ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6 e 31 della
legge  della  Regione Lazio 27 febbraio 2004, n. 2 (Legge finanziaria
regionale  per l'esercizio 2004), promosso con ricorso del Presidente
del  Consiglio  dei ministri, notificato il 7 maggio 2004, depositato
in  cancelleria  il  17  successivo ed iscritto al n. 55 del registro
ricorsi 2004.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  24 maggio  2005  il  giudice
relatore Franco Bile;
    Uditi  l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente
del  Consiglio  dei ministri e gli avvocati Pietro Pesacane e Massimo
Camaldo per la Regione Lazio.

                          Ritenuto in fatto

    Con ricorso notificato il 7 maggio 2004, depositato il successivo
17 maggio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato - in
riferimento  agli  artt. 3, primo comma, 51, primo comma, e 97, commi
primo  e  terzo,  della  Costituzione  -  l'art. 31 della legge della
Regione Lazio 27 febbraio 2004, n. 2 (Legge finanziaria regionale per
l'esercizio   2004),   oltre  all'art. 6  della  medesima  legge,  in
riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione.
    In  base  a  tale  norma,  l'Ufficio  di presidenza del Consiglio
regionale  affida,  con  apposita  convenzione,  alla  societa' Lazio
Service   s.p.a.,   costituita  ai  sensi  dell'art. 12  della  legge
regionale  10 maggio  2001, n. 10, i servizi di supporto alle proprie
strutture   di  diretta  collaborazione  di  cui  al  titolo  II  del
regolamento  di  organizzazione  del  Consiglio stesso, approvato con
deliberazione  dell'Ufficio  di presidenza del 29 gennaio 2003, n. 3;
la  societa'  garantisce  a  tali  strutture  un  numero di unita' di
personale pari a quello dei collaboratori esterni all'amministrazione
regionale ad esse destinati secondo il citato regolamento; in sede di
prima  applicazione  della  norma,  la  societa'  assume il personale
appena  indicato  con  contratto a tempo indeterminato, con priorita'
per i lavoratori occupati con contratto a tempo determinato alla data
del  31 dicembre  2003 presso le strutture in esame; questo personale
e' assunto con qualifica e trattamento pari a quello posseduto presso
la Regione.
    Secondo  il  ricorrente,  l'«esternalizzazione»  dei  servizi  di
supporto  alle  strutture  di  diretta  collaborazione  del Consiglio
regionale,  come  attuata  dalla  norma  impugnata,  lede  i principi
costituzionali   del   concorso   pubblico,  dell'eguaglianza  tra  i
cittadini  e  del  buon  andamento delle amministrazioni pubbliche, e
pertanto viola gli artt. 3, primo comma, 51, primo comma, e 97, commi
primo   e   terzo,   della  Costituzione,  «specie  se  si  considera
l'eventualita'  di  una futura legge la quale immetta il personale di
che trattasi nei ranghi della Regione».
    In  prossimita'  dell'udienza  il  Presidente  del  Consiglio dei
ministri  ha  depositato  una  memoria  illustrativa  delle  riferite
argomentazioni.
    La  Regione  Lazio, in persona del Presidente della Giunta, si e'
costituita    concludendo    per    l'inammissibilita'   o   comunque
l'infondatezza  del  ricorso. L'inammissibilita' e' prospettata sotto
il  profilo  dell'inidoneita'  dei  parametri  invocati,  estranei al
riparto  di  competenze.  Nel merito, la Regione ritiene che la norma
persegua  legittimamente la finalita' di stabilizzare il personale in
questione,  in  conformita' alla normativa statale diretta a favorire
la  stabilizzazione  degli  addetti  a  lavori socialmente utili. Del
resto, rileva la Regione, il personale precario di cui si discute non
e'  assunto  dall'amministrazione regionale, soggetta alla regola del
pubblico concorso, ma da una societa' di diritto privato.
