ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3,
del  decreto  legislativo  31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30  della  legge  30 dicembre  1991,  n. 413), promosso con
ordinanza   del   14 ottobre   2003   dalla   Commissione  tributaria
provinciale  di  Napoli  sul ricorso proposto da Costruzioni Cerimele
S.p.a.  in  liquidazione  contro l'Ufficio delle Entrate di Napoli 1,
iscritta  al  n. 1021  del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 2,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 4 maggio 2005 il giudice
relatore Annibale Marini.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ordinanza del 9 dicembre 1997 la Commissione tributaria
provinciale  di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 46,  comma 3,  del  decreto  legislativo  31 dicembre 1992,
n. 546  (Disposizioni  sul  processo  tributario  in attuazione della
delega  al  Governo  contenuta  nell'art. 30  della legge 30 dicembre
1991,  n. 413),  «nella  parte  in  cui  preclude  ai  giudici, nella
declaratoria  di  estinzione  della controversia per cessazione della
materia  del contendere, di condannare l'Amministrazione virtualmente
soccombente al pagamento delle spese».
    Con  successiva ordinanza del 14 ottobre 2003 il medesimo giudice
ha  rinnovato  l'ordine  di  trasmissione  degli atti a questa Corte,
rimasto precedentemente ineseguito.
    1.1.  -  Il  giudizio  a  quo  ha ad oggetto l'impugnativa di una
cartella  di  pagamento  emessa  nell'anno 1996  dal I Ufficio IVA di
Napoli  nei  confronti di una societa' in liquidazione, per l'importo
di L. 1.401.962.497.
    In   punto   di   fatto,  il  giudice  adito  ha  accertato  che,
successivamente  all'instaurazione del giudizio, l'Ufficio impositore
aveva  disposto  lo sgravio, in sede di autotutela, dell'intera somma
iscritta a ruolo.
    Cessata  di  conseguenza  la  materia  del  contendere, rileva il
rimettente  che  andrebbe  dichiarata  l'estinzione  del giudizio, ai
sensi dell'art. 46, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992,
con  conseguente  applicabilita' della disposizione di cui al comma 3
dello  stesso  articolo, secondo cui «le spese del giudizio estinto a
norma  del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate,
salvo diverse disposizioni di legge».
    Si  tratta  -  continua  il  rimettente - di una disposizione che
preclude  l'applicabilita', nel processo tributario, della disciplina
propria  del  processo  civile, secondo la quale il regolamento delle
spese,  nel caso di cessazione della materia del contendere, consegue
invece alla valutazione della soccombenza virtuale rimessa al giudice
della causa.
    1.2.  -  Ad avviso del medesimo rimettente, la norma in questione
si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi costituzionali sotto un
duplice profilo.
    In  primo luogo - tenuto conto che, per la particolare natura del
processo  tributario,  solo il contribuente puo' assumere la veste di
ricorrente e d'altro canto la cessazione della materia del contendere
consegue,   normalmente,   ad   atti   compiuti  dall'amministrazione
convenuta  in  via  di  autotutela  -  sarebbe  leso  il principio di
uguaglianza  di  trattamento  tra le parti del processo, esonerandosi
irragionevolmente  l'amministrazione  dall'onere  del pagamento delle
spese anticipate dalla controparte.
    In  secondo luogo, considerata l'esistenza dell'obbligo di difesa
tecnica  per le cause di valore superiore a L. 5.000.000, la norma di
cui  si  tratta  costituirebbe un indubbio ostacolo all'esercizio, da
parte  del  contribuente,  del diritto alla tutela giurisdizionale di
cui all'art. 24 della Costituzione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita, in
riferimento  agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimita'
costituzionale   dell'art. 46,   comma 3,   del  decreto  legislativo
31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre  1991,  n. 413),  secondo  cui, in caso di estinzione del
giudizio  per  definizione  delle pendenze tributarie o per qualsiasi
altra  ipotesi  di  cessazione della materia del contendere, le spese
restano  a  carico  della  parte  che le ha anticipate, salvo diverse
disposizioni di legge.
    La  norma  impugnata  violerebbe  il  principio  di  eguaglianza,
favorendo  ingiustamente  l'amministrazione finanziaria nei confronti
della controparte, e si porrebbe altresi' in contrasto con il diritto
di  difesa,  tutelato  dall'art. 24  della  Costituzione, operando in
funzione  obiettivamente  dissuasiva rispetto all'esercizio, da parte
del contribuente, del diritto alla tutela giurisdizionale.
