ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli artt. 86, 87, 88,
89, 90, 91, 92, 93, 94 e 95, nonche' dell'allegato n. 13, del decreto
legislativo   1° agosto  2003,  n. 259  (Codice  delle  comunicazioni
elettroniche),  promossi  con  ricorsi delle Regioni Toscana e Marche
notificati  il  5 e il 13 novembre 2003, depositati in cancelleria il
14 e il 19 successivi ed iscritti ai nn. 79 e 80 del registro ricorsi
2003.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  24 maggio  2005  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Uditi  gli  avvocati  Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione Toscana,
Stefano  Grassi  per  la  Regione  Marche  e  l'avvocato  dello Stato
Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Le  Regioni  Toscana  e Marche hanno proposto questione di
legittimita'  costituzionale  di  numerose  disposizioni  del decreto
legislativo   1° agosto  2003,  n. 259  (Codice  delle  comunicazioni
elettroniche).
    Entrambe  le ricorrenti hanno impugnato gli artt. 86, 87, 88, 89,
93 e 95, nonche' l'allegato n. 13, in riferimento agli artt. 117, 118
e  119  della  Costituzione; la Regione Marche ha denunciato anche il
contrasto  degli  artt. 90,  91,  92  e  94,  nonche' degli artt. 86,
comma 8,  87,  comma 3,  88, comma 1, 89, comma 5, 92, 93, 94 e 95 in
connessione  con  l'allegato  n. 13,  con  gli  artt. 117 e 118 della
Costituzione.
    La  materia  disciplinata  dal Codice, esordiscono le ricorrenti,
non  e' riconducibile ai titoli di legislazione esclusiva statale, ma
ricade   in   ambiti  di  competenza  legislativa  concorrente  quali
l'ordinamento  della  comunicazione,  il  governo  del territorio, la
tutela  della  salute, la produzione, il trasporto e la distribuzione
nazionale  dell'energia,  e,  per  alcuni  profili,  tocca materie di
competenza  residuale quali l'industria e il commercio, l'urbanistica
e  l'edilizia,  i lavori pubblici. Allo Stato dovrebbe quindi essere,
tutt'al piu', riservata la predisposizione dei principi fondamentali,
restando   al  legislatore  regionale  la  disciplina  sostanziale  e
procedimentale.  Ebbene, con tutte le disposizioni impugnate, secondo
i  ricorsi regionali, il legislatore statale definirebbe al contrario
una   regolamentazione   minuziosa,   dettagliata,   autoapplicativa,
direttamente   operante   nei   confronti  dei  privati  interessati,
comprimendo  cosi'  la  sfera costituzionale di autonomia legislativa
delle  Regioni  e  violando  le regole di riparto di cui all'art. 117
Cost.
    Sempre  in  via  generale,  le ricorrenti denunciano il contrasto
della  disciplina  statale  con  l'art. 118  Cost., giacche' le norme
impugnate   attribuirebbero   direttamente  l'esercizio  di  funzioni
amministrative   agli   enti   locali,   disciplinando   il  relativo
procedimento,  laddove  tali funzioni dovrebbero essere conferite con
legge  statale  o  regionale,  secondo  le rispettive competenze. Ne'
ricorrerebbero,  nel  caso  di  specie, le condizioni che legittimano
l'attrazione  in  via  sussidiaria  delle  funzioni amministrative da
parte dello Stato.
    Le disposizioni del Codice, si aggiunge nel ricorso della Regione
Toscana,  non  potrebbero  trovare  il loro fondamento nella potesta'
statale  di  definire le funzioni fondamentali degli enti locali, non
potendo  certo considerarsi «funzione fondamentale» l'attribuzione di
una  singola  competenza autorizzativa in materia di impianti; ne' le
norme censurate, proseguono entrambe le ricorrenti, potrebbero essere
legittimate  dal  fatto di essere attuative di direttive comunitarie,
perche'  tale  attuazione  spetterebbe  alle Regioni nelle materie di
propria competenza (art. 117, quinto comma, Cost.).
    Censure   piu'   specifiche   sono  indirizzate  da  entrambe  le
ricorrenti  nei confronti degli artt. 86, 87, 88, 89, 93 e 95 nonche'
dell'allegato  n. 13, mentre la sola Regione Marche impugna anche gli
articoli 90, 91, 92 e 94 del d.lgs. n. 259 del 2003.
    Segnatamente    l'art. 86,    che    reca    disposizioni   sulle
infrastrutture   di   comunicazione  elettronica  e  sui  diritti  di
passaggio,  assimilando  le  infrastrutture di cui agli artt. 87 e 88
alle opere di urbanizzazione primaria, anche se di proprieta' privata
degli  operatori,  invaderebbe  la competenza regionale in materia di
governo  del  territorio  nonche'  di urbanistica ed edilizia con una
disciplina  di  dettaglio,  che  non  lascerebbe  alcuno  spazio alla
competenza concorrente regionale.
    Quanto all'art. 87, che disciplina il procedimento autorizzatorio
per  l'installazione  e  la  modifica delle infrastrutture ed assegna
tale competenza agli enti locali, esso sarebbe incostituzionale sotto
molteplici  profili.  In  primo  luogo,  prevederebbe  una disciplina
dettagliata  in  materia  che rientrerebbe nella competenza regionale
concorrente;  inoltre,  obbligherebbe  al rispetto degli obiettivi di
qualita'  stabiliti  uniformemente a livello nazionale, facendo cosi'
venire  meno  la  competenza  regionale a determinare tali obiettivi.
Infine sarebbero illegittime anche la disciplina della conferenza dei
servizi  recata  dai  commi 6, 7 e 8 dell'art. 87, nella parte in cui
estende  la  regola  della maggioranza all'adozione dell'atto finale,
prevede  una  sola  ipotesi  di  dissenso  qualificato  ed  affida al
Consiglio dei ministri la relativa decisione; come pure la previsione
concernente il silenzio-assenso per la localizzazione degli impianti,
che   priverebbe   il   legislatore   regionale   di   ogni  potesta'
programmatoria.   Secondo   la  Regione  Marche,  la  previsione  del
silenzio-assenso  con  l'indicazione  del  termine  nel quale esso si
forma,  recata dall'art. 87, comma 9, sarebbe lesiva della competenza
legislativa  regionale,  perche'  non  lascerebbe  alla Regione alcun
potere  di definire, pur sempre nel quadro dei principi fissati dalla
legge  statale,  termini  diversi  o  altre  forme di semplificazione
amministrativa.
    Illegittimi sarebbero pure, a giudizio di entrambe le ricorrenti,
gli  articoli 88, 89 e 93. Il primo definisce un procedimento analogo
a  quello dell'art. 87, con la previsione della conferenza di servizi
e del silenzio-assenso, per l'autorizzazione volta alla installazione
di  infrastrutture  che  interessano  aree di proprieta' di piu' enti
pubblici  e  fissa  regole  affinche' gli enti pubblici definiscano i
programmi  di manutenzione ordinaria e straordinaria delle rispettive
opere. Nei suoi confronti si indirizzano pertanto le medesime censure
formulate  nei  confronti dell'art. 87. L'art. 89 definisce le regole
di  condivisione  dello  scavo  e di coubicazione dei cavi; l'art. 93
prevede  che  gli  operatori  di  reti  di  comunicazione elettronica
debbano  tenere  indenne  l'ente  locale  o l'ente proprietario dalle
spese  necessarie  per  le opere di sistemazione delle aree pubbliche
coinvolte  dagli  interventi  di  installazione e manutenzione, fatte
salve  le  tasse  e  gli oneri di concessione. Le disposizioni teste'
menzionate  recherebbero  regolazioni di puntuale dettaglio in ambiti
materiali   affidati   alla   competenza  concorrente  («governo  del
territorio»,   «ordinamento  della  comunicazione»  e  «tutela  della
salute»).
    L'art. 95,  nel  disciplinare  gli  impianti  e  le condutture di
energia  elettrica, prescrive che venga richiesto all'Ispettorato del
Ministero  delle  comunicazioni il nulla osta sul progetto relativo a
qualunque  costruzione,  modifica  o  spostamento  di  condutture  di
energia elettrica. Cosi' disponendo, ad avviso della Regione Toscana,
esso  si  porrebbe  in  contrasto  con  gli  artt. 117  e  118  della
Costituzione,   in   quanto  attribuisce  ad  un  organo  statale  la
competenza  a  pronunciarsi  sui  progetti relativi ad opere, come le
condutture di energia elettrica e le tubazioni metalliche sotterrate,
che   dovrebbero   essere   disciplinate   dalla  Regione.  Lo  Stato
avocherebbe   competenze   attinenti   ad  una  materia  di  potesta'
concorrente, senza rispettare i criteri di esercizio della competenza
sussidiaria,  come  fissati da questa Corte nella sentenza n. 303 del
2003.  Il  medesimo art. 95, secondo la Regione Marche, in materie di
competenza  concorrente  quali l'ordinamento della comunicazione e il
governo  del  territorio,  recherebbe  una disciplina autoapplicativa
estremamente dettagliata.
    L'allegato  n. 13  del decreto legislativo impugnato determina il
contenuto  dei  modelli  da  usare  nella  presentazione  dei  titoli
abilitativi,  e  dunque,  secondo  la prospettazione dei ricorsi, non
solo  non  reca  disposizioni  di  principio,  come  l'art. 117 della
Costituzione  imporrebbe  in  materie  di  competenza concorrente, ma
integra l'esercizio di una vera e propria potesta' regolamentare, che
lo  Stato  non  puo'  legittimamente esercitare in materie diverse da
quelle riservate alla sua competenza esclusiva, neppure ove si voglia
riconoscere  ai  regolamenti  emanati  nelle  materie  di  competenza
regionale il carattere della cedevolezza.
    Gli  artt. 90,  91,  92  e  94  sono impugnati dalla sola Regione
Marche.  Le  disposizioni  in parola, che disciplinano l'acquisizione
dei   beni  immobili  necessari  alla  realizzazione  degli  impianti
(art. 90),   la  limitazione  legale  della  proprieta'  (art. 91)  e
l'imposizione  di servitu' (artt. 92 e 94), porrebbero una disciplina
di   dettaglio  in  materia  riservata  alla  competenza  concorrente
(ordinamento  della  comunicazione,  governo  del  territorio, tutela
della  salute)  o  comunque  residuale (edilizia e urbanistica) della
Regione.
    Alcune   disposizioni,   e   specificamente  l'art. 86,  comma 8,
l'art. 87,  comma 3,  l'art. 88,  comma 1, gli artt. 89, comma 5, 92,
93, 94, 95 e l'allegato n. 13, disciplinando il contenuto dei modelli
da  presentare  per  le  domande  di  autorizzazione  e per gli altri
adempimenti amministrativi connessi con l'installazione e l'esercizio
degli  impianti,  sarebbero espressione di una potesta' regolamentare
che  lo  Stato  non  potrebbe  esercitare  in  materie,  come  quelle
disciplinate,  che  non  ricadono nella propria sfera di legislazione
esclusiva.