    Nella  memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la Regione
cita  la giurisprudenza costituzionale sulle deroghe che il principio
del  concorso  pubblico  puo' subire in particolari casi; e riferisce
che  la Lazio Service s.p.a. e' stata costituita nel giugno 2001, con
capitale  sociale  rappresentato da 8000 azioni ordinarie nominative,
di  cui  4080 detenute dalla Sviluppo Lazio s.p.a. (Agenzia regionale
per  gli  investimenti  e  lo  sviluppo) e 3920 dalla Societa' Italia
lavoro  s.p.a.,  per  la  durata  quinquennale prevista dall'art. 12,
comma 3, della legge regionale n. 10 del 2001.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato - in
riferimento  agli  artt. 3, primo comma, 51, primo comma, e 97, commi
primo e terzo, della Costituzione - tra l'altro l'art. 31 della legge
della   Regione  Lazio  27 febbraio  2004,  n. 2  (Legge  finanziaria
regionale  per  l'esercizio  2004), che disciplina l'affidamento alla
societa'  Lazio Service s.p.a. dei servizi di supporto alle strutture
di  diretta  collaborazione  del  Consiglio  regionale,  previste dal
titolo  II  del  regolamento  di organizzazione del Consiglio stesso,
approvato  con  deliberazione  dell'Ufficio  di  presidenza  n. 3 del
29 gennaio 2003.
    2.  -  L'eccezione  di inammissibilita' - sollevata dalla Regione
sotto il profilo che i parametri invocati sono estranei al riparto di
competenze - e' infondata.
    Questa  Corte  ha  infatti  ripetutamente  affermato  che,  anche
nell'assetto derivato dalla riforma del Titolo V della II parte della
Costituzione,  lo  Stato  puo'  impugnare  le  leggi regionali in via
principale  deducendo  come parametro qualsiasi norma costituzionale,
pur  se  estranea  al  riparto delle competenze legislative (sentenze
n. 274 del 2003 e n. 162 del 2004).
    3. - Nel merito la questione e' fondata.
    4.  - I servizi cui si riferisce la norma impugnata sono previsti
dall'art. 37  della  legge regionale 18 febbraio 2002, n. 6, relativo
alle «strutture di diretta collaborazione con gli organi di indirizzo
politico».  Il  primo  comma  di  tale  articolo  stabilisce  che  il
Presidente   del  Consiglio  regionale,  i  componenti  l'Ufficio  di
presidenza,  nonche' i gruppi consiliari si avvalgono per l'esercizio
delle  proprie  funzioni,  di strutture di diretta collaborazione con
compiti  di  segreteria;  il  terzo  comma estende tale previsione ai
Presidenti  delle  commissioni consiliari permanenti e speciali ed al
Presidente  del  Collegio  dei  revisori  dei  conti; il quarto comma
demanda   al   regolamento   di   organizzazione   del  Consiglio  di
disciplinare,  tra  l'altro,  il  limite  massimo  del  personale  da
assegnare  alle strutture in esame, precisando che esso e' scelto tra
dipendenti  regionali,  dipendenti di altre pubbliche amministrazioni
in aspettativa, fuori ruolo o comando, ed esterni all'amministrazione
regionale  assunti  a  tempo  determinato  con  contratti  di diritto
privato.
    A  sua volta il ricordato regolamento di organizzazione definisce
al  titolo  II  gli  organici  di  tali  strutture, ed in particolare
prevede   all'art. 11  che  i  collaboratori  esterni  alla  pubblica
amministrazione  sono  assunti su richiesta nominativa del rispettivo
organo  politico,  per  una  durata  massima  di  5 anni che non puo'
comunque oltrepassare la data di scadenza della legislatura.
    5.  -  La  norma  impugnata - come risulta dalla sua formulazione
letterale  - si ricollega all'art. 12 della legge regionale 10 maggio
2001,  n. 10,  secondo cui la Regione (attraverso l'Agenzia regionale
per gli investimenti e lo sviluppo del Lazio - Sviluppo Lazio s.p.a.)
promuove  la  costituzione  di  una  societa'  di  servizi  ai  sensi
dell'art. 10,  comma 1,  del  decreto  legislativo  1° dicembre 1997,
n. 468,  e  di  essa si avvale per «esternalizzare» lo svolgimento di
attivita'  di  servizio  effettuate  al suo interno, anche impegnando
lavoratori socialmente utili, all'uopo stipulando con la societa' una
convenzione di durata quinquennale.
    Inserendosi  in questo quadro normativo e riprendendo in parte il
modello  dall'art. 12  della legge regionale n. 10 del 2001, la norma
impugnata  prevede  (commi  1  e 2) la costituzione, ai sensi di tale
articolo, di una singola societa' di servizi denominata Lazio Service
s.p.a.,  alla  quale  l'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale
affida, con apposita convenzione, una specifica tipologia di servizi,
quelli  di  supporto  alle  strutture  di  diretta collaborazione del
Consiglio stesso.
