ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto
legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice  di  pace,  a  norma  dell'art. 14  della  legge
24 novembre   1999,   n. 468),   nonche'   dell'art. 44  del  decreto
legislativo  30 dicembre  1999,  n. 507  (Depenalizzazione  dei reati
minori  e  riforma  del  sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7,
comma 1,  lettera c),  della  legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al
Governo  per  la  depenalizzazione  dei  reati minori e modifiche del
sistema  penale  e  tributario), in relazione all'art. 726 del codice
penale,  promossi,  nell'ambito  di  diversi procedimenti penali, dal
Giudice di pace di Pavia con ordinanza del 9 maggio 2003, dal Giudice
di  pace  di  Vittorio Veneto con ordinanze del 30 ottobre 2003 e del
5 febbraio  2004, dal Giudice di pace di Conegliano con ordinanze del
14  e  21 novembre  2003  e  del  13 febbraio  2004,  rispettivamente
iscritte  al  n. 554 del registro ordinanze 2003 e ai numeri 19, 324,
668,  669  e  670  del  registro  ordinanze  2004  e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 33,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003 e nn. 8, 17 e 33, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 aprile 2005 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del 9 maggio 2003 (r.o. n. 554 del
2003)  il  Giudice  di pace di Pavia ha sollevato, su eccezione della
difesa,  in  riferimento  agli  artt. 3,  76 e 77, primo comma, della
Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 2
del  decreto  legislativo  28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge  24 novembre  1999, n. 468), nella parte in cui non consente il
ricorso  ai  riti alternativi e in particolare all'applicazione della
pena su richiesta nel procedimento davanti al giudice di pace;
        che   il   giudice  rimettente  rileva  che  la  legge-delega
24 novembre  1999,  n. 468, «nulla dispone circa l'applicabilita' dei
riti  alternativi  nel  processo  davanti  al  giudice  di pace e che
l'esclusione  dei  medesimi  (e,  in particolare, del patteggiamento)
[...]  non  appare ragionevolmente riconducibile ai principi generali
ispiratori  della  legge  di  riforma ne' chiaramente funzionale allo
scopo di massima semplificazione da questa perseguito»;
        che  ad  avviso  del  rimettente le motivazioni addotte nella
Relazione   al   decreto  legislativo  n. 274  del  2000  a  sostegno
dell'esclusione  dei  riti  alternativi «appaiono poco persuasive, se
non addirittura inconferenti, in relazione ai reati di pericolo - tra
i  quali  e'  inquadrabile  il  reato  di guida in stato di ebbrezza»
oggetto  del  giudizio a quo - visto che per detti reati, da un lato,
non  si  pone  l'esigenza  di  «assicurare  un'adeguata  tutela delle
ragioni della persona offesa» e, dall'altro, non si puo' ravvisare il
rischio  di  «un  aumento  del contenzioso civile» come effetto della
possibilita' di ricorrere al patteggiamento;
        che  il  giudice  a quo ritiene che la disposizione censurata
violi  anche  l'art. 3  Cost.  sotto  il profilo della ingiustificata
disparita'  di  trattamento  di «situazioni analoghe», in quanto solo
nei  procedimenti  davanti  al tribunale e' possibile usufruire della
riduzione di pena collegata al patteggiamento;
        che  la  disparita'  di  trattamento  non  potrebbe ritenersi
«compensata»  dalle  peculiarita'  del  processo  penale  davanti  al
giudice  di  pace,  quali  la particolare tipologia (e mitezza) delle
sanzioni  applicabili  e  le  forme  di  definizione  alternativa del
procedimento:  da un lato, infatti, le pene sono si' meno afflittive,
ma  caratterizzate  dall'effettivita',  in  quanto  non e' ammessa la
sospensione     condizionale;    dall'altro,    l'esclusione    della
procedibilita'   nei  casi  di  particolare  tenuita'  del  fatto  e'
statisticamente  di  portata assai marginale e l'estinzione del reato
conseguente  a  condotte riparatorie non ha un ambito di applicazione
generale;
        che  con  ordinanza del 30 ottobre 2003 (r.o. n. 19 del 2004)
il  Giudice  di  pace  di  Vittorio Veneto ha sollevato, su eccezione
