ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 4, comma 3,
della legge della Regione Lombardia 19 novembre 1999, n. 22 (Recupero
di   immobili  e  nuovi  parcheggi:  norme  urbanistico-edilizie  per
agevolare  l'utilizzazione  degli  incentivi  fiscali  in Lombardia),
interpretato  dall'articolo 3  della  legge  della  Regione Lombardia
23 novembre  2001,  n. 18,  in  relazione  agli  articoli 22, terzo e
quarto  comma  e  44,  comma 2-bis,  del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia  edilizia), promosso con ordinanza del 26 novembre 2003 dalla
Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Selva Lorenzo
ed altro, iscritta al n. 470 del registro ordinanze 2004 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 22, 1ª serie speciale,
dell'anno 2004.
    Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 aprile 2005 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del  26 novembre 2003, la Corte di
cassazione,   sezione   terza   penale,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4, comma 3, della legge della
Regione  Lombardia  19 novembre  1999,  n. 22 (Recupero di immobili e
nuovi    parcheggi:    norme   urbanistico-edilizie   per   agevolare
l'utilizzazione   degli   incentivi   fiscali  in  Lombardia),  «come
modificato ed integrato dall'art. 3 della legge regionale 23 novembre
2001,  n. 18,  in relazione agli artt. 22, terzo e quarto comma e 44,
comma 2-bis»,  del  d.P.R.  6  giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari in materia edilizia), con
riferimento agli artt. 3, 5, 25, 97 e 117 della Costituzione;
        che  tale  disposizione  e'  censurata  «nella  parte  in cui
applica  la  facolta' di denuncia di attivita' a tutti gli interventi
edilizi  di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica anche
se  non  disciplinati  da  piani  attuativi  comunque denominati, che
contengano   precise  disposizioni  plano-volumetriche,  tipologiche,
formali  e  costruttive, o da strumenti urbanistici generali, recanti
precise disposizioni plano-volumetriche»;
        che  il rimettente premette di essere chiamato a decidere sul
ricorso  per  saltum proposto dal Procuratore della Repubblica presso
il  Tribunale di Sondrio avverso la sentenza di primo grado emessa da
quel  tribunale  con la quale due soggetti, imputati del reato di cui
all'art. 20,  lettera b),  della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme
in   materia   di   controllo   dell'attivita'  urbanistico-edilizia,
sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere edilizie), erano stati
prosciolti  «perche'  il  fatto  non  sussiste».  In  particolare, la
condotta  contestata consisteva nell'aver realizzato, uno in qualita'
di  committente  e  l'altro  di  direttore  dei  lavori, un capannone
industriale  prefabbricato,  con  opere  murarie  di  fondazione  e 4
pilastri  alti  m. 4,5 in cemento armato, senza concessione edilizia,
ma con denuncia di inizio attivita';
        che,  a  giustificazione  della  pronuncia di assoluzione, il
tribunale  aveva  affermato  che l'art. 4, comma 3, della legge della
Regione  Lombardia  19 novembre  1999,  n. 22,  aveva esteso la DIA a
tutti  gli  interventi  edilizi,  senza  necessita' della presenza di
piani  attuativi  o di strumenti urbanistici generali recanti precise
disposizioni plano-volumetriche;
        che  il  giudice  a  quo  ripercorre  l'evoluzione del quadro
normativo  che  ha  portato  a  riconoscere  -  a partire dalla legge
7 agosto   1990,   n. 241   (Norme   in   materia   di   procedimento
amministrativo  e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
e   successivamente  con  il  decreto-legge  5 ottobre  1993,  n. 398
(Disposizioni  per  l'accelerazione  degli  investimenti  a  sostegno
dell'occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia
edilizia),  convertito  in  legge,  con  modificazioni,  dalla  legge
4 dicembre 1993, n. 493 - tra i titoli abilitativi a costruire, oltre
alla  concessione  edilizia  anche  la  denuncia di inizio attivita',
riservata  inizialmente  alla  realizzazione  di  interventi  edilizi
