il 23 gennaio e il 24 febbraio 2004,
depositati in cancelleria il 7 marzo 2003, il 29 gennaio e il 4 marzo
2004 ed iscritti al n. 25 del registro ricorsi 2003 ed ai nn. 13 e 33
del registro ricorsi 2004.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2004 il giudice relatore
Alfonso Quaranta;
    Uditi  l'avvocato  Giovanni  Tarantini  per  la  Regione  Umbria,
l'avvocato  Giandomenico  Falcon  per  la  Regione  Emilia-Romagna  e
l'avvocato  dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio
dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  (r.  ric.  n. 22  del  2003)  notificato  il
28 febbraio  2003  e  depositato presso la cancelleria della Corte il
successivo  7  marzo,  la  Regione  Umbria  ha  proposto questione di
legittimita'   costituzionale,   in   via   principale,  della  legge
27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale   e  pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria  2003),
impugnando - tra le altre - le disposizioni contenute nei commi 2 e 4
dell'art. 46,  per  violazione  dell'art. 117,  quarto  comma,  della
Costituzione.
    L'art. 46,  comma 2,  attribuisce  al Ministro del lavoro e delle
politiche  sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze  e  d'intesa  con  la  Conferenza  unificata,  il  compito di
disporre annualmente con propri decreti la ripartizione delle risorse
del Fondo di cui all'art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449  (Misure  per  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica),
disponendo    che   sia   assicurato   prioritariamente   l'integrale
finanziamento  degli interventi che costituiscono diritti soggettivi,
nonche'  che  sia  destinato  almeno  il 10 per cento delle risorse a
sostegno   delle   politiche   in  favore  delle  famiglie  di  nuova
costituzione,  in  particolare  per  l'acquisto  della  prima casa di
abitazione e per il sostegno alla natalita'.
    La  Regione  Umbria  rileva  la  difficolta' di «comprendere come
giuridicamente  l'intervento  possa  essere di per se' costitutivo di
una  posizione  di  diritto  soggettivo»,  se  non  ritenendo  che la
disposizione  impugnata  intenda  «fare  riferimento  a prestazioni a
carico  dell'Istituto  nazionale  per  la previdenza sociale (INPS)»,
cio'   che,   pero',   equivarrebbe   a  «sottrarre  indebitamente  a
stanziamenti  destinati  a  politiche sociali quote per interventi di
altra  natura».  Analogamente,  la  denunciata  violazione del quarto
comma    dell'art. 117   della   Costituzione,   sarebbe,   altresi',
evidenziata  dalla  circostanza  che «la disposizione in esame non si
limita  ad  indicare degli obiettivi generali di politica sociale, ma
fissa   delle   priorita'   ben   determinate,  sovrapponendosi  alla
competenza in tale materia del legislatore regionale».
    La  norma,  infine, contenuta nel comma 4 dell'impugnato art. 46,
relativa   al   «monitoraggio   sull'utilizzo   dei  fondi»,  essendo
«consequenziale  alla  fissazione  delle priorita' sopra evidenziate»
sarebbe,  per gli aspetti prima sottolineati, invasiva della potesta'
legislativa regionale.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  la declaratoria di inammissibilita', o comunque il
rigetto, del ricorso suddetto.
    In  particolare,  la questione proposta sarebbe infondata, atteso
che  lo  Stato  avrebbe legittimamente esercitato la potesta' che gli
deriva   dalla   lettera m)   dell'art. 117,   secondo  comma,  della
Costituzione,  limitandosi  a  fissare  i  livelli  essenziali  delle
prestazioni   concernenti  diritti  civili  e  sociali,  al  fine  di
garantirne la uniformita' su tutto il territorio nazionale.
    Cio'   premesso,   l'Avvocatura  generale  dello  Stato  conclude
evidenziando  come  la  «fissazione  delle  priorita» non esulerebbe,
pertanto, dalle competenze dello Stato.
    3.  - Con ricorso (r. ric. n. 25 del 2003) notificato il 1° marzo
e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 7 marzo,
la  Regione  Emilia-Romagna  ha  proposto  questione  di legittimita'
costituzionale,  in  via  principale, della medesima legge n. 289 del
2002,  censurando  - unitamente a numerose altre disposizioni che non
vengono  qui  in  rilievo  - i commi 2, 3, 4, 5 e 6 dell'art. 46, che
disciplinano  «la  gestione  del  Fondo  nazionale  per  le politiche
sociali».
    Sul  presupposto  che  -  dopo l'intervenuta riforma del Titolo V
della   Costituzione   -  l'oggetto  delle  norme  censurate  rientra
nell'ambito  della  competenza  legislativa  residuale delle Regioni,
tranne per cio' che riguarda la determinazione dei livelli essenziali
delle  prestazioni,  la  ricorrente  sottolinea che, contrariamente a
quanto  previsto  dal  comma 2  dell'articolo  impugnato, spetta alle
Regioni  assicurare  l'integrale  finanziamento  degli interventi che
costituiscono  diritti  soggettivi.  Per il medesimo motivo, inoltre,
risulterebbe   privo   di  base  costituzionale  l'ulteriore  vincolo
rappresentato  dalla  destinazione  di  almeno  il 10 per cento delle
risorse del Fondo a sostegno delle politiche in favore delle famiglie
di  nuova  costituzione,  con  preferenza  per finanziamenti relativi
all'acquisto  della  prima  casa  di  abitazione  e al sostegno della
natalita',  giacche' si tratta - secondo la ricorrente - «di concrete
scelte  di  politica  sociale,  la  cui  priorita' puo' variare nelle
diverse Regioni, secondo criteri di decisione ormai regionali».
    Ne'  ad  escludere la denunciata violazione del nuovo criterio di
distribuzione  della  competenza  legislativa in materia di «politica
sociale»   potrebbe   invocarsi   la   previsione   secondo  cui  «la
ripartizione  del Fondo tra i diversi usi avverrebbe "d'intesa con la
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8  del  decreto  legislativo
28 agosto  1997, n. 281"», giacche', in particolare, la previsione di
un   sistema   siffatto  equivarrebbe  a  perpetuare  «un  meccanismo
centralizzato,   sia   pure   comprendente  la  partecipazione  delle
Regioni», non piu' in linea con l'attuale assetto costituzionale.
    La  ricorrente,  inoltre, censura la previsione di cui al comma 3
dell'art. 46 relativo alla fissazione, con decreto del Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  dei  livelli essenziali delle prestazioni.
Essa  precisa, in proposito, che la propria contestazione non investe
tale  meccanismo  in se' considerato, ma riguarda «invece la parte in
cui  si  prevede  che  la determinazione di tali livelli avvenga "nei
limiti delle risorse ripartibili del Fondo nazionale per le politiche
sociali"»,  e  cio'  in  quanto  dovrebbe  essere  «la  stessa misura
complessiva  del  Fondo»  a  formare  «oggetto  di una determinazione
concordata tra Stato e Regioni, al fine di assicurarne una dimensione
che  permetta  un  livello  delle  prestazioni adeguato, anche se non
ottimale».
    Le  censure della Regione Emilia-Romagna investono, infine, anche
le  previsioni  dei  commi 5  e 6 dell'art. 46 della legge n. 289 del
2002.
    In  relazione  al  primo  di  tali  commi - che, per l'ipotesi di
«mancato utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari entro
il  30 giugno  dell'anno  successivo  a  quello  in  cui  sono  state
assegnate»,  sancisce  la  revoca  dei  finanziamenti  stanziati - la
ricorrente  evidenzia  che,  mentre  il  persistere  di un vincolo di
destinazione  «puo'  essere  accettato  in  quanto  inevitabile,  nel
presente  stato di inattuazione dell'art. 119» della Costituzione, la
previsione,  invece,  di  un  gravoso  termine  di decadenza, potendo
frustrare  la  programmazione  e  la gestione di fondi da parte della
singola   Regione,  rappresenterebbe  una  violazione  dell'autonomia
finanziaria della Regione stessa.
    Censurata  e', da ultimo, la previsione del comma 6 dell'articolo
in  questione,  giacche'  il conferimento, per il triennio 2003-2005,
alla  Federazione  dei  maestri  del lavoro d'Italia di un contributo
annuo  di  260.000  euro  integrerebbe  «una destinazione legislativa
arbitraria  ed  irrazionale,  compiuta  al di fuori di una competenza
statale  all'intervento».  Ne',  d'altra parte, la sua illegittimita'
costituzionale  verrebbe  meno per il fatto che all'onere relativo si
provveda  con  risorse  prelevate  dal Fondo per l'occupazione di cui
all'art. 1,   comma 7,   del  decreto-legge  20 maggio  1993,  n. 148
(Interventi  urgenti  a  sostegno  dell'occupazione), convertito, con
modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236, ove si consideri -
da  un  lato  - che «anche la tutela del lavoro e' egualmente materia
assegnata  alle  Regioni dall'art. 117, comma 3», della Costituzione,
nonche'  -  dall'altro  -  che «se il legislatore intende destinare i
fondi  a  fini  assistenziali,  come  sono  quelli  in  questione, la
relativa  gestione  non  puo'  che  seguire  le  regole  proprie  del
settore».
    4. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo il rigetto della questione.
    Premesso  che  il  Fondo  nazionale  per  le politiche sociali e'
costituito  presso  la  Presidenza  del  Consiglio dei ministri ed e'
alimentato con risorse statali, la difesa erariale assume che «non e'
certo  invasiva della sfera di competenza regionale la previsione che
al  riparto  delle sue risorse si provveda d'intesa con la Conferenza
unificata, con prioritaria assicurazione degli interventi costituenti
diritti  soggettivi  e  destinazione  di  una  percentuale  minima  a
sostegno di politiche in favore di famiglie di nuova costituzione».
    Con  specifico  riferimento,  poi,  ai  singoli rilievi formulati
dalla   ricorrente,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  deduce  la
genericita'   della   censura   relativa   alla   mancanza   di   una
determinazione  concordata  tra  Stato e Regioni della «stessa misura
complessiva del Fondo».
    Nessuna  doglianza,  rileva la difesa erariale, sarebbe formulata
in  ordine  al comma 4. Sarebbe, inoltre, «coerente e logica [...] la
contestata  disposizione  di  cui  al  comma 5,  mirando la stessa ad
assicurare  il  sollecito  utilizzo delle risorse da parte degli enti
destinatari».  Non  sarebbe,  infine,  «arbitraria ed irrazionale» la
previsione   del  comma 6,  stabilendo  un  contributo,  di  limitato
importo, a favore della Federazione dei maestri del lavoro d'Italia e
cio'  in  relazione  alle finalita' «di rilievo sociale» dalla stessa
perseguite.
    5.  -  Con  ricorso  (r.  ric.  n. 33  del  2004)  notificato  il
24 febbraio  2004  e  depositato presso la cancelleria della Corte il
4 marzo  successivo,  la Regione Emilia-Romagna ha proposto questione
di  legittimita'  costituzionale,  in  via  principale,  della  legge
24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale   e  pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria  2004),
censurando,  in  particolare, l'art. 3, commi 101, 116 e 117, nonche'
l'art. 4, comma 159.
