ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'articolo 1 della
legge della Regione Basilicata 31 agosto 1995, n. 59 (Normativa sullo
smaltimento  dei  rifiuti),  promosso con ordinanza del 3 giugno 2002
dal  Tribunale  amministrativo regionale della Basilicata sui ricorsi
riuniti  proposti  da  Fenice  S.p.a.  nei  confronti  della  Regione
Basilicata ed altri, iscritta al n. 351 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34 - 1ª serie
speciale - dell'anno 2002.
    Visti  l'atto  di costituzione della Fenice s.p.a. nonche' l'atto
di intervento della Regione Basilicata;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22 febbraio  2005  il giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe Minieri per Fenice S.p.a. e Franco
Giampietro per la Regione Basilicata.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza del 3 giugno 2002, il Tribunale amministrativo
regionale  della  Basilicata  ha  sollevato questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 1  della  legge  della  Regione  Basilicata
31 agosto  1995, n. 59 (Normativa sullo smaltimento dei rifiuti), per
violazione  degli  artt. 3, 11, 32, 41, 117 e 120 della Costituzione,
con  riferimento  a  due  procedimenti  pendenti e poi riuniti, con i
quali  la Fenice S.p.a. aveva impugnato i provvedimenti del Consiglio
regionale della Basilicata, prima, e della Giunta regionale, poi, che
avevano  escluso  la possibilita' che - nell'ambito delle tipologie e
quantita' di rifiuti da smaltire nell'impianto di termodistruzione di
rifiuti  con  recupero  di  energia,  di proprieta' della societa' ed
approvato,  sia  pure  con  riserva, dalla regione - potessero essere
compresi pure rifiuti di provenienza extraregionale.
    Secondo  il  rimettente,  i  predetti provvedimenti, lesivi della
sfera  giuridica  della  ricorrente,  erano stati adottati nel vigore
della  legge  regionale  31 agosto  1995,  n. 59,  il  cui articolo 1
disponeva:  «In  attuazione  del principio di prossimita' di cui alla
direttiva 91/156 CEE nonche' dei poteri di organizzazione dei servizi
di  smaltimento  dei  rifiuti attribuiti alla regione dal decreto del
Presidente  della  Repubblica  n. 915/1983, dalla legge n. 441/1987 e
dalla  legge  n. 475/1988  e'  fatto  divieto  a chiunque conduca sul
territorio  della  Regione  Basilicata impianti di smaltimento e/o di
stoccaggio  di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli
impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni».
    Cio'   precisato,   il  collegio  ritiene  che  la  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 1  della  legge regionale n. 59 del 1995
sia  rilevante  in  ambedue  i  giudizi,  dato che l'unico fondamento
giuridico  del  divieto  di  importazione  di  rifiuti extraregionali
sancito  negli  atti  impugnati  e' costituito appunto da detta norma
regionale,   la   cui   eliminazione  dall'ordinamento  avrebbe  come
conseguenza l'accoglimento del gravame.
    Secondo  il  remittente  la  norma  regionale  si  presta  a piu'
censure,  sia  con  riferimento  al  periodo  precedente  il  decreto
legislativo   5 febbraio  1997,  n. 22  (Attuazione  della  direttiva
91/156/CEE  sui  rifiuti,  della  direttiva  91/689/CEE  sui  rifiuti
pericolosi  e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti
di  imballaggio),  sia  dopo  l'entrata  in  vigore  di  quest'ultima
legislazione statale.
    In  primo  luogo, e' ipotizzabile il contrasto con il nuovo testo
dell'art. 117    della   Costituzione,   che   riserva   la   «tutela
dell'ambiente»   e   «dell'ecosistema»   alla   potesta'  legislativa
esclusiva  dello  Stato, con definitiva impossibilita' per le regioni
di poter legiferare in materia di tutela dell'ambiente dal rischio di
inquinamento.
    Afferma    poi    il    giudice    a   quo   che   il   principio
dell'autosmaltimento  locale, col connesso divieto di conferimento di
rifiuti  extraregionali,  non puo' valere ne' per quelli «pericolosi»
(ivi  inclusi  quelli  che  gia'  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  del  1982  definiva  «tossici  e  nocivi») ne' per quelli
«speciali»  non pericolosi (che nella fattispecie oggetto dei giudizi
in epigrafe hanno natura industriale).