    Tutte  le  disposizioni  impugnate  sarebbero illegittime poiche'
costituirebbero   esercizio   diretto   di  funzioni  amministrative,
assumendo natura provvedimentale, e comunque attribuirebbero funzioni
amministrative  ad organi dell'amministrazione statale o direttamente
ad  enti  locali  senza  rispettare le condizioni poste nell'art. 118
della  Costituzione  e  segnatamente  il principio di sussidiarieta',
come interpretato da questa Corte nella sentenza n. 303 del 2003.
    Inoltre,  aggiunge  la  Regione Marche, il medesimo art. 118, nel
prevedere, al secondo comma, che le funzioni debbano essere conferite
con  legge  statale  o  regionale  secondo  le rispettive competenze,
vieterebbe al legislatore statale di procedere a conferimenti diretti
nei  confronti degli enti locali in materie di competenza concorrente
o  residuale. Per questo profilo sarebbero illegittimi l'art. 87, che
attribuisce  direttamente  agli enti locali il compito amministrativo
di rilasciare l'autorizzazione degli impianti di comunicazione, e gli
articoli da 88 a 95.
    L'art. 93, infine, per la parte in cui limita - per gli operatori
-  gli  oneri  connessi  alle  attivita'  di  installazione, scavo ed
occupazione    di    suolo   pubblico,   sarebbe   costituzionalmente
illegittimo,  secondo  la  Regione  Marche,  anche  per contrasto con
l'art. 119 Cost.
    In  particolare,  si  sostiene  che  il  principio dell'autonomia
finanziaria,  sotto  il  profilo  dell'autonomia di spesa, unitamente
«alla  norma  secondo  cui per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio  delle loro funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive ed
effettua   interventi  speciali  in  favore  di  determinati  Comuni,
Province, Citta' metropolitane e Regioni», implicherebbe che tutte le
funzioni  amministrative  spettanti  alle  Regioni, diverse da quelle
«ordinarie»,  risultino  finanziate attraverso l'attribuzione diretta
ai loro bilanci di risorse adeguate, senza vincoli sulle modalita' di
spesa.
    Sotto altro profilo l'art. 119 sarebbe violato dalle disposizioni
impugnate  per  la  parte  in cui impongono, sia pure indirettamente,
oneri finanziari a carico delle Regioni.
    2.  -  In  entrambi  i giudizi si e' costituito il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che tutte le questioni proposte siano
dichiarate inammissibili e comunque infondate.
    In  via  preliminare,  e con riferimento al ricorso della Regione
Toscana,  si  lamenta  la omessa indicazione, per la gran parte delle
censure, delle specifiche disposizioni costituzionali che si assumono
violate.
    Nel  merito,  si osserva che il decreto legislativo impugnato non
sottrae  alcuna competenza alle Regioni, alle quali si indirizza come
normativa  di  principio,  ne'  limita  le  attribuzioni  comunali  e
regionali  in  materia  di  pianificazione  del  territorio, giacche'
interviene  solo sulle fasi procedimentali relative al rilascio delle
autorizzazioni,  al  fine di semplificare l'azione amministrativa. Il
decreto,  continua  la  difesa  erariale,  non  farebbe venire meno i
poteri-doveri  dei  Comuni in ordine all'accertamento delle emissioni
elettromagnetiche  prodotte  dalle  infrastrutture da realizzare, ne'
priverebbe gli enti locali del potere di accertare la sussistenza dei
presupposti e dei requisiti di legge prescritti per l'installazione.
    In ordine alla denunciata violazione della competenza legislativa
concorrente,  si  osserva che in realta' la disciplina impugnata «non
puo'  prescindere» dalla materia «tutela dell'ambiente», rimessa alla
competenza legislativa esclusiva statale, dato che uno dei principali
interessi cui e' preordinata la procedura di autorizzazione e' quello
del  rispetto  dei  limiti delle emissioni elettromagnetiche. In tale
materia, di natura trasversale, il legislatore nazionale ben potrebbe
fissare  principi  e criteri uniformi, pur quando essi incidano sulle
competenze legislative regionali, tanto concorrenti quanto residuali.
    Anche  volendo  trascurare  questo  argomento, continua la difesa
erariale, in materie attribuite alla legislazione concorrente sarebbe
comunque  consentito  al legislatore statale introdurre una normativa
di  dettaglio,  ove cio' si giustifichi con l'oggettiva necessita' di
disciplinare  funzioni  amministrative di cui lo Stato e' titolare in
base  ai principi di sussidiarieta' e di adeguatezza. Nella specie il
ricorso a questo titolo straordinario di competenza non richiederebbe
la previa intesa fra Stato e Regione interessata, come pure si evince
dalla  sentenza  di questa Corte n. 303 del 2003, poiche' l'esercizio
delle  funzioni  amministrative  non viene sottratto agli enti locali
competenti,   ma   solo   coordinato   con   quello  delle  autorita'
indipendenti.
    Quanto poi alle doglianze della Regione Toscana, secondo la quale
allo  Stato  sarebbe precluso attribuire funzioni amministrative agli
enti   locali  nelle  materie  assegnate  alla  competenza  regionale
residuale,   l'Avvocatura   replica   che   quando  lo  Stato  voglia
assicurare,   in   applicazione   del  principio  di  sussidiarieta',
l'esercizio   unitario  di  una  funzione,  cio'  potra'  fare  anche
attraverso  il  coordinamento  di funzioni spettanti agli enti locali
con quelle di autorita' statali.
    Una  disciplina  irragionevolmente  differenziata  della  rete di
comunicazione  -  si  prosegue - sarebbe di ostacolo all'espletamento
ottimale  del servizio per tutti i cittadini e verrebbe in definitiva
ad  incidere  sulla  tutela  dell'unita'  giuridica ed economica e in
particolare  sui  livelli  essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti   civili  e  sociali,  in  relazione  ai  quali  sussiste  la
competenza   legislativa   esclusiva  dello  Stato.  Altro  principio
costituzionale  che  il  decreto  legislativo  impugnato  mirerebbe a
salvaguardare  sarebbe  la  tutela  della concorrenza, che renderebbe
necessaria   la   predisposizione   di  procedure  certe  e  uniformi
sull'intero territorio nazionale.
    Nello   specifico  delle  censure  proposte,  la  difesa  statale
osserva, quanto all'art. 86, che l'assimilazione delle infrastrutture
alle  opere  di  urbanizzazione  primaria,  certamente  attinente  al
governo  del territorio, ha il limitato scopo di uniformare la natura
di  queste reti su tutto il territorio nazionale, senza ledere alcuna
competenza  locale. In relazione al sesto comma del medesimo art. 86,
si  soggiunge  che la previsione di limiti di esposizione e valori di
attenzione  ai  campi elettromagnetici si «ispirerebbe» alla sentenza
di  questa  Corte  n. 307  del 2003, che ha accolto i ricorsi statali
contro  disposizioni  di  leggi  regionali  (per  quanto  qui rileva,
l'art. 7,  comma 3, della legge della Regione Marche n. 25 del 2001),
che  introducevano  limiti  di induzione magnetica difformi da quelli
fissati nella legislazione statale.
    Infondate  sarebbero  pure  le doglianze relative all'art. 87 del
d.lgs.  impugnato,  che  fissa  uniformemente,  a  livello nazionale,
obiettivi  di  qualita'  senza  escludere  la  competenza delle leggi
regionali in ordine alla localizzazione e all'attribuzione dei siti.
    Quanto  alla  censura  contro  l'art. 87,  commi 6,  7  e 8, essa
sarebbe  da  respingere  considerando  che la decisione a maggioranza
nella conferenza di servizi semplifica il procedimento amministrativo
senza   peraltro   sacrificare  il  ruolo  fondamentale  dell'Agenzia
regionale per la protezione dell'ambiente.
    L'Avvocatura  giudica, inoltre, senz'altro pretestuosa la censura
che  si appunta sull'art. 88, giacche' la durata del periodo previsto
per  il  perfezionamento  della  fattispecie  del silenzio-assenso e'
quella tipica, e comunque e' derogabile da parte degli enti locali.
    Sull'art. 89,  disciplinante  la  coubicazione  e condivisione di
infrastrutture,  la  difesa  dello  Stato  rileva che la disposizione
attiene  principalmente  alle funzioni dell'Autorita' per le garanzie
nelle  comunicazioni  e  del  Ministero, sicche', in applicazione del
principio  di  sussidiarieta',  la  competenza  regolatrice, anche di
dettaglio, non potrebbe che spettare al legislatore nazionale. Per la
stessa  ragione  sarebbe da respingere la questione avente ad oggetto
l'art. 95:  il  potere  di  nulla  osta attribuito al Ministero delle
comunicazioni   sarebbe  espressione  di  una  esigenza  unitaria  di
sicurezza e funzionalita' delle reti.
    Gli   artt. 92,  93  e  94,  che  disciplinano  limitazioni  alla
proprieta'  e  servitu', prosegue la difesa erariale, riguarderebbero
la  materia dell'ordinamento civile, di esclusiva competenza statale;
inoltre  esigenze  unitarie giustificherebbero la disciplina uniforme
delle    procedure   espropriative   nell'art. 90.   In   riferimento
all'impugnazione dell'allegato n. 13, l'Avvocatura replica che questa
Corte  avrebbe  ammesso  una disciplina statale di dettaglio anche in
materie  di competenza regionale quando sia esercitata una competenza
legislativa    sussidiaria    e   rileva   che   cio'   comporterebbe
necessariamente  «un'analoga  posizione  per le relative disposizioni
regolamentari».
    Pure da respingere sarebbero le censure indirizzate nei confronti
delle  disposizioni  impugnate,  sul rilievo che esse attribuirebbero
funzioni   amministrative   senza   rispettare   le   condizioni  per
l'applicazione  del  principio  di  sussidiarieta'.  La  legislazione
statale  al  contrario  risulterebbe  proporzionata  e ragionevole in
relazione  al  fine  di  realizzare  una rete di comunicazione estesa
sull'intero  territorio  nazionale,  ne'  potrebbe  dirsi  violato il
principio  dell'intesa,  che  si realizzerebbe nella attuazione degli
stessi   procedimenti  amministrativi  introdotti  con  la  normativa
impugnata,    procedimenti   all'interno   dei   quali   le   Regioni
eserciterebbero  comunque  le  loro  competenze  sul  territorio  non
diversamente dagli altri enti locali.
    Insussistente sarebbe infine, a giudizio della difesa statale, la
lesione   dell'art. 119  Cost.  da  parte  dell'art. 93.  L'autonomia
finanziaria   degli   enti   locali   non   potrebbe  infatti  essere
pregiudicata  da  una  disposizione  che  si  limita  a  condizionare
l'imposizione  di canoni od altri oneri ad una previsione legislativa
ed  obbliga  per  il  resto  gli  operatori  che  forniscono  reti di
comunicazione a tenere indenni gli enti locali dalle spese necessarie
per le opere di sistemazione delle aree pubbliche coinvolte.
    3.  - In entrambi i giudizi hanno spiegato intervento le societa'
T.I.M.  s.p.a.  -  Telecom Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V., Wind
Telecomunicazioni  s.p.a.  e  hanno chiesto che le questioni proposte
siano  dichiarate  improponibili, inammissibili e comunque infondate.