    5.1.  -  L' art. 3, comma 101, prevede, espone la ricorrente, che
lo  Stato  -  «nei  limiti  delle  risorse preordinate allo scopo dal
Ministro  del  lavoro e delle politiche sociali nell'ambito del Fondo
nazionale per le politiche sociali [...], e detratte una quota fino a
20  milioni  di  euro per l'anno 2004 e fino a 40 milioni di euro per
ciascuno   degli   anni 2005   e   2006  da  destinare  all'ulteriore
finanziamento  delle  finalita'  previste dall'art. 2, comma 7, della
legge  27 dicembre  2002  n. 289,  nonche' una quota di 15 milioni di
euro  per  ciascuno  degli  anni 2004,  2005  e  2006 da destinare al
potenziamento  dell'attivita' di ricerca scientifica e tecnologica» -
concorra  «al finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito
di  ultima  istanza  quale  strumento di accompagnamento economico ai
programmi  di  reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a
rischio   di  esclusione  sociale  ed  i  cui  componenti  non  siano
beneficiari  di  ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di
lavoro».
    La  norma impugnata - secondo la Regione Emilia-Romagna - sarebbe
lesiva  delle  attribuzioni  regionali per diversi profili, giacche',
innanzitutto,  «dispone  unilateralmente  del  Fondo nazionale per le
politiche  sociali»,  atteso  che,  tramite  essa, «si scorporano dal
Fondo  [...]  alcuni  cospicui  stanziamenti  destinati  a  sostenere
specifiche   linee   d'intervento,   genericamente   riferibili  alle
politiche   sociali,   disposte  unilateralmente  dal  Governo»,  con
conseguente  palese  violazione dell'autonomia finanziaria regionale,
garantita   dall'art. 119   Cost.,   e   del   principio   di   leale
collaborazione.
    La disposizione de qua - nella misura in cui «distoglie dal Fondo
nazionale  per  le  politiche  sociali  uno stanziamento cospicuo (20
milioni  di  euro  per  il  2004,  il  doppio per ciascuno degli anni
successivi)  per  aumentare consistentemente lo stanziamento entro il
quale  possono  essere concessi contributi finalizzati alla riduzione
degli oneri effettivamente rimasti a carico per l'attivita' educativa
di  altri  componenti  del  medesimo  nucleo  familiare presso scuole
paritarie»  -  riduce,  infatti, «le risorse trasferite alle Regioni,
per sostenere viceversa interventi diretti dello Stato».
    Cio' premesso, risulterebbe evidente - secondo la ricorrente - la
lesione  sia  delle  attribuzioni  legislative e amministrative della
Regione,  sia  della sua autonomia finanziaria, giacche' l'«ulteriore
finanziamento  di  un  fondo settoriale in materia regionale, gestito
dal  centro, costituisce violazione dell'art. 117, comma 4, 118 e 119
Cost.».
    Il  comma  censurato,  inoltre,  presenterebbe  un  terzo profilo
d'illegittimita'   costituzionale,  giacche'  detrarrebbe  dal  Fondo
stesso    risorse   per   interventi   genericamente   destinati   al
potenziamento  dell'attivita'  di  ricerca scientifica e tecnologica,
cosi'   incidendo   su   una  materia  rientrante  nell'ambito  delle
competenze   concorrenti,   cio'   che   precluderebbe   «allo  Stato
d'intervenire  con  misure  unilaterali  e  per  di  piu' indefinite,
anziche'  con  norme di principio e con il pieno coinvolgimento delle
Regioni».
    Infine,   rileva   la   ricorrente   che   l'art. 3,   comma 101,
nell'introdurre  «il  "reddito di ultima istanza" destinato ai nuclei
familiari  a  rischio  di  esclusione e privi di altri ammortizzatori
sociali» e, dunque, intervenendo, senza coinvolgimento delle Regioni,
«nella materia delle politiche sociali», di competenza regionale, con
una  misura  che  «non  puo'  essere ricondotta ai livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti  i  diritti  sociali»,  violerebbe il
riparto  delle  attribuzioni  e il principio di leale collaborazione,
nonche' la stessa autonomia finanziaria regionale.
    Con  specifico  riferimento  a tale ultimo profilo, la ricorrente
evidenzia  come  l'attuale  testo  dell'art. 119  della  Costituzione
consenta   allo   Stato   -  secondo  quanto  chiarito  dalla  stessa
giurisprudenza costituzionale (si richiamano sul punto le sentenze di
questa  Corte  numeri 49 e 16 del 2004 e 370 del 2003) - di «disporre
interventi  specifici  in  materie  che  non  appartengono  alla  sua
potesta'  esclusiva,  ma  riguardano  ambiti di competenza regionale,
solo con risorse aggiuntive e per finalita' perequative», le une come
le altre non essendo, pero', ravvisabili nell'ipotesi in esame.
    Ricorrerebbe,  dunque,  nel  caso  di  specie  «un  finanziamento
"speciale"  alle  Regioni,  condizionato  ad  una  loro iniziativa di
politica  sociale»,  disciplinata, pero', dalla stessa legge statale,
di talche', «in una materia di competenza regionale, lo Stato prevede
un finanziamento vincolato ad una specifica destinazione a favore non
di determinate Regioni (come richiede l'art. 119, quinto comma, della
Costituzione)  ma  della  generalita' delle Regioni, violando la loro
autonomia  finanziaria».  Sarebbe,  infine,  lesa la stessa autonomia
legislativa regionale, dato che, in materia rientrante nell'art. 117,
quarto   comma,   lo   Stato  «interviene  attraverso  la  disciplina
dell'attivita'  che  la  Regione  dovrebbe compiere per usufruire del
concorso statale alla spesa».
    5.2.  -  La  ricorrente censura, inoltre, le previsioni contenute
nei commi 116 e 117 del medesimo art. 3 della legge n. 350 del 2003.
    Il  comma 116,  in particolare, stabilisce che l'incremento della
dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali - disposto per
l'anno 2004  dall'art. 21,  comma 6, del d.l. n. 269 del 2003 - debba
essere  utilizzato  nel medesimo anno 2004 per le seguenti finalita':
a) politiche per la famiglia e in particolare per anziani e disabili,
per  un  importo  pari  a  70  milioni di euro; b) abbattimento delle
barriere architettoniche di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13, per
un  importo  pari a 20 milioni di euro; c) servizi per l'integrazione
scolastica  degli alunni portatori di handicap, per un importo pari a
40  milioni  di  euro;  d)  servizi  per  la  prima infanzia e scuole
dell'infanzia, per un importo pari a 67 milioni di euro.
    Il  comma 117, invece, stabilisce che «gli interventi di cui alle
lettere c)   e   d)   del   comma 116,   limitatamente   alle  scuole
dell'infanzia,  devono essere adottati previo accordo tra i Ministeri
dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca  e del lavoro e
delle politiche sociali e le Regioni».
    Orbene,   il   summenzionato   comma 116  sarebbe  -  secondo  la
ricorrente  -  lesivo delle attribuzioni regionali, giacche', al pari
del   gia'   esaminato   comma 101   del  medesimo  art. 3,  «dispone
unilateralmente  del Fondo nazionale per le politiche sociali», posto
che  dallo  stesso  «si  scorporano  [...] alcune specifiche linee di
finanziamento,  vincolandone  la  destinazione  ad  obiettivi  scelti
unilateralmente  dal  Governo», con palese «violazione dell'autonomia
legislativa  (non  trattandosi di materia concorrente, e in ogni caso
non  di  principio  fondamentale di materia) e finanziaria regionale,
garantita   dall'art. 119  Cost.,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione».
    Quanto,  invece,  al successivo comma 117, la censura prospettata
si  fonda  sulla  constatazione  che  la disposizione ivi contenuta -
nello  stabilire  «che  i servizi per l'integrazione scolastica degli
alunni  portatori  di  handicap  e  per  la scuola d'infanzia "devono
essere adottati previo accordo" tra Ministri competenti e le Regioni»
-  parrebbe  «voler  imporre  alle  Regioni  di esercitare le proprie
attribuzioni,  non  con la garanzia di una definizione di prestazioni
essenziali [...] compiuta dal legislatore nazionale, ma attraverso il
condizionamento   da   parte  degli  organi  politici  o  addirittura
burocratici   dello   Stato»,   con  cio'  «mortificando  l'autonomia
legislativa   e   amministrativa   regionale»,  in  violazione  degli
articoli 117 e 118 della Costituzione.
    5.3.  -  La Regione Emilia-Romagna ha impugnato, infine, anche la
previsione  contenuta  nell'art. 4,  comma 159,  della medesima legge
n. 350 del 2003.
    Pone  in  luce  la ricorrente come la disposizione de qua - nello
stabilire  «l'erogazione  di  contributi  in  conto  capitale per "il
sostegno   e  l'ulteriore  potenziamento  dell'attivita'  di  ricerca
scientifica  e tecnologica", rinviando la determinazione delle misure
dei  contributi,  della  tipologia  degli  interventi  ammessi  e dei
destinatari  ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri»
-    violerebbe    l'autonomia    finanziaria   regionale   garantita
dall'art. 119 della Costituzione. La norma censurata, infatti, in una
materia  -  qual  e' la «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all'innovazione  per i settori produttivi» - assegnata dall'art. 117,
terzo  comma,  della  Costituzione alla potesta' concorrente, prevede
interventi  diretti  statali,  i  quali  sarebbero,  invece,  ammessi
soltanto nelle materie di competenza esclusiva dello Stato.
    6. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  il rigetto delle questioni, ovvero la declaratoria
d'inammissibilita',   con   riserva  di  argomentare  con  successiva
memoria.
    7.   -  Con  ordinanza  del  10  giugno 2004,  emanata  all'esito
dell'udienza   pubblica   8   giugno 2004,  e'  stato  rinviato  alla
successiva  udienza  gia'  fissata  per il 6 luglio (in ragione degli
evidenti profili di connessione con le questioni relative all'art. 3,
commi 116  e  117,  della  legge  n. 350 del 2003), l'esame di taluni
profili  del  ricorso  n. 13  del  2004;  pertanto,  la Corte risulta
investita  anche  di  tale impugnativa, proposta sempre dalla Regione
Emilia-Romagna.
    Quest'ultima,  infatti, con ricorso notificato il 23 gennaio 2004
e   depositato  presso  la  cancelleria  della  Corte  il  successivo
giorno 29,  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale di
numerose  disposizioni  del  decreto-legge  30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni  urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei  conti  pubblici), convertito, con modificazioni,
nella legge 24 novembre 2003, n. 326.
    Rilevano,   in  questa  sede,  le  questioni  aventi  ad  oggetto
esclusivamente  il  comma 6  e  parte  del  comma 7  dell'art. 21 del
suddetto d.l. n. 269 del 2003.
    Il comma 6 stabilisce che per il finanziamento delle politiche in
favore  delle famiglie il Fondo nazionale per le politiche sociali e'
incrementato di 232 milioni di euro per l'anno 2004.
    Il comma 7 prevede i mezzi di copertura della relativa spesa.
    La  ricorrente  precisa,  infine, che la disposizione in esame e'
stata «integrata» dall'art. 3, comma 116, della legge n. 350 del 2003
(con  cui  sono stati specificati gli interventi per i quali il Fondo
nazionale   per   le   politiche   sociali   puo'  essere  utilizzato
nell'anno 2004,  con indicazione del relativo riparto delle risorse),
disposizione  oggetto di separata impugnazione, sempre proposta dalla
Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 33 del 2004).
    Deduce, in particolare, la ricorrente la violazione dell'art. 119
della Costituzione.