minori  e successivamente estesa dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443
(Delega  al  Governo  in  materia  di  infrastrutture ed insediamenti
produttivi  strategici  ed  altri  interventi  per  il rilancio delle
attivita'  produttive,  c.d.  Legge-obiettivo),  in  via alternativa,
anche  agli interventi assentibili con permesso di costruire, purche'
specificamente   disciplinati   da   piani   attuativi   con  precise
disposizioni  plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive,
o   da  strumenti  urbanistici  generali,  purche'  recanti  analoghe
previsioni di dettaglio;
        che,   la   previsione  della  denuncia  di  attivita'  quale
strumento  alternativo  al  permesso  di costruire (c.d. «super-DIA»)
sarebbe  poi stata introdotta nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in materia
edilizia), ad opera del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 (Modifiche ed
integrazioni   al   decreto   del   Presidente   della  Repubblica  6
giugno 2001,   n. 380,   recante   testo   unico  delle  disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia edilizia), con il quale il
Governo ha esercitato la delega conferitagli per armonizzare il testo
unico   dell'edilizia   con   le  modifiche  introdotte  dalla  legge
21 dicembre  2001,  n. 443,  e  dalla  legge  1° agosto  2002, n. 166
(Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti);
        che,  inoltre, il legislatore avrebbe equiparato del tutto la
disciplina sostanziale di questi interventi con quelli assoggettati a
permesso   di   costruire,  stabilendo  per  gli  interventi  edilizi
maggiori,  previsti  in  strumenti  e piani attuativi e di dettaglio,
l'applicazione   delle  sanzioni  penali  (art. 44,  comma 2-bis)  se
eseguiti  in  assenza  o in totale difformita' dalla DIA alternativa,
nonche'  delle  sanzioni amministrative e del potere di annullamento,
di  sospensione  dei  lavori e di demolizione, e dell'accertamento di
conformita';
        che  su  tale  quadro  non avrebbe inciso l'art. 13, comma 7,
della  legge  n. 166  del  2002, il quale fa salve le leggi regionali
entrate  in  vigore  anteriormente che fossero gia' conformi a quanto
previsto dalle lettere a), b), c) e d) del comma 6, «anche disponendo
eventuali categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici»,
dal  momento che, ad avviso del rimettente, tali categorie aggiuntive
e   i   differenti   presupposti   urbanistici  dovevano  pur  sempre
inquadrarsi   nell'ambito   di   una  pianificazione  urbanistica  di
dettaglio;
        che, il comma 8 dell'art. 13, della legge n. 166 del 2002, il
quale  consente  alle  Regioni  a  statuto  ordinario  di «ampliare o
ridurre   l'ambito   applicativo   di   cui  al  periodo  precedente»
assumerebbe    il    significato   di   rimandare   alla   disciplina
pianificatoria  di  dettaglio,  sicche' anche in questo caso i poteri
delle Regioni sarebbero stati limitati;
        che  tale  disposizione  sarebbe  stata  recepita  nel d.lgs.
n. 301  del  2002,  il  quale manterrebbe ferma la necessita', per le
ipotesi  in  cui  si  preveda  la  DIA  alternativa  al  permesso  di
costruire,   della   esistenza   di   pianificazione  urbanistica  di
dettaglio,  la quale sarebbe «l'unica a giustificare detta estensione
della  DIA  nell'ambito  dei  principi  generali  che  regolano detto
istituto in via normale ex lege n. 241 del 1990»;
        che  la  possibilita' per le Regioni di ampliare o ridurre le
ipotesi  della  DIA  prevista  dal  comma 4  dell'art. 22 del TUED, e
l'estensione delle sanzioni penali operata dall'art. 44, comma 2-bis,
agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante DIA ai
sensi  dell'art. 22,  comma 3,  starebbe  a significare che solo tale
tipologia  di  interventi potrebbe essere eseguita con la denuncia di
attivita';
        che   dalla   normativa   statale  emergerebbe  il  principio
fondamentale  -  gia'  individuato  da  questa  Corte con la sentenza
n. 303  del 2003 - della necessaria compresenza di titoli abilitativi