Nel  solo  giudizio  introdotto  con  il  ricorso n. 79 del 2003 sono
intervenuti anche, ad adiuvandum della ricorrente Regione Toscana, il
Codacons  (Coordinamento  delle  Associazioni  e  dei Comitati per la
tutela  dei consumatori e dell'ambiente), nonche', con atto pervenuto
fuori termine, il comune di Roma.
    4.  -  Tutte  le  parti, nonche' gli intervenienti Telecom Italia
Mobile s.p.a., Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni s.p.a. e
Codacons   hanno   depositato   ulteriori   memorie   in  prossimita'
dell'udienza pubblica del 26 ottobre 2004.
    4.1.  -  La  Regione  Toscana, contestando l'ammissibilita' degli
spiegati   interventi,  svolge  nel  merito  argomentazioni  volte  a
confutare le tesi difensive sostenute dall'Avvocatura erariale.
    Quanto  all'argomento  secondo cui la normativa impugnata sarebbe
necessaria  per  assicurare  l'installazione sul territorio nazionale
degli  impianti  per la telefonia mobile di terza generazione (UMTS),
si  osserva che siffatto interesse non puo' prescindere dall'esigenza
di  ricercare  «un  punto  di  equilibrio tra esigenze e valori tutti
parimenti  tutelati  dalla Carta costituzionale, anche con competenze
attribuite alle Regioni».
    Quanto  agli  invocati  principi  di trasparenza, tempestivita' e
divieto  di  discriminazioni contenuti nella direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 7 marzo 2002 n. 2002/21/CE (che istituisce un
quadro  normativo  comune  per  le reti ed i servizi di comunicazione
elettronica   -  direttiva  quadro),  lo  Stato  -  ad  avviso  della
ricorrente  -  avrebbe dovuto limitarsi a ribadirne l'obbligatorieta'
affidandone  alla  legislazione  regionale  l'ulteriore  sviluppo, ai
sensi dell'art. 117, quinto comma, Cost.
    La  Regione  contesta  poi  che  la  normativa  denunciata  possa
ascriversi  a  materie  riservate  allo  Stato dall'art. 117, secondo
comma, Cost.
    Non   sarebbe   riconducibile,   infatti,   alla   tutela   della
concorrenza, perche' le norme impugnate non prevederebbero interventi
promozionali  per  favorire  lo  sviluppo  del  mercato  e  misure di
salvaguardia  dei  principi  antitrust  (sentenze  n. 272 e n. 14 del
2004), ma si limiterebbero a stabilire un procedimento amministrativo
accelerato per l'installazione degli impianti.
    Neppure sarebbe invocabile la competenza esclusiva statale di cui
alla  lettera m)  del  secondo comma dell'art. 117 Cost., giacche' le
disposizioni denunciate non avrebbero ad oggetto «la fissazione di un
livello  minimo  di  soddisfacimento  di  diritti  civili  o sociali»
(sentenze  n. 88  del  2003  e  n. 282  del  2002),  ma  soltanto  la
disciplina  di  una  procedura  accelerata  per l'installazione degli
impianti.
    Ne',  tanto  meno,  si  argomenta  ancora nella memoria, potrebbe
valere  il  richiamo  alla  materia  della tutela dell'ambiente, solo
marginalmente implicata dalle norme impugnate. In ogni caso, la legge
statale  non  potrebbe esautorare del tutto la competenza legislativa
regionale  che venga esercitata nel rispetto degli standard fissati a
livello nazionale per la tutela dell'ambiente.
    Infondata  sarebbe  altresi'  la  tesi  per  cui  le disposizioni
impugnate  conterrebbero  soltanto principi fondamentali. Esse - e in
particolare gli artt. 86, 87 e l'allegato n. 13 - detterebbero invece
una disciplina minuziosa, autoapplicativa, direttamente operativa nei
confronti  dei  privati  interessati. Peraltro, l'incostituzionalita'
dell'art. 86,  che  assimila,  ad  ogni effetto, le infrastrutture di
reti pubbliche di proprieta' dei privati alle opere di urbanizzazione
primaria,  sarebbe ancor piu' evidente alla luce della giurisprudenza
amministrativa  in  materia,  secondo la quale siffatta assimilazione
determinerebbe   la   compatibilita'  degli  impianti  con  qualunque
destinazione  urbanistica  del territorio comunale, ottenendosi cosi'
il  medesimo  risultato  previsto  dall'art. 3  del d.lgs. n. 198 del
2002, dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 303 del 2003.
    4.2. - La Regione Marche contesta in primo luogo l'ammissibilita'
degli  atti  di intervento e, nel merito, osserva che la finalita' di
realizzare  una  rete  uniforme,  proteggendo la salute dei cittadini
dagli   effetti   dell'inquinamento  elettromagnetico,  non  potrebbe
giustificare  la disciplina dettagliata e autoapplicativa posta dallo
Stato,   in   quanto   gli   obiettivi  di  tutela  dall'inquinamento
atterrebbero  alla  materia  di  competenza  concorrente della tutela
della  salute.  Cio'  sarebbe  stato  riconosciuto dalla stessa legge
n. 36  del 2001, che attribuiva alle Regioni la competenza a definire
le  modalita' per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione
degli  impianti,  nonche'  dalle  sentenze  di  questa Corte n. 331 e
n. 307 del 2003.
    L'esigenza   di  una  disciplina  unitaria,  prosegue  la  difesa
regionale,  non  potrebbe  trovare  giustificazione  nella  direttiva
quadro 2002/21/CE, che non altererebbe la disciplina delle competenze
interne, ma si limiterebbe a porre obblighi che gravano in pari grado
sulla  legge  statale  come  sulla  legge regionale. Nemmeno potrebbe
essere  invocata,  come titolo di competenza statale, la tutela della
concorrenza,  perche'  nessuna  violazione  della  par condicio degli
imprenditori interessati al settore potrebbe derivare dall'obbligo di
rispettare, nel territorio regionale, le discipline regionali in tema
di edilizia, governo del territorio e tutela della salute.
    4.3.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, ribaditi e
ulteriormente  sviluppati  gli  argomenti  gia'  svolti  nell'atto di
costituzione,  aggiunge  che la disciplina delle reti non puo' essere
segmentata  secondo  le  esigenze  locali,  ma deve essere ispirata a
criteri uniformi a livello nazionale, giacche' e' posta a presidio di
valori  costituzionali  fondamentali  quali  la liberta' e segretezza
delle  comunicazioni,  la liberta' di iniziativa economica, la tutela
della concorrenza.
    In  riferimento  alla  impugnazione dell'art. 86, si contesta che
l'assimilazione  delle  infrastrutture  di reti di comunicazione alle
opere  di  urbanizzazione  primaria  costituisca  una  disciplina  di
dettaglio  invasiva  della  competenza regionale e si sostiene che si
tratterebbe  invece  della  «definizione  generale  da  attribuire  a
determinate  opere  secondo  un  modello  unitario  che  consenta  lo
sviluppo delle reti a mezzo di metodologie uniformi».
    Quanto  alle doglianze relative all'art. 87, comma 1, la norma si
limiterebbe  a  riconoscere  ai Comuni il potere di installazione, ma
non  precluderebbe  l'esercizio  da  parte della Regione di ulteriori
poteri di disciplina, peraltro gia' esercitati da alcune Regioni.
    Con  specifico  riguardo  al modello della conferenza di servizi,
l'Avvocatura  osserva  che il ruolo delle Regioni sarebbe sacrificato
solo nell'ipotesi di intervento del Consiglio dei ministri necessario
per  risolvere  un  dissenso  qualificato  e  che  la  stessa  difesa
regionale non considererebbe possibile avocare tale funzione all'ente
regionale.
    Pure  da  respingere  sarebbero  le censure di illegittimita' per
violazione  della  regola di riparto della potesta' regolamentare; le
disposizioni   impugnate   non   avrebbero   infatti   alcun  effetto
modificatorio   sui   regolamenti   vigenti,  ne'  sarebbe  possibile
attribuire  carattere  regolamentare  a  disposizioni  inserite nella
legge  in  ragione del loro contenuto. Rispetto all'art. 86, comma 8,
si  osserva comunque che la finalita' di realizzare un unico archivio
telematico  nazionale  giustifica  la  previsione  di  un  modello di
istanza configurato secondo uno schema tipizzato.
    4.4.  -  Gli intervenienti T.I.M. - Telecom Italia Mobile S.p.a.,
Vodafone  Omnitel  N.V.,  Wind  Telecomunicazioni  S.p.a. e Codacons,
insistono preliminarmente per l'ammissibilita' degli interventi.
    5.  - All'udienza del 26 ottobre 2004, sentite le parti, e' stata
adottata l'ordinanza collegiale in pari data, con la quale i predetti
interventi sono stati dichiarati inammissibili.
    6.  -  Nell'imminenza dell'udienza pubblica del 24 maggio 2005 la
Regione  Toscana  ha depositato una memoria con la quale ha replicato
alle  argomentazioni  difensive  svolte  dalla  difesa  erariale.  In
particolare,   in   relazione   alla   inammissibilita'  per  mancata
impugnazione   dell'art. 41   della   legge  1° agosto  2002,  n. 166
(Disposizioni  in  materia  di infrastrutture e trasporti), si rileva
che  la  legge  delega  non  presentava  alcun contenuto lesivo delle
attribuzioni  costituzionalmente garantite alle Regioni, in quanto si
limitava  a  prevedere, quali criteri direttivi per l'esercizio della
delega  stessa,  la  riduzione  dei  termini  per  la conclusione dei
procedimenti  volti al rilascio delle autorizzazioni per i servizi di
comunicazione elettronica e la regolazione uniforme degli stessi, non
autorizzando  l'emanazione  di una «normativa dettagliata, puntuale e
autoapplicativa»,  quale  quella  contenuta  nel  decreto legislativo
1° agosto 2003, n. 259.
    Per  quanto  attiene,  invece, alla eccepita inammissibilita' per
acquiescenza,  conseguente  all'emanazione  di un parere positivo sul
decreto  legislativo  reso  in  sede  di Conferenza Stato-Regioni, la
ricorrente  osserva  che  la  stessa  non  avrebbe  reso alcun parere
favorevole  e  che, in ogni caso, nei giudizi di costituzionalita' in
via principale non avrebbe alcun rilievo l'istituto dell'acquiescenza
(si richiama la sentenza n. 74 del 2001).
