ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 3,
lettera d),   della   legge   1° agosto   2003,  n. 207  (Sospensione
condizionata  dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo
di  due  anni) promosso con ordinanza del 5 aprile 2004 dal Tribunale
di  sorveglianza  di  Venezia  sul  reclamo  proposto  da  Lisa Ghin,
iscritta  al  n. 816  del  registro ordinanze 2004 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 43,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 maggio 2005 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -   Con   ordinanza  del  5 aprile  2004,  il  Tribunale  di
sorveglianza  di  Venezia  -  in  sede di reclamo proposto da persona
condannata  avverso  provvedimento  del  giudice di sorveglianza - ha
sollevato   questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,
comma 3,  lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione
condizionata  dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo
di  due  anni),  in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della
Costituzione.
    Riferisce  il  rimettente  che  il  Magistrato di sorveglianza di
Venezia  aveva  negato alla condannata il beneficio della sospensione
condizionata  della  parte  finale  della  pena detentiva, introdotto
dalla  legge 1° agosto 2003, n. 207, stante l'ammissione della stessa
alla misura alternativa della detenzione domiciliare.
    Ritiene il rimettente che corretta risulta l'interpretazione data
dal  Magistrato  di  sorveglianza di Venezia alla disposizione di cui
all'art. 1,  comma 3,  lettera d)  della legge n. 207 del 2003, nella
parte  in  cui non consente la concessione del cosiddetto «indultino»
ai  condannati  ammessi  alle  misure alternative alla detenzione, in
quanto   tra  tali  misure  e'  da  considerarsi  compresa  anche  la
detenzione  domiciliare,  che e' per alcuni aspetti misura detentiva,
ma e' comunque alternativa al carcere.
    Andrebbe  infatti considerato che l'art. 656, comma 5, del codice
di   procedura  penale,  introdotto  dalla  legge  n. 165  del  1998,
comprende  espressamente  la  detenzione  domiciliare  tra «le misure
alternative  alla  detenzione»  in carcere. Deve, pertanto, ritenersi
che  l'ammissione  alla  detenzione  domiciliare,  attuale al momento
della   decisione   del   magistrato  di  sorveglianza,  precluda  la
concessione  della  sospensione  condizionata  dell'esecuzione  della
pena.  Una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, non
appare  ragionevolmente sostenibile, per le esposte ragioni. Ritiene,
tuttavia,  il  giudice  a  quo che la disposizione, cosi' formulata e
intesa,   attribuisca   al   sistema  una  connotazione  estremamente
criticabile  sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita',
e  che  pertanto  debba  essere  sollevata  d'ufficio la questione di
legittimita'  costituzionale  della  norma,  per  contrasto  con  gli
artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della Costituzione, ravvisandosene la
rilevanza e la non manifesta infondatezza.
    Rilevante  e'  la  questione ai fini della pronuncia sul proposto
reclamo,  essendo  ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter
logico-giuridico  che il rimettente deve percorrere per la decisione,
trovandosi  la condannata nelle condizioni previste dall'art. 1 della
legge  n. 207  del  2003  per  l'ammissione all'«indultino», e a cio'
ostando solo la perdurante ammissione alla detenzione domiciliare.
    In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  osserva  il giudice
rimettente  che il nuovo istituto, introdotto nel sistema dalla legge
n. 207 del 2003, di difficile inquadramento sistematico, e' connotato
dalla   tendenziale  automaticita'  della  concessione,  non  essendo
demandato    al   giudice   di   sorveglianza   alcun   apprezzamento
discrezionale  sulla  meritevolezza  del  beneficio,  ne'  sulla  sua
idoneita'  rieducativa e preventiva, ma esclusivamente l'accertamento
della sussistenza dei requisiti di legittimita' previsti dalla legge;
da  qui  le  evidenti  analogie della sospensione condizionata con la
misura  clemenziale  dell'indulto, con la quale ha anche in comune la
disciplina  della  revoca a causa della commissione di un delitto non
colposo  entro  il termine previsto dalla legge, nonche' l'estinzione
della pena nel caso opposto. D'altra parte, il cosiddetto «indultino»
ha  come contenuto una serie di obblighi e prescrizioni in gran parte
mutuati dalla piu' ampia delle misure alternative.
    2.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
    Secondo   l'Avvocatura,  infatti,  il  c.d.  «indultino»  avrebbe
finalita'  di  deflazione  carceraria.  E'  dunque logico che da tale
beneficio   siano   esclusi   coloro  che,  gia'  godendo  di  misura
alternativa  alla  detenzione,  siano  estranei  al  regime detentivo
carcerario.
    Coloro  che  usufruiscono  del beneficio di cui alla legge n. 207
del  2003  vengono  a  trovarsi in un regime di liberta' limitata del
tutto  analogo a quello cui e' sottoposto colui che usufruisce di una
misura alternativa alla detenzione.
    Inoltre, il sovraffollamento delle carceri ostacola gravemente la
funzione   rieducatrice   della   pena:   peraltro   la  problematica
rieducativa e' del tutto estranea ad un istituto diretto a sospendere
l'esecuzione   della   pena.   In   ogni  caso  sono  previste  delle
prescrizioni  (la  cui  trasgressione  da'  luogo  alla  revoca della
sospensione)  che  costituiscono  una  remora  al compimento di nuovi
reati  e  svolgono dunque una funzione rieducativa, sia pure in senso
lato.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Venezia  dubita della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, comma 3, lettera d), della
legge    1° agosto    2003,    n. 207    (Sospensione    condizionata
dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni),
il  quale  prevede  come  causa  ostativa  del beneficio previsto dal
comma 1 dello stesso art. 1 l'ammissione del condannato ad una misura
alternativa   alla   detenzione,  per  violazione  dell'art. 3  della
Costituzione,  per  l'irrazionalita'  della disposizione, nonche' per
violazione  dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, perche' la
pena non avrebbe alcuna funzione rieducativa o preventiva, non avendo
il  giudice  di  sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla
concessione del beneficio.
    2. - La questione e' fondata.
    La  disposizione,  come  rileva  il  giudice a quo, determina una
irragionevole  disparita'  di  trattamento  fra  il  condannato  che,
perche'  «meritevole»,  e'  stato  ammesso  a misure alternative alla
detenzione  e  il condannato che - o perche' «immeritevole» o perche'
non  versava  nelle  condizioni  oggettive  per  avanzare la relativa
richiesta  -  non  e'  stato ammesso al godimento di tali misure, dal
momento  che il primo non puo' godere del beneficio della sospensione
condizionata  della  pena residua, mentre il secondo ottiene prima la
sospensione  della  pena,  e  poi,  se non commette entro cinque anni
delitti  non colposi per i quali riporti una condanna non inferiore a
sei mesi di detenzione, l'estinzione della pena stessa.
    E' bensi' vero che rientra nella discrezionalita' del legislatore
modulare  in  vario  modo  i benefici da concedere ai condannati, con
l'unico  limite  della  non  manifesta  irragionevolezza,  ma  questo
limite,  nella  specie,  risulta  violato, non potendo la circostanza
dell'ammissione   o   meno   a  misure  alternative  alla  detenzione
costituire  un  discrimine  per  il godimento del c.d. «indultino», e
cio' soprattutto ove si tenga presente che di quest'ultimo verrebbero
a  godere  condannati ritenuti non meritevoli di misure alternative e
non anche quelli che sono stati giudicati meritevoli di tali misure.
    L'accoglimento  della  questione  di  costituzionalita'  sotto il
profilo  dell'art. 3 della Costituzione comporta l'assorbimento delle
altre censure sollevate con riferimento all'altro parametro invocato.