ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
della Regione Veneto 27 febbraio 2004, n. 4 (Norme per la trasparenza
dell'attivita'  amministrativa  regionale),  promosso con ricorso del
Presidente  del Consiglio dei ministri, notificato il 30 aprile 2004,
depositato  in  cancelleria il 6 maggio 2004 ed iscritto al n. 50 del
registro ricorsi 2004.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
    Udito nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2005 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Uditi  l'Avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Romano Morra e Andrea Manzi per
la Regione Veneto.

                          Ritenuto in fatto

    Con  ricorso  notificato  il  30 aprile  e depositato il 6 maggio
2004,  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, sulla base della
deliberazione adottata il 29 aprile 2004, ha promosso, in riferimento
all'art. 117,   secondo   comma,   lettera l),   della  Costituzione,
questione   di   legittimita'   costituzionale   in   via  principale
dell'art. 3  della  legge della Regione Veneto 27 febbraio 2004, n. 4
(Norme  per  la trasparenza dell'attivita' amministrativa regionale),
che  prevede  che  il dipendente regionale condannato con sentenza di
primo   grado  per  reati  contro  la  pubblica  amministrazione  sia
immediatamente   trasferito  ad  altra  sede  o  assegnato  ad  altro
incarico.
    Ad  avviso  del  ricorrente,  la norma invaderebbe l'ambito della
legislazione  esclusiva statale nella materia dell'ordinamento civile
e  penale,  come  stabilito dall'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.  La  legge  statale  27 marzo  2001,  n. 97,  che  tra  l'altro
nell'art. 3  prevede,  in  caso di rinvio a giudizio per taluni reati
contro  la  pubblica  amministrazione (tra cui peculato, concussione,
corruzione),  il  trasferimento  del  dipendente  ad  altro  ufficio,
avrebbe  inoltre  gia'  dettato  una  compiuta  disciplina in tema di
rapporti  tra  procedimento  penale  e  procedimento disciplinare nei
confronti dei dipendenti pubblici.
    L'art. 3  della  legge  regionale  denunciata,  quand'anche lo si
volesse  ritenere  applicabile  - come suggerito dalla stessa Regione
Veneto  - ai soli reati contro la pubblica amministrazione diversi da
quelli  elencati  nella  legge  n. 97 del 2001, finirebbe percio' con
l'introdurre  ulteriori  effetti  sanzionatori  conseguenti  a  fatti
reato, interferendo con attribuzioni esclusive dello Stato.
    Con  atto  in data 19 maggio 2004 si e' costituita in giudizio la
Regione  Veneto, chiedendo il rigetto del ricorso. La Regione osserva
che  la  disciplina  dell'art. 3  della  legge regionale «non intacca
l'ambito  di  competenza  statale», ma si limita a prevedere a carico
del  dipendente regionale condannato in primo grado un «provvedimento
di   mobilita»  a  tutela  dell'assetto  organizzativo  dell'apparato
regionale,  finalizzato  ad assicurare i principi di buon andamento e
di  imparzialita'  dell'amministrazione.  La  norma impugnata sarebbe
quindi  di  esclusiva competenza regionale, riguardando la disciplina
dell'ordinamento degli uffici.
    Non  sarebbe inoltre dato ravvisare alcuna sovrapposizione con la
legge  n. 97  del  2001,  in  quanto  i  provvedimenti  cautelari ivi
previsti  a carico del dipendente (trasferimento a seguito del rinvio
a giudizio e sospensione dal servizio a seguito di condanna anche non
definitiva) trovano applicazione per i delitti espressamente elencati
dalla  legge,  mentre  per  tutti  gli altri reati contro la pubblica
amministrazione  si  procedera', in presenza di una condanna di primo
grado,  al trasferimento di sede o all'attribuzione ad altro incarico
secondo quanto disposto dall'art. 3 della legge regionale.
    In  ogni caso - precisa la difesa della Regione - i provvedimenti
di  cui  alla  normativa regionale non rappresenterebbero un «effetto
sanzionatorio   conseguente   a  fatti  reato»,  integrando  semplici
«provvedimenti di mobilita», correlati al pregiudizio derivante dalla
permanenza  del  dipendente  condannato  con  sentenza di primo grado
nella medesima sede o con il medesimo incarico.
    In   una   successiva   memoria  depositata  il  9 novembre  2004
l'Avvocatura   insiste   sulla  inammissibile  sovrapposizione  della
normativa  regionale  alla  disciplina statale in tema di conseguenze
del  procedimento penale sul rapporto di pubblico impiego e ribadisce
che i provvedimenti previsti dalla legge impugnata, presupponendo non
la sola pendenza del procedimento, ma la emissione di una sentenza di
condanna,   anche   se  non  definitiva,  produrrebbero  effetti  non
meramente   cautelari,   bensi'  sanzionatori,  caratterizzati  dalla
irreversibilita'.  Il trasferimento di sede e l'attribuzione di altro
incarico  non  avrebbero infatti effetti provvisori, posto che non ne
e'  prevista  la  cessazione  con il venir meno della condanna, ma si
atteggerebbero  a  vere e proprie sanzioni adottate in via anticipata
rispetto alla condanna definitiva.