    Nel  merito  si  osserva, in via preliminare, sempre in chiave di
replica alle difese erariali, che il legislatore delegato non avrebbe
aderito  alla  tesi  della  rete  di  comunicazione  intesa come rete
unitaria,  atteso che le norme impugnate configurano le installazioni
per  le  telecomunicazioni  quali  singoli  impianti.  In  ogni caso,
l'assunta unitarieta' non potrebbe legittimare una attrazione statale
di  competenze legislative ex art. 118 della Costituzione, in quanto,
da  un  lato,  non  sono  disciplinate funzioni amministrative che lo
Stato  si  riserva  (essendo  le stesse attribuite agli enti locali),
dall'altro,  mancherebbe  l'intesa  con  le Regioni (si richiamano le
sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
    Si  osserva,  inoltre,  come  non  sussisterebbe  alcun titolo di
legittimazione in capo allo Stato in grado di giustificare, sul piano
del  riparto  di  competenze, le norme impugnate. In particolare, non
potrebbe  invocarsi: a) la materia della tutela della concorrenza, in
quanto   le   disposizioni   censurate   non   prevedono   interventi
promozionali  per favorire «lo sviluppo del mercato e delle misure di
salvaguardia  dei  principi  antitrust»  (si  richiamano  le sentenze
n. 272  e n. 14 del 2004): dette disposizioni si sarebbero limitate a
prevedere    un    procedimento    amministrativo    accelerato   per
l'installazione   degli   impianti;   b)  la  «materia»  dei  livelli
essenziali  delle  prestazioni,  atteso  che  le  norme  in esame non
avrebbero   «ad  oggetto  la  fissazione  di  un  livello  minimo  di
soddisfacimento di diritti civili o sociali».
    Inoltre,  le norme censurate non potrebbero rinvenire una propria
giustificazione   nell'esigenza   di   dare   attuazione  al  diritto
comunitario:  l'art. 117,  quinto comma, della Costituzione, infatti,
assegnerebbe  alle  Regioni  nelle materie alle stesse attribuite «la
competenza  a  provvedere  all'attuazione  ed  esecuzione  degli atti
comunitari».
    Infine,   le   disposizioni   impugnate   non  potrebbero  essere
considerate  espressione  di  un  principio  fondamentale,  in quanto
contengono  precetti  completi  che non lascerebbero alcun spazio per
eventuali ulteriori normative regionali. A tal proposito, si richiama
quanto  previsto,  in  particolare, dall'art. 86 del Codice, il quale
assimila   le  infrastrutture  di  telecomunicazione  alle  opere  di
urbanizzazione   primaria,  con  conseguente  possibilita'  che  tali
impianti  siano  compatibili  con  ogni  destinazione urbanistica del
territorio.
    6.1.  -  Nell'imminenza  dell'udienza pubblica del 24 maggio 2005
hanno  depositato  memorie  anche  gli intervenienti: Codacons (fuori
termine); Wind Telecomunicazioni s.p.a; Vodafone Omnitel N.V.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Le  Regioni  Toscana  e Marche, con distinti ricorsi (ric.
nn. 79  e  80  del  2003)  hanno  impugnato  il  decreto  legislativo
1° agosto  2003,  n. 259  (Codice  delle  comunicazioni elettroniche)
censurando, in particolare, entrambe le ricorrenti, gli artt. 86, 87,
88,  89,  93  e  95,  nonche'  l'allegato  n. 13, in riferimento agli
artt. 117,  118 e 119 della Costituzione e soltanto la Regione Marche
anche  gli  artt. 90, 91, 92 e 94, nonche' gli artt. 86, comma 8, 87,
comma 3, 88, comma 1, 89, comma 5, 92, 93, 94 e 95 in connessione con
l'allegato  n. 13,  per  contrasto  con  gli  artt. 117  e  118 della
Costituzione.
    2.  - Considerata la sostanziale identita' della materia trattata
nei  due  ricorsi,  si  dispone  la  riunione dei giudizi perche' gli
stessi siano decisi con unica sentenza.
    3.  -  Hanno spiegato intervento in giudizio le societa' T.I.M. -
Telecom Italia Mobile S.p.a., Wind Telecomunicazioni S.p.a., Vodafone
Omnitel N.V., nonche' il Codacons (Coordinamento delle associazioni e
dei  comitati  per  la  tutela dei consumatori e dell'ambiente) ed il
Comune di Roma.
    All'udienza  del  26 ottobre  2004,  sentite  le  parti, e' stata
adottata l'ordinanza collegiale in pari data, con la quale i predetti
interventi  sono  stati  dichiarati  inammissibili.  Cio'  in base al
consolidato  orientamento  di  questa  Corte,  secondo  il  quale nei
giudizi di legittimita' costituzionale proposti in via principale non
e'  ammessa  la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e
dal  titolare della potesta' legislativa il cui esercizio sia oggetto
di  contestazione  (v., da ultimo, sentenze n. 150 del 2005, n. 167 e
n. 166 del 2004).
    4.  - Prima di procedere alla disamina delle singole questioni di
legittimita'  costituzionale  sollevate,  appare opportuno premettere
alcune  considerazioni  di  ordine  generale  sulle ragioni che hanno
condotto  all'emanazione  del  Codice,  le  cui  disposizioni formano
oggetto di impugnazione.
    4.1.  -  Con tale Codice l'Italia ha recepito le direttive quadro
del   Parlamento   europeo   e   del  Consiglio  sulle  comunicazioni
elettroniche   del   7 marzo  2002  (direttiva  2002/19/CE,  relativa
all'accesso  alle  reti  di  comunicazione elettronica e alle risorse
correlate, e all'interconnessione delle medesime - direttiva accesso;
direttiva  2002/20/CE,  relativa  alle autorizzazioni per le reti e i
servizi  di  comunicazione  elettronica  -  direttiva autorizzazioni;
direttiva  2002/21/CE,  che istituisce un quadro normativo comune per
le reti ed i servizi di comunicazione elettronica - direttiva quadro;
direttiva  2002/22/CE,  relativa  al servizio universale e ai diritti
degli  utenti  in  materia  di  reti  e  di  servizi di comunicazione
elettronica - direttiva servizio universale).
    La  finalita'  perseguita,  con tali direttive, e' il superamento
delle  situazioni  di  monopolio del settore, mediante la progressiva
diminuzione  dell'intervento  gestorio delle autorita' pubbliche e la
incentivazione  di un vasto processo di liberalizzazione delle reti e
dei  servizi  nei  settori  convergenti  delle telecomunicazioni, dei
media  e delle tecnologie dell'informazione (cfr. quinto considerando
della  direttiva  2002/21/CE),  secondo  le linee di un ampio disegno
europeo  tendente ad investire l'intera area dei servizi pubblici. Le
disposizioni  introdotte  prevedono,  infatti,  una  serie  di misure
regolatorie  destinate  ad incidere sul comportamento delle imprese e
che  dovrebbero  condurre  ad  una completa operativita' delle regole
della concorrenza.
    A  tali  fini, le citate direttive regolamentano «i servizi» e le
«reti»  di  comunicazione elettronica e cioe' in generale «i mezzi di
trasmissione»,   escludendo   espressamente   dal  proprio  campo  di
applicazione la disciplina dei «contenuti dei servizi» - quali quelli
relativi  alle  emissioni  radiotelevisive, ai servizi finanziari e a
taluni servizi della societa' della informazione (quinto considerando
della  direttiva 2002/21/CE) - forniti mediante i predetti sistemi di
comunicazione.  Questa  separazione  non  incide - si puntualizza nel
quinto   considerando   della  direttiva  quadro  2002/21/CE  -  «sul
riconoscimento  dei  collegamenti»  fra i due aspetti dei contenuti e
dei  mezzi  di  trasmissione  «al fine di garantire il pluralismo dei
mezzi  di  informazione,  la diversita' culturale e la protezione dei
consumatori» (cfr. anche sentenza n. 331 del 2003).
    Nel  presente giudizio di costituzionalita' rileva esclusivamente
la  normativa  inerente  alle «reti di comunicazione elettronica», la
cui  definizione  e'  contenuta nell'art. 2, par. 1, lettera a) della
citata  direttiva 2002/21/CE, secondo cui per rete devono intendersi:
«i  sistemi  di  trasmissione  e,  se del caso, le apparecchiature di
commutazione  o  di  instradamento  e altre risorse che consentono di
trasmettere  segnali  via cavo, via radio, a mezzo di fibre ottiche o
con  altri  mezzi  elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le
reti  terrestri  mobili  e  fisse  (a  commutazione  di  circuito e a
commutazione di pacchetto, compresa Internet), le reti utilizzate per
la  diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi, i sistemi
per  il trasporto della corrente elettrica, nella misura in cui siano
utilizzati  per  trasmettere  i segnali, le reti televisive via cavo,
indipendentemente   dal   tipo  di  informazione  trasportato»  (tale
definizione  e'  stata  integralmente  trasposta,  a livello interno,
nella lettera dd) dell'art. 1, comma 1, del Codice).
    La  normativa  comunitaria  prescrive,  inoltre, che le procedure
«previste  per  la concessione del diritto di installare» le predette
infrastrutture    di   comunicazione   elettronica   debbano   essere
«tempestive,  non  discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che
vigano   le  condizioni  necessarie  per  una  concorrenza  leale  ed
effettiva» (ventiduesimo considerando della direttiva 2002/21/CE). In
particolare,  l'art. 11,  par.  1, della direttiva quadro - di cui le
norme  impugnate  costituiscono specifica attuazione - stabilisce che
gli  Stati  membri, nell'esaminare una domanda per la concessione del
diritto  di  installare  strutture su proprieta' pubbliche o private,
richiesta  da  un'impresa autorizzata a fornire reti di comunicazione
elettronica,  assicurino che l'autorita' competente «agisca in base a
procedure  trasparenti  e  pubbliche, applicate senza discriminazioni
ne'   ritardi;   e   rispetti   i   principi  di  trasparenza  e  non
discriminazione  nel  prevedere  condizioni  per  l'esercizio di tali
diritti».
    Emerge,  dunque,  dalle  suddette  disposizioni l'esistenza di un
preciso   vincolo   comunitario  ad  attuare  un  vasto  processo  di
liberalizzazione    del    settore,    armonizzando    le   procedure
amministrative   ed   evitando   ritardi  nella  realizzazione  delle
infrastrutture di comunicazione elettronica.
    4.2.  -  Il  Codice,  che  richiama  le direttive in discorso nel
quarto  e  nel quinto punto della sua «premessa», si pone, per questa
parte,  in  linea  con  i dettami comunitari, realizzando l'obiettivo
della  liberalizzazione  e  semplificazione  delle procedure anche al
fine di garantire l'attuazione delle regole della concorrenza.
    In  particolare, i principi di derivazione comunitaria sono stati
espressamente  recepiti  dall'art. 4  del decreto impugnato, il quale
prevede  che  la  disciplina  delle  reti  (e dei servizi) e' volta a
salvaguardare  i diritti costituzionalmente garantiti di «liberta' di
comunicazione»,  nonche'  di  «liberta' di iniziativa economica e suo
esercizio  in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato
delle  reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di
obiettivita',  trasparenza,  non  discriminazione  e proporzionalita»
(comma  1).  Il terzo comma dello stesso art. 4 dispone, inoltre, tra
l'altro,  che  la suddetta disciplina e' volta anche a «promuovere la
semplificazione  dei  procedimenti amministrativi e la partecipazione
ad  essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di procedure
tempestive,  non  discriminatorie  e  trasparenti nei confronti delle
imprese  che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica»,
nonche' a «promuovere lo sviluppo in regime di concorrenza delle reti
e  dei  servizi  di  comunicazione elettronica, ivi compresi quelli a
larga  banda  e  la  loro  diffusione sul territorio nazionale, dando
impulso alla coesione sociale ed economica anche a livello locale».
