ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di ammissibilita' del conflitto tra i poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 26 maggio 2004 relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione, delle opinioni espresse dall'on. Giancarlo Cito nei confronti del signor Giovanni Liviano D'Arcangelo, promosso dal Tribunale di Taranto - sezione II penale, con il ricorso depositato il 16 giugno 2004 ed iscritto al n. 266 del registro ammissibilita' conflitti. Udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2004 il giudice relatore Alfonso Quaranta. Ritenuto che il Tribunale di Taranto in composizione monocratica - sezione II penale, ha promosso, con ricorso del 16 giugno 2004, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, per l'annullamento della deliberazione (doc. IV-quater, n. 105) adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 26 maggio 2004; che il ricorrente premette di essere investito del giudizio sulla responsabilita' penale dell'on. Giancarlo Cito, chiamato a «rispondere dei delitti di ingiuria e minaccia», in ragione di alcune espressioni intimidatorie ed offensive che lo stesso avrebbe pronunciato, a carico di Giovanni Liviano D'Arcangelo, intervenendo telefonicamente nel corso della trasmissione televisiva "Polifemo", diffusa dall'emittente locale tarantina "Blustar"; che - prosegue il Tribunale di Taranto - con la gia' menzionata delibera del 26 maggio 2004, la Camera dei deputati, «a seguito di apposita richiesta avanzata direttamente e personalmente dall'imputato», a norma dell'art. 3, comma 7, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), «ha ritenuto di approvare la proposta della Giunta per le autorizzazioni», cosi' dichiarando «che i fatti per i quali e' in corso il procedimento "concernono opinioni espresse dall'onorevole Giancarlo Cito nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione"»; che - secondo il Tribunale di Taranto - le dichiarazioni espresse nel caso di specie dal deputato Cito sarebbero «completamente slegate dall'esercizio delle funzioni parlamentari», non potendo pertanto ritenersi «coperte dalla garanzia di immunita' di cui all'art. 68 comma primo della Costituzione», come desumibile dalla giurisprudenza costituzionale anteriore all'avvento della gia' menzionata legge n. 140 del 2003, giurisprudenza secondo cui la prerogativa costituzionale in questione concerne soltanto i comportamenti dei parlamentari «strettamente funzionali all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo», non investendo invece «l'intera attivita' politica di un membro del Parlamento»; che tale quadro, inoltre, sarebbe rimasto immutato pur dopo l'avvento della gia' ricordata legge n. 140 del 2003, giacche' la Corte, con recente pronuncia, avrebbe «ribadito i confini ermeneutici e le condizioni interpretative entro le quali la disciplina in esame puo' ritenersi costituzionalmente legittima», rimarcando che «non qualsiasi opinione espressa dai membri delle Camere e' sottratta alla responsabilita' giuridica, ma soltanto le opinioni espresse "nell'esercizio delle funzioni"» (sentenza n. 120 del 2004); che, quanto alle cosiddette "attivita' non tipizzate", la ricorrente autorita' giudiziaria sottolinea come le stesse - alla luce dei principi riconfermati dalla sentenza appena menzionata - si debbano «considerare "coperte" dalla garanzia di cui all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche "innominati", ma comunque rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare», di talche', «ai fini dell'insindacabilita», cio' che rileva e' proprio «il collegamento necessario con le "funzioni" del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare concreto esercizio delle funzioni dei membri delle Camere»; che, tuttavia, l'evenienza da ultimo descritta non ricorrerebbe - secondo il Tribunale di Taranto - nel caso sottoposto al suo giudizio, giacche' le dichiarazioni rese dall'imputato «non paiono minimamente riconducibili ad alcuna attivita' parlamentare, sia pure "atipica", dell'onorevole Cito, inquadrandosi per converso in un contesto esclusivamente localistico e anzi trasmodando in un attacco tanto estemporaneo quanto prettamente personale, senza che sia dato rinvenire alcun plausibile e sia pur minimo "nesso funzionale" con altra attivita' parlamentare»; che su tali basi, quindi, la ricorrente autorita' giudiziaria ha concluso - non senza evidenziare come l'impugnata deliberazione della Camera dei deputati appaia costituire «un'illegittima lesione della sfera di attribuzioni dell'autorita' giudiziaria», rendendo cosi' necessaria la scelta di «attivare il rimedio del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato» - affinche' la Corte costituzionale «adotti la decisione prevista dall'art. 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87». Considerato che in questa fase la Corte e' chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», fermo restando il potere della Corte, a seguito del giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, ivi compresa la sua ammissibilita'; che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, vi e' materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla sua competenza, sussistendo i requisiti soggettivi e oggettivi di cui all'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, quando, come nel caso di specie, un giudice - chiamato a pronunciarsi nell'ambito di un giudizio concernente la responsabilita' di un membro del Parlamento in relazione a dichiarazioni da lui rese - lamenti la lesione delle proprie attribuzioni giurisdizionali derivanti dal cattivo uso del potere, riconosciuto alle Camere parlamentari, di affermare la insindacabilita', a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, di dichiarazioni rese dai propri membri, ritenute espressione dell'esercizio delle funzioni parlamentari; che pertanto il conflitto promosso col presente ricorso deve ritenersi ammissibile, ai sensi dell'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953.