preventivi ed espressi (permesso di costruire) e taciti (DIA);
        che   da  cio'  deriverebbe  l'obbligo  per  la  legislazione
regionale di adeguarsi al principio fondamentale, secondo cui la «DIA
edilizia,  alternativa  al  permesso di costruire, e' consentita solo
qualora  sia  prevista  una normazione urbanistica `di dettaglio», al
cui  interno  rientrerebbero i diversi strumenti urbanistici regolati
dalle Regioni;
        che,  pertanto,  la  disposizione  regionale censurata, nella
parte  in  cui  rende  tutte  le  opere  edilizie,  comprese le nuove
costruzioni,  realizzabili  mediante  DIA  alternativa al permesso di
costruire,   pur   in   assenza   di   pianificazioni  di  dettaglio,
contrasterebbe  con  l'art. 117,  secondo  comma,  lettera l),  della
Costituzione,  in  quanto  determinerebbe  la  depenalizzazione degli
interventi   di  nuova  costruzione  o  ristrutturazione  urbanistica
mediante  DIA  anche  in  assenza di pianificazione di dettaglio, dal
momento   che   ad   essi   non   potrebbe  riferirsi  la  previsione
dell'art. 44,  comma 2-bis,  del TUED, che estende le sanzioni penali
solo   agli   interventi   previsti   dall'art. 22,  comma 3,  oppure
comporterebbe   una   non   consentita   estensione  analogica  della
previsione   dell'art. 44,  comma 2-bis,  ovvero  renderebbe  inutile
l'inciso  contenuto nel comma 4 dell'art. 22 («Restano comunque ferme
le sanzioni penali previste dall'articolo 44»);
        che,  peraltro,  una  generale  liberalizzazione  dei  titoli
abilitativi,   in   mancanza   della   individuazione   di   principi
fondamentali,  determinerebbe  una irragionevole differenziazione dei
regimi   giuridici   nelle   varie   Regioni   e  consentirebbe  alla
legislazione  regionale  di depenalizzare interventi che per la legge
statale sono realizzabili solo con permesso di costruire;
        che  l'art. 4,  comma 3,  della legge della Regione Lombardia
n. 22  del  1999  violerebbe,  inoltre,  il  principio individuato da
questa  Corte  -  con  la sentenza n. 303 del 2003 - della necessaria
compresenza  di titoli abilitativi espressi e taciti, dal momento che
determinerebbe   la   sostanziale   esclusione  del  titolo  edilizio
espresso, sia pure in via facoltativa;
        che, ad avviso della Cassazione, la nuova disciplina statale,
«in  parte diversa e chiarificatrice» e dalla quale sarebbe possibile
trarre  i  principi  fondamentali sopra indicati, nonche' desumere la
natura  procedurale  della DIA alternativa, impedirebbe di dare, come
in  precedenti occasioni, una interpretazione adeguatrice della legge
censurata;
        che la disposizione censurata violerebbe, oltre agli artt. 25
e  117,  anche  l'art. 97  della  Costituzione  per  inosservanza del
principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione, dal
momento che l'estensione indiscriminata della DIA anche ad interventi
di  maggior  rilievo  «in  cui  gli  interessi  pubblici primari sono
prevalenti»,  senza  neppure  il  limite  della  preesistenza  di una
pianificazione  di  dettaglio,  determinerebbe  una  «privatizzazione
dell'istruttoria» con lesione della «razionalita' procedimentale»;
        che,  infine, quanto alla rilevanza della questione, la Corte
di  cassazione  osserva  che  al  procedimento  in  corso non sarebbe
applicabile  la  norma  sul  condono  edilizio  di  cui  all'art. 32,
comma 25,  del  d.l.  30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti
per  favorire  lo  sviluppo  e la correzione dell'andamento dei conti
pubblici),  convertito  in  legge,  con  modificazioni,  dalla  legge
24 novembre   2003,  n. 326,  e  che  le  questioni  di  legittimita'
prospettate  influirebbero  «in ogni caso, sul procedimento `de quo',
indipendentemente   dall'applicazione  della  fondamentale  pronuncia
della Corte costituzionale n. 364 del 1988»;
        che e' intervenuta in giudizio la Regione Lombardia, la quale
ha  chiesto  che venga dichiarata la manifesta inammissibilita' delle
questioni  sollevate  dalla  Corte  di  cassazione,  ovvero  la  loro
manifesta infondatezza;