    Puo' inoltre, secondo il remittente, dubitarsi della legittimita'
costituzionale  della  norma regionale de qua anche in relazione alla
lesione  del  diritto  alla  salute,  da intendersi come diritto alla
salubrita' dell'ambiente, di cui all'art. 32 della Costituzione, dato
che  la  chiusura dei confini regionali favorisce la possibilita' che
rifiuti  pericolosi di altre regioni trovino forme di smaltimento non
ambientalmente  compatibili ovvero vengano accumulati o depositati in
aree inidonee.
    Poiche'  ne'  le  norme  statali  ne' quelle comunitarie hanno un
ambito   territoriale   ottimale   preordinato  ad  un  obiettivo  di
autosmaltimento,  il  divieto  regionale  in  esame  appare illogico,
potendo  limitare  il  conferimento  di  detti  rifiuti agli impianti
appropriati  piu' vicini come richiesto dall'art. 5, comma 3, lettera
b),  del  d.lgs.  n. 22  del  1997,  e  dall'art. 5  della  direttiva
n. 91/156/CEE.   Infine,   sempre   in  riferimento  alla  violazione
dell'art. 117  della  Costituzione,  non puo' trascurarsi - rileva il
collegio  a  quo - che il divieto colpisce pure impianti, come quello
di  cui  si  tratta, che, attraverso la termodistruzione dei rifiuti,
recuperano   energia,   e   cio'   in  contrasto  col  diffuso  favor
rinvenibile, nelle norme statali di principio sopra indicate, proprio
per la produzione energetica cosi' conseguita.
    Ulteriori  profili  di  illegittimita' costituzionale, secondo il
giudice  a  quo,  devono  poi  essere  sollevati  in  riferimento  ai
parametri  di  cui  agli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione, atteso
che  la  norma  regionale  censurata,  rispettivamente:  introduce un
trattamento  sfavorevole  per  le  imprese  esercenti  l'attivita' di
smaltimento  dei  rifiuti  nella Regione Basilicata rispetto a quelle
operanti  sul restante territorio nazionale; restringe la liberta' di
iniziativa  economica  in  assenza  di concrete possibilita' di danno
alla   sicurezza,   alla   liberta'   e   alla   dignita'  umana  che
dall'attivita'    di   smaltimento   controllato   e   ambientalmente
compatibile  dei  rifiuti  puo' scaturire; introduce un ostacolo alla
libera  circolazione  di  cose  tra  le regioni, senza che sussistano
ragioni  giustificatrici,  neppure  di  ordine sanitario o ambientale
(cfr. sentenza n. 335 del 2001).
    2.   -   Si   e'   costituita   la   Fenice   S.p.a.,  la  quale,
preliminarmente,   rileva  che  la  norma  impugnata  deve  ritenersi
implicitamente  abrogata con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del
1997,  e  cioe'  dalla  generale  riforma  intervenuta  in materia di
trattamento dei rifiuti.
    L'art. 1 del suddetto decreto stabilisce infatti che le regioni a
statuto  ordinario  regolano  la  materia  disciplinata  dal medesimo
decreto  nel  rispetto  delle  disposizioni  in  esso  contenute, che
costituiscono  principi  fondamentali  della  legislazione statale ai
sensi  dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, e il potere di
limitare  lo  smaltimento dei rifiuti industriali in ambito regionale
non e' previsto dal d.lgs. n. 22 del 1997.
    Nel  merito  la norma impugnata contrasterebbe con gli artt. 41 e
120  Cost., in quanto limiterebbe la liberta' di iniziativa economica
privata. L'intera legge regionale n. 59 del 1995 risulta in contrasto
con  i  principi fondamentali della legislazione statale, fissati, ai
sensi   dell'art. 117  della  Costituzione  e,  in  attuazione  della
normativa  comunitaria,  dagli  artt. 5, 11, 18 e 26 del d.lgs. n. 22
del  1997,  i  quali  prescrivono che lo smaltimento dei rifiuti deve
avvenire in uno degli impianti appropriati piu' vicini.
    In   tal  senso  la  legge  regionale  contrasterebbe  anche  con
l'art. 11  della  Costituzione,  in quanto la violazione dei principi
fondamentali  della  legislazione  statale  attuativa della normativa
comunitaria si risolverebbe anche in una lesione di quest'ultima.