    La  disciplina  impugnata  sarebbe di conseguenza riferibile alla
materia  degli  effetti  del  processo  penale (in particolare, della
sentenza  di  condanna  in  primo  grado)  sul  rapporto di impiego e
atterrebbe  al  diritto penale, rientrante nella competenza esclusiva
dello Stato anche sotto il profilo della tutela dell'ordine pubblico.
    Dal  suo  canto  la  Regione  Veneto,  con  memoria depositata il
26 gennaio  2005,  ribadisce  che l'esigenza sottesa al trasferimento
d'ufficio  e'  quella  di  «tutelare  interessi  amministrativi»  che
afferiscono  direttamente al rapporto di servizio del dipendente e al
pregiudizio    derivante    all'amministrazione    dalla   permanenza
dell'impiegato   condannato  nell'ufficio.  Qualsiasi  richiamo  alla
materia  penale  ovvero  a quella dell'ordine pubblico - quest'ultima
tardivamente  menzionata  nella  memoria  dell'Avvocatura  -  sarebbe
percio' del tutto inconferente.
    Infine,  infondata sarebbe anche l'argomentazione dell'Avvocatura
circa  l'irreversibilita' degli effetti del trasferimento, posto che,
da  un  lato, lo stesso art. 3 della legge regionale fa «salvo quanto
previsto   dalle   norme   vigenti»,   cosi'   assicurando  la  piena
applicazione   della   disciplina  statale  e,  conseguentemente,  la
provvisorieta' degli effetti del provvedimento cautelare; dall'altro,
l'art. 3,  comma 1,  della  legge  n. 97  del  2001,  nel fare «salva
l'applicazione della sospensione dal servizio in conformita' a quanto
previsto   dai   rispettivi   ordinamenti»,  riconosce  la  possibile
coesistenza  di  ulteriori  e  specifiche disposizioni a tutela degli
interessi pubblici fondamentali propri di ciascun ordinamento.
    Nell'udienza  pubblica  del  giorno 8 febbraio  2005  i difensori
delle  parti  hanno  ribadito  le  argomentazioni  e  le  conclusioni
sostenute in precedenza.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Oggetto  della  questione  di  legittimita' costituzionale
sollevata in via principale dal Presidente del Consiglio dei ministri
e'  l'art. 3  della legge della Regione Veneto 27 febbraio 2004, n. 4
(Norme  per  la trasparenza dell'attivita' amministrativa regionale).
La disposizione censurata stabilisce che, fatto salvo quanto previsto
dalle    norme    vigenti,   «l'amministrazione   regionale   procede
immediatamente  al  trasferimento di sede o all'attribuzione ad altro
incarico  del  dipendente  condannato, per i reati contro la pubblica
amministrazione, con sentenza di primo grado».
    Secondo  il  Governo,  la  norma  regionale invade l'ambito della
legislazione  esclusiva  dello  Stato in tema di ordinamento civile e
penale,  riconosciuta dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione,  sovrapponendosi  alla  legge  statale  27 marzo  2001,
n. 97,  relativa  ai  rapporti tra procedimento penale e procedimento
disciplinare,  che  in  relazione  ad  alcuni  gravi  reati contro la
pubblica   amministrazione   contempla   nell'art. 3,   comma 1,   il
trasferimento  ad  altro  ufficio  in  caso  di  rinvio  a giudizio e
nell'art. 4 la sospensione dal servizio in caso di condanna anche non
definitiva.
    La  Regione  Veneto sostiene invece che la disposizione impugnata
si limita a prevedere un provvedimento di mobilita' nell'ambito della
disciplina che regola l'assetto organizzativo degli uffici regionali,
al  fine  di  tutelare  il  buon  andamento  e  l'imparzialita' della
pubblica  amministrazione,  rientrante  nella  sfera della competenza
residuale delle regioni.
    2.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
Presidente del Consiglio dei ministri non e' fondata.
    3.  -  Va  preliminarmente  rilevato  che  l'art. 3  della  legge
regionale  n. 4  del 2004 si apre con l'espressa clausola di salvezza
di  quanto  previsto dalle norme vigenti; la disciplina censurata non
si sovrappone pertanto alle disposizioni della legge statale, ma deve
ritenersi  operante,  come  sostenuto  dalla  Regione Veneto, solo in
relazione  ai  reati  contro  la  pubblica amministrazione diversi da
quelli previsti dalla legge statale n. 97 del 2001.