della  difesa,  in  riferimento  agli artt. 3 e 24 Cost., la medesima
questione di legittimita' costituzionale;
        che   il   giudice   rimettente   rileva   che   l'esclusione
dell'applicazione  della  pena  su  richiesta  sembra  imposta  dalla
necessita'  di  assicurare  una  adeguata  tutela delle ragioni della
persona  offesa e di assecondare la funzione conciliativa del giudice
di  pace, ma tali esigenze non eliminano la disparita' di trattamento
derivante  dalla  diversita'  della disciplina processuale rispetto a
quella prevista per i reati di competenza del giudice ordinario;
        che  la  disciplina censurata si porrebbe in contrasto con il
principio  di ragionevolezza, in quanto l'istituto del patteggiamento
risulta  ammesso  per  i  reati  di maggiore gravita' attribuiti alla
competenza  del  tribunale  mentre  non lo e' per i reati «minori» di
competenza  del  giudice  di pace, nonche' con l'art. 24 Cost., posto
che  «non  e'  possibile  sottrarre  all'imputato il suo fondamentale
diritto alla difesa»;
        che   ad   avviso  del  rimettente  l'irragionevolezza  della
disciplina   e   la   lesione   del  principio  di  eguaglianza  sono
particolarmente  evidenti  nei  casi  in  cui reati di competenza del
Giudice  di  pace  sono  giudicati  dal  tribunale  per connessione e
risultano  pertanto  applicabili  il  patteggiamento e gli altri riti
alternativi,  «con tutti i relativi benefici per l'imputato sul piano
sanzionatorio»;
        che  con ordinanza del 5 febbraio 2004 (r.o. n. 324 del 2004)
il  medesimo  Giudice  di  pace  di  Vittorio Veneto ha sollevato, su
eccezione  della  difesa,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 76 Cost.,
analoga  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 2 del
decreto  legislativo n. 274 del 2000, riproponendo, quanto all'art. 3
Cost.,   censure   sostanzialmente  corrispondenti  a  quelle  svolte
nell'ordinanza n. 19 del registro ordinanze del 2004;
        che  il rimettente ritiene che la disposizione in esame violi
anche  l'art. 76 Cost. per eccesso di delega in relazione al criterio
direttivo  posto  dall'art. 17  della legge 24 novembre 1999, n. 468,
secondo  il  quale «il procedimento penale davanti al giudice di pace
e'  disciplinato  tenendo conto delle norme del Libro VIII del codice
di  procedura penale riguardanti il procedimento davanti al tribunale
in  composizione  monocratica,  con  le  massime semplificazioni rese
necessarie  dalla competenza dello stesso giudice», rilevando che nel
Libro  VIII  e'  compreso  il  Titolo  III,  relativo ai procedimenti
speciali,  e  che,  in  particolare,  il  patteggiamento  consente la
massima semplificazione ed economia processuale;
        che  nei  giudizi  relativi alle ordinanze iscritte al n. 554
del  registro  ordinanze  del  2003 e ai numeri 19 e 324 del registro
ordinanze  del  2004  e'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le questioni siano dichiarate inammissibili e
comunque infondate;
        che  ad  avviso  dell'Avvocatura  rientrerebbe  infatti nella
discrezionalita'   del   legislatore  «l'estensione  o  meno  di  una
particolare   disciplina,   per   di  piu'  speciale,  [...]  in  una
determinata area giurisdizionale»;
        che,  in  ogni  caso, l'esclusione del patteggiamento sarebbe
«immediatamente   desumibile   dalla  legge-delega»,  in  quanto  gli
istituti  individuati  dall'art. 2 del decreto legislativo n. 274 del
2000,  e  segnatamente il patteggiamento, sono «estranei alla natura»
del procedimento davanti al giudice di pace;
        che  il  rispetto del criterio della massima semplificazione,
la  vocazione  conciliativa  del giudice di pace, la modesta gravita'
dei  fatti  devoluti  alla  sua  cognizione,  nonche' la natura delle
relative  sanzioni,  comunque non detentive, hanno appunto indotto il
legislatore  a  non  prevedere  riti  alternativi  «al  di  fuori dei
meccanismi  di  improcedibilita'  per  tenuita' del fatto, nonche' di
estinzione   del   reato   conseguente   a   condotte  riparatorie  e
all'oblazione»;
        che  il  Giudice  di  pace  di  Conegliano, con ordinanze del
14 novembre  2003 (r.o. n. 668 del 2004) e del 21 novembre 2003 (r.o.