        che   la   difesa  regionale  eccepisce  sotto  vari  profili
l'inammissibilita'  delle censure, innanzitutto in quanto l'ordinanza
di rimessione sarebbe caratterizzata da «un tortuoso, contraddittorio
e   perplesso   percorso  argomentativo»  che  solo  nel  dispositivo
consentirebbe di comprendere i termini delle questioni sollevate;
        che,  inoltre,  la  Cassazione  non  avrebbe  chiarito la sua
lettura  della  norma  censurata,  cosicche' sul punto vi sarebbe una
totale  incertezza  che  si  tradurrebbe  sia  nel vizio di manifesta
inammissibilita'  per erronea individuazione della norma oggetto, sia
nella  manifesta  infondatezza  della  questione per erronea premessa
interpretativa;
        che,  in  ogni  caso,  il  rimettente  avrebbe  trascurato di
spiegare  per quale ragione ritiene che l'espressione «strumentazione
urbanistica   comunale»,   alla   cui   presenza  e'  subordinata  la
realizzazione  con  DIA  di  nuove costruzioni, debba necessariamente
escludere le prescrizioni urbanistiche dettagliate. Tale omissione si
risolverebbe  nella  manifesta  inammissibilita'  della questione per
carenza   assoluta   di   interpretazione   sul   significato   della
norma-oggetto,  «o,  quanto  meno,  la sua manifesta infondatezza per
erronea premessa interpretativa»;
        che  ulteriore profilo di inammissibilita' sarebbe costituito
dal  fatto  che  l'ordinanza  nulla direbbe in ordine all'esistenza o
meno,  nel  comune  ove  e' stato realizzato l'intervento oggetto del
procedimento  penale,  di  piani attuativi o di strumenti urbanistici
generali  recanti precise disposizioni plano-volumetriche, di talche'
tale  omissione determinerebbe il carattere del tutto ipotetico della
questione;
        che,  ancora, la questione sarebbe inammissibile in quanto la
Cassazione,  al  termine  dell'ordinanza,  ne afferma la rilevanza «a
prescindere  dalla fondamentale pronuncia n. 364 del 1988 della Corte
costituzionale»,  senza  esplicitare  le ragioni che impedirebbero di
applicare l'art. 5 cod. pen. in tema di scusabilita' dell'errore;
        che  ulteriori  profili di inammissibilita' deriverebbero dal
mancato  tentativo  di  dare  una  interpretazione  adeguatrice della
disposizione   censurata,   nonche'   dal   carattere   perplesso   e
contraddittorio   della   motivazione,   in   quanto,  censurando  la
disposizione  regionale in relazione all'art. 25 Cost., la Cassazione
avrebbe   fornito   due   alternative   opzioni   ermeneutiche  senza
abbracciarne  chiaramente  una:  il  giudice  rimettente  da  un lato
sembrerebbe   accogliere   un'interpretazione   sistematica  per  cui
l'art. 44,  comma 1,  lettera a),  del TUED si estenderebbe alla c.d.
«super-DIA»;  dall'altro lato affermerebbe che la normativa regionale
inciderebbe  sul  regime  penale  creando  una  minor  tutela per gli
interventi edilizi di maggior rilievo;
        che,  infine,  ulteriore  profilo  di  inammissibilita' della
questione, sarebbe costituito dal fatto che il rimettente chiederebbe
alla  Corte  una  pronuncia  additiva non limitata agli interventi di
nuova costruzione oggetto del giudizio a quo;
        che,  quanto  al merito della questione, la Regione Lombardia
afferma  che,  a  differenza di quanto sostenuto dalla Cassazione, il
vero  principio  fondamentale  della legislazione urbanistica sarebbe
quello   secondo   il   quale   «gli   interventi  di  trasformazione
urbanisticamente  rilevanti  debbono  essere  assoggettati a forme di
controllo  da  parte  dell'amministrazione»,  e  che  la  Regione non
potrebbe  sopprimere  tale controllo, ma ben potrebbe individuarne la
tipologia   in   relazione  alle  varie  fattispecie  di  interventi,
individuando  in  sostanza  le categorie di opere da sottoporre a DIA
anche alternativa al permesso di costruire;
        che,  osserva  ancora la Regione, questa stessa Corte avrebbe
riconosciuto  come  l'attribuzione  di  un  tale  potere alle Regioni
determini una maggiore flessibilita' del principio della legislazione
statale quanto alle categorie di opere cui la DIA puo' applicarsi;