    5.  -  Oggetto  del  presente giudizio di costituzionalita' e' il
Capo V del Titolo II del Codice (artt. da 86 a 95) relativo alla rete
delle infrastrutture di comunicazione elettronica.
    Orbene,  nella  individuazione  degli  ambiti  cui afferiscono le
norme  impugnate, occorre rilevare, in via preliminare, che le stesse
attengono ad una pluralita' di materie rispetto alle quali variamente
si atteggia la competenza legislativa dello Stato e delle Regioni.
    Tra  i titoli di competenza esclusiva statale vengono in rilievo,
per  taluni  profili,  come  si  vedra'  in  prosieguo,  le «materie»
dell'«ordinamento  civile», del «coordinamento informativo statistico
e  informatico  dei  dati  dell'amministrazione  statale, regionale e
locale»  e  della  «tutela  della  concorrenza».  Sotto  quest'ultimo
aspetto  e', infatti, evidente l'incidenza che una efficiente rete di
infrastrutture di comunicazione elettronica puo' avere sullo sviluppo
economico  del Paese e sulla concorrenzialita' delle imprese. Cio' in
un'ottica   secondo   la  quale  la  «materia»  della  «tutela  della
concorrenza»  deve essere intesa non «soltanto in senso statico, come
garanzia   di  interventi  di  regolazione  e  di  ripristino  di  un
equilibrio   perduto»,   ma   anche  in  un'accezione  dinamica  «che
giustifica  misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le
condizioni  di  un  sufficiente  sviluppo del mercato o ad instaurare
assetti  concorrenziali»  (sentenza n. 14 del 2004; v. anche sentenza
n. 272  del  2004).  Un  ulteriore  titolo  legittimante l'intervento
statale  e' costituito dalla «tutela dell'ambiente»: questa Corte ha,
in proposito, in piu' di una occasione avuto modo di affermare che la
«tutela   dell'ambiente»  non  costituisce  una  «materia»  in  senso
stretto,  rappresentando, invece, un compito nell'esercizio del quale
lo  Stato  conserva  il potere di fissare standard di tutela uniformi
sull'intero   territorio   nazionale.   La   peculiare  natura  della
competenza  in  esame,  che  investe  e  interseca  altri interessi e
competenze,  non  esclude,  pero',  affatto  la  possibilita'  che il
legislatore   regionale,   nell'esercizio   della   propria  potesta'
legislativa,  possa assumere tra i propri scopi la cura «di interessi
funzionalmente   collegati   con   quelli   propriamente  ambientali»
(sentenza  n. 407  del  2002;  nello  stesso  senso, tra le altre, v.
sentenze n. 135 del 2005; n. 259 del 2004; n. 307 e n. 222 del 2003).
    Nella specie i titoli di legittimazione regionale attengono tutti
a  materie  di  competenza  ripartita,  relative:  alla «tutela della
salute»,  per  i  profili  inerenti alla protezione dall'inquinamento
elettromagnetico;  all'«ordinamento  della comunicazione», per quanto
riguarda   «gli  impianti  di  telecomunicazione  o  radiotelevisivi»
(sentenza  n. 307  del 2003); al «governo del territorio», per «tutto
cio'  che  attiene  all'uso  del  territorio e alla localizzazione di
impianti o attivita» (sentenza n. 307 del 2003).
    Deve,  invece,  escludersi  che  vengano  in  rilievo  materie di
competenza  residuale delle Regioni, ex art. 117, quarto comma, della
Costituzione,  e  segnatamente  quelle  relative  all'industria ed al
commercio,  troppo labile apparendo il collegamento tra dette materie
e  le  disposizioni  censurate.  Allo  stesso modo inconferente e' il
richiamo  contenuto  nei  ricorsi  alle  materie dell'«urbanistica» e
dell'«edilizia»,  qualificate  come  materie  rientranti  nell'ambito
della  potesta' legislativa residuale delle Regioni: questa Corte ha,
infatti,  gia' chiarito che le stesse devono intendersi incluse nella
piu'  ampia materia del «governo del territorio» (sentenze n. 196 del
2004;  n. 362  e  n. 303  del  2003,  punto  11.1  del Considerato in
diritto).
    Orbene,   alla  luce  delle  considerazioni  innanzi  svolte,  la
legittimazione  dello Stato a dettare norme in detto settore deriva -
oltre che dai richiamati titoli di competenza legislativa esclusiva -
essenzialmente  dalla  potesta'  di  fissare  i principi fondamentali
nelle  materie  ripartite, a norma dell'art. 117, terzo comma, ultima
parte, della Costituzione.
    6.  - Cio' precisato in linea generale, si puo' passare all'esame
delle   censure  di  costituzionalita'  formulate  dalle  ricorrenti,
iniziando  da quelle che, per il loro carattere, coinvolgono l'intera
disciplina contenuta nel Capo V del Titolo II del Codice.
    Le     Regioni,     innanzitutto,    deducono    l'illegittimita'
costituzionale  delle  disposizioni impugnate, in quanto recherebbero
«una   disciplina   dettagliata,  autoapplicativa,  non  cedevole»  e
«direttamente  operante  nei  confronti  dei  privati»,  tanto da non
lasciare  «alcuno  spazio  all'intervento  legislativo regionale». In
particolare,   le  ricorrenti  ritengono  che  la  disciplina  di  un
procedimento    unitario    e    dettagliato   per   l'autorizzazione
all'installazione  degli  impianti,  predeterminando anche i tempi di
formazione  degli  atti e della volonta' delle amministrazioni locali
coinvolte, lederebbe la competenza legislativa delle Regioni.
    6.1.- La questione non e' fondata.
    L'analisi  della  censura  presuppone  che  si  chiarisca, in via
preliminare,  che  l'ampiezza  e  l'area di operativita' dei principi
fondamentali  -  non  avendo  gli stessi carattere «di rigidita' e di
universalita»  (cfr.,  da  ultimo,  sentenza  n. 50  del  2005) - non
possono  essere  individuate  in  modo aprioristico e valido per ogni
possibile tipologia di disciplina normativa.
    Esse,   infatti,   devono  necessariamente  essere  calate  nelle
specifiche  realta'  normative cui afferiscono e devono tenere conto,
in  modo particolare, degli aspetti peculiari con cui tali realta' si
presentano.  E',  dunque,  evidente  che, nell'individuare i principi
fondamentali    relativi   al   settore   delle   infrastrutture   di
comunicazione    elettronica,   non   si   puo'   prescindere   dalla
considerazione  che ciascun impianto di telecomunicazione costituisce
parte integrante di una complessa ed unitaria rete nazionale, sicche'
non  e' neanche immaginabile una parcellizzazione di interventi nella
fase  di  realizzazione  di  una  tale rete (cfr. sentenza n. 307 del
2003).  Nella  relazione illustrativa al Codice, si legge, inoltre, a
tal  proposito,  che  «la  rete  e' unica a livello globale» e che la
stessa  «non ha senso se le singole frazioni non sono connesse tra di
loro,  quale  che  ne  sia  la  proprieta'  e la disponibilita». Cio'
comporta  che  i  relativi  procedimenti  autorizzatori devono essere
necessariamente   disciplinati   con   carattere   di  unitarieta'  e
uniformita' per tutto il territorio nazionale, dovendosi evitare ogni
frammentazione  degli  interventi.  Ed  e', dunque, alla luce di tali
esigenze   e   finalita'  che  devono  essere  valutate  ampiezza  ed
operativita'  dei  principi  fondamentali riservati alla legislazione
dello Stato.
    Nella  fase  di attuazione del diritto comunitario la definizione
del  riparto  interno di competenze tra Stato e Regioni in materie di
legislazione  concorrente  e,  dunque,  la  stessa individuazione dei
principi   fondamentali,  non  puo'  prescindere  dall'analisi  dello
specifico contenuto e delle stesse finalita' ed esigenze perseguite a
livello  comunitario.  In  altri  termini,  gli obiettivi posti dalle
direttive   comunitarie,   pur   non  incidendo  sulle  modalita'  di
ripartizione  delle  competenze,  possono  di  fatto  richiedere  una
peculiare  articolazione  del  rapporto  norme  di principio-norme di
dettaglio.  Nella  specie,  la puntuale attuazione delle prescrizioni
comunitarie,   secondo  cui  le  procedure  di  rilascio  del  titolo
abilitativo   per  la  installazione  degli  impianti  devono  essere
improntate  al  rispetto  dei  canoni della tempestivita' e della non
discriminazione,  richiede  di  regola  un intervento del legislatore
statale  che  garantisca  l'esistenza  di  un  unitario  procedimento
sull'intero  territorio nazionale, caratterizzato, inoltre, da regole
che ne consentano una conclusione in tempi brevi.
    Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono,  la suindicata
censura  di  ordine  generale  prospettata  dalle  ricorrenti  non e'
fondata.
    7.  -  Ancora  su  un  piano  generale,  deve essere esaminata la
ulteriore  censura  con  la  quale  le  ricorrenti  lamentano  che le
disposizioni  impugnate  sarebbero  costituzionalmente illegittime in
quanto   attribuirebbero   direttamente   l'esercizio   di   funzioni
amministrative   agli   enti   locali,   disciplinando   il  relativo
procedimento,  laddove  tali funzioni dovrebbero essere conferite con
legge  statale  o  regionale, sulla base delle rispettive competenze,
secondo   quanto  prescritto  dall'art. 118  della  Costituzione.  In
particolare,  si  assume  che  in materia di competenza concorrente o
residuale  delle  Regioni  la  disciplina  legislativa delle funzioni
amministrative dovrebbe spettare alle Regioni stesse.
    7.1. - La questione non e' fondata.
    Le  ricorrenti  muovono da un erroneo presupposto interpretativo.
Le  norme impugnate, facendo generico riferimento agli «enti locali»,
non  allocano  direttamente funzioni amministrative ad un determinato
livello  di  governo,  bensi'  si  limitano  a formulare un principio
fondamentale  di  disciplina  in forza del quale tutti i procedimenti
relativi  alla  installazione  delle  infrastrutture di comunicazione
elettronica devono essere «gestiti» dai predetti enti.
    In  altri  termini,  lo Stato, sul presupposto della preesistenza
delle  funzioni  degli enti locali in materia, in base a normative da
lungo  tempo  vigenti,  ha  solo  disciplinato, con norme costituenti
espressione   di   principi  fondamentali,  lo  svolgimento  di  tali
funzioni.  Rimane  ferma,  pertanto,  la  facolta'  delle  Regioni di
allocare  le funzioni in esame ad un determinato livello territoriale
subregionale,   nel   rispetto   degli   artt. 117,   secondo  comma,
lettera p),  e  118  della  Costituzione.  Non  solo. Le Regioni, nel
quadro  e  nel rispetto dei principi fondamentali cosi' fissati dalla
legge  statale,  ben  possono  prescrivere,  eventualmente, ulteriori
modalita'  procedimentali  rispetto a quelle previste dallo Stato, in
vista di una piu' accentuata semplificazione delle stesse.