n. 669  del  2004),  ha  sollevato,  su  eccezione  della  difesa, in
riferimento  agli  artt. 3  e  24  Cost.,  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art. 2  del decreto legislativo n. 274 del 2000,
sulla base di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte
nell'ordinanza n. 19 del registro ordinanze del 2004;
        che,  infine, con ordinanza del 13 febbraio 2004 (r.o. n. 670
del  2004)  il  Giudice  di  pace  di  Conegliano  ha  sollevato,  in
riferimento    all'art. 3    Cost.,    questione    di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 2  del decreto legislativo n. 274 del 2000,
riproponendo  le  stesse argomentazioni svolte nelle ordinanze numeri
668 e 669 del registro ordinanze del 2004;
        che  inoltre il giudice a quo, nel prendere in esame il reato
di  atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 cod. pen.), per cui
procede,  rileva  che  tra  tale  fattispecie e quella di atti osceni
(art. 527  cod.  pen.)  intercorre un rapporto di genere a specie, in
quanto  il  delitto  di  atti osceni «offende piu' intensamente ed in
modo  piu'  grave  il  pudore sessuale»; ciononostante, l'art. 44 del
decreto  legislativo  30 dicembre  1999, n. 507 (Depenalizzazione dei
reati   minori   e   riforma   del  sistema  sanzionatorio),  che  ha
depenalizzato    l'ipotesi   colposa   disciplinata   dal   capoverso
dell'art. 527  cod.  pen.,  ha  mantenuto la punibilita', a titolo di
colpa, per la fattispecie prevista dall'art. 726 cod. pen;
        che,  alla  luce  di  tali  considerazioni,  il giudice a quo
solleva,  su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 27
Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 44 del
decreto  legislativo  n. 507  del  1999 e degli artt. 1 e 7, comma 1,
lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per
la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e
tributario),  in relazione all'art. 726 cod. pen. (Atti contrari alla
pubblica   decenza),   nella   parte   in   cui   non   prevedono  la
depenalizzazione,    «sotto    il   profilo   della   colpa»,   della
contravvenzione descritta da tale norma;
        che,  in  particolare,  l'art. 3  Cost.  sarebbe  violato per
irragionevolezza  e  per  disparita' di trattamento, in quanto «se un
soggetto  commette  atti  indecenti  (colposi) e' punito con sanzione
penale, mentre se commette atti osceni (colposi) va esente da pena»;
        che  per  gli stessi motivi sarebbero violati il principio di
colpevolezza e la finalita' rieducativa della pena (art. 27 Cost.).
    Considerato   che  tutti  i  rimettenti  sollevano  questione  di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 2  del  decreto  legislativo
28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza penale del
giudice  di  pace,  a  norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999,  n. 468),  nella  parte  in cui non consente il ricorso ai riti
alternativi   e,  in  particolare,  all'applicazione  della  pena  su
richiesta delle parti nel procedimento davanti al giudice di pace;
        che  deve  pertanto  essere disposta la riunione dei relativi
giudizi;
        che  le  questioni  sono  sollevate in riferimento all'art. 3
della  Costituzione  da  tutti  i  rimettenti,  in  riferimento anche
all'art. 24  Cost.  nelle ordinanze numeri 19, 668 e 669 del registro
ordinanze  del  2004,  e  in  riferimento altresi' agli artt. 76 e 77
Cost. nelle ordinanze n. 554 del registro ordinanze del 2003 e n. 324
del registro ordinanze del 2004;
        che,  quanto  alla violazione dell'art. 3 Cost., i rimettenti
in  sostanza  lamentano  l'ingiustificata  disparita'  di trattamento
riservata  agli  autori  dei reati di competenza del giudice di pace,
per  i  quali  soltanto  e'  esclusa  la  possibilita' di accedere al
patteggiamento,  nonche'  l'irragionevolezza  di  una  disciplina che
consente  l'applicazione della pena su richiesta in relazione a reati
di  maggiore  gravita',  attribuiti  alla  competenza del tribunale o
della corte d'assise, e la preclude, invece, per violazioni di minore
gravita', di competenza del giudice di pace;
        che    la    lesione   del   principio   di   eguaglianza   e