        che   cio'   peraltro   troverebbe   riconoscimento   proprio
nell'art. 22,  comma 4,  del TUED, il quale appunto stabilisce che le
Regioni   possano  ampliare  o  ridurre  l'ambito  applicativo  delle
disposizioni  dallo stesso dettate e nell'art. 13, commi 7 e 8, della
legge  n. 166  del  2002,  che avrebbe fatto salve le leggi regionali
previgenti  anche  se  prevedano  eventuali  categorie  aggiuntive  e
differenti presupposti;
        che  tale disposizione, benche' non compresa nel testo unico,
sarebbe  comunque vigente ed avrebbe efficacia sanante nella denegata
ipotesi  che si volesse dubitare della conformita' della disposizione
della  legge  regionale lombarda alla legislazione statale in materia
di DIA;
        che,   infine,   l'art. 22,   comma 4,   del   TUED   farebbe
espressamente  salva  la  normativa  penale  in  materia, in tal modo
chiarendo  che le leggi regionali che agiscono sui titoli abilitativi
non potrebbero incidere sull'applicabilita' delle norme penali;
        che,  in  prossimita'  della  camera di consiglio, la Regione
Lombardia  ha  depositato  una  memoria  nella quale ribadisce che la
legge  censurata, nel testo risultante a seguito dell'interpretazione
autentica di cui alla legge regionale n. 18 del 2001, nel subordinare
la  facolta'  di  realizzare con DIA tutti gli interventi di cui alla
delibera  della  Giunta  regionale  n. VI/38573  alla conformita' dei
medesimi   alla   «vigente   strumentazione   urbanistica»,   sarebbe
rispettoso dei principi posti dalla legge statale;
        che,  infatti,  la  legge  regionale della Lombardia, emanata
prima  della  data  di entrata in vigore della legge n. 443 del 2001,
sarebbe   stata   gia'   conforme  a  quanto  previsto  dal  comma 6,
lettere a),  b), c) e d) dell'art. 1 della medesima legge, integrando
altresi'  una  di  quelle  leggi  regionali che l'art. 13 della legge
n. 166 del 2002 avrebbe fatto salve;
        che,   peraltro,   la   locuzione   «vigente   strumentazione
urbanistica   comunale»  contenuta  nella  norma  censurata,  sarebbe
sinonimo  di  quei  piani  attuativi  contenenti precise disposizioni
plano-volumetriche,   tipologiche,  formali  e  costruttive,  di  cui
all'art. 1,  comma 6,  della  legge  n. 443  del  2001, di talche' la
questione rimessa dalla Cassazione sarebbe manifestamente infondata;
        che   infondata   sarebbe   anche   la   censura  concernente
l'interferenza  della disciplina regionale con la materia penale, dal
momento  che  dal  combinato  disposto degli artt. 22 e 44 del d.P.R.
n. 380  del 2001 emergerebbe che agli interventi realizzabili con DIA
facoltativa  ai sensi dell'art. 22, comma 3, sarebbero applicabili le
sanzioni penali previste dall'art. 44, mentre per le altre ipotesi di
DIA  previste  dall'art. 22  (c.d. «DIA semplice») si applicherebbero
solo le sanzioni amministrative di cui all'art. 37 del TUED;
        che  il  citato art. 22, inoltre, consentendo alle Regioni di
ampliare  l'ambito  applicativo della DIA facoltativa, stabilisce che
restano  comunque  ferme le sanzioni penali previste dall'art. 44, di
talche'  alla  denuncia  di  inizio  attivita'  prevista  dalla legge
regionale  censurata  si  ricollegherebbe  ex se la sanzione penale e
renderebbe   pertanto   infondati   i   dubbi   di  costituzionalita'
prospettati dal rimettente;
        che, in una successiva memoria, la Regione Lombardia da' atto
che  il  14 marzo  2005  e' stata pubblicata sul Bollettino ufficiale
della Regione la legge 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del
territorio),  che ha disciplinato gli interventi edilizi sottoposti a
denuncia   inizio   attivita',   nonche'   il   relativo  trattamento
sanzionatorio, disponendo altresi' l'abrogazione di entrambe le leggi
oggetto  delle  censure  mosse dalla Corte di cassazione, e cioe' sia
della legge regionale n. 22 del 1999, sia della legge regionale n. 18
del 2001;
        che,  pertanto,  la  resistente  ha  chiesto  alla  Corte  di
valutare l'influenza dello ius superveniens sulle questioni sollevate
dal giudice rimettente.
