ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo 459,
comma 1,  del  codice di procedura penale, promosso con ordinanza del
22 ottobre  2003  dal  Tribunale  di  Roma  nel procedimento penale a
carico  di  C.A.,  iscritta  al n. 1144 del registro ordinanze 2003 e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 aprile 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Roma,  in sede di opposizione a
decreto  penale  di  condanna,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 24  e 111, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione
di  legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1, del codice di
procedura  penale,  «nella  parte  in  cui  non  prevede una sanzione
processuale  alla  inosservanza  del  termine  di  sei  mesi  per  la
presentazione della richiesta di decreto penale»;
        che  il  giudice  a quo - dopo aver sottolineato, in punto di
fatto, che nella specie l'iscrizione del nominativo dell'imputato nel
registro  delle  notizie di reato risale al 1999; mentre la richiesta
di  emissione  del  decreto penale di condanna, poi opposto, e' stata
depositata   presso  la  cancelleria  del  giudice  per  le  indagini
preliminari  il  12 gennaio  2001, e quindi ben oltre la scadenza del
termine  previsto  dall'art. 459,  comma 1,  cod.  proc.  pen.  -  ha
sottolineato   come   tale  termine,  secondo  la  ormai  consolidata
giurisprudenza  di  legittimita', abbia natura meramente ordinatoria;
con la conseguenza che, essendo la sua inosservanza priva di sanzione
processuale,  «il  decreto di condanna emesso dal giudice a fronte di
una  richiesta  tardiva  non  e'  comunque  invalido  ne' puo' essere
revocato»;
        che,  ad avviso del giudice rimettente, tuttavia, la mancanza
di  sanzioni  per la ipotesi di inosservanza del termine di sei mesi,
entro  il quale deve essere formulata la richiesta del decreto penale
di  condanna,  verrebbe  a  ledere,  ad  un  tempo, sia il diritto di
difesa,  poiche'  il  diverso  atteggiarsi  di  esso nel procedimento
monitorio  trova la sua giustificazione - secondo quanto affermato da
questa Corte - nella specificita' di tale procedimento, «improntato a
criteri  di  economia  processuale  e  di massima speditezza»; sia il
principio   della   durata   ragionevole   del   processo  -  sancito
dall'art. 111,  secondo comma, Cost. - «in quanto non porrebbe limiti
temporali  sanzionabili  ad  un  procedimento  speciale  a  struttura
estremamente  semplificata,  quale il procedimento per decreto»; sia,
infine,  il  principio  in  forza  del quale l'accusato ha diritto ad
essere  informato  nel  piu' breve tempo possibile della natura e dei
motivi  della  accusa  a  suo  carico  - a norma dell'art. 111, terzo
comma,  della  medesima Carta - «in quanto questo diritto verrebbe ad
essere ritardato senza limiti di tempo»;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato,  la  quale  ha chiesto dichiararsi infondata la questione, sul
rilievo  che  la  inosservanza  del  termine di sei mesi, di cui alla
norma impugnata, risulta comunque assoggettata alla generale sanzione
prevista  per  il  mancato  rispetto  del  termine  per  le  indagini
preliminari:  sanzione  costituita dalla inutilizzabilita' degli atti
di  indagine  compiuti  dal  pubblico  ministero successivamente alla
scadenza del termine stesso.
    Considerato  che  il  Tribunale di Roma dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 459,  comma 1, cod. proc. pen., nella parte
in cui - alla stregua della interpretazione ad esso data dal «diritto
vivente»  - non e' prevista alcuna sanzione di natura processuale per
la  ipotesi  in  cui  la richiesta di emissione del decreto penale di
condanna sia stata formulata, dal pubblico ministero, dopo lo spirare
del  termine  di  sei  mesi  dalla  data  in  cui il nominativo della
persona,  cui  il reato e' attribuito, e' stato iscritto nel registro
delle notizie di reato;
        che,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,  tale consolidata
interpretazione  del  dato  normativo si porrebbe in contrasto con il
diritto  di  difesa,  poiche'  il differimento del relativo esercizio
alla  fase della opposizione trova ragion d'essere e giustificazione,
sul  piano  costituzionale, solo in rapporto ai caratteri di economia
processuale  e  di massima celerita' che dovrebbero caratterizzare il
procedimento per decreto;
        che,  allo  stesso  modo, risulterebbero compromessi anche il
principio  della durata ragionevole del processo e quello del diritto
dell'imputato  ad essere tempestivamente informato della accusa a suo
carico  -  rispettivamente  previsti  dal  secondo  e dal terzo comma
dell'art. 111  Cost.  -  in  quanto  la mancanza di apposita sanzione
determinerebbe una dilazione sine die dell'iter processuale;
        che,   tuttavia,   alla   stregua   dell'indicato  quadro  di
riferimento,   il  giudice  rimettente  -  anziche'  individuare  uno
specifico  quesito  di costituzionalita', delineando con esattezza la
pronuncia additiva sollecitata in riferimento alla norma o alle norme
coinvolte  nel  dubbio  di legittimita' - si e' limitato, tanto nella
motivazione  che  nel  dispositivo  della  ordinanza di rimessione, a
devolvere  a  questa  Corte  sia  la  scelta  del tipo di sanzione da
configurare,   in  presenza  del  superamento  del  limite  temporale
stabilito  dall'art. 459,  comma 1, del codice di rito; sia la scelta
dell'atto  o  degli  atti su cui essa dovrebbe produrre effetti; sia,
infine,  la  scelta  delle  conseguenze che, quale epilogo delle gia'
indicate opzioni, dovrebbero scaturire sul piano processuale;
        che, infatti, altro sarebbe configurare come inammissibile la
richiesta di decreto penale di condanna, ove formulata «tardivamente»
dal   pubblico   ministero;   altro   e'   prevedere  la  nullita'  -
determinandone, poi, il relativo regime - o della richiesta in quanto
tale,  o  dello  stesso  decreto  penale  di  condanna;  salvo  poi a
verificare,  in  tale  ultima  ipotesi,  se  da  essa  debba  o  meno
conseguire  una  statuizione  con  effetti  regressivi  per  l'intero
procedimento   (situazione,  questa,  che  e'  l'unica  a  presentare
rilevanza  per il giudice a quo), anche nella ipotesi in cui il vizio
sia  rilevato  nel corso del giudizio di opposizione, considerato che
quest'ultimo postula in ogni caso il venir meno del decreto penale di
condanna,  che  deve  essere revocato a norma dell'art. 464, comma 3,
cod. proc. pen.;
        che,  pertanto,  essendo  del  tutto indeterminato il petitum
formalmente   devoluto   a   questa  Corte  e  risultando,  altresi',
contraddittorio   ed  ambiguo  lo  stesso  quadro  normativo  che  il
rimettente  intenderebbe  veder modificato in ipotesi di accoglimento
del   quesito,   la   questione   proposta   deve  essere  dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.