    Sul punto la Regione Emilia-Romagna - richiamato, in particolare,
il  contenuto  della  sentenza n. 370 del 2003 - evidenzia come, alla
stregua   del  citato  parametro  costituzionale,  sia  espressamente
stabilito che le funzioni pubbliche regionali e locali debbano essere
«integralmente» finanziate tramite i proventi delle entrate proprie e
la  compartecipazione  al  gettito dei tributi erariali riferibili al
territorio   dell'ente  interessato,  nonche'  con  quote  del  fondo
perequativo senza vincoli di destinazione.
    Nel   caso   di  specie,  sussisterebbe,  invece,  la  violazione
dell'autonomia  finanziaria sia di entrata che di spesa delle Regioni
e  degli  enti  locali  «dal  momento  che l'attivita' dello speciale
servizio pubblico costituito dagli interventi a favore della famiglia
rientra  palesemente nella sfera delle funzioni proprie» delle stesse
Regioni  e  degli  enti  locali  e  non potrebbe, in quanto tale, che
essere finanziata secondo le modalita' sopra indicate.
    Da  qui,  dunque,  la illegittimita' non solo del singolo atto di
disposizione  del  Fondo,  ma  della  stessa  previsione  di un Fondo
nazionale  per  le politiche sociali «che non appare piu' compatibile
con il novellato art. 119 della Costituzione».
    Ne',  d'altra  parte,  potrebbe  essere invocata, ad avviso della
ricorrente,    la   perdurante   inattuazione   dell'art. 119   della
Costituzione,  in  quanto  lo  Stato  puo'  e deve fin d'ora agire in
conformita'  al  nuovo  riparto  di  competenze  e alle nuove regole,
disponendo  i  trasferimenti senza vincoli di destinazione, o, se del
caso,   passando   attraverso  il  filtro  dei  programmi  regionali,
coinvolgendo  dunque  le Regioni interessate nei processi decisionali
concernenti  il  riparto  e la destinazione dei fondi, e rispettando,
altresi',  l'autonomia  di  spesa  degli  enti locali (si richiama la
sentenza n. 16 del 2004).
    8.  -  Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo che il ricorso venga rigettato.
    La   difesa  erariale  -  riservandosi  di  argomentare  con  una
successiva  memoria,  dopo  aver  acquisito  documentazione  inerente
l'attivita' svolta dal Fondo negli anni dal 1998 al 2003 - sottolinea
che  nel  ricorso, pur non sostenendosi che il citato articolo sia in
contrasto   con   la  legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  se  ne
«sollecita»,  pero',  «la  soppressione»,  ritenendo  esso  non  piu'
compatibile con il nuovo art. 119 della Costituzione.
    Successivamente  l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato,
in  data  4 maggio  2004,  una relazione dell'Ufficio legislativo del
Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche sociali, sugli interventi
effettuati  dal  Fondo  nazionale per le politiche sociali negli anni
dal 1998 al 2003, sulle risorse finanziarie amministrate in tali anni
e  sui  programmi  ai  quali  veniva  dedicato lo stanziamento di 232
milioni di euro, previsto dalla norma in esame.
    La  difesa  dello  Stato  ha, altresi', con memoria del 21 maggio
2004,  dedotto,  per quanto interessa, l'inammissibilita' del ricorso
per genericita'.
    9.  - In prossimita' dell'udienza pubblica, l'Avvocatura generale
dello  Stato  ha  svolto  con  memorie  del 14 giugno 2004, ulteriori
considerazioni   sulle  censure  proposte  dalla  ricorrente  Regione
Emilia-Romagna  nei  confronti  dell'art. 46,  commi 2,  3, 4, 5 e 6,
della legge n. 289 del 2002 (r. ric. n. 25 del 2003).
    Innanzitutto,  l'Avvocatura  generale dello Stato ha ribadito, in
relazione  al contenuto di cui al comma 2 dell'art. 46, che lo stesso
sarebbe  chiaramente  riconducibile alla competenza esclusiva statale
prevista    dall'art. 117,    secondo    comma,   lettera m),   della
Costituzione.
    Con  riferimento,  invece,  alle censure che investono il comma 3
dell'articolo 46, la difesa erariale ha osservato - in relazione alla
doglianza   della   ricorrente,  secondo  cui  e'  la  stessa  misura
complessiva   del   Fondo   che   «dovrebbe  essere  oggetto  di  una
determinazione  concordata  tra  Stato e Regioni» - come non sia dato
comprendere  «quale  sia  il  fondamento  costituzionale  di siffatta
affermazione», specie ove si consideri che «l'alimentazione (e quindi
la  «dimensione  legale»)  del  Fondo  stesso,  con  gli ivi previsti
stanziamenti,  e'  puntualmente  regolata  nel  comma 1, peraltro non
impugnato, del medesimo articolo».
    Nega,  inoltre,  l'Avvocatura  generale dello Stato - quanto alle
censure che investono il comma 5 dell'articolo de quo - che il potere
statale  di  revoca  dei  finanziamenti  incida «sull'autonomia della
Regione accertata "inadempiente"». Reputa, anzi, la «previsione di un
termine massimo [...] per l'effettivo utilizzo» delle risorse erogate
proprio  «coessenziale  al  "meccanismo  del  Fondo"»,  posto  che le
finalita' di quest'ultimo sarebbero «chiaramente messe in crisi», ove
si  consentisse  all'ente  destinatario  delle  risorse  suddette  di
«conservare sine die risorse non impiegate».
    Immune  dal  denunciato  vizio  di  incostituzionalita'  sarebbe,
infine,  il  comma 6 del summenzionato art. 46 della legge n. 289 del
2002.
    Non  integrerebbe,  difatti,  alcuna  violazione  della  potesta'
legislativa  della  Regione  (in  materia  di tutela del lavoro), ne'
comprometterebbe la sua autonomia finanziaria di spesa, la previsione
dell'erogazione  di  una  («del  resto  modesta») somma, a carico del
Fondo  per  l'occupazione  di cui all'art. 7 del decreto-legge n. 148
del 1993 in favore della Federazione dei maestri del lavoro d'Italia.
    10.  -  Con memoria del 17 giugno 2004, la Regione Emilia-Romagna
ha  specificato le censure - proposte con il ricorso n. 25 del 2003 -
aventi  ad  oggetto le previsioni contenute nell'art. 46, commi 2, 3,
4, 5 e 6, della legge n. 289 del 2002.
    Prendendo   posizione   sulle  diverse  argomentazioni  difensive
sviluppate  dall'Avvocatura  generale  dallo Stato, la ricorrente, in
particolare,  esclude,  che  «il riferimento ai "diritti soggettivi"»
possa  «fondare  la  competenza statale», giacche' non si tratta, nel
caso   di   specie,   «di  garantire  i  livelli  essenziali  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione».
    11. - Con memoria del 19 giugno 2004, l'Avvocatura generale dello
Stato  ha approfondito le difese svolte in relazione al ricorso n. 22
del  2003, proposto dalla Regione Umbria, avente ad oggetto sempre le
previsioni  contenute  nell'art. 46,  commi 2 e 4, della legge n. 289
del 2002.
    Secondo  la  difesa  erariale  le  «doglianze  proposte  appaiono
infondate»,  atteso che l'art. 117, secondo comma, della Costituzione
«affida alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei
livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali  di  cui  alla  lettera m)»,  nonche' «le norme in materia di
previdenza  sociale  (lettera o)»,  ed ancora «la "perequazione delle
risorse finanziarie" (lettera e), perequazione da realizzare con ogni
strumento  legislativo  e non soltanto attraverso la costituzione del
Fondo   perequativo   di   cui   all'art. 119,   terzo  comma,  della
Costituzione».
    12.  -  La  Regione  Umbria,  con  memoria del 22 giugno 2004, ha
sviluppato  le censure mosse nei confronti dell'art. 46, commi 2 e 4,
della legge n. 289 del 2002.
    In particolare, la ricorrente rileva che il contenuto della norma
in  esame non sarebbe riconducibile alla materia di cui all'art. 117,
secondo comma, lettera m), della Costituzione.
    Detta norma, infatti, «non fissa standards relativi a prestazioni
da  assicurare»,  ma indica al piu' (e segnatamente allorche' vincola
il 10 per cento del Fondo all'acquisto della prima casa di abitazione
e   al   sostegno   della  natalita)  «soltanto  delle  finalita»  da
conseguire,  come  confermerebbe,  in  particolare, la previsione del
successivo  comma 3,  il  quale - quanto all'effettiva determinazione
dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  contemplate  dal  comma
precedente - rinvia allo «specifico procedimento ivi previsto».
    La  Regione  Umbria,  inoltre,  svolge  argomentazioni a sostegno
della censura formulata nei confronti dell'art. 46, comma 4.
    13.  -  Con  la  seconda  memoria,  anch'essa del 14 giugno 2004,
l'Avvocatura  generale dello Stato ha svolto ulteriori considerazioni
in  ordine al ricorso n. 33 del 2004, proposto dalla medesima Regione
Emilia-Romagna.
    La  difesa  erariale, in particolare, si sofferma sulle doglianze
relative  alla  previsione  contenuta  nell'art. 4,  comma 159, della
legge n. 350 del 2003, evidenziando come la ricorrente sembra muovere
da  una  lettura  in  base  alla  quale  «allo Stato sarebbe impedito
intervenire direttamente e con proprie risorse finanziarie a sostegno
della  ricerca»,  e cio' perche' la ricerca scientifica e tecnologica
rientrerebbe nell'ambito della competenza concorrente.
    Sul  presupposto,  pero',  che la ricerca sia, «per sua natura, a
dimensione  mondiale»  e  che  si  svolga «in un continuo dialogo tra
centri  di  eccellenza»,  la  difesa  erariale osserva che la ricerca
scientifica   e   tecnologica  «e'  dunque  attivita'  per  la  quale
l'"esercizio  unitario"  (art. 118,  comma primo, della Costituzione)
costituisce,  per  cosi'  dire,  la  dimensione  minima»,  di talche'
«sarebbe  incongruo  dimensionare  la ricerca e le istituzioni che la
coltivano sulla misura di ciascun territorio regionale e del relativo
ente territoriale».
    La conclusione dell'Avvocatura generale dello Stato e', pertanto,
nel  senso  che  la competenza legislativa nella materia in esame sia
concorrente   «in  una  accezione  che  non  preclude  totalmente  ai
legislatori  regionali  qualsiasi  iniziativa  a  "sostegno"» (specie
quando  essa  sia  indirizzata  ai  settori  produttivi dell'economia
locale),  consentendo  al  tempo  stesso  «al Parlamento nazionale di
assumere  proprie  iniziative  di  diretto  "sostegno"  quando  vi e'
duplice  inerenza  alle  (o contiguita' con le) materie o funzioni di
cui  all'art. 117,  primo e secondo comma, della Costituzione, oppure
quando sussistono esigenze di "esercizio unitario"».
    14. - Con memoria del 19 giugno 2004, l'Avvocatura generale dello
Stato  ha  ulteriormente  svolto  le  proprie  difese in relazione al
ricorso n. 33 del 2004, proposto dalla Regione Emilia-Romagna, avente
ad oggetto le previsioni contenute nell'art. 3, commi 101, 116 e 117,
della legge n. 350 del 2003.
    Rileva   la   difesa  erariale  che  il  primo  dei  commi  sopra
menzionati,   non   lederebbe   le  autonomie  regionali,  in  quanto
lascerebbe  le  Regioni  libere  di  istituire  o meno il «reddito di
ultima  istanza»,  devolvendo  a quelle che lo istituiscano parte del
Fondo  nazionale  per  le  politiche  sociali, dando cosi' vita - nel
settore dei servizi sociali - ad un sistema di «cofinanziamento».