    Considerato  che la Corte di cassazione dubita della legittimita'
costituzionale   dell'art. 4,  comma 3,  della  legge  della  Regione
Lombardia  19 novembre  1999,  n. 22  (Recupero  di  immobili e nuovi
parcheggi:  norme  urbanistico-edilizie per agevolare l'utilizzazione
degli  incentivi fiscali in Lombardia), «come modificato ed integrato
dall'art. 3   della  legge  regionale  23 novembre  2001,  n. 18,  in
relazione agli artt. 22, terzo e quarto comma e 44, comma 2-bis», del
d.P.R.   6   giugno 2001,  n. 380  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia edilizia), con riferimento
agli artt. 3, 5, 25, 97 e 117 della Costituzione;
        che,  in  particolare, il giudice rimettente ritiene che tale
previsione  contrasti  con  il principio fondamentale che emergerebbe
dalla  legislazione  statale  in  materia  di governo del territorio,
secondo   il   quale   la  denuncia  di  inizio  attivita'  edilizia,
alternativa al permesso di costruire, sarebbe consentita solo qualora
sia  prevista una normazione urbanistica di dettaglio, nonche' con il
principio  individuato  dalla  Corte  con la sentenza n. 303 del 2003
della necessaria compresenza di titoli abilitativi espressi (permesso
di costruire) e taciti (DIA);
        che,  secondo  il  giudice  a  quo, la disposizione regionale
finirebbe  per  incidere  sul sistema sanzionatorio penale, in quanto
sottrarrebbe  taluni  interventi  al  regime  penale in contrasto con
l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, ed inoltre
contrasterebbe  con  il  principio  di  legalita'  e tassativita' dei
precetti penali, dal momento che, ampliando l'ambito degli interventi
soggetti  a  DIA,  farebbe  si' che questi siano sforniti di sanzione
penale  ovvero  siano  comunque  puniti,  «sicche' sarebbe inutile la
previsione   di  alternativita»  dei  titoli  abilitativi,  la  quale
rileverebbe solo sotto il profilo amministrativo e civile;
        che,  successivamente all'ordinanza di rimessione, la Regione
Lombardia  ha  emanato  la  legge  11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il
governo  del  territorio),  la  quale  contiene  una nuova disciplina
organica del governo del territorio;
        che,  in particolare, tale legge, oltre a regolare ex novo la
pianificazione  territoriale  (si  veda  in  particolare la Parte I),
nell'ambito  della  gestione  del territorio (Parte II), disciplina i
titoli abilitativi, individuati nel permesso di costruire (artt. 33 e
ss.) e nella denuncia di inizio attivita' (artt. 41 e 42);
        che,  a tale ultimo riguardo, l'art. 41, nell'individuare gli
interventi   realizzabili  mediante  denuncia  di  inizio  attivita',
configura  tale  strumento  come del tutto alternativo al permesso di
costruire e richiede, quale unico requisito per la sua utilizzazione,
che  l'intervento  da  realizzare  sia  conforme  agli  strumenti  di
pianificazione  vigenti  ed  adottati, nonche' ai regolamenti edilizi
vigenti (art. 42, comma 1);
        che,  inoltre,  l'art. 49  della  legge regionale, in tema di
sanzioni,  estende  anche  agli  interventi  realizzati  con  DIA  in
mancanza  dei  requisiti  richiesti,  ovvero  «in  contrasto  con  la
normativa   di   legge   o  con  le  previsioni  degli  strumenti  di
pianificazione   vigenti  o  adottati»  le  sanzioni  previste  dalla
normativa  statale  per  gli interventi eseguiti in assenza ovvero in
difformita' dal titolo abilitativo;
        che,  ancora,  l'art. 103 dispone che dalla entrata in vigore
della  legge  cessa di avere diretta applicazione in ambito regionale
la  disciplina di dettaglio prevista dal d.P.R. n. 380 del 2001 ed in
particolare l'art. 22 (che disciplina la DIA);
        che,   infine,   l'art. 104  abroga  espressamente  la  legge
regionale  n. 22 del 1999 e la legge regionale n. 18 del 2001, le cui
disposizioni sono oggetto delle censure della Cassazione;
        che,  pertanto,  la  normativa  regionale sopravvenuta incide
direttamente sulle disposizioni censurate, abrogandole e dettando una
nuova disciplina della DIA, nonche' delle sanzioni anche penali;
        che,  sempre  successivamente all'ordinanza di rimessione, il
d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano
di  azione  per  lo  sviluppo  economico,  sociale  e  territoriale),
all'art. 3,  ha  sostituito  il testo dell'art. 19 della legge n. 241
del  1990,  modificando  la  disciplina della dichiarazione di inizio
attivita'  ai  cui  principi  si  richiamava l'art. 4, comma 1, della
legge regionale n. 22 del 1999;
        che  il  sopravvenuto  mutamento  del quadro normativo incide
proprio  sui profili di legittimita' costituzionale prospettati dalla
Cassazione   sulle   disposizioni   regionali  censurate  ed  impone,
pertanto, in conformita' con il consolidato indirizzo della Corte, la
restituzione  degli  atti  al  rimettente affinche' valuti la portata
della  nuova disciplina regionale nel giudizio a quo e la conseguente
perdurante rilevanza delle questioni sollevate.