    4.  -  Secondo  il  ricorrente  la legge regionale censurata, nel
prevedere  a  seguito  di  sentenza  di  condanna  di  primo grado il
trasferimento  ad altra sede del dipendente pubblico o l'attribuzione
ad   altro   incarico,   introduce  «ulteriori  effetti  sanzionatori
conseguenti  a  fatti  reato»,  legati  «non  alla  sola pendenza del
procedimento  penale  ma  alla  emissione  di sentenze di condanna di
primo  grado».  Tale disciplina determinerebbe «effetti non meramente
cautelari   ma  sanzionatori,  attesa  la  loro  irreversibilita»,  e
inciderebbe  su  una  materia  che,  oggettivamente, «e' quella degli
effetti  del  processo  penale  (e,  anzi,  della  sentenza penale di
condanna  di primo grado) nel rapporto di impiego» e, quindi, attiene
al «diritto penale».
    Sulla  base  di  queste  argomentazioni,  e  tenuto  conto che il
ricorso  non  contiene  alcuna  motivazione  a  supporto del generico
richiamo anche all'ordinamento civile, non vi e' quindi dubbio che la
censura   mossa   dal  Governo  alla  norma  regionale  si  riferisce
esclusivamente  all'invasione  della competenza statale in materia di
ordinamento penale. Riguardo a tale sfera di competenza, questa Corte
ha  peraltro  gia'  avuto  occasione  di  affermare  (v.,  da ultimo,
sentenza  n. 185  del 2004) che la materia penale deve essere «intesa
come  l'insieme  dei beni e valori ai quali viene accordata la tutela
piu'  intensa»  e  che  essa «nasce nel momento in cui il legislatore
nazionale  pone  norme  incriminatrici»,  mediante  la configurazione
delle  fattispecie, l'individuazione dell'apparato sanzionatorio e la
determinazione delle specifiche sanzioni.
    Coerentemente  a  questa  impostazione,  in  tema  di sospensione
cautelare obbligatoria dal servizio prevista dall'art. 15 della legge
19 marzo  1990,  n. 55,  nei  confronti  di  pubblici  dipendenti che
abbiano  riportato  condanna,  anche  non  definitiva, per delitti di
criminalita' organizzata o per determinati delitti contro la pubblica
amministrazione,  la  Corte ha rilevato che tale misura non ha natura
sanzionatoria,  bensi'  meramente  cautelare, essendo «collegata alla
pendenza   di  un'accusa  penale  nei  confronti  di  un  funzionario
pubblico», che di per se' espone l'amministrazione «ad un pregiudizio
direttamente  derivante dalla permanenza dell'impiegato nell'ufficio»
e  «risponde a esigenze proprie della funzione amministrativa e della
pubblica  amministrazione  presso  cui  il  soggetto  colpito  presta
servizio» (sentenza n. 206 del 1999).
    Deve   pertanto  escludersi  che  la  meno  incisiva  misura  del
provvisorio  trasferimento  di  sede  o  dell'assegnazione  ad  altro
incarico,  prevista dalla disposizione censurata, costituisca effetto
penale  della sentenza di condanna per determinati fatti reato, e sia
percio' inscrivibile nella materia dell'ordinamento penale.
    5.   -   Le   finalita'   che   la   norma   intende  perseguire,
significativamente  inserita  in  una  legge intitolata «Norme per la
trasparenza    dell'attivita'    amministrativa    regionale»,   sono
ravvisabili  nell'esigenza di tutelare l'immagine, la credibilita' e,
appunto,  la  trasparenza  dell'amministrazione  regionale; interessi
che,  anche prima dell'eventuale pronuncia di una sentenza definitiva
di   condanna,   possono   risultare  pregiudicati  dalla  permanenza
nell'ufficio  del  dipendente che abbia commesso nell'esercizio delle
sue funzioni un reato contro la pubblica amministrazione.
    Alla  luce  del principio di buon andamento dei pubblici uffici e
del  dovere  dei  cittadini  cui  sono affidate funzioni pubbliche di
«adempierle  con  disciplina ed onore» (artt. 97 e 54, secondo comma,
Cost.),  la  disposizione  in esame offre dunque alla amministrazione
regionale  uno  strumento  volto a realizzare l'interesse pubblico di
garantire  la credibilita' e la fiducia di cui l'amministrazione deve
godere  presso  i cittadini (v. sentenze n. 206 del 1999 e n. 145 del
2002);  interesse  leso dal discredito che la condanna, anche solo di
primo  grado, puo' recare all'immagine del corretto funzionamento dei
pubblici  uffici,  e  certo  prevalente  su  quello  individuale  del
dipendente  alla  permanenza  nella  medesima  sede  o  nel  medesimo
ufficio.  La  misura  risulta  pertanto  ispirata non gia' da ragioni
punitive o disciplinari, quanto da esigenze, lato sensu cautelari, in
funzione dell'organizzazione interna degli uffici (v. ancora sentenza
n. 206   del  1999:  p.  9  del  Considerato,  ove  il  trasferimento
dell'impiegato ad altra sede, ufficio o mansione, in contrapposizione
con  la  misura  cautelare  della  sospensione  dal  servizio,  viene
significativamente  definito  «misura  organizzativa»), atteso che le
esigenze   di   trasparenza   e   di   credibilita'   della  pubblica
amministrazione    sono    direttamente    correlate   al   principio
costituzionale di buon andamento degli uffici.