    15. - Con memoria del 18 giugno 2004, la Regione Emilia-Romagna -
replicando  alle  osservazioni  svolte dall'Avvocatura generale dello
Stato  con  memoria  del 21 maggio 2004 - insiste per la declaratoria
d'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 21,  commi 6  e parte del
comma 7, del decreto legge n. 269 del 2003 (r. ric. n. 13 del 2004).
    La ricorrente contesta l'eccezione d'inammissibilita' del ricorso
-  per  genericita'  delle  censure  ivi  contenute - sollevata dalla
difesa   erariale;   assume,   infatti,  la  Regione  Emilia-Romagna,
replicando ai rilievi sollevati dall'Avvocatura generale dello Stato,
di avere, nel proprio ricorso, «espressamente lamentato la violazione
dell'art. 119  della Costituzione» (e cio' «argomentando e invocando»
la sentenza di questa Corte n. 370 del 2003).

                       Considerato in diritto

    1.  -  Le  Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con quattro distinti
ricorsi,  hanno proposto questioni di legittimita' costituzionale, in
riferimento  agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' al
principio  di  leale  collaborazione,  di numerose disposizioni della
legge  27 dicembre  2002,  n. 289 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003),
del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 24 novembre
2003,  n. 326,  e  della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni
per  la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
legge finanziaria 2004).
    1.1. - In particolare, la Regione Umbria (r. ric. n. 22 del 2003)
ha  impugnato  l'art. 46,  commi 2  e 4, della legge n. 289 del 2002,
mentre  la  Regione  Emilia-Romagna  (r.  ric.  n. 25  del  2003)  ha
impugnato  lo  stesso  art. 46  nei commi 2, 3, 4, 5 e 6. Entrambe le
impugnazioni censurano le disposizioni concernenti il Fondo nazionale
per  le  politiche  sociali,  istituito dall'art. 59, comma 44, della
legge  27 dicembre  1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della
finanza  pubblica),  osservando  che  la materia trattata, rientrando
nell'ambito  della  competenza  residuale  delle  Regioni,  ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione, non potrebbe formare
oggetto di disciplina da parte della legge statale. Questa, pertanto,
avrebbe  invaso  sfere  di  competenza  riservate  dalla Costituzione
all'autonomia  regionale,  nonche'  violato,  secondo la sola Regione
Emilia-Romagna, anche l'art. 119 della Costituzione.
    1.2.  -  Inoltre,  la  Regione  Emilia-Romagna (r. ric. n. 13 del
2004)  ha impugnato le disposizioni dell'art. 21, comma 6 e parte del
comma 7,  del  decreto-legge  n. 269  del  2003,  la'  dove prevedono
l'incremento  del  Fondo  nazionale  per  le  politiche  sociali e la
relativa  copertura,  per  il finanziamento delle politiche in favore
delle  famiglie. Tali disposizioni vengono censurate sotto il profilo
della violazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni.
    1.3.  -  Infine,  la stessa Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 33
del   2004)  ha  impugnato  le  disposizioni  contenute  nell'art. 3,
commi 101,   116   e   117,  nonche'  quelle  contenute  nell'art. 4,
comma 159, della legge n. 350 del 2003, censurandole sotto il profilo
della  violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e del
principio   di   leale   collaborazione,   in  base  al  rilievo  che
illegittimamente  la  legge  dello  Stato  avrebbe  invaso  sfere  di
competenza  regionale  con  norme  disciplinanti la utilizzazione del
Fondo   in  questione,  anche  in  palese  violazione  dell'autonomia
finanziaria propria delle Regioni.
    Le  impugnazioni  di  cui  innanzi vengono trattate separatamente
rispetto  alle altre questioni proposte e, per ragioni di omogeneita'
di  materia,  devono  essere decise, previa riunione in parte qua dei
ricorsi, con la medesima sentenza.
    2.  -  Considerato  che  tutti gli atti di impugnazione, sia pure
sotto  diversi  angoli  prospettici,  censurano  l'attuale sistema di
disciplina  e finanziamento della spesa sociale e, in particolare, le
modalita' di «gestione» delle risorse finanziarie del Fondo nazionale
delle  politiche  sociali,  in  quanto ritenute lesive dell'autonomia
finanziaria   delle   Regioni,   e'  opportuno,  prima  di  procedere
all'analisi  specifica  delle  singole  censure,  richiamare  i nuovi
principi  fissati  dall'art. 119  della  Costituzione successivamente
alla   riforma  del  Titolo  V,  di  cui  alla  legge  costituzionale
18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche  al  titolo V della parte seconda
della  Costituzione),  nonche'  ripercorrere le linee fondamentali di
evoluzione   della   normativa   relativa   alla   istituzione  e  al
funzionamento del suddetto Fondo.
    3.  -  La  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  avuto  modo  di
riconoscere  in  piu'  occasioni (sentenze numeri 320, 49, 37, 16 del
2004  e  370  del  2003) che, sul piano finanziario, in base al nuovo
testo  dell'articolo 119,  le  Regioni  - come gli enti locali - sono
dotate di «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma)
e  godono  di  «risorse autonome» rappresentate da tributi ed entrate
propri, nonche' dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi
erariali  riferibile  al  proprio territorio (secondo comma). E per i
territori  con  minore capacita' fiscale per abitante, la legge dello
Stato istituisce un fondo perequativo «senza vincoli di destinazione»
(terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle
Regioni  ed  agli  altri  enti locali «di finanziare integralmente le
funzioni  pubbliche  loro attribuite» (quarto comma). Non di meno, al
fine   di   promuovere  lo  sviluppo  economico,  la  coesione  e  la
solidarieta' sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali,
di  favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti della persona o di
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni,
lo   Stato   puo'   destinare   «risorse  aggiuntive»  ed  effettuare
«interventi  speciali»  in  favore  «di determinati Comuni, Province,
Citta' metropolitane e Regioni» (quinto comma).
    3.1.  -  L'attuazione  di questo disegno costituzionale richiede,
pero',   «come  necessaria  premessa,  l'intervento  del  legislatore
statale,  il  quale,  al  fine  di coordinare l'insieme della finanza
pubblica,  dovra'  non  solo  fissare  i  principi  cui i legislatori
regionali  dovranno  attenersi,  ma anche determinare le grandi linee
dell'intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro
i quali potra' esplicarsi la potesta' impositiva, rispettivamente, di
Stato,  Regioni  ed  enti  locali»  (sentenza  n. 37 del 2004). Ed e'
evidente  come  cio'  presupponga  la  definizione  di una disciplina
transitoria  in grado di consentire l'ordinato passaggio dall'attuale
sistema  -  caratterizzato  dalla permanenza di una finanza regionale
ancora in non piccola parte «derivata», cioe' dipendente dal bilancio
statale, e da una disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con
limitate possibilita' delle Regioni e degli enti locali di effettuare
autonome  scelte  - ad un nuovo sistema (sentenze numeri 320 e 37 del
2004).
    3.2. - Tuttavia, deve ritenersi che l'art. 119 della Costituzione
ponga,  sin  da  ora,  precisi  limiti  al  legislatore statale nella
disciplina  delle modalita' di finanziamento delle funzioni spettanti
al sistema delle autonomie.
    Innanzitutto,  non  sono  consentiti finanziamenti a destinazione
vincolata,  in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge
regionale,  siano  esse  rientranti  nella competenza esclusiva delle
Regioni   ovvero   in  quella  concorrente,  pur  nel  rispetto,  per
quest'ultima,  dei  principi  fondamentali  fissati con legge statale
(sentenze  numeri  16  del  2004  e  370  del 2003). D'altronde, come
precisato  con  la sentenza n. 16 del 2004, ove non fossero osservati
tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe
di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello
Stato  nell'esercizio  delle  funzioni  delle  Regioni  e  degli enti
locali,  nonche'  di  sovrapposizione  di  politiche  e  di indirizzi
governati  centralmente  a quelli legittimamente decisi dalle Regioni
negli ambiti materiali di propria competenza.
    In   applicazione   dei  suindicati  principi,  questa  Corte  ha
dichiarato la illegittimita' costituzionale delle norme con le quali,
successivamente all'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3
del 2001, sono stati istituiti nuovi Fondi vincolati e in particolare
il  Fondo  nazionale  per  il sostegno alla progettazione delle opere
pubbliche  delle  Regioni  e  degli  enti  locali,  nonche'  il Fondo
nazionale  per la realizzazione di infrastrutture di interesse locale
(sentenza  n. 49  del  2004); il Fondo per la riqualificazione urbana
dei  comuni  (sentenza  n. 16  del 2004); il Fondo per gli asili nido
(sentenza n. 370 del 2003).
    La  Corte ha, inoltre, dichiarato l'illegittimita' costituzionale
-  per  violazione  del  riparto  delle  competenze  legislative,  ex
art. 117   della  Costituzione  -  del  Fondo  di  rotazione  per  il
finanziamento  dei  datori  di lavoro che realizzano servizi di asilo
nido  o  micro-nidi  (sentenza  n. 320  del  2004), nonche' del Fondo
finalizzato  alla  costituzione  di garanzie sul rimborso di prestiti
fiduciari  in  favore  degli  studenti  capaci e meritevoli (sentenza
n. 308 del 2004).
    3.3.  -  La  giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, chiarito
che  opera,  fino all'attuazione dell'art. 119 della Costituzione, un
ulteriore  limite  per  il  legislatore  statale,  rappresentato  dal
divieto   imposto  di  procedere  in  senso  inverso  a  quanto  oggi
prescritto  dall'art. 119  della  Costituzione, e cosi' di sopprimere
semplicemente,   senza  sostituirli,  gli  spazi  di  autonomia  gia'
riconosciuti  dalle leggi statali in vigore, alle Regioni e agli enti
locali,   o   di  procedere  a  configurare  un  sistema  finanziario
complessivo   che   contraddica  i  principi  del  medesimo  art. 119
(sentenze numeri 320, 241 e 37 del 2004).
    4.  -  Il  Fondo  per  le  politiche  sociali  e' stato istituito
dall'art. 59,  comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con lo
scopo,  fissato  dal  successivo  comma 45, in attesa dell'entrata in
vigore   della   legge   generale   di  riforma  dell'assistenza,  di
provvedere:  a) alla promozione di interventi per la realizzazione di
standard  essenziali  ed  uniformi di prestazioni sociali su tutto il
territorio   dello   Stato  concernenti  i  diritti  dell'infanzia  e
dell'adolescenza,  la  condizione  degli  anziani,  l'integrazione  e
l'autonomia  dei portatori di handicap, il sostegno alle famiglie, la
prevenzione  ed il trattamento delle tossicodipendenze, l'inserimento
e  l'integrazione  dei cittadini stranieri; b) al sostegno a progetti
sperimentali  attivati  dalle  Regioni  e  dagli enti locali; c) alla
promozione  di  azioni  concertate  ai livelli nazionale, regionale e
locale  per  la  realizzazione  di  interventi  finanziati  dal Fondo
sociale europeo; d) alla sperimentazione di misure di contrasto delle
poverta';  e)  alla  promozione  di  azioni  per  lo  sviluppo  delle
politiche  sociali  da  parte  di  enti,  associazioni  ed  organismi
operanti nell'ambito del volontariato e del terzo settore.
    Nella  sua  originaria configurazione, il Fondo era alimentato da
una  dotazione  generale  disposta  dalla  stessa  legge  istitutiva,
nonche'   dalla   confluenza  degli  stanziamenti  previsti  per  gli
interventi disciplinati da una serie di leggi di settore elencate dal
comma 46 dello stesso art. 59.