    In  particolare, la norma prevede che dalla data di stipula della
convenzione  la  societa'  garantisce  a  tali strutture un numero di
unita'  di  personale  pari  a  quello dei collaboratori esterni alla
pubblica  amministrazione  ad  esse  assegnati in base al regolamento
citato  (comma  3);  e,  in  sede  di  prima applicazione, assume con
contratto a tempo indeterminato questo personale, con priorita' per i
lavoratori  occupati  con contratto a tempo determinato alla data del
31 dicembre  2003  presso  le  medesime strutture (comma 4), che sono
assunti  dalla  societa'  con  qualifica  e trattamento pari a quello
posseduto  presso  la  Regione (comma 7). La disciplina e' completata
dal  comma 5,  che modifica l'art. 37, comma 4, della ricordata legge
regionale  n. 6  del  2002,  eliminando  il riferimento agli «esterni
all'amministrazione    regionale»    dall'elenco    delle   categorie
nell'ambito  delle quali deve essere scelto il personale da assegnare
alle strutture in esame.
    Infine, il comma 6 dispone che agli oneri connessi alle attivita'
oggetto  della  convenzione  si  provvede  con  gli  stanziamenti del
capitolo di bilancio del Consiglio regionale concernente le spese del
personale,  per un importo non superiore agli oneri gia' previsti per
il personale esterno alla pubblica amministrazione.
    6. - Il Presidente del Consiglio dei ministri censura nella norma
impugnata non la decisione della Regione Lazio di «esternalizzare» lo
svolgimento  di  attivita'  di servizio effettuate al suo interno, ma
quella  di  sottoporre  a siffatto trattamento un particolare tipo di
servizi  e  le  concrete  modalita'  con  le  quali  l'operazione  e'
realizzata.
    Ai  fini  della  verifica  della  fondatezza  del  ricorso rileva
anzitutto  che  -  essendo  gli oneri connessi alle attivita' oggetto
della  convenzione a carico del bilancio del Consiglio regionale, sia
pure  entro  il  limite  prima  indicato  -  la  manovra prevista dal
censurato art. 31 non arreca alla Regione, sul piano economico, alcun
particolare vantaggio.
    Si  impone  poi  la  considerazione  che  i soggetti esterni alla
pubblica  amministrazione  destinati  ai  servizi  di  supporto  alle
strutture   in   esame,   di   cui   la   norma   impugnata   prevede
l'«esternalizzazione»,  sono  per  definizione  legati  con  rapporto
fiduciario  particolarmente intenso agli organi di indirizzo politico
della  Regione,  come  e'  eloquentemente  comprovato  dal  ricordato
art. 11  del  regolamento di organizzazione del Consiglio, in base al
quale  tali collaboratori esterni sono assunti per una durata massima
di   5  anni,  che  non  puo'  mai  oltrepassare  la  scadenza  della
legislatura.
    Pertanto,  la norma impugnata comporta che dal 1° gennaio 2004 la
fine  della  legislatura  non determina piu', come per il passato, la
cessazione  del  rapporto  di  lavoro di diritto privato dei soggetti
esterni   addetti   alle  strutture  di  diretta  collaborazione  del
Consiglio  regionale, ormai divenuti dipendenti a tempo indeterminato
della  societa'  Lazio  Service s.p.a. E in conseguenza preclude agli
organi di vertice dei Consigli regionali nelle legislature successive
di  potersi  valere,  per  la durata del mandato, di collaboratori di
loro   fiducia,   diversi  dai  dipendenti  della  societa',  se  non
accettando  che il nuovo personale cosi' assunto si aggiunga ad essi,
con  inevitabile  aggravio  del bilancio regionale, che gia' sostiene
gli «oneri connessi alle attivita' oggetto della convenzione».
    Siffatti  rilievi  valgono da soli a porre in luce come l'art. 31
della  legge  della  Regione  Lazio  n. 2  del  2004  - a prescindere
dall'intrinseca  irragionevolezza  del  suo  contenuto  e  dalla  sua
incidenza sull'ordinamento civile di competenza esclusiva dello Stato
-  introduca  una modalita' di organizzazione degli uffici di vertice
del  Consiglio  regionale  che  ne  pregiudica  il buon andamento, in
violazione  del  precetto  di  cui  all'art. 97,  primo  comma, della
Costituzione.
    La    norma    impugnata    deve   pertanto   essere   dichiarata
costituzionalmente   illegittima,  con  assorbimento  di  ogni  altro
profilo di censura.