l'irragionevolezza   della   disciplina   sarebbero   particolarmente
evidenti  quando,  verificandosi  ipotesi  di  connessione  ai  sensi
dell'art. 6  del  decreto  legislativo  n. 274  del  2000,  reati  di
competenza  del  giudice  di  pace  vengono  ad  essere giudicati dal
giudice  ordinario,  con  conseguente  possibilita' per l'imputato di
patteggiare anche con riferimento a tali reati;
        che  ad  avviso  del Giudice di pace di Vittorio Veneto e del
Giudice   di  pace  di  Conegliano  l'impossibilita'  di  fruire  del
patteggiamento    violerebbe    altresi'   il   diritto   di   difesa
dell'imputato;
        che,  in  riferimento  agli artt. 76 e 77 Cost., i Giudici di
pace di Pavia e di Vittorio Veneto (r.o. n. 554 del 2003 e n. 324 del
2004)  lamentano  che,  in assenza di un'espressa esclusione dei riti
alternativi  nella  legge-delega,  la  scelta operata dal legislatore
delegato  non appare conforme ai principi ispiratori del procedimento
davanti al giudice di pace e, soprattutto, al principio della massima
semplificazione,  posto  che  proprio  il  ricorso  al patteggiamento
contribuirebbe ad assicurare tale obiettivo;
        che,  quanto  alle  censure  mosse  in riferimento all'art. 3
Cost., si deve tenere presente, da un punto di vista generale, che il
procedimento   davanti   al   giudice   di  pace  presenta  caratteri
assolutamente  peculiari, di per se' non comparabili con la struttura
del procedimento davanti al tribunale e comunque tali da giustificare
sensibili  deviazioni  rispetto  al  modello  ordinario (per analoghe
considerazioni,   rispetto   a   vari   istituti   non  previsti  nel
procedimento  davanti  al  giudice  di  pace,  v. da ultimo ordinanze
numeri 349 e 201 del 2004, numeri 290 e 231 del 2003);
        che  il  decreto  legislativo n. 274 del 2000 contempla forme
alternative  di  definizione,  non  previste  dal codice di procedura
penale,  che  si  innestano  in un procedimento che concerne reati di
minore gravita', con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo, in
cui  il giudice deve favorire la conciliazione tra le parti (artt. 2,
comma 2,  e  29,  commi 4  e 5) e in cui la citazione a giudizio puo'
avvenire anche sul ricorso della persona offesa (art. 21);
        che,  in  particolare,  l'istituto  del patteggiamento, cosi'
come  delineato  nel codice di procedura penale, mal si concilierebbe
con  il costante coinvolgimento della persona offesa nel procedimento
davanti  al  giudice  di  pace,  anche  con  riferimento  alle  forme
alternative di definizione del procedimento;
        che,  infatti,  il  giudice,  da  un  lato, puo' escludere la
procedibilita'  per  la  particolare  tenuita' del fatto, ex art. 34,
comma 2,  solo  se non risulta un interesse della persona offesa alla
prosecuzione   del   procedimento  e,  dall'altro,  puo'  pronunciare
l'estinzione   del  reato  conseguente  a  condotte  riparatorie,  ex
art. 35, commi 1 e 5, solo dopo aver sentito la persona offesa;
        che le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di
pace  consentono di ritenere che l'esclusione dell'applicabilita' dei
riti  alternativi  sia  frutto  di  una  scelta non irragionevole del
legislatore   delegato,   comunque   tale   da  non  determinare  una
ingiustificata disparita' di trattamento;
        che  tali conclusioni non sono inficiate dal dato che in caso
di  connessione  -  peraltro  circoscritta  dall'art. 6  del  decreto
legislativo  n. 274 del 2000 alla sola ipotesi di concorso formale di
reati - e' consentito il ricorso al patteggiamento anche in relazione
ai reati attratti nella competenza del giudice «superiore»;
        che, infatti, le situazioni addotte dai rimettenti a sostegno
della  supposta  disparita'  di  trattamento  sono  tra  loro affatto
diverse  e  non  possono  essere  oggetto di comparazione al fine del
giudizio di costituzionalita';
        che  le considerazioni esposte valgono anche per i profili di
illegittimita'  riferiti  all'art. 24 Cost., posto che le ragioni che
giustificano  l'omessa  previsione  del  patteggiamento  a loro volta
escludono che sia ravvisabile una violazione del diritto di difesa;