    Tali  risorse  venivano poi ripartite annualmente con decreto del
Ministro  per la solidarieta' sociale, sentiti i Ministri interessati
(art. 59,  comma 46),  ed  erano, in mancanza di una legge di sistema
sull'assistenza,  sostanzialmente  destinate al soddisfacimento delle
specifiche esigenze perseguite dalle singole leggi di settore.
    4.1.- La disciplina sin qui richiamata e' stata modificata, anche
al  fine  di  garantire  un coinvolgimento delle Regioni e degli enti
locali,  dall'art. 133  del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento  di  funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
Regioni  ed  agli  enti  locali, in attuazione del capo I della legge
15 marzo  1997,  n. 59),  il  quale  -  dopo aver denominato il Fondo
istituito  dalla  legge  n. 449  del  1997  «Fondo  nazionale  per le
politiche sociali» (comma 1) - ha stabilito che la ripartizione delle
risorse  debba avvenire «sentiti» non solo i Ministri interessati, ma
anche la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto
1997,  n. 281  (comma  4). Con la stessa disposizione si e', inoltre,
stabilito  che  le  risorse  affluenti  al  Fondo siano «destinate ad
interventi in materia di «servizi sociali», secondo la definizione di
cui  all'art. 128»  del  medesimo  decreto  legislativo e, dunque, in
generale  a  rimuovere  e  superare  le  situazioni  di  bisogno e di
difficolta'  che  la  persona umana incontra nel corso della sua vita
(art. 128, comma 2).
    4.2.  - Con la riforma organica della materia dei servizi sociali
attuata  con  la  legge  8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali),
il  sistema  di  finanziamento  delle  politiche  sociali  ha  subito
ulteriori  modifiche,  consistenti,  innanzitutto,  nella  previsione
della  regola  generale  secondo  cui  la  realizzazione  del sistema
integrato   di   interventi   e  servizi  sociali  si  avvale  di  un
finanziamento   plurimo   al  quale  concorrono,  secondo  competenze
differenziate  e  con  dotazioni  finanziarie afferenti ai rispettivi
bilanci, lo Stato, le Regioni e gli enti locali (art. 4, comma 1). Lo
Stato   concorre   al  suddetto  finanziamento  della  spesa  sociale
mediante,   appunto,   le   risorse   del  Fondo  nazionale,  il  cui
stanziamento  complessivo  e'  determinato a decorrere dall'anno 2002
«dalla  legge  finanziaria»  (art. 20,  comma 8), con possibilita' di
affluenza  al  Fondo stesso anche di «somme derivanti da contributi e
donazioni   eventualmente  disposti  da  privati,  enti,  fondazioni,
organizzazioni,   anche   internazionali,  da  organismi  dell'Unione
europea»  (art. 20,  comma 10).  Dette  risorse sono, in particolare,
assegnate  - per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di
politica  sociale  -  alle Regioni e agli enti locali (artt. 4 e 20),
nonche'  destinate  al  finanziamento  di  prestazioni  previdenziali
connesse   alla  erogazione  (tramite  l'Istituto  nazionale  per  la
previdenza  sociale  -  INPS) di assegni per l'invalidita' civile, la
cecita'   e  il  sordomutismo  e  ripartite  osservando  modalita'  e
procedure che dovranno essere determinate con regolamento governativo
da  emanarsi  ai  sensi  dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400 (art. 20, comma 5). La concreta ripartizione delle somme
dovra'  poi  avvenire  annualmente  con  decreto  del Ministro per la
solidarieta' sociale, sentiti i Ministri interessati, d'intesa con la
Conferenza  unificata  (art. 20,  comma 7),  sulla  base  delle linee
contenute  nel Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali
e  dei  parametri  - indicati dall'art. 18, comma 3, lettera n) della
stessa  legge  n. 328 del 2000 - «basati sulla struttura demografica,
sui  livelli  di  reddito  e  sulle  condizioni  occupazionali  della
popolazione».
    Le  linee  tracciate dal suddetto Piano nazionale - approvato per
il  triennio 2001-2003 con d.P.R. 3 maggio 2001 - sono consistite, in
relazione  alle  metodologie  di  allocazione  delle  risorse,  nella
indicazione  di  criteri  di riparto per «aree di intervento» e «aree
territoriali»  (parte  terza,  punti  3.1 e 3.2). La ripartizione per
«aree  di  intervento»  (es.  responsabilita'  familiari, diritti dei
minori,  ecc.) comporta una articolazione degli interventi stessi «in
base   ai   bisogni   da   soddisfare».  La  ripartizione  per  «aree
territoriali»  richiede,  invece, di avere riguardo alla «popolazione
destinataria  delle politiche sociali, di volta in volta definita con
riguardo    alle    caratteristiche    demografiche,   economiche   e
occupazionali  verosimilmente  correlate  al  fabbisogno  finanziario
delle singole realta' regionali (o locali)» (parte terza, punto 3.2).
    5.  -  Dalla  descrizione  delle  caratteristiche  che  connotano
l'attuale  struttura  e funzione del Fondo nazionale per le politiche
sociali  si desume che lo stesso non e' riconducibile a nessuno degli
strumenti   di   finanziamento  previsti  dal  nuovo  art. 119  della
Costituzione.  In  particolare, la «generalita» dei destinatari delle
risorse  -  essendo  le  stesse  ripartite, per quanto interessa, tra
«tutti»   gli  enti  regionali  -  nonche'  le  finalita'  perseguite
consistenti  nel finanziamento, tra l'altro, delle funzioni pubbliche
regionali,  determinano  una  deviazione  sia  dal  modello del Fondo
perequativo  da  istituire  senza  vincoli di destinazione - che deve
essere  indirizzato  ai  soli «territori con minore capacita' fiscale
per  abitante»  (art. 119,  terzo  comma)  -  sia  dalla  sfera degli
«interventi  speciali»  e  delle  «risorse  aggiuntive», che lo Stato
destina  esclusivamente  a  «determinate»  Regioni  (o  a determinati
Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane)  per finalita' enunciate
nella  norma costituzionale o comunque per «scopi diversi dal normale
esercizio  delle loro funzioni» (art. 119, comma quinto). Da cio' non
consegue,  pero',  come  ritenuto  dalla  Regione  Emilia-Romagna, la
soppressione  del  Fondo  nazionale  per  le  politiche  sociali, sia
perche'  lo  stesso e' destinato a finanziare anche funzioni statali,
sia  perche'  la  sua  perdurante  operativita'  per  gli  aspetti di
incidenza   sul   sistema  dell'autonomia  finanziaria  regionale  si
giustifica  in  via  transitoria,  nei limiti che saranno illustrati,
fino  all'attuazione  del nuovo modello delineato dall'art. 119 della
Costituzione.   Una  volta  attuato  tale  modello,  dovranno  essere
riformati  i  vigenti meccanismi di finanziamento della spesa sociale
attraverso  la  riconduzione  degli  interventi statali - al di fuori
ovviamente  dei  casi in cui gli stessi riguardino funzioni e compiti
dello  Stato  - ai soli strumenti consentiti dal nuovo art. 119 della
Costituzione.
    In  questa  fase  «transitoria»  -  e'  bene  ribadire - non sono
comunque  ammesse, per le ragioni gia' illustrate, nuove prescrizioni
che  incidano  in  senso  peggiorativo  sugli spazi di autonomia gia'
riconosciuti dalle leggi statali in vigore ovvero che contraddicano i
principi fissati dallo stesso art. 119.
    6.  -  Posta  questa  premessa di carattere generale, si puo' ora
passare  ad  analizzare nel dettaglio il contenuto delle disposizioni
impugnate e delle relative censure.
    7.  - Viene, innanzitutto, all'esame la questione di legittimita'
costituzionale,   sollevata   da   entrambe  le  Regioni  ricorrenti,
dell'art. 46,  commi 2,  3, 4, 5 e 6, della legge n. 289 del 2002 (la
Regione Umbria ha impugnato i soli commi 2 e 4).
    Il citato art. 46 - dopo aver stabilito al comma 1 (escluso dalla
contestazione)  che  il  Fondo  nazionale per le politiche sociali e'
determinato  tanto  dagli  stanziamenti  previsti  per gli interventi
disciplinati      dalle     disposizioni     legislative     indicate
dall'articolo 80, comma 17, della legge n. 388 del 2000, e successive
modificazioni,  quanto  da  quelli  contemplati  per  gli interventi,
comunque  finanziati  a  carico  del  Fondo medesimo, disciplinati da
altre  disposizioni  (precisando,  altresi',  che  detti stanziamenti
affluiscono al Fondo senza vincoli di destinazione) - ha disposto, al
comma 2,  che  il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e d'intesa con
la  Conferenza  unificata di cui all'articolo 8 del d.lgs. n. 281 del
1997,  provvede  annualmente,  con  propri decreti, alla ripartizione
delle   risorse  del  Fondo  di  cui  al  comma 1  per  le  finalita'
legislativamente  poste  a  carico  del  Fondo  medesimo, assicurando
prioritariamente   l'integrale  finanziamento  degli  interventi  che
costituiscono  diritti soggettivi e destinando almeno il 10 per cento
di  tali  risorse a sostegno delle politiche in favore delle famiglie
di nuova costituzione, in particolare per l'acquisto della prima casa
di abitazione e per il sostegno della natalita'.
    In  stretta  connessione  con  il  comma 2, il successivo comma 3
dispone  che  -  nei  limiti  delle  risorse ripartibili del Fondo in
questione,  tenendo  conto  di  quelle ordinarie destinate alla spesa
sociale  dalle  Regioni  e  dagli  enti  locali  e nel rispetto delle
compatibilita'  finanziarie  definite per l'intero sistema di finanza
pubblica  dal Documento di programmazione economico-finanziaria - con
decreto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro  del  lavoro  e  delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro  dell'economia  e  delle finanze, d'intesa con la Conferenza
unificata  di  cui  all'articolo 8  del  d.lgs. n. 281 del 1997, sono
determinati  i  livelli  essenziali delle prestazioni da garantire su
tutto il territorio nazionale.
    Il  comma 4  dispone,  a sua volta, che le modalita' di esercizio
del  monitoraggio,  della verifica e della valutazione dei costi, dei
rendimenti  e  dei risultati dei livelli essenziali delle prestazioni
di  cui  al comma 3 sono definite, secondo criteri di semplificazione
ed  efficacia,  con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17,
comma 2, della legge n. 400 del 1988, sentita la Conferenza unificata
di cui all'articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997.
    Il comma 5 prevede che, in caso di mancato utilizzo delle risorse
da   parte  degli  enti  destinatari  entro  il  30 giugno  dell'anno
successivo  a  quello  in  cui  sono state assegnate, il Ministro del
lavoro   e   delle   politiche   sociali  provvede  alla  revoca  dei
finanziamenti,  i  quali  sono versati all'entrata del bilancio dello
Stato per la successiva assegnazione al Fondo.