    8.  - Passando ora all'esame delle censure specificamente rivolte
alle  singole  disposizioni  impugnate,  con  la  prima  di  esse  le
ricorrenti    lamentano    che   l'art. 86,   comma 3,   del   Codice
illegittimamente  prevede  che le infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione,  di  cui  agli artt. 87 e 88, siano assimilate ad ogni
effetto  alle  opere  di  urbanizzazione primaria di cui all'art. 16,
comma 7,   del  d.P.R.  6  giugno 2001,  n. 380  (Testo  unico  delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari in materia edilizia), pur
restando  di  proprieta'  dei  rispettivi operatori, e che ad esse si
applichi la normativa vigente in materia.
    Secondo  le  ricorrenti,  la  suddetta  disposizione lederebbe la
competenza  regionale  relativa al governo del territorio, in quanto,
assimilando  le  infrastrutture  di rete alle opere di urbanizzazione
primaria,  porrebbe  norme  di dettaglio senza lasciare alcuno spazio
alla  competenza  concorrente  regionale.  In  particolare, rileva la
Regione  Marche, la norma in esame introdurrebbe «una classificazione
che  incide in termini stringenti sulle possibilita' delle Regioni di
definire la disciplina di queste particolari infrastrutture».
    8.1. - La questione non e' fondata.
    La  scelta di inserire le infrastrutture di reti di comunicazione
tra   le  opere  di  urbanizzazione  primaria  esprime  un  principio
fondamentale  della legislazione urbanistica, come tale di competenza
dello  Stato,  al  pari  dell'analoga scelta legislativa di carattere
generale  che  ha  portato  il  citato  art. 16, commi 7 e 7-bis, del
d.P.R.  n. 380  del 2001, a classificare come opere di urbanizzazione
primaria,  tra le altre, le strade residenziali, gli spazi di sosta e
di  parcheggio,  le  fognature,  nonche'  i  cavedi  multiservizi e i
cavidotti  per  il  passaggio  di  reti  di telecomunicazione. Non si
tratta,  pertanto,  di  una  norma  di dettaglio, ma di una norma che
fissa un principio basilare nella materia del governo del territorio,
cui   le   Regioni,   nel  legiferare,  dovranno  attenersi  a  norma
dell'art. 117, terzo comma, ultima parte, della Costituzione.
    9.  -  La  Regione  Marche  formula  specifiche censure anche nei
confronti dell'art. 86, comma 7, dello stesso Codice, il quale impone
alle  Regioni  di  uniformarsi ai limiti di esposizione, ai valori di
attenzione  ed  agli  obiettivi  di  qualita'  stabiliti dall'art. 4,
comma 2,  lettera a),  della  legge  22 febbraio  2001,  n. 36 (Legge
quadro   sulla   protezione  dalle  esposizioni  a  campi  elettrici,
magnetici ed elettromagnetici).
    Si  lamenta, in particolare, che il Codice, vincolandole anche al
rispetto  degli  obiettivi  di  qualita', impedirebbe alle Regioni di
esercitare  una  competenza  che  e'  stata  riconosciuta  loro dalla
giurisprudenza  costituzionale  con  la  sentenza  n. 307 del 2003, e
successivamente   con  la  sentenza  n. 324  del  2003,  e  cioe'  la
competenza relativa alla indicazione degli obiettivi di qualita'.
    9.1. - La questione non e' fondata.
    Questa  Corte  nella  sentenza  n. 307  del 2003 ha affermato che
compete  allo  Stato,  nel  complessivo  sistema di definizione degli
standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico di cui alla
legge  n. 36  del  2001, la fissazione delle soglie di esposizione e,
dunque,  nel  lessico  legislativo,  la  determinazione dei limiti di
esposizione,  dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualita',
limitatamente  per  quest'ultimi alla definizione dei valori di campo
«ai  fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione» (art. 3,
comma 1,  lettera d), numero 2). La Corte ha, pero', riconosciuto, in
linea con quanto prescritto dalla menzionata legge quadro, che spetta
alla  competenza  delle Regioni la disciplina dell'uso del territorio
in   funzione   della  localizzazione  degli  impianti  e  quindi  la
indicazione  degli  obiettivi  di  qualita',  consistenti  in criteri
localizzativi  degli  impianti  di  comunicazione  (art. 3,  comma 1,
lettera d), numero 1).
    Orbene, la norma ora impugnata, contrariamente a quanto sostenuto
dalle ricorrenti, rispetta l'indicato riparto di competenze.
    Essa,  infatti,  stabilisce che per gli obiettivi di qualita' «si
applicano  le  disposizioni  di  attuazione  di  cui  all'articolo 4,
comma 2,  lettera a),  della legge n. 36 del 2001», che opera, pero',
un  rinvio al comma 1, lettera a), del medesimo art. 4. Quest'ultimo,
come si e' innanzi precisato, riserva allo Stato le funzioni relative
alla   determinazione  dei  limiti  di  esposizione,  dei  valori  di
attenzione  e  anche  degli  obiettivi  di  qualita', solo «in quanto
valori  di  campo come definiti dall'articolo 3, comma 1, lettera d),
numero  2».  Deve,  dunque, ritenersi che rimanga ferma la competenza
delle Regioni nella determinazione dei diversi «obiettivi di qualita»
cui  fa  riferimento il numero 1 della stessa lettera d) dell'art. 3,
consistenti,  appunto,  come  si e' precisato, negli indicati criteri
localizzativi,  standard  urbanistici,  prescrizioni e incentivazioni
per  l'utilizzo  delle  migliori  tecnologie  disponibili. La lettura
combinata  delle  predette  norme consente, pertanto, di escludere la
sussistenza  della denunciata violazione delle attribuzioni spettanti
alle  Regioni  sia  per  quanto  concerne la materia del «governo del
territorio»,  sia  per  quanto  attiene  a quella della «tutela della
salute».
    10.  -  Viene, inoltre, censurato dalle ricorrenti il primo comma
dell'art. 87  del  Codice,  il  quale  prevede che l'installazione di
infrastrutture   per   impianti  radioelettrici,  la  modifica  delle
caratteristiche   di   emissione  di  questi  ultimi  e,  in  specie,
l'installazione     di    torri,    di    tralicci,    di    impianti
radio-trasmittenti,   di   ripetitori  di  servizi  di  comunicazione
elettronica,  di  stazioni  radio  base  per  reti  di  comunicazioni
elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e
contribuzione  dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti
a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione
civile,  nonche'  per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle
bande  di  frequenza  all'uopo assegnate, sono autorizzate dagli enti
locali,  previo  accertamento,  da parte dell'organismo competente ad
effettuare  i  controlli, ossia l'Agenzia regionale per la protezione
dell'ambiente  (ARPA), della compatibilita' del progetto con i limiti
di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualita'.
    Le  ricorrenti  lamentano  che  il  vincolo  degli  obiettivi  di
qualita'  ponga  una  limitazione costituzionalmente illegittima alle
competenze  regionali in ordine alla localizzazione dei siti, secondo
quanto gia' affermato da questa Corte con le sentenze n. 324 e n. 307
del 2003.
    10.1. - La questione non e' fondata per ragioni analoghe a quelle
poc'anzi indicate.
    Deve,  al riguardo, ribadirsi che l'art. 87 vincola le Regioni al
rispetto  degli  obiettivi  di  qualita',  stabiliti  uniformemente a
livello nazionale in relazione al disposto della legge n. 36 del 2001
e dei relativi provvedimenti di attuazione. Attraverso il rinvio alla
citata  legge  (art. 3,  comma 1, lettera d), numero 2), tale vincolo
agisce  limitatamente  ai  «valori  di  campo elettrico, magnetico ed
elettromagnetico  (...)  ai  fini  della  progressiva  minimizzazione
dell'esposizione  ai  campi  medesimi». In sostanza, come si e' prima
precisato,  la  norma impugnata fa salvi, attribuendoli alla Regione,
«i criteri localizzativi, gli standard urbanistici, le prescrizioni e
le   incentivazioni   per   l'utilizzo   delle   migliori  tecnologie
disponibili»  (art. 3,  comma 1,  lettera  d),  numero  1). A cio' si
aggiunga  che,  nel  caso  in  esame, il mancato riferimento a questa
seconda  tipologia  di  obiettivi  di qualita' si giustifica anche in
quanto  la  disposizione  censurata  richiama gli accertamenti svolti
dall'organismo  competente  ad  effettuare  i controlli (ARPA) di cui
all'art. 14  della legge n. 36 del 2001, che attengono esclusivamente
alla tutela sanitaria e ambientale.
    11.  -  L'art. 87  del  Codice e', altresi', impugnato per quanto
specificatamente dispone nei commi 6, 7 e 8.
    In  base  al  comma 6,  in  sede  di  esame delle istanze dirette
all'adozione del provvedimento di autorizzazione all'installazione di
un  impianto di comunicazione elettronica, quando una amministrazione
interessata  abbia  espresso  motivato  dissenso, il responsabile del
procedimento  deve  convocare,  entro  trenta  giorni  dalla  data di
ricezione  della  domanda,  una  conferenza  di  servizi,  alla quale
prendono  parte  i  rappresentanti  degli  enti  locali  interessati,
nonche'  dei  soggetti preposti ai controlli di cui all'art. 14 della
legge  n. 36  del  2001  ed  un  rappresentante  dell'amministrazione
dissenziente.  Il  comma 7  prosegue  disponendo che la conferenza di
servizi   deve   pronunciarsi   entro   trenta   giorni  dalla  prima
convocazione   e  che  l'approvazione,  adottata  a  maggioranza  dei
presenti,  «sostituisce  ad ogni effetto gli atti di competenza delle
singole   amministrazioni  e  vale  altresi'  come  dichiarazione  di
pubblica  utilita',  indifferibilita' ed urgenza dei lavori». Qualora
poi  il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta
dalla  conferenza  di  servizi,  sia  espresso  da un'amministrazione
preposta  alla  tutela  ambientale,  alla  tutela della salute o alla
tutela del patrimonio storico-artistico, il comma 8 stabilisce che la
decisione  sia  rimessa  al  Consiglio  dei  ministri  e  che trovino
applicazione, in quanto compatibili con il Codice, le disposizioni di
cui agli artt. 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme  in  materia  di  procedimento  amministrativo  e di diritto di
accesso  ai  documenti  amministrativi),  che  disciplinano, appunto,
l'istituto della conferenza di servizi.
    Secondo  le  ricorrenti,  la  disciplina  posta  dai citati commi
dell'art. 87 sarebbe illegittima nella parte in cui estende la regola
della  maggioranza  all'adozione  dell'atto  finale, prevede una sola
ipotesi  di  dissenso qualificato ed affida al Consiglio dei ministri
la relativa decisione.
    11.1. - La questione non e' fondata.
    L'istituto  della conferenza di servizi costituisce, in generale,
uno  strumento  di  semplificazione  procedimentale  e di snellimento
dell'azione  amministrativa  (sentenze n. 348 e n. 62 del 1993; n. 37
del  1991;  cfr.  anche  sentenza n. 79 del 1996). Tale funzione, nel
contesto dello specifico procedimento in esame e degli interessi allo
stesso  sottesi,  consente  di  ritenere  che la previsione contenuta
nella   disposizione   censurata  sia  espressione  di  un  principio
fondamentale della legislazione.
