ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
18 ottobre    2001   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse dall'on. Silvio Berlusconi nei confronti del dott. Giancarlo
Caselli ed altri, promosso dalla Corte di appello di Milano - sezione
quinta  penale,  con ricorso depositato il 25 luglio 2002 ed iscritto
al n. 227 del registro ammissibilita' conflitti.
    Udito  nella  camera di consiglio del 17 novembre 2004 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti.
    Ritenuto  che  la  Corte  di  appello  di  Milano, sezione quinta
penale,  con  ricorso del 8 - 16 luglio 2002, depositato il 25 luglio
2002,  ha  sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei  confronti  della  Camera dei deputati in relazione alla delibera
adottata  nella  seduta  del  18 ottobre  2001, con la quale e' stato
dichiarato che i fatti per i quali e' in corso il procedimento penale
devono  ritenersi  insindacabili, ai sensi dell'art. 68, primo comma,
della Costituzione;
        che  la  ricorrente  premette  che,  in data 9 giugno 1999, i
magistrati Giancarlo Caselli, Guido Lo Forte, Domenico Gozzo, Antonio
Ingroia,  Mauro  Terranova,  Lia  Sava  ed Umberto Giglio proponevano
querela  nei  confronti  del  deputato  Silvio Berlusconi, nonche' di
Gianna   Fregonara  e  Ferruccio  De  Bortoli  -  questi  due  ultimi
giornalisti - per le dichiarazioni asseritamente diffamatorie rese in
loro   danno  da  detto  deputato  e  pubblicate  in  una  intervista
rilasciata ad un quotidiano;
        che, in linea preliminare, la Corte milanese espone che per i
fatti oggetto della querela, e per il reato di diffamazione aggravata
a  mezzo  stampa, il Pubblico ministero presso il Tribunale di Milano
aveva   chiesto  il  rinvio  a  giudizio  dei  tre  indagati  e  che,
successivamente,  lo stesso giorno in cui era stata fissata l'udienza
preliminare,  perveniva  la  nota  del  Presidente  della  Camera dei
deputati,  con  la  quale  si  informava il Giudice procedente che il
giorno  precedente  l'Assemblea  aveva  deliberato  che i fatti per i
quali  era  in  corso  il  procedimento  penale concernevano opinioni
espresse dal deputato Silvio Berlusconi nell'esercizio delle funzioni
parlamentari  ed  erano,  come  tali, insindacabili ex art. 68, primo
comma, della Costituzione;
        che   il  Giudice  per  l'udienza  preliminare,  su  conforme
richiesta  del pubblico ministero e sulle contrarie conclusioni delle
parti civili, con sentenza del 17 gennaio 2002 dichiarava non doversi
procedere  nei  confronti del deputato Silvio Berlusconi in ordine al
reato   ascrittogli,   ritenendo   sussistente  l'esimente  personale
dell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari; dichiarava inoltre non
doversi  procedere  nei  confronti di Gianna Fregonara e Ferruccio De
Bortoli  in  ordine  ai  reati  loro  ascritti,  perche' il fatto non
sussiste;
        che  la  Corte  di appello precisa che il pubblico ministero,
andando  in  contrario avviso alle conclusioni del pubblico ministero
d'udienza,  proponeva  appello,  chiedendo  che  la  Corte sollevasse
conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati;
        che,   ad   avviso  della  ricorrente,  la  proposizione  del
conflitto  ha  carattere  pregiudiziale,  in quanto la delibera della
Camera   dei  deputati  «oltre  a  configurare  un'ipotesi  di  causa
soggettiva  di  esclusione  della  punibilita'  (...) rappresenta, in
primis,  una condizione di improcedibilita', tale da precludere anche
l'eventuale applicazione dell'art. 129, primo comma, c.p.p.»;
        che,  secondo  la  Corte  milanese, la Camera dei deputati ha
ritenuto  l'insindacabilita'  delle  opinioni per cui e' processo, in
quanto riconducibili al ruolo svolto all'epoca dei fatti dal deputato
Silvio    Berlusconi,    quale   capo dell'opposizione   politica   e
parlamentare,  veste  in  cui egli avrebbe «denunciato quello che gli
appariva   come   un   oggettivo   squilibrio   nell'esercizio  della
giurisdizione,  in  ragione del quale, mentre alla sua parte politica
venivano  dedicate  peculiari attenzioni investigative, gli esponenti
della parte politica allora in maggioranza, ne sembravano indenni»;
        che,   ad   avviso   della   ricorrente,   questa   attivita'
configurerebbe  pero' un'attivita' politica in riferimento alla quale
non  sarebbe  identificabile il "nesso di funzione" che e' necessario
sussista   per  l'applicabilita'  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione, identificabile, per le dichiarazioni rese extra moenia,
ovvero  non  nello  svolgimento  degli  atti  tipici  della  funzione
parlamentare,    solo   qualora   esse   «risultino   sostanzialmente
riproduttive di una opinione espressa in sede parlamentare»;
        che  invece  non  vi  sarebbe  coincidenza  tra  il dibattito
parlamentare e «le specifiche accuse mosse» ai magistrati di Palermo,
«anche  se accompagnate da spunti polemici sulla gestione dei pentiti
e  da  altre  considerazioni  di  stampo politico sulla "crisi" della
giustizia»;
        che,  in  conclusione, la Corte di appello di Milano sostiene
che  la  delibera  in  esame  sarebbe  «illegittima  ed ingiustamente
menomativa  dell'esercizio della Giurisdizione» e, percio', ne chiede
«l'annullamento»;
        che,  peraltro,  la delibera della quale la ricorrente chiede
l'annullamento non e' stata prodotta ed e' stata acquisita dal volume
degli atti della Camera dei deputati.
    Considerato  che,  in  questa fase, la Corte e' chiamata, a norma
dell'articolo 37,  terzo  e  quarto comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  a  delibare  esclusivamente  se  il  ricorso sia ammissibile,
valutando,  senza  contraddittorio  tra  le  parti,  se  sussistano i
requisiti  soggettivo e oggettivo di un conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato;
        che,   sotto   il  profilo  soggettivo,  va  riconosciuta  la
legittimazione  della  Corte  di  appello  di  Milano, sezione quinta
penale,  a  sollevare conflitto, in quanto organo giurisdizionale, in
posizione  di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a
dichiarare  definitivamente, per il procedimento di cui e' investita,
la volonta' del potere cui appartiene;
        che la Camera dei deputati e' parimenti legittimata ad essere
parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare in
modo  definitivo  la  volonta'  del  potere  cui  inerisce, in ordine
all'applicabilita'  ai  propri  componenti dell'art. 68, primo comma,
della Costituzione;
        che,  sotto  il  profilo  oggettivo,  sussiste la materia del
conflitto,  poiche' la Corte di appello denuncia che la propria sfera
di   attribuzioni,   costituzionalmente   garantita,   sarebbe  stata
illegittimamente  menomata  dalla  citata  delibera  della Camera dei
deputati;
        che,   infine,  dal  ricorso  si  rilevano  le  «ragioni  del
conflitto»  e  «le norme costituzionali che regolano la materia» come
stabilito  dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale;
        che,  pertanto,  esiste  la  materia  di  un conflitto la cui
risoluzione    spetta   alla   competenza   della   Corte,   restando
impregiudicata  ogni  ulteriore decisione definitiva, anche in ordine
all'ammissibilita' del ricorso.