    Infine,  il  comma 6  dispone  che  per  far  fronte  alle  spese
derivanti  dalle  attivita'  statutarie della Federazione dei maestri
del  lavoro  d'Italia, consistenti nell'assistenza ai giovani al fine
di   facilitarne   l'inserimento   nel   mondo  del  lavoro  e  nella
collaborazione  volontaristica  con  gli  enti  preposti  alla difesa
civile,  alla  protezione  delle  opere d'arte, all'azione ecologica,
all'assistenza   ai   portatori  di  handicap  ed  agli  anziani  non
autosufficienti,  e'  conferito  alla  Federazione  medesima,  per il
triennio  2003-2005,  un  contributo annuo di 260.000 euro. Lo stesso
comma  dispone,  inoltre, che il relativo onere e' posto a carico del
Fondo   per   l'occupazione   di  cui  all'articolo 1,  comma 7,  del
decreto-legge  20 maggio  1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno
dell'occupazione),   convertito,   con   modificazioni,  dalla  legge
19 luglio 1993, n. 236.
    7.1.  -  In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile
la censura relativa al comma 4 dell'art. 46, impugnato da entrambe le
Regioni  ricorrenti,  per mancanza dei requisiti argomentativi minimi
che  l'atto  introduttivo  del giudizio sulle leggi in via principale
deve contenere (ex multis, sentenza n. 176 del 2004). Nei due ricorsi
manca,  infatti,  la prospettazione di specifiche censure che abbiano
ad  oggetto le disposizioni inserite nel comma stesso. Ne' rileva che
soltanto  nella  memoria  la  ricorrente Regione Umbria abbia, per la
prima   volta,  specificato  i  motivi  di  censura,  atteso  che  la
questione,  in  sede  di impugnazione di norme legislative statali ad
opera  delle Regioni, e viceversa, deve essere individuata sulla base
dell'atto introduttivo del giudizio di costituzionalita'.
    7.2.  - Vanno quindi esaminate le ulteriori censure formulate nei
confronti degli altri commi dell'articolo in esame.
    Con   riferimento   al   comma 2,  le  ricorrenti  lamentano  che
spetterebbe    soltanto    alle   Regioni   «assicurare   l'integrale
finanziamento  degli interventi che costituiscono diritti soggettivi»
e che risulterebbe privo di base costituzionale il vincolo del 10 per
cento delle risorse, rappresentato dalla destinazione - tra i diversi
obiettivi  di politica sociale possibili - al sostegno delle famiglie
di nuova costituzione, in particolare per l'acquisto della prima casa
di  abitazione  e per il sostegno alla natalita'. A nulla rileverebbe
poi che la ripartizione del Fondo tra i diversi usi dovrebbe avvenire
«d'intesa  con  la  Conferenza unificata», giacche' secondo l'attuale
assetto  costituzionale le scelte di politica sociale spetterebbero a
ciascuna  Regione  e  non  dovrebbero  essere  assunte  attraverso un
meccanismo  centralizzato,  sia  pure  comprendente la partecipazione
delle Regioni.
    7.3. - La questione e' parzialmente fondata.
    Innanzitutto, la previsione concernente l'integrale e prioritario
finanziamento  degli  interventi  relativi  a diritti soggettivi deve
interpretarsi  nel senso che la stessa si riferisca esclusivamente al
settore  delle  prestazioni  previdenziali  e,  dunque,  ad ambiti di
competenza  non  regionale,  in  quanto  riconducibili  alla  materia
«previdenza  sociale»  di  competenza  statale  ex  art. 117, secondo
comma, lettera o), della Costituzione.
    Pertanto,  in  relazione a questo specifico profilo, la questione
non e' fondata.
    7.3.1.  -  Deve,  invece, ritenersi fondata la questione relativa
alla  prevista  destinazione  di almeno il 10 per cento delle risorse
del  Fondo  «a  sostegno  delle politiche in favore delle famiglie di
nuova costituzione, in particolare per l'acquisto della prima casa di
abitazione  e per il sostegno alla natalita». Tale disposizione, come
emerge chiaramente dalla sua formulazione, pone un preciso vincolo di
destinazione  nell'utilizzo  delle  risorse da assegnare alle Regioni
secondo  le  modalita'  gia'  illustrate (punto 4.2). Cio' si pone in
contrasto  con  i criteri e limiti che presiedono all'attuale sistema
di  autonomia  finanziaria  regionale,  delineato  dal nuovo art. 119
della  Costituzione,  che  non  consentono finanziamenti di scopo per
finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza statale. Ne' puo'
essere  condivisa  la  tesi  difensiva dell'Avvocatura generale dello
Stato  secondo  cui  l'oggetto  della  disciplina sarebbe espressione
della  potesta'  statale  di  determinare,  ai  sensi  dell'art. 117,
secondo  comma, lettera m), della Costituzione, i «livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere   garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale»:  la  norma
censurata, infatti, non determina alcun livello di prestazione, ma si
limita  a  prevedere  somme  a  destinazione vincolata (cfr. sentenze
numeri 370, 88 del 2003 e 282 del 2002).
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 46,  comma 2,  limitatamente alle parole in esso contenute:
«destinando  almeno  il 10 per cento di tali risorse a sostegno delle
politiche   in  favore  delle  famiglie  di  nuova  costituzione,  in
particolare  per  l'acquisto  della prima casa di abitazione e per il
sostegno  alla  natalita». E quanto alla eventuale utilizzazione, che
potrebbe  essere  gia'  avvenuta,  ad  opera delle Regioni nei limiti
delle   somme   loro   assegnate  per  le  suddette  finalita',  essa
costituirebbe  comunque  l'espressione  di  una  scelta  di  politica
sociale del tutto legittima, sicche' non viene in rilievo un problema
di salvaguardia di effetti, in ipotesi, gia' prodottisi.
    7.4.  - La ricorrente Regione Emilia-Romagna censura, inoltre, il
comma 3  dello stesso art. 46, nella parte in cui non ha previsto che
la   «misura   complessiva»   del   Fondo   sia  determinata  con  il
coinvolgimento   delle   Regioni,   necessario  per  assicurare  «una
dimensione  che permetta un livello delle prestazioni adeguato, anche
se  non ottimale». Si contesta, in altri termini, che la quantita' di
risorse da destinare alla spesa sociale non sia stata «concordata tra
Stato e Regioni».
    La questione non e' fondata.
    Al  riguardo,  tenuto  anche  conto  della  tipologia  dei flussi
finanziari  destinati  a  confluire  nel  Fondo in questione, secondo
quanto  disposto  dall'art. 20  della  legge  n. 328  del  2000, deve
escludersi che nella fase di determinazione, ad opera del legislatore
nazionale,  dell'ammontare delle risorse da allocare nel Fondo stesso
per  il finanziamento della spesa sociale, sia configurabile - «nella
perdurante   assenza   di   una   trasformazione   delle  istituzioni
parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi» anche
solo   «nei  limiti  di  quanto  previsto  dall'art. 11  della  legge
costituzionale  18 ottobre  2001, n. 3» (sentenza n. 6 del 2004) - un
diretto   coinvolgimento  delle  Regioni.  Spetta,  infatti,  in  via
esclusiva  allo  Stato,  nell'esercizio  dei  poteri  di  regolazione
finanziaria,  stabilire  quanta  parte  delle  risorse  debba  essere
destinata  alla copertura della spesa sociale. Ne', d'altra parte, in
sede   di   predisposizione  e  di  approvazione  dell'annuale  legge
finanziaria  o di altri atti legislativi incidenti sulla formazione o
sull'assestamento  del  bilancio  dello  Stato,  e'  configurabile il
formale  coinvolgimento  delle  Regioni.  Tale  coinvolgimento  -  in
ossequio  al principio di leale collaborazione - deve, invece, essere
assicurato   nella   fase  di  concreta  ripartizione  delle  risorse
finanziarie  alle  Regioni,  anche  attraverso  l'intesa  in  sede di
Conferenza  unificata,  cosi'  come  previsto  dall'art. 20, comma 7,
della citata legge n. 328 del 2000.
    7.5.  -  Il  comma 5 dello stesso art. 46 e' censurato dalla sola
Regione  Emilia-Romagna,  nella  parte  in  cui  fissa un termine per
l'utilizzo  delle  risorse  da parte degli enti destinatari, ritenuto
eccessivamente   gravoso  per  le  Regioni  e  dunque  in  violazione
dell'autonomia finanziaria di esse.
    Detto  comma, come si e' sopra precisato, stabilisce che «in caso
di  mancato  utilizzo  delle  risorse da parte degli enti destinatari
entro  il  30 giugno  dell'anno successivo a quello in cui sono state
assegnate,  il Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede
alla  revoca  dei finanziamenti, i quali sono versati all'entrata del
bilancio  dello  Stato per la successiva assegnazione al Fondo di cui
al comma 1».
    La  ricorrente  lamenta  che  il  termine del 30 giugno dell'anno
successivo  a  quello  dell'assegnazione  delle  risorse  sia tale da
frustrare  la  programmazione  e la gestione dei fondi da parte delle
singole Regioni.
    La questione non e' fondata.
    Il  termine  in esame, scadente il 30 giugno dell'anno successivo
all'assegnazione  delle  risorse,  appare  congruo  per consentire le
attivita' programmatorie e gestionali delle Regioni e non si traduce,
pertanto, in una violazione dell'autonomia finanziaria di ciascuna di
esse.  Il  termine  risponde, tra l'altro, all'esigenza di assicurare
che  le  risorse non tempestivamente utilizzate siano rese nuovamente
disponibili per gli scopi che la normativa si propone di raggiungere.
    Nel   termine   predetto,  al  fine  di  evitare  la  revoca  dei
finanziamenti,  e' sufficiente che intervenga l'atto di impegno della
spesa,  sicche' e' a tale momento che deve essere riferito il mancato
utilizzo delle risorse.
    7.6.  - Il comma 6 dell'articolo 46 e' censurato dalla ricorrente
Regione Emilia-Romagna sotto il profilo della illegittima sottrazione
di   risorse,  comunque  destinate  ad  attivita'  assistenziali  che
sarebbero, per loro natura, di competenza regionale.
    Detto  comma  assegna  alla  Federazione  dei  maestri del lavoro
d'Italia  un  contributo  annuo  di  260.000  euro  per  il  triennio
2003-2005,  per  far  fronte  alle  spese  derivanti  dalle attivita'
statutarie   consistenti   nell'assistenza  ai  giovani  al  fine  di
facilitarne l'inserimento nel mondo del lavoro e nella collaborazione
volontaristica  con  gli  enti  preposti  alla  difesa  civile,  alla
protezione  delle  opere d'arte, all'azione ecologica, all'assistenza
ai portatori di handicap e agli anziani non autosufficienti.
    Per  il  relativo  onere  il  comma  in  questione dispone che si
provveda  a  carico  del  Fondo  per l'occupazione di cui all'art. 1,
comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148.
    Secondo la ricorrente, l'illegittimita' e' duplice, in quanto, da
un lato, anche la tutela del lavoro e' materia assegnata alle Regioni
dall'art. 117,   terzo  comma,  della  Costituzione  nei  limiti  dei
principi  della  legislazione  statale;  dall'altro,  cio' che conta,
prosegue  la ricorrente, e' che, «se il legislatore intende destinare
i  fondi  a  fini  assistenziali,  come  sono quelli in questione, la
relativa  gestione  non  puo'  che  seguire  le  regole  proprie  del
settore».
    La questione e' fondata.