    2.  - L'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992
e'   stato   piu'   volte   oggetto   di  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale,   in   riferimento   a  diversi  parametri  ed  anche
all'art. 3   della   Costituzione,  sotto  il  profilo  dell'asserita
violazione   del   principio   di  eguaglianza  rispetto  al  tertium
comparationis  rappresentato dalla disciplina del processo civile. Le
relative  questioni sono state dichiarate non fondate (sentenza n. 53
del  1998),  manifestamente  infondate  (ordinanze  n. 465  del 2000,
n. 265   e   n. 77  del  1999,  n. 368  del  1998)  o  manifestamente
inammissibili (ordinanza n. 68 del 2005).
    La  questione  di  legittimita' costituzionale della stessa norma
deve essere ora esaminata sotto il diverso aspetto, anch'esso evocato
dal rimettente, della irragionevolezza della norma censurata.
    Il  rimettente, infatti, nel rilevare che la norma avvantaggia in
maniera   ingiustificata  la  parte  che  determina  con  un  proprio
comportamento  volontario  la cessazione della materia del contendere
(il  che,  egli  afferma,  «puo'  avvenire  -  e  avviene con maggior
frequenza   -   per   effetto  di  ravvedimento  dell'Amministrazione
finanziaria   nel  corso  della  controversia  attraverso  l'istituto
dell'autotutela»)  denuncia  solo  apparentemente  una violazione del
principio  di  eguaglianza  tra  le  parti  del processo - proprio in
quanto,  come  egli stesso implicitamente riconosce, della norma puo'
giovarsi  talvolta  anche  il  contribuente  -  ma in realta' pone in
dubbio  la ragionevolezza stessa del regolamento delle spese dettato,
in riferimento a tale ipotesi astratta, dalla norma impugnata.
    2.1. - La questione, prospettata in tali termini, e' fondata.
    Occorre  muovere  dalla premessa che il processo tributario e' in
linea  generale  ispirato  -  non  diversamente  da  quello  civile o
amministrativo  -  al  principio  di responsabilita' per le spese del
giudizio,  come  dimostrano  l'art. 15 del decreto legislativo n. 546
del 1992, secondo cui la parte soccombente e' condannata a rimborsare
le   spese,  salvo  il  potere  di  compensazione  della  commissione
tributaria  (a  norma  dell'art. 92,  secondo  comma,  del  codice di
procedura  civile),  e  l'art. 44  del  medesimo decreto legislativo,
secondo  cui,  in  caso  di  rinuncia  al  ricorso, il ricorrente che
rinuncia  deve  rimborsare  le  spese alle altre parti, salvo diverso
accordo tra loro.
    La  compensazione  ope  legis  delle spese nel caso di cessazione
della  materia del contendere, rendendo inoperante quel principio, si
traduce,  dunque,  in  un  ingiustificato privilegio per la parte che
pone  in  essere  un  comportamento  (il  ritiro  dell'atto, nel caso
dell'amministrazione,  o  l'acquiescenza alla pretesa tributaria, nel
caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimento della
fondatezza  delle  altrui  ragioni, e, corrispondentemente, in un del
pari  ingiustificato  pregiudizio  per  la controparte, specie quella
privata,  obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo
tributario,  dell'assistenza  tecnica  di  un  difensore  e,  quindi,
costretta  a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista
abilitato alla difesa in giudizio.
    L'intrinseca  irragionevolezza  della  norma,  in quanto riferita
all'ipotesi di ritiro dell'atto impugnato, che ricorre nel giudizio a
quo,  emerge  del  resto con particolare evidenza anche nel confronto
con  la  disciplina  prevista per l'ipotesi di annullamento o riforma
dell'atto,   in   via   di   autotutela,   nel   corso  del  processo
amministrativo,   avente   analoga  natura  impugnatoria.  L'art. 23,
settimo  comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei
tribunali  amministrativi  regionali),  dispone infatti, in tal caso,
che  «il  tribunale  amministrativo  regionale da' atto della cessata
materia  del  contendere  e provvede sulle spese», anche, ovviamente,
dichiarandone la compensazione qualora ne ricorrano i presupposti.
    3.  - L'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992
risulta  in  definitiva  lesivo,  sotto  l'aspetto  considerato,  del
principio   di   ragionevolezza,   riconducibile   all'art. 3   della
Costituzione,  e  ne  va  di  conseguenza dichiarata l'illegittimita'
costituzionale  nella  parte  in  cui si riferisce alle ipotesi - cui
esclusivamente  ha riguardo l'ordinanza di rimessione - di cessazione
della  materia  del  contendere diverse dai casi di definizione delle
pendenze  tributarie previsti dalla legge, dovendo, pertanto, in tali
ipotesi  la  commissione tributaria pronunciarsi sulle spese ai sensi
dell'art. 15, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992.
    Resta  assorbita  ogni  altra  e  diversa  censura  avanzata  dal
rimettente.