    La limitazione imposta alle sole imprese che esercitano attivita'
di  smaltimento  nella  Regione  Basilicata  determinerebbe anche una
violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Il  divieto  di smaltimento dei rifiuti extraregionali violerebbe
l'art. 32 della Costituzione per il danno alla salute derivante dalle
difficolta' dello smaltimento.
    La  norma  impugnata  contrasterebbe altresi' con l'art. 97 della
Costituzione   per  l'illogicita'  di  una  limitazione  territoriale
regionale  di rifiuti che proprio in ambito regionale sono reperibili
in  misura  scarsa,  cosicche'  il «forno rotante», opera di pubblica
utilita'   destinata   allo   smaltimento   dei   rifiuti   speciali,
risulterebbe  utilizzato  solo  al  30-35%  delle sue potenzialita' e
l'intera iniziativa imprenditoriale sarebbe destinata al fallimento.
    Osserva   ancora   la   parte   costituita   che   il   principio
dell'autosufficienza nello smaltimento vale solo per i rifiuti urbani
non  pericolosi  (art. 5,  comma 3,  lettera  a, del d.lgs. n. 22 del
1997),  e  che  il  rifiuto  e'  pur  sempre  un  prodotto, che gode,
all'interno dell'Unione europea, della liberta' di circolazione delle
merci  (cfr.  art. 29  Trattato  UE  e  Corte  giustizia CE, sentenza
23 maggio 2000, causa C-209/1998).
    Infine,  la  possibilita'  di deroga al divieto di smaltimento di
rifiuti  di  provenienza  extraregionale,  prevista  dagli art. 3 e 4
della legge regionale n. 59 del 1995, non varrebbe a salvare la norma
impugnata  dall'illegittimita'  costituzionale,  perche' la deroga e'
rimessa alla discrezionalita' amministrativa.
    3.  - Si e' costituita anche la Regione Basilicata, chiedendo che
la  questione  venga  dichiarata inammissibile, rinviata al giudice a
quo o comunque dichiarata infondata.
    Preliminarmente,  la  questione sarebbe inammissibile per difetto
di  rilevanza  perche' non e' stata impugnata la legge regionale n. 6
del 2001, che ha fatto salva, con modifiche, la legge regionale n. 59
del 1995, in quanto l'eventuale pronuncia di accoglimento della Corte
non  investirebbe  la  fonte  legislativa  che  tuttora disciplina la
fattispecie   e   che  la  regolava  prima  della  data  di  adozione
dell'ordinanza di rimessione.
    Inoltre,  sarebbe  incompleto  il  thema decidendum: il Tribunale
amministrativo  regionale  non  ha  impugnato  l'art. 4  della  legge
regionale  n. 59  del  1995,  mentre  la  difesa  della  Regione, nel
giudizio  a quo, ha sempre sostenuto che il divieto regionale dovesse
essere interpretato in modo integrato con il suddetto art. 4.
    Secondo  la  difesa regionale, inoltre, il rimettente, nel citare
l'art. 117 della Costituzione, ha omesso di considerare le competenze
regionali concorrenti in materia di salute, di governo del territorio
e  di  tutte quelle che hanno interferenza con il settore «ambiente».
La  questione  non  e'  stata pertanto proposta in modo rituale, e va
percio' ordinata la restituzione degli atti al giudice a quo.
    Infine,  il Tribunale amministrativo regionale non ha motivato in
merito  all'interesse  della  societa' Fenice S.p.a. all'accertamento
della   pretesa   illegittimita'   costituzionale   della  disciplina
regionale,  a  fronte  delle  argomentazioni  difensive addotte dalla
Regione  Basilicata  sulla  concreta possibilita' che i rifiuti anche
speciali  e  tossici potessero saturare la pur rilevante capacita' di
termodistruzione   dell'impianto   di   causa.   Andrebbero  pertanto
restituiti gli atti al giudice a quo perche' motivi sul punto.
    Nel   merito,   solo   il   dato   testuale  dell'art. 117  della
Costituzione  attribuisce  la  competenza in materia di ambiente allo
Stato,  mentre  lo  stesso  attribuisce  alle  regioni  altre materie
riconducibili trasversalmente all'ambiente.
    Quanto all'art. 120 della Costituzione, il potere sostitutivo del
Governo   presuppone   che  nella  norma  regionale  impugnata  possa
ravvisarsi un'inosservanza della normativa comunitaria.