    La Federazione dei maestri del lavoro d'Italia e' un ente privato
che, come emerge dallo stesso contenuto della disposizione censurata,
svolge  attivita'  incidente,  per  profili  diversi,  su  materie  e
funzioni  di  competenza  regionale.  Non e', pertanto, consentito al
legislatore  statale  dettare specifiche disposizioni con le quali si
conferiscono  a  tali enti contributi finanziari che possono incidere
su  politiche  pubbliche  regionali.  Questa  Corte ha, infatti, gia'
avuto  modo  di  affermare  che  «le funzioni attribuite alle Regioni
ricomprendono  pure  la  possibilita'  di  erogazione  di  contributi
finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di
competenza  regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella
determinazione  di  incentivi  economici  ai  diversi soggetti che vi
operano  e  nella disciplina delle modalita' per loro erogazione». Il
tipo  di  ripartizione  delle  materie  fra  Stato  e  Regioni di cui
all'art. 117  Cost., «vieta comunque che in una materia di competenza
legislativa  regionale,  in  linea  generale, si prevedano interventi
finanziari  statali seppur destinati a soggetti privati, poiche' cio'
equivarrebbe   a   riconoscere  allo  Stato  potesta'  legislative  e
amministrative  sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle
rispettive competenze» (sentenza n. 320 del 2004).
    8.  -  Con il ricorso n. 33 del 2004 la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato,  tra  le  altre  disposizioni della legge n. 350 del 2003,
l'art. 3,  comma 101, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione.
    Il  predetto  comma 101  dispone  che  «nei  limiti delle risorse
preordinate  allo  scopo  dal  Ministro  del lavoro e delle politiche
sociali  nell'ambito  del Fondo nazionale per le politiche sociali di
cui  all'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449,
e successive modificazioni, e detratte una quota fino a 20 milioni di
euro  per  l'anno 2004 e fino a 40 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2005  e  2006  da  destinare  all'ulteriore  finanziamento delle
finalita'  previste dall'articolo 2, comma 7, della legge 27 dicembre
2002,  n. 289,  nonche'  una quota di 15 milioni di euro per ciascuno
degli   anni 2004,   2005   e  2006  da  destinare  al  potenziamento
dell'attivita'   di  ricerca  scientifica  e  tecnologica,  lo  Stato
concorre  al  finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito
di  ultima  istanza  quale  strumento di accompagnamento economico ai
programmi  di  reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a
rischio   di  esclusione  sociale  ed  i  cui  componenti  non  siano
beneficiari  di  ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di
lavoro».
    La  ricorrente  censura  la  citata  disposizione  sotto  diversi
profili.
    Innanzi  tutto, essa lamenta che, in violazione dell'articolo 119
della  Costituzione e del principio di leale collaborazione, lo Stato
disponga  unilateralmente  del  Fondo,  scorporando  alcuni  cospicui
finanziamenti,  con  conseguente  riduzione delle risorse disponibili
per le Regioni.
    In secondo luogo, la disposizione censurata, con il richiamo alle
finalita' previste dell'art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002,
distoglie  dal  Fondo  per  le  politiche  sociali  uno  stanziamento
cospicuo (20 milioni di euro per il 2004, fino al doppio per ciascuno
dei  due  anni  successivi)  per  aumentare  consistentemente  quello
stanziamento  entro  il  quale  possono  essere  concessi  contributi
finalizzati  alla  riduzione  degli  oneri  effettivamente  rimasti a
carico  per  l'attivita'  educativa  di altri componenti del medesimo
nucleo  familiare  presso  scuole  paritarie.  In  tal modo, la norma
impugnata  riduce  l'entita'  delle  risorse  suscettibili  di essere
trasferite  alle  Regioni  per  sostenere, invece, interventi diretti
dello  Stato  in  una materia che e' in parte di competenza residuale
delle Regioni («diritto allo studio»), salva la definizione con legge
dello   Stato   di  «livelli  essenziali»,  in  parte  di  competenza
concorrente  («istruzione»).  Di  qui  la  dedotta  violazione  degli
artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
    In  terzo luogo, la norma impugnata, a giudizio della ricorrente,
e' incostituzionale, in quanto distoglie dal Fondo 15 milioni di euro
per   ciascuno  degli  anni 2004-2006  per  interventi  genericamente
destinati  al  «potenziamento dell'attivita' di ricerca scientifica e
tecnologica»,  materia  rientrante  nella  competenza concorrente, in
relazione  alla  quale  non sono ammissibili misure unilaterali dello
Stato.
    Infine,   la  norma  stessa,  intervenendo  nella  materia  delle
politiche  sociali  di  competenza  residuale  delle  Regioni e fuori
dall'ipotesi   di   determinazione   dei   livelli  essenziali  delle
prestazioni,  introduce  il «reddito di ultima istanza», destinato ai
nuclei  familiari  a  rischio  di esclusione sociale e privi di altri
ammortizzatori sociali, sostituendo le precedenti misure sperimentali
previste dal Fondo per il reddito minimo di inserimento. In tal modo,
la norma in questione violerebbe le attribuzioni costituzionali delle
Regioni  in  materia finanziaria e si porrebbe in contrasto anche con
il  principio  di  leale  collaborazione.  Il  vulnus  alla autonomia
finanziaria  regionale sarebbe attuato, secondo la ricorrente, per il
tramite  di  finanziamenti speciali, in materie di stretta competenza
delle Regioni, vincolati a specifiche destinazioni.
    8.1. - Le questioni sono parzialmente fondate.
    Innanzitutto,   la   ricorrente   lamenta   che,   in  violazione
dell'art. 119   della   Costituzione   e   del   principio  di  leale
collaborazione,   lo   Stato   disponga  unilateralmente  del  Fondo,
scorporando  alcuni cospicui finanziamenti, con conseguente riduzione
delle risorse disponibili per le Regioni.
    Per  quanto  attiene  alla  lamentata  «gestione» unilaterale del
Fondo   si   e'  gia'  sottolineato  (punto  7.4)  che  cio'  rientra
nell'ambito della competenza legislativa dello Stato.
    Allo  stesso  modo,  non  e'  fondata  la  questione  con  cui la
ricorrente   fa   valere  la  violazione  dell'autonomia  finanziaria
regionale  derivante dallo «scorporo» dal Fondo - che «di conseguenza
viene   corrispondentemente   ridotto»   -  di  somme  «genericamente
riferibili alle politiche sociali».
    Nulla vieta, infatti, che lo Stato nella stessa legge finanziaria
moduli  gli stanziamenti attraverso una pluralita' di disposizioni in
cui   l'una  integri  l'altra,  senza  con  cio'  incidere  in  senso
peggiorativo   sull'autonomia   finanziaria   delle   Regioni,  quale
disciplinata    in   attesa   dell'attuazione   dell'art. 119   della
Costituzione (sentenze numeri 320 e 37 del 2004).
    8.2. - Chiarito cio', occorre verificare se le previste modalita'
di  ridistribuzione  delle  risorse  stesse  a seguito della disposta
«rimodulazione»  concretizzi  egualmente  una  lesione  dell'art. 119
della Costituzione.
    Sotto  questo  profilo viene in rilievo, innanzitutto, la censura
con  la  quale  la  ricorrente lamenta che la «destinazione» di somme
pari «a 20 milioni di euro per l'anno 2004» e «40 milioni di euro per
ciascuno  degli  anni 2005  e  2006» per l'attribuzione «alle persone
fisiche  di  un  contributo,  finalizzato  alla riduzione degli oneri
effettivamente  rimasti  a  carico per l'attivita' educativa di altri
componenti  del  medesimo  nucleo  familiare presso scuole paritarie»
(art. 2,  comma 7, della legge n. 289 del 2002), incidendo su materie
di  competenza  delle Regioni, si porrebbe in contrasto con l'attuale
sistema  di riparto di competenze legislative e amministrative di cui
agli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' con il nuovo sistema
della finanza regionale.
    La questione e' fondata.
    Deve,  innanzitutto,  precisarsi  che la disposizione impugnata -
essendo  relativa a contributi per la iscrizione a scuole paritarie -
incide  sulla  materia  dell' «istruzione» attribuita alla competenza
legislativa  concorrente (art. 117, terzo comma, della Costituzione).
Gia'   prima   della   riforma  del  Titolo  V  l'art. 138,  comma 1,
lettera e),  del  decreto legislativo n. 112 del 1998 aveva conferito
alle Regioni le funzioni amministrative relative a «i contributi alle
scuole non statali», nel cui ambito devono essere ricomprese anche le
scuole  paritarie  (sentenza  n. 177  del  2004).  Di  talche' appare
«implausibile   che   il   legislatore  costituzionale  abbia  voluto
spogliare  le  Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita
nella  forma  della  competenza  delegata  dall'art. 138  del decreto
legislativo  n. 112  del 1998» (sentenza n. 13 del 2004). Vertendosi,
dunque,  in  ambiti  in  cui  le  funzioni in esame non spettano allo
Stato,   deve   ribadirsi   che   non   sono   ammessi  finanziamenti
caratterizzati  da  vincoli di destinazione. Da qui la illegittimita'
costituzionale  dell'art. 3, comma 101, nella parte in cui prevede la
erogazione  delle  somme  ivi  indicate  per  le  finalita'  previste
dall'art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002.
    La particolare rilevanza della misura in questione - che richiede
continuita'  di  erogazione,  in  relazione ai diritti costituzionali
implicati  - giustifica «che restino salvi gli eventuali procedimenti
di spesa in corso, anche se non esauriti» (sentenza n. 370 del 2003).
    8.2.1.  -  Per  quanto concerne, invece, lo stanziamento previsto
dal  comma 101  in  esame  per  interventi destinati al potenziamento
dell'attivita'  di  ricerca  scientifica  e  tecnologica, la relativa
questione    sara'   esaminata   in   prosieguo,   per   connessione,
congiuntamente  a  quella relativa all'art. 4, comma 159, della legge
n. 350  del  2003,  sollevata  dalla  Regione  Emilia-Romagna  con il
ricorso n. 33 del 2004.
    8.3. - E', altresi', fondata la censura relativa alla previsione,
contenuta  nello  stesso  comma 101  dell'art. 3,  con  cui  e' stato
disposto  un  intervento  finanziario  a  favore delle Regioni che si
determinino   ad  istituire  il  reddito  di  ultima  istanza,  quale
strumento  di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento
sociale  destinato  ai  nuclei  familiari  a  rischio  di  esclusione
sociale.
    Il  «reddito  di  ultima  istanza» cui fa riferimento la norma in
esame - essendo destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione
sociale e dunque a favore di soggetti che si trovano in situazione di
estremo  bisogno - costituisce una misura assistenziale riconducibile
alla  materia  «servizi  sociali»  (cfr. sentenza n. 287 del 2004) di
competenza   legislativa   delle  Regioni.  Ne'  puo'  ritenersi  che
l'oggetto della disciplina in esame attenga alla potesta' legislativa
esclusiva  statale  di  «determinazione  dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale» ex art. 117, secondo
comma,  lettera m), della Costituzione. Cio' in quanto, a prescindere
dal rispetto delle procedure di determinazione e di finanziamento dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni,  il legislatore non ha posto
«norme  necessarie  per  assicurare  a  tutti, sull'intero territorio
nazionale,  il  godimento di prestazioni garantite [...] senza che la
legislazione  regionale  possa  limitarle  o condizionarle» (sentenza
n. 282  del  2002),  ma,  al  contrario,  ha  rimesso  all'iniziativa
legislativa delle singole Regioni l'istituzione della misura in esame
ponendo  talune condizioni di accesso alla prestazione che le Regioni
stesse dovrebbero osservare nel disciplinare l'istituto.
    Trattandosi,  pertanto,  di  norma  dettata  in  ambiti in cui le
funzioni    sono    di    spettanza    regionale,    deve   ritenersi
costituzionalmente  illegittima, per violazione degli artt. 117 e 119
della  Costituzione,  la  previsione  di un cofinanziamento vincolato
alla specifica finalita' di erogare la misura assistenziale in esame.