    A  cio'  si  aggiunga che il comma 8 della disposizione impugnata
prevede  un  meccanismo  di operativita' della conferenza nel caso in
cui  il  dissenso  sia  espresso  da un'amministrazione preposta alla
tutela  ambientale,  alla  tutela  della  salute  o  alla  tutela del
patrimonio  storico-artistico,  che  assicura  comunque  un  adeguato
coinvolgimento   delle   Regioni.  Tale  disposizione,  infatti,  pur
prevedendo  che quando la volonta' contraria venga manifestata da una
delle  suddette amministrazioni la decisione sia rimessa al Consiglio
dei ministri, specifica che trovano comunque applicazione, «in quanto
compatibili  con  il  Codice», le disposizioni di cui agli artt. 14 e
seguenti  della  legge  n. 241  del  1990.  Orbene,  il  terzo  comma
dell'art. 14-quater  della  predetta  legge,  nel  testo in vigore al
momento  dell'emanazione  del  decreto impugnato, stabiliva che nella
ipotesi  di  amministrazione dissenziente diversa da quella statale e
sempre  che  quest'ultima  non fosse l'amministrazione procedente, la
determinazione finale dovesse essere attribuita «ai competenti organi
collegiali  esecutivi  degli  enti  territoriali».  Considerato  che,
nell'ipotesi  prevista dal Codice, l'amministrazione procedente e' un
ente  locale,  l'eventuale dissenso espresso da organi regionali, nel
regime  normativo  all'epoca  vigente,  faceva scattare il meccanismo
garantista della decisione demandata all'organo collegiale di governo
della  Regione,  vale  a dire alla Giunta, sicche' non possono essere
ravvisati profili di violazione delle attribuzioni regionali. E' bene
precisare che la salvaguardia di tali attribuzioni, dopo le modifiche
apportate all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 dall'art. 11
della  legge  11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla
legge  7 agosto  1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione
amministrativa),  passa  -  nel caso in cui il dissenso verta tra una
amministrazione statale ed una amministrazione regionale - attraverso
il coinvolgimento diretto della Conferenza Stato-Regioni.
    12. - Ancora in ordine all'art. 87 del Codice, viene censurata la
disposizione   del   comma 9,   che   disciplina   una   ipotesi   di
silenzio-assenso, prevedendosi che «le istanze di autorizzazione e le
denunce  di attivita» cui fa riferimento lo stesso articolo, «nonche'
quelle  relative  alla  modifica  delle  caratteristiche di emissione
degli  impianti  gia'  esistenti, si intendono accolte qualora, entro
novanta  giorni  dalla  presentazione  del  progetto e della relativa
domanda,  fatta  eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia
stato  comunicato  un  provvedimento  di  diniego». Il medesimo comma
precisa  che gli enti locali possono prevedere termini piu' brevi per
la  conclusione  dei  relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di
semplificazione   amministrativa,  nel  rispetto  delle  disposizioni
stabilite dallo stesso comma.
    Le  ricorrenti  deducono  che  la disciplina impugnata sarebbe di
dettaglio e dunque costituzionalmente illegittima. In particolare, le
ricorrenti osservano che tale normativa - non lasciando alcuno spazio
alle   Regioni   per   stabilire  forme  diverse  di  semplificazione
amministrativa  -  impedirebbe  al legislatore regionale di prevedere
modalita'   di   contemperamento  delle  esigenze  di  celerita'  del
procedimento autorizzatorio con le imprescindibili garanzie di tutela
dell'ambiente, della salute e di governo del territorio.
    12.1. - Anche tale questione non e' fondata.
    La  disposizione  in  esame  prevede  moduli  di  definizione del
procedimento,    informati    alle   regole   della   semplificazione
amministrativa  e  della  celerita',  espressivi in quanto tali di un
principio fondamentale di diretta derivazione comunitaria. Del resto,
l'evoluzione    attuale   dell'intero   sistema   amministrativo   si
caratterizza  per una sempre piu' accentuata valenza dei «principi di
semplificazione»   nella   regolamentazione   di   talune   tipologie
procedimentali ed in relazione a determinati interessi che vengono in
rilievo  (cfr.  artt. 19  e  20  della  legge  n. 241  del 1990, come
modificati   dall'art. 3  del  decreto-legge  14 marzo  2005,  n. 35,
recante  «Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo
sviluppo   economico,   sociale   e  territoriale»,  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  14 maggio  2005,  n. 80).  Nel  caso di
specie,  la  pluralita'  delle  esigenze  e  dei  valori di rilevanza
costituzionale  sottesi  alle  «materie»  nel cui ambito rientrano le
disposizioni  censurate,  in  una  con  la  finalita'  complessiva di
garantire  un rapido sviluppo dell'intero sistema delle comunicazioni
elettroniche  (cfr.  sentenza  n. 307  del  2003)  secondo  i dettami
sanciti  a  livello  comunitario,  induce  a ritenere che le norme in
esame  siano  espressione  di principi fondamentali. Questa Corte ha,
inoltre,  gia'  avuto  modo di precisare - sia pure con riferimento a
procedimenti  aventi una esclusiva valenza urbanistica - in relazione
alla  denuncia di inizio attivita' di cui all'art. 2, comma 60, della
legge  23 dicembre  1996,  n. 662  (Misure di razionalizzazione della
finanza  pubblica),  ora confluito nell'art. 22 del d.P.R. n. 380 del
2001,   che   «le   fattispecie  nelle  quali,  in  alternativa  alle
concessioni   o  autorizzazioni  edilizie,  si  puo'  procedere  alla
realizzazione  delle  opere con denuncia di inizio attivita' a scelta
dell'interessato   integrano   il   proprium   del   nuovo  principio
dell'urbanistica  (...). In definitiva, le norme impugnate perseguono
il  fine,  che  costituisce  un  principio  dell'urbanistica,  che la
legislazione  regionale  e  le funzioni amministrative in materia non
risultino  inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a
semplificare le procedure» (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2. del
Considerato in diritto).
    13.  -  Oggetto di censura e' anche quanto stabilito dall'art. 88
del  Codice,  il  quale  per  l'ipotesi  in  cui  l'installazione  di
infrastrutture    di   comunicazione   elettronica   presupponga   la
realizzazione di opere civili o, comunque, l'effettuazione di scavi e
l'occupazione  di suolo pubblico, definisce un procedimento analogo a
quello  descritto nell'art. 87, con la previsione della conferenza di
servizi  e  del  silenzio-assenso  e  fissa regole affinche' gli enti
pubblici   definiscano   i  programmi  di  manutenzione  ordinaria  e
straordinaria delle rispettive opere.
    Le  censure  proposte  sono  analoghe  a quelle sollevate avverso
l'art. 87.
    Esse   si   indirizzano  in  particolare  alle  disposizioni  che
disciplinano  la  conferenza  di  servizi, nonche' la conclusione del
procedimento amministrativo mediante silenzio-assenso.
    13.1.  -  Al riguardo, e' da osservare che la norma impugnata non
determina  alcun  vulnus  alle  competenze  regionali per le medesime
ragioni sopra esposte in relazione alle censure rivolte nei confronti
dell'art. 87,  di  talche' la questione avente ad oggetto il predetto
art. 88 del d.lgs. n. 259 del 2003 deve ritenersi non fondata.
    14.  - Entrambe le ricorrenti impugnano l'art. 89, nella parte in
cui   definisce   le   regole   di  condivisione  e  coubicazione  di
infrastrutture.  Si  tratta, in particolare, di regole concernenti la
«condivisione   dello   scavo»   e   la  «coubicazione  dei  cavi  di
comunicazione elettronica».
    Le  ricorrenti  assumono  che  le prescrizioni contenute in detto
articolo  violerebbero  l'art. 117,  terzo comma, della Costituzione,
perche'  detterebbero  una  disciplina  dettagliata nelle materie del
«governo  del  territorio»,  dell'«ordinamento della comunicazione» e
della «tutela della salute», attribuite alla competenza concorrente.
    14.1. - La censura e' inammissibile per genericita'.
    A   prescindere   dalla   possibile  riconducibilita'  di  alcune
previsioni   contenute  nella  disposizione  impugnata  alla  materia
dell'«ordinamento  civile», di competenza legislativa esclusiva dello
Stato (art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.), la ricorrente non
svolge   alcuna   argomentazione   a  sostegno  della  illegittimita'
costituzionale delle disposizioni censurate, non specificando neppure
le parti dell'articolo impugnato che eccederebbero dalla formulazione
di un principio fondamentale.
    15.  -  Le  Regioni  ricorrenti  censurano,  altresi',  sotto due
diversi profili, l'art. 93.
    Esso,   dopo   aver   previsto,  al  comma 1,  che  le  pubbliche
Amministrazioni,  le  Regioni,  le  Province  ed i Comuni non possono
imporre,  per  l'impianto  di  reti  o per l'esercizio dei servizi di
comunicazione  elettronica,  oneri o canoni che non siano fissati per
legge,  stabilisce, al comma 2, che gli operatori che forniscono reti
di  comunicazione  elettronica  hanno l'obbligo - fatta eccezione per
tasse, canoni e contributi specificamente indicati dalla stessa norma
in   esame   -   di  tenere  indenne  l'ente  locale,  ovvero  l'ente
proprietario,  dalle  spese  necessarie  per le opere di sistemazione
delle  aree  pubbliche  coinvolte dagli interventi di installazione e
manutenzione,  nonche'  l'obbligo  di ripristinare a regola d'arte le
aree medesime nei tempi stabiliti dall'ente locale.
    Sotto  un  primo  aspetto  entrambe  le  ricorrenti  deducono  la
violazione dell'art. 117 della Costituzione perche' l'articolo de quo
detterebbe, in ambiti materiali attribuiti alla competenza regionale,
una  disciplina «uniforme» delle infrastrutture per le quali, invece,
si  dovrebbe  tener  conto  dello  specifico  contesto territoriale e
normativo di ciascuna Regione.
    Sotto  un  diverso  profilo  la  sola  Regione  Marche  deduce la
illegittimita'  delle  norme  nelle  parti  in  cui  fissano  in modo
puntuale  -  per gli operatori - gli oneri connessi alle attivita' di
installazione,  scavo ed occupazione di suolo pubblico, ritenendo che
le  stesse sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con
l'art. 119 Cost.
    In  particolare,  si  sostiene  che  il  principio dell'autonomia
finanziaria,  sotto  il  profilo  dell'autonomia di spesa, unitamente
«alla  norma  secondo  cui per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio  delle loro funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive ed
effettua   interventi  speciali  in  favore  di  determinati  Comuni,
Province, Citta' metropolitane e Regioni», implicherebbe che tutte le
funzioni  amministrative  spettanti  alle  Regioni, diverse da quelle
«ordinarie»,  risultino  finanziate attraverso l'attribuzione diretta
ai loro bilanci di risorse adeguate, senza vincoli sulle modalita' di
spesa.