    Inoltre,   la   giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  non
potrebbe  essere  utilmente  invocata  nel  caso  di specie. L'art. 1
impugnato  infatti  si  integra  con l'art. 4 della stessa legge, che
elenca  sia  l'attuazione di specifici accordi tra la regione e altre
pubbliche  amministrazioni, enti ed imprese, sia le determinazioni di
autorita' statali a cio' competenti nei casi previsti dalla legge. Ne
consegue che tale disciplina unitaria non e' comparabile con i limiti
rigidi   fissati   dalle   leggi   regionali   del   Piemonte  e  del
Friuli-Venezia   Giulia   dichiarate  costituzionalmente  illegittime
(rispettivamente sentenze n. 281 del 2000 e n. 335 del 2001).
    Nelle  sentenze  da  ultimo  citate  il  d.lgs. n. 22 del 1997 e'
interpretato  nel  senso  che  il  principio  di autosufficienza vale
pienamente  solo  per  i rifiuti non pericolosi, mentre per i rifiuti
speciali   il   legislatore  non  individua  ambiti  territoriali  di
riferimento,  ma  indica  la  necessita'  che  detti  rifiuti possano
giungere  ad un impianto specializzato piu' vicino al fine di ridurre
i movimenti degli stessi. E questo orientamento e' conforme alle piu'
recenti  sentenze della Corte di giustizia, secondo cui devono essere
accertati   i   motivi   di  interesse  pubblico  ambientale  per  la
movimentazione  dei  rifiuti  (Corte Giustizia CE, sentenza 23 maggio
2000, causa C-209/1998).
    Si tratta dunque - prosegue la difesa regionale - di verificare a
chi spetti effettuare il giudizio di ponderazione tra il principio di
specializzazione   e   quello   di   prossimita'  degli  impianti  di
smaltimento.  Tale giudizio appare innanzitutto regolato dall'art. 18
del  d.lgs.  n. 22 del 1997 che assegna allo Stato la definizione dei
criteri  generali  per  la gestione integrata dei rifiuti, nonche' la
determinazione  dei  criteri  generali  per  l'elaborazione dei piani
regionali.  Esso  e'  quindi  assegnato  alle regioni nell'ambito del
piano  di  gestione dei rifiuti di cui all'art. 22. Tuttora mancano i
criteri  statali cui doveva adeguarsi la pianificazione regionale. In
tale  contesto la Regione Basilicata non poteva non adottare la legge
regionale  in  esame,  dovendo  provvedere  alla ponderazione dei due
principi  di  specializzazione  e di prossimita' degli impianti, e la
norma  impugnata,  se  letta unitamente agli artt. 3 e 4 della stessa
legge,  non  si  pone  in contrasto con il d.lgs. n. 22 del 1997 che,
all'art. 2,  comma 4,  afferma  la necessita' di una cooperazione fra
Stato, regione ed enti locali in materia di gestione dei rifiuti.
    Ne  consegue  che  nessun  contrasto della normativa impugnata e'
ravvisabile  con  gli  artt. 3, 32, 41, della Costituzione, perche' i
previsti  limiti  all'attivita'  d'impresa  sono  giustificati  dalla
descritta  attivita'  amministrativa  diretta  alla  salvaguardia  di
interessi  pubblici  quali  l'ambiente  e  la salute pubblica, con la
conseguenza  che  non  ne'  e'  dato ravvisare alcun contrasto tra la
norma  impugnata  e  l'art. 120  della  Costituzione,  allorquando si
tratta  di  ponderare i due principi tendenzialmente conflittuali nel
singolo   contesto   geografico.   Infatti   la  Regione  Basilicata,
nell'inerzia  del  legislatore  statale,  applicando  il principio di
sussidiarieta',  ha evitato la totale disapplicazione delle direttive
comunitarie.  In  difetto della normativa impugnata la Basilicata non
avrebbe  potuto  in  alcun  modo  governare  l'ingresso  nel  proprio
territorio  dei  rifiuti  provenienti  dall'esterno  e avrebbe dovuto
abdicare alle proprie competenze in materia di ambiente, tutela della
salute e governo del territorio.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata - nel
corso  di  due  giudizi  riuniti  promossi  dalla  Fenice  S.p.a. nei
confronti  della  Regione  Basilicata  -  ha  sollevato  questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 1   della   legge   Regione