    9.  -  Con il ricorso n. 13 del 2004 la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato  l'art. 21,  commi 6 e in parte 7, del decreto-legge n. 269
del 2003, la' dove ha previsto per l'anno 2004 l'incremento del Fondo
nazionale  per  le politiche sociali, in misura pari a 232 milioni di
euro,  per  il finanziamento delle politiche in favore delle famiglie
(comma  6)  e i mezzi di copertura della relativa spesa (comma 7). La
ricorrente,  richiamando la sentenza di questa Corte n. 370 del 2003,
assume  che  tali disposizioni si pongono in contrasto con l'art. 119
della Costituzione, in quanto le funzioni regionali dovrebbero essere
integralmente  finanziate  tramite i proventi delle entrate proprie e
la  compartecipazione  al  gettito  dei tributi erariali, nonche' con
quote del fondo perequativo senza vincoli di destinazione.
    La questione e' parzialmente fondata.
    La  norma  non contrasta con il parametro costituzionale invocato
dalla  ricorrente,  nella  parte  in  cui  si  limita  a  disporre un
«incremento  del  Fondo  di  232 milioni di euro per l'anno 2004» e a
prevedere  la  relativa copertura di spesa, in quanto tale previsione
non incide in alcun modo sull'autonomia finanziaria delle Regioni.
    Deve,   invece,   ritenersi   costituzionalmente  illegittima  la
previsione di una finalita' specificamente vincolata di impiego delle
somme cosi' stanziate.
    Va,    pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 21, comma 6, limitatamente all'inciso «per il finanziamento
delle politiche in favore della famiglie».
    10. - Con il ricorso n. 33 del 2004, la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato  anche  l'art. 3,  commi 116  e 117, della legge n. 350 del
2003  che  ha integrato quanto previsto dal citato art. 21, commi 6 e
7, disponendo (comma 116) che «l'incremento della dotazione del Fondo
nazionale  per  le  politiche  sociali  di cui all'art. 59, comma 44,
della  legge  27 dicembre  1997,  n. 449,  disposta  per  l'anno 2004
dall'art. 21,  comma 6,  del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,
come  modificato  dalla  presente  legge,  deve essere utilizzato nel
medesimo  anno 2004  per  le  seguenti finalita': a) politiche per la
famiglia  ed  in  particolare  per anziani e disabili, per un importo
pari   a   70   milioni  di  euro;  b)  abbattimento  delle  barriere
architettoniche  di  cui  alla  legge  9 gennaio  1989, n. 13, per un
importo  pari  a  20  milioni  di euro; c) servizi per l'integrazione
scolastica  degli alunni portatori di handicap, per un importo pari a
40  milioni  di  euro;  d)  servizi  per  la  prima infanzia e scuole
dell'infanzia, per un importo pari a 67 milioni di euro».
    Inoltre,  il  successivo comma 117 dispone che «gli interventi di
cui  alle  lettere c)  e  d) del comma 116, limitatamente alle scuole
dell'infanzia,  devono essere adottati previo accordo tra i Ministeri
dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca  e del lavoro e
delle politiche sociali e le Regioni».
    La questione e' fondata.
    La  previsione  degli  interventi  di  cui all'art. 3, comma 116,
della  legge  n. 350  del  2003  -  non costituendo determinazione di
«livelli essenziali delle prestazioni» cui fa riferimento l'art. 117,
secondo  comma,  lettera m), della Costituzione - viola le competenze
regionali concernenti i «servizi sociali» e l'«istruzione».
    Siffatte  disposizioni  -  stabilendo  con  quali finalita' debba
essere  utilizzato  l'incremento  del  Fondo disposto per l'anno 2004
dall'art. 21, commi 6 e 7, del citato decreto-legge n. 269 del 2003 -
pongono  precisi vincoli di destinazione delle risorse nelle suddette
materie,  con  palese  violazione dell'autonomia finanziaria di spesa
delle  Regioni  e  non  sono,  dunque,  conformi  al nuovo modello di
finanza  regionale  delineato dall'art. 119 della Costituzione; deve,
pertanto,    essere    dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350 del 2003.
    Il venir meno del vincolo di scopo comporta che le suddette somme
dovranno  confluire  nei  bilanci regionali in maniera «indistinta» e
potranno,  pertanto,  essere  impiegate  dalle Regioni stesse secondo
autonome scelte di politica sociale.
    11.   -  Infine,  con  il  ricorso  n. 33  del  2004  la  Regione
Emilia-Romagna  ha  impugnato l'art. 4, comma 159, della legge n. 350
del 2003.
    La  questione  deve  essere  esaminata  congiuntamente  a  quella
relativa  all'art. 3,  comma 101,  della  medesima legge, nella parte
concernente  il  finanziamento  con  15  milioni di euro per ciascuno
degli   anni 2004,   2005   e  2006  da  destinare  al  potenziamento
dell'attivita' di ricerca scientifica e tecnologica.
    Il  citato  comma 159 prevede l'erogazione di contributi in conto
capitale  «per il sostegno e l'ulteriore potenziamento dell'attivita'
di  ricerca  scientifica  e tecnologica», rinviando la determinazione
delle misure dei contributi, della tipologia degli interventi ammessi
e  dei  destinatari  ad  un  decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri.
    L'art. 3,  comma 101,  fornisce  in parte copertura alla suddetta
spesa  attraverso,  come  si  e'  detto,  il  prelievo delle relative
risorse dal Fondo nazionale per le politiche sociali.
    Entrambe le disposizioni vengono censurate dalla ricorrente sotto
il  profilo  della violazione dell'autonomia finanziaria regionale in
correlazione  con la competenza legislativa concorrente nella materia
della  «ricerca scientifica e tecnologica» cui fa riferimento, in uno
con   il   «sostegno   all'innovazione  per  i  settori  produttivi»,
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
    11.1.  -  Le  questioni  non  sono fondate nei termini di seguito
precisati.
    Per  quanto  attiene  alla  censura  di violazione dell'autonomia
finanziaria  delle  Regioni  per  la  disposta  sottrazione  di somme
stanziate  nel  Fondo  nazionale per le politiche sociali, valgono le
considerazioni  gia'  svolte  in  ordine alla legittimita' della mera
«rimodulazione»  delle  risorse  nell'ambito  di  uno stesso contesto
legislativo.
    Relativamente, invece, alla finalizzazione delle suddette risorse
per  il finanziamento della ricerca scientifica appare necessario, ai
fini  dello  scrutinio  di  costituzionalita'  delle norme impugnate,
valutare,  in via preliminare, quale sia l'attuale configurazione del
riparto  di  competenze  tra  Stato  e  Regioni in materia di ricerca
scientifica.
    A  tal proposito, e' necessario ricordare che prima della riforma
del Titolo V della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 3
del  2001,  l'art. 117  non  assegnava  esplicitamente nel settore in
esame  alcun ruolo alle Regioni. La stessa legge 15 marzo 1997, n. 59
aveva escluso - art. 1, comma 3, lettera p) - dal conferimento di una
serie  di  funzioni  e compiti alle Regioni e agli Enti locali quelli
relativi  alla  ricerca  scientifica; il decreto legislativo 31 marzo
1998,  n. 112 aveva poi confermato il mantenimento in capo allo Stato
di   dette  funzioni,  tra  le  quali  la  «cooperazione  scientifica
internazionale».   Uno   spazio   autonomo  di  intervento  e'  stato
riconosciuto   alle   Regioni  soltanto  nel  settore  della  ricerca
applicata,  dall'art. 1  della  legge  16 giugno 1998, n. 191, che ha
modificato l'art. 1, comma 6, della legge n. 59 del 1997.
    In  presenza del descritto riparto di competenze nella materia in
questione,   questa   Corte   ha  chiarito,  in  una  prospettiva  di
valorizzazione  del  ruolo regionale, che «la ricerca scientifica non
ha,  di  per  se',  limiti  territoriali,  ma  tuttavia essa presenta
indubbio  interesse  regionale  in  tutte  quelle  ipotesi  in cui la
Regione avverte la necessita' di dotarsi di mezzi tecnico-scientifici
e   di   avvalersi   di  attivita'  conoscitive  -  sia  organizzando
direttamente   le   attivita'   di  ricerca,  sia  promuovendo  studi
finalizzati  - allo scopo specifico di un migliore espletamento delle
funzioni  regionali»  (sentenza  n. 569 del 2000; cfr. anche sentenza
n. 134 del 1997).
    Il legislatore costituzionale, riscrivendo il testo dell'art. 117
Cost.,  ha incluso la ricerca scientifica tra le materie appartenenti
alla competenza concorrente.
    La  ricerca  scientifica  deve  essere  considerata  non solo una
«materia»,  ma anche un «valore» costituzionalmente protetto (artt. 9
e  33  della  Costituzione),  in  quanto  tale in grado di rilevare a
prescindere  da  ambiti  di competenze rigorosamente delimitati (cfr.
sentenze numeri 259 del 2004 e 407 del 2002).
    Premesso  cio', si deve ritenere, innanzitutto, che un intervento
«autonomo»  statale e' ammissibile in relazione alla disciplina delle
«istituzioni  di  alta cultura, universita' ed accademie», che «hanno
il  diritto  di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle
leggi  dello  Stato»  (art. 33,  sesto comma, Cost.). Detta norma ha,
infatti, previsto una «riserva di legge» statale (sentenza n. 383 del
1998),   che   ricomprende   in   se'  anche  quei  profili  relativi
all'attivita'  di  ricerca scientifica che si svolge, in particolare,
presso le strutture universitarie (art. 63 del d.P.R. 11 luglio 1980,
n. 382,  recante «Riordinamento della docenza universitaria, relativa
fascia   di   formazione   nonche'  sperimentazione  organizzativa  e
didattica»).
    Al  di  fuori  di  questo  ambito lo Stato conserva, inoltre, una
propria  competenza  in relazione ad attivita' di ricerca scientifica
strumentale  e intimamente connessa a funzioni statali, allo scopo di
assicurarne  un  migliore espletamento, sia organizzando direttamente
le  attivita'  di  ricerca  sia  promuovendo  studi finalizzati (cfr.
sentenza n. 569 del 2000).
    Infine,  e' bene precisare che il legislatore statale puo' sempre
nei casi in cui, al di fuori degli ambiti sopra indicati, sussista la
potesta'  legislativa  concorrente nella «materia» in esame, non solo
ovviamente  fissare  i principi fondamentali, ma anche attribuire con
legge  funzioni  amministrative  a  livello centrale, per esigenze di
carattere  unitario,  e  regolarne  al tempo stesso l'esercizio - nel
rispetto   dei   principi   di  sussidiarieta',  differenziazione  ed
adeguatezza  - mediante una disciplina che sia logicamente pertinente
e  che  risulti  limitata a quanto strettamente indispensabile a tali
fini (sentenze numeri 6 del 2004 e 303 del 2003).
    Alla  luce  delle  osservazioni  che  precedono  le  disposizioni
censurate  devono  essere  interpretate nel senso che le stesse siano
finalizzate  a  sostenere e potenziare esclusivamente quell'attivita'
di  ricerca scientifica in relazione alla quale e' configurabile, nei
limiti indicati, un autonomo titolo di legittimazione del legislatore
statale.  Da cio' consegue che tali disposizioni, cosi' interpretate,
non determinino alcun vulnus a competenze regionali.