    La   Regione  Marche  aggiunge  che  sussisterebbe,  inoltre,  la
violazione  dell'art. 119  Cost. anche perche' si imporrebbero «oneri
finanziari a carico - sia pure indirettamente - delle Regioni».
    15.1. - Sotto entrambi i profili la censura non e' fondata.
    Sotto  il  primo profilo, la disposizione in esame deve ritenersi
espressione  di  un  principio  fondamentale,  in  quanto persegue la
finalita'  di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme
e  non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre
a  carico  degli  stessi  oneri  o  canoni.  In  mancanza  di un tale
principio,  infatti,  ciascuna Regione potrebbe liberamente prevedere
obblighi  «pecuniari»  a  carico  dei  soggetti  operanti sul proprio
territorio,   con   il   rischio,   appunto,  di  una  ingiustificata
discriminazione  rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali,
in  ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti. E' evidente
che  la  finalita'  della  norma  e'  anche  quella  di «tutela della
concorrenza»,  sub  specie di garanzia di parita' di trattamento e di
misure  volte  a  non  ostacolare  l'ingresso  di  nuovi soggetti nel
settore.  Ad analogo criterio si ispira la disposizione che sancisce,
in capo agli operatori, l'obbligo di tenere indenni gli enti locali o
gli   enti  proprietari  delle  spese  necessarie  per  le  opere  di
sistemazione delle aree pubbliche.
    Anche sotto il secondo profilo la censura non e' fondata.
    La  ricorrente muove da un erroneo presupposto interpretativo, in
quanto la norma statale non attribuisce ne' tantomeno disciplina, per
gli scopi indicati dal quarto comma dell'art. 119 della Costituzione,
funzioni  di  «determinate»  Regioni,  con  conseguente necessita' di
«destinazione  di  risorse»:  il  legislatore statale si e', infatti,
limitato  a  porre  a carico degli operatori di settore oneri che non
gravano   sui   bilanci   regionali.  Tali  oneri  sono  strettamente
funzionali  alla  copertura  di  costi,  specificamente  indicati dal
secondo comma dell'art. 93, sostenuti per l'esercizio di un'attivita'
non   riconducibile   a   «funzioni   regionali»  diverse  da  quelle
«ordinarie»,  bensi'  all'operato  di  soggetti  privati che svolgono
attivita' di impresa, ancorche' connessa all'erogazione del «servizio
pubblico» di comunicazione elettronica.
    16.  -  Passando  all'esame  dell'art. 95,  va osservato che tale
articolo,  nel  disciplinare  gli impianti e le condutture di energia
elettrica  o tubazioni, prescrive, al comma 1, che nessuna conduttura
di  energia elettrica, anche se subacquea, a qualunque uso destinata,
puo'  essere  costruita, modificata o spostata senza che sul relativo
progetto  sia  stato  preventivamente  ottenuto  il  nulla  osta  del
Ministero  delle  comunicazioni,  ed  inoltre subordina al preventivo
consenso  del Ministero stesso l'esecuzione di qualsiasi lavoro sulle
condutture subacquee di energia elettrica, e sui relativi atterraggi,
riconoscendo  a tale organismo il potere di esercitare la vigilanza e
il  controllo  sulla  esecuzione  dei  lavori.  Nel  caso  in  cui si
realizzino  interferenze tra cavi di comunicazione elettronica e cavi
di  energia  elettrica  sotterrati  devono  essere osservate le norme
generali   per   gli   impianti   elettrici  stabilite  dal  comitato
elettrotecnico italiano (CEI) del Consiglio nazionale delle ricerche.
Qualora,  poi,  a  causa di impianti di energia elettrica si abbia un
mutamento  del  servizio  di  comunicazione elettronica, il Ministero
promuove  lo  spostamento degli impianti o adotta altri provvedimenti
idonei  ad  eliminare  i disturbi, con spese a carico di chi li rende
necessari.
    Secondo   la   Regione   Marche   la   norma   in  esame  sarebbe
costituzionalmente  illegittima, in quanto conterrebbe una disciplina
di dettaglio in materie di competenza concorrente («ordinamento della
comunicazione» e «governo del territorio»).
    Ad   avviso  della  Regione  Toscana  l'art. 95  si  porrebbe  in
contrasto  con  gli  artt. 117  e  118 della Costituzione, perche' lo
Stato,  in  materia  di  competenza  concorrente, attribuirebbe ad un
organo  statale  (l'ispettorato  del Ministero delle comunicazioni) i
compiti  di  cui  innanzi  senza  rispettare  i criteri sanciti dalla
giurisprudenza  di  questa  Corte ai fini della avocazione, a livello
centrale,  di  funzioni  amministrative:  l'assunzione  di  funzioni,
secondo  la  ricorrente,  non  sarebbe,  infatti,  proporzionata, ne'
ragionevole  e  soprattutto non sarebbe accompagnata dalla previsione
dell'intesa con la Regione.
    16.1. - La questione non e' fondata.
    Questa Corte con la sentenza n. 7 del 2004, pur riconoscendo alle
Regioni  la  competenza  a  dettare  disposizioni sulla progettazione
tecnica  degli  impianti  di  produzione,  distribuzione  e  utilizzo
dell'energia, ha affermato che alla rete regionale si devono comunque
applicare  le  «regole  tecniche» adottate dal gestore nazionale. Nel
caso  in  esame,  il  nulla  osta  ministeriale  e' diretto proprio a
garantire  il  rispetto  di  quelle  regole  tecniche  senza le quali
l'esercizio  della  potesta'  legislativa regionale potrebbe produrre
una  elevata  diversificazione  della  rete  di  distribuzione  della
energia  elettrica,  con  notevoli inconvenienti sul piano tecnico ed
economico.
    La  norma  impugnata,  pertanto, costituendo una esplicitazione a
livello tecnico dell'esigenza di assicurare uniformita' e continuita'
alla  rete  delle  infrastrutture  di  comunicazione  elettronica, si
sottrae alle proposte censure di illegittimita' costituzionale.
    17.  -  Entrambe le Regioni censurano l'allegato n. 13 al decreto
legislativo impugnato, il quale determina il contenuto dei modelli da
usare  nella  presentazione  dell'istanza  di  autorizzazione e della
denuncia di inizio attivita'.
    Secondo  la prospettazione dei ricorsi, la norma in esame integra
l'esercizio  di  una  vera  e  propria potesta' regolamentare, che lo
Stato non puo' legittimamente esercitare in materie diverse da quelle
riservate  alla  sua  competenza  esclusiva,  neppure  ove  si voglia
riconoscere  ai  regolamenti  emanati  nelle  materie  di  competenza
regionale il carattere della cedevolezza.
    La  suddetta  questione  deve  essere esaminata, per connessione,
congiuntamente  a quella proposta dalla sola Regione Marche in ordine
agli  artt. 86,  comma 8,  87, comma 3, 88, comma 1, 89, comma 5, 92,
93, 94 e 95, nella parte in cui disciplinano il contenuto dei modelli
da  presentare  per  la  domanda  di  autorizzazione  e per gli altri
adempimenti amministrativi connessi con l'installazione e l'esercizio
degli impianti.
    Secondo  la  ricorrente,  tali norme sarebbero espressione di una
potesta'  regolamentare,  che  lo  Stato  non  potrebbe esercitare in
materie,  come  quelle  disciplinate,  che non ricadono nella propria
sfera di legislazione esclusiva.
    17.1. - Le questioni non sono fondate.
    Innanzitutto,  si  deve premettere che l'allegato n. 13, malgrado
il  fatto  che  il  Codice  ne  preveda  la  modificabilita' con atti
regolamentari  e amministrativi, deve considerarsi pur sempre atto di
natura  legislativa,  sicche' esso conserva il regime giuridico della
fonte in cui e' inserito.
    Passando  al  merito  della  questione,  deve  osservarsi  che la
disciplina impugnata e' riconducibile alla competenza esclusiva dello
Stato  in tema di «coordinamento informativo statistico e informatico
dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale» (art. 117,
secondo  comma,  lettera  r),  Cost.;  cfr. sentenze n. 31 del 2005 e
n. 17 del 2004). L'art. 87, comma 3, del Codice, infatti, rispetto al
modello  A  dell'allegato  n. 13, dispone che esso sia «realizzato al
fine  della sua acquisizione su supporti informatici e destinato alla
formazione  del catasto nazionale delle sorgenti elettromagnetiche di
origine industriale». Gli elementi, puntualmente indicati dalla norma
in  esame,  hanno,  infatti,  natura  prevalentemente  tecnica e sono
destinati  a  confluire  in  una  banca  dati  centralizzata  per  la
costituzione  di un catasto nazionale di raccolta dei dati stessi. E'
evidente,  pertanto,  che  le  norme  puntuali  previste dal suddetto
modello  sono  configurabili  come  la  necessaria esplicitazione dei
principi  fondamentali contenuti nelle disposizioni che richiamano il
modello   stesso.   Al   modello   D   puo'   estendersi   la  stessa
argomentazione, trattandosi di una istanza di autorizzazione relativa
ad  aree di piu' enti, pubblici o privati. Quanto invece ai modelli B
e  C  dell'allegato n. 13 - concernenti, rispettivamente, la denuncia
di inizio attivita' e la istanza di auto-rizzazione per opere civili,
scavi  e  occupazione  di  suolo pubblico in aree urbane - l'art. 87,
comma 3,  e  l'art. 88, comma 1 - con norma espressione del principio
fondamentale volto a garantire la celere conclusione dei procedimenti
- ne prevedono espressamente l'applicabilita' in via suppletiva, solo
nel  caso  in  cui  gli enti locali non abbiano predisposto i modelli
equivalenti.
    18.   -   Infine,   la   sola   Regione   Marche   ha   impugnato
«cumulativamente»   gli  artt. 90,  91,  92  e  94  del  Codice,  che
disciplinano   l'acquisizione   dei   beni  immobili  necessari  alla
realizzazione  degli  impianti (art. 90), la limitazione legale della
proprieta' (art. 91) e l'imposizione di servitu' (artt. 92 e 94).
    Secondo   la   ricorrente,   tali   disposizioni  porrebbero  una
disciplina   di   dettaglio  in  materie  riservate  alla  competenza
concorrente   («ordinamento   della   comunicazione»,   «governo  del
territorio»,  «tutela della salute») e, comunque, inciderebbero anche
su  (presunte)  materie di competenza residuale regionale (edilizia e
urbanistica).
    18.1.  - Le questioni indicate sono inammissibili per mancanza di
argomenti  minimi  idonei ad individuare le motivazioni dell'asserita
incostituzionalita'.   E   cio'   a   prescindere   dalla   possibile
riconducibilita'   del   contenuto   principale   delle  disposizioni
impugnate  alla  materia  dell'«ordinamento  civile»,  di  competenza
esclusiva  dello  Stato (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.),
atteso   che   l'art. 91  disciplina  le  «limitazioni  legali  della
proprieta»,  l'art. 92  le  «servitu» prediali e l'art. 94 la materia
della  «occupazione  di sedi autostradali da gestire in concessione e
di proprieta' dei concessionari».