Basilicata  31 agosto  1995,  n. 59  (Normativa sullo smaltimento dei
rifiuti),  nella  parte  in  cui  stabilisce  che «e' fatto divieto a
chiunque  conduca sul territorio della Regione Basilicata impianti di
smaltimento  e/o  stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di
accogliere  negli  impianti  medesimi  rifiuti  provenienti  da altre
regioni  o nazioni», per violazione: a) dell'art. 117, secondo comma,
lettera  s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza
esclusiva  in  materia  di  ambiente, e delle norme interposte di cui
agli  artt. 1,  5,  11, 18, 19 e 26 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22
(Attuazione  della  direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva
91/689/CEE  sui  rifiuti  pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli
imballaggi  e  sui  rifiuti  di  imballaggio);  b) dell'art. 11 della
Costituzione,  che impone il rispetto delle direttive comunitarie; c)
dell'art. 32  della  Costituzione,  che  attribuisce  un diritto alla
salubrita'  dell'ambiente, che sarebbe compromesso dalla chiusura dei
confini  regionali,  perche'  verrebbe  favorita  la possibilita' che
rifiuti  pericolosi di altre regioni trovino forme di smaltimento non
ambientalmente  compatibili; d) dell'art. 3 della Costituzione per la
introduzione  di  un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti
l'attivita'  di  smaltimento  dei  rifiuti  nella  Regione Basilicata
rispetto  a  quelle  operanti  sul  restante territorio nazionale; e)
dell'art. 41 della Costituzione, per la restrizione della liberta' di
iniziativa  economica  «in  assenza di concrete possibilita' di danno
alla   sicurezza,   alla   liberta'   e   alla   dignita'  umana  che
dall'attivita'    di   smaltimento   controllato   e   ambientalmente
compatibile  dei  rifiuti  puo'  scaturire»;  f)  dell'art. 120 della
Costituzione,  perche'  la  norma impugnata introdurrebbe un ostacolo
alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano
ragioni  giustificatrici, neppure di ordine sanitario e ambientale, e
cio' in contrasto pure con la normativa comunitaria.
    2.  -  Preliminarmente,  va  osservato  che non assume rilievo la
circostanza che il giudice rimettente abbia citato la norma impugnata
in  un  testo  diverso  da  quello vigente al momento dell'emanazione
dell'ordinanza.
    Il    Tribunale    ha    infatti    denunciato   l'illegittimita'
costituzionale  della  norma regionale richiamandone una formulazione
(«In  attuazione  del  principio di prossimita' di cui alla direttiva
91/156  CEE  nonche'  dei  poteri  di  organizzazione  dei servizi di
smaltimento   dei   rifiuti   attribuiti   alla  regione  dal  d.P.R.
n. 915/1983,  dalla  legge  n. 441/1987  e dalla legge n. 475/1988 e'
fatto  divieto  a  chiunque  conduca  sul  territorio  della  Regione
Basilicata  impianti  di  smaltimento  e/o  di stoccaggio di rifiuti,
anche  in  via  provvisoria,  di  accogliere  negli impianti medesimi
rifiuti  provenienti  da altre regioni o nazioni») non piu' in vigore
gia'  al  momento  dell'emanazione  dell'ordinanza di rimessione, per
essere   stato   l'art. 1  della  legge  impugnata  cosi'  modificato
dall'art. 46   della  legge  regionale  2 febbraio  2001,  n. 6:  «In
attuazione  del principio di prossimita' di cui alla direttiva 91/156
CEE  e' fatto divieto a chiunque conduca sul territorio della Regione
Basilicata  impianti  di  smaltimento  e/o  di stoccaggio di rifiuti,
anche  in  via  provvisoria,  di  accogliere  negli impianti medesimi
rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni».
    Cio'  pero' non determina l'inammissibilita' della questione, dal
momento  che  le  modifiche  subite  dalla  norma  non incidono sulla
sostanza  del  precetto  normativo  (sentenza  n. 18  del 2004), e la
questione   puo'   pertanto   essere   sottoposta   a   scrutinio  di
costituzionalita'  in  riferimento  agli  evocati parametri (sentenza
n. 277 del 2004).