        che,  quanto  alle censure mosse in relazione agli artt. 76 e
77, primo comma, Cost., per costante giurisprudenza di questa Corte i
principi  e  i  criteri  direttivi  della legge di delegazione devono
essere  interpretati  sia  tenendo  conto delle finalita' ispiratrici
della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante
sullo  specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato
non  siano  in  contrasto  con  gli  indirizzi  generali della stessa
legge-delega  (v.,  ex  plurimis,  ordinanza n. 248 del 2004, nonche'
sentenze n. 308 del 2002, n. 96 del 2001 e n. 230 del 1991);
        che, nella specie, l'art. 17, comma 1, della legge n. 468 del
1999  si  limita  a  raccomandare  al legislatore delegato di «tenere
conto»,  quale  modello  di  riferimento, del procedimento davanti al
tribunale   in  composizione  monocratica,  nonche'  a  prevedere  lo
svolgimento  del  giudizio  in  forma  semplificata  (lettera l),  la
introduzione  di  forme  di  definizione del procedimento nei casi di
particolare  tenuita'  del fatto e di occasionalita' della condotta e
di ipotesi di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie
o  risarcitorie,  nonche'  l'obbligo  del  giudice  di  procedere  al
tentativo di conciliazione (lettere f, g e h);
        che in attuazione di tali principi il legislatore delegato ha
delineato  un  procedimento  gia'  di  per  se' caratterizzato da una
accentuata   semplificazione  rispetto  al  procedimento  davanti  al
giudice monocratico;
        che  e'  proprio  la  struttura  complessiva del procedimento
davanti  al  giudice  di  pace,  accompagnata  da specifiche forme di
definizione  alternativa,  che  consente  di  escludere che la omessa
previsione   del   patteggiamento   integri   una   violazione  della
legge-delega;
        che   le   questioni   devono   pertanto   essere  dichiarate
manifestamente   infondate   in   relazione   a   tutti  i  parametri
costituzionali evocati dai rimettenti;
        che  nell'ordinanza n. 670 del registro ordinanze del 2004 il
Giudice  di  pace  di  Conegliano  ha  anche  sollevato  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 44  del  decreto  legislativo
30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma
del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c),
della  legge  25  giugno 1999,  n. 205  (Delega  al  Governo  per  la
depenalizzazione  dei  reati  minori e modifiche del sistema penale e
tributario),  in  relazione  all'art. 726  del  codice  penale  (Atti
contrari  alla pubblica decenza), nella parte in cui non prevedono la
depenalizzazione  della  contravvenzione  descritta  da  tale  norma,
limitatamente all'ipotesi di condotta colposa;
        che  il  rimettente lamenta che la disciplina censurata abbia
depenalizzato la forma colposa del piu' grave delitto di atti osceni,
prevista  dall'art. 527,  secondo comma, cod. pen., mentre continua a
costituire  reato la meno grave ipotesi contravvenzionale, attribuita
alla  competenza  del  giudice  di  pace,  degli  atti  contrari alla
pubblica decenza, punita anche a titolo di colpa;
        che  pertanto  la  disciplina  censurata  violerebbe l'art. 3
Cost.  sotto  il  duplice  profilo  della  irragionevolezza  e  della
disparita'  di trattamento, nonche' l'art. 27 Cost. per contrasto con
la funzione rieducativa della pena;
        che  il  rimettente, pur avendo espressamente enunciato nella
parte motiva la questione di legittimita' costituzionale e indicato i
relativi  parametri  di  riferimento,  nel  dispositivo  ha sollevato
questione  di  legittimita'  solo in relazione all'art. 2 del decreto
legislativo n. 274 del 2000;
        che   inoltre  il  giudice  a  quo  richiede  alla  Corte  un
intervento   volto   a   eliminare  la  sola  ipotesi  colposa  della
contravvenzione  prevista dalla norma incriminatrice, ma non fornisce
alcuna  indicazione da cui desumere la natura meramente colposa della
fattispecie  sottoposta  al suo esame, cosi' omettendo di motivare in
ordine alla rilevanza della questione;
        che  sotto  entrambi  i  profili  la  questione  va  pertanto
dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.