    Ne'  l'inammissibilita'  deriva  dal  fatto  che, successivamente
all'ordinanza,  all'articolo impugnato e' stato aggiunto, dalla legge
regionale  21 novembre  2003,  n. 31,  un  comma 1-bis - disposizione
peraltro  poi dichiarata costituzionalmente illegittima, con sentenza
n. 62  del 2005 - perche' quest'ultima norma ha un oggetto diverso da
quello  della  disposizione  della  cui  legittimita'  il  remittente
dubita.
    3.  -  Parimenti  infondata  e'  la  censura  di inammissibilita'
sollevata  dalla  Regione  Basilicata  per  non  avere  il remittente
impugnato   anche   gli  artt. 3  e  4  della  legge  regionale,  che
disciplinano le deroghe al divieto.
    Nella  specie  infatti  la  deroga non e' stata richiesta, con la
conseguenza  che  gli artt. 3 e 4 della legge regionale, non trovando
applicazione,  non  sono  rilevanti  al  fine  della  soluzione della
controversia.  Inoltre,  le  norme  da  ultimo  citate  attribuiscono
l'autorita'  amministrativa  una  valutazione  discrezionale circa il
rilascio  dell'autorizzazione in deroga, mentre secondo il rimettente
la   norma   impugnata   deve  essere  dichiarata  costituzionalmente
illegittima  perche'  sussisterebbe  un pieno diritto - a prescindere
dunque    da    una    valutazione   discrezionale   della   pubblica
amministrazione  -  di  chiunque conduca nel territorio della Regione
Basilicata  impianti  di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti, anche
in  via  provvisoria,  di  accogliere negli impianti medesimi rifiuti
provenienti da altre regioni o nazioni.
    4.  - Passando all'esame del merito, la questione e' fondata, nei
termini di seguito indicati.
    4.1. - Questa Corte e' gia' intervenuta in tema di limiti imposti
dalla   legislazione   regionale  allo  smaltimento  dei  rifiuti  di
provenienza    extraregionale,    precisando    che    il   principio
dell'autosufficienza  locale  nello smaltimento dei rifiuti in ambiti
territoriali  ottimali  vale,  ai sensi dell'art. 5, comma 3, lettera
a),  del  decreto  legislativo  5 febbraio  1997,  n. 22,  solo per i
rifiuti  urbani non pericolosi (ai quali fa riferimento l'articolo 7,
commi 1  e 4, del d.lgs. da ultimo citato) e non anche per altri tipi
di  rifiuti,  per  i  quali  vige  invece  il  diverso criterio della
vicinanza  di  impianti  di  smaltimento  appropriati, per ridurre il
movimento  dei rifiuti stessi, correlato a quello della necessita' di
impianti  specializzati  per  il  loro  smaltimento,  ai  sensi della
lettera  b)  del  medesimo comma 3; ed a siffatto criterio sono stati
ritenuti  soggetti  i  rifiuti  speciali,  definiti  dall'articolo 7,
commi 3  e  4  (sentenza  n. 505  del 2002), sia pericolosi (sentenza
n. 281 del 2000) che non pericolosi (sentenza n. 335 del 2001).
    4.2.  -  L'impugnata legge regionale pone un generale divieto per
chiunque  conduca nel territorio della Regione Basilicata impianti di
smaltimento  e/o  stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di
accogliere  negli  impianti  medesimi  rifiuti  provenienti  da altre
regioni o nazioni.
    Tale  divieto,  se e' legittimo per quanto in precedenza rilevato
con riferimento ai rifiuti urbani non pericolosi, si pone, invece, in
contrasto  con  la Costituzione nella parte in cui si applica a tutti
gli  altri  tipi  di  rifiuti  di provenienza extraregionale, perche'
invade  la  competenza  esclusiva attribuita allo Stato in materia di
tutela  dell'ambiente e dell'ecosistema dall'art. 117, secondo comma,
lettera   s),   della  Costituzione,  in  contrasto  con  i  principi
fondamentali   della   legislazione  statale  contenuti  nel  decreto
legislativo  n. 22  del  1997;  ed  inoltre  perche' viola il vincolo
generale  imposto  alle  regioni  dall'art. 120,  primo  comma, della
Costituzione,  che  vieta  ogni  misura  atta ad ostacolare la libera
circolazione  delle  cose  e  delle  persone fra le regioni (sentenze
n. 62 del 2005 e n. 505 del 2002).
    L'accoglimento  della  questione  di  legittimita' costituzionale
sotto  questi  profili  assorbe  gli  ulteriori  profili  di  censura
(sentenza n. 281 del 2000).