ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli 14,
commi 5-ter  e  5-quinquies,  del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti la disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione dello straniero), come
modificato   dalla   legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla
normativa  in  materia  di  immigrazione  e  di  asilo), promosso con
ordinanza   del   6 febbraio  2003  dal  Tribunale  di  Sondrio,  nel
procedimento  penale  a  carico  di  V.Q.D.M., iscritta al n. 150 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 14, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 12 ottobre 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Sondrio
ha  sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale:
        a) dell'art. 14,   comma 5-ter,   del   decreto   legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  come  modificato  dalla  legge  30 luglio  2002,  n. 189
(Modifica  alla  normativa  in  materia  di immigrazione e di asilo),
nella  parte in cui prevede «che il reato ivi disciplinato si consuma
in  data  antecedente  all'inutile  decorso  del  termine di sessanta
giorni  per  la  presentazione  dell'opposizione al decreto espulsivo
ovvero  all'esaurimento  con  decisione irrevocabile dell'opposizione
eventualmente proposta»;
        b) dell'art. 14,   comma 5-quinquies,  del  medesimo  decreto
legislativo,  nella  parte  in  cui  prevede  «che  l'obbligatorieta'
dell'arresto»  -  per  il  reato  dianzi  indicato - «decorre da data
antecedente all'inutile decorso del termine di giorni sessanta per la
presentazione    dell'opposizione   al   decreto   espulsivo   ovvero
all'esaurimento    con    decisione   irrevocabile   dell'opposizione
eventualmente proposta»;
        che  il rimettente - premesso di essere investito del ricorso
proposto da uno straniero, ai sensi dell'art. 13, comma 8, del d.lgs.
n. 286  del  1998,  avverso  il decreto di espulsione emesso nei suoi
confronti  dal  Prefetto  di  Sondrio  -  rileva  come, ai fini della
decisione  su  tale  ricorso, dovrebbe disporsi la convocazione delle
parti  per  l'udienza  di  cui all'art. 13-bis, comma 1, dello stesso
decreto,  non  potendosi  condividere  la tesi secondo cui l'avvenuta
abrogazione  (ex art. 12 della legge n. 189 del 2002) del comma 9 del
citato  art. 13  avrebbe  determinato  il  venir meno dell'obbligo di
sentire anche il ricorrente;
        che  nella  specie,  peraltro,  il  Questore  di Sondrio, con
provvedimento del 10 dicembre 2002 - dato atto dell'impossibilita' di
eseguire  immediatamente l'espulsione per indisponibilita' di «idoneo
vettore  o altro mezzo di trasporto» - aveva ordinato allo straniero,
ai  sensi  dell'art. 14,  comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, di
lasciare  il  territorio  dello Stato entro cinque giorni: ordine cui
l'interessato  non aveva ottemperato, come poteva inferirsi dal fatto
che egli aveva presentato personalmente il ricorso in data 5 febbraio
2003,  dichiarando  di  essere  domiciliato in Comune di Segrate e di
vivere ivi assieme alla sorella;
        che  risulterebbe  di  conseguenza  integrata  la fattispecie
criminosa  prevista  dal  comma 5-ter del medesimo art. 14, dovendosi
escludere  che  la  «scriminante», ivi contemplata, del «giustificato
motivo»  -  che  rende non punibile l'inottemperanza all'ordine - sia
configurabile in rapporto ad una «ipotesi generale», quale l'esigenza
di  trattenersi  nel  territorio nazionale per predisporre il ricorso
avverso   il   provvedimento   di   espulsione   e   per  partecipare
successivamente all'udienza;
        che  ogni  valutazione sul punto sarebbe ad ogni modo rimessa
al   giudice   penale,  sussistendo  indubbiamente  -  allo  stato  -
quantomeno  una  «notitia  criminis» in relazione alla fattispecie de
qua;
        che   ad   avviso   del   rimettente,   tuttavia,   la  norma
incriminatrice  in parola si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e
111  Cost.,  sanzionando  penalmente un comportamento che costituisce
mera  esplicazione  del diritto di agire in giudizio e di partecipare
al   contraddittorio  nel  procedimento  di  opposizione  al  decreto
espulsivo;
        che  ai  fini  del  pieno  esercizio  del  proprio diritto di
ricorrere  avverso  il  provvedimento di espulsione - per il quale e'
previsto  il  termine  di  sessanta  giorni - l'interessato dovrebbe,
infatti, potersi trattenere nel territorio dello Stato onde esaminare
compiutamente  gli  atti,  conferire  con  un  difensore  e  reperire
elementi  di  prova  in  suo  favore,  e  successivamente presentarsi
davanti al giudice per essere interrogato liberamente sui fatti;
        che  il  dubbio  di  costituzionalita'  sarebbe d'altro canto
rilevante   gia'  nell'attuale  fase  di  giudizio,  in  quanto  esso
rimettente,  ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., sarebbe tenuto a
denunciare «senza ritardo» al pubblico ministero il ricorrente per il
reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998:
obbligo  che  verrebbe  invece  meno  nel  caso di accoglimento della
questione;
        che  il  giudice  a  quo  dubita,  altresi',  in  rapporto ai
medesimi  parametri costituzionali, della legittimita' costituzionale
del  comma 5-quinquies del citato art. 14, in forza del quale, per il
reato di cui al comma 5-ter, e obbligatorio l'arresto dell'autore del
fatto, osservando come per effetto di tale previsione la convocazione
del   ricorrente  venga  «svuotata  di  significato»,  giacche'  alla
comparizione dell'interessato conseguirebbe il suo immediato arresto,
onde l'udienza non potrebbe comunque tenersi con la sua presenza;
        che  sotto  questo profilo, anche tale seconda questione - la
quale  rimarrebbe  peraltro «assorbita» in caso di accoglimento della
prima  -  sarebbe  gia'  allo  stato  rilevante,  dato  che  la norma
impugnata  precluderebbe la «proficua convocazione» del ricorrente al
fine  dell'instaurazione  del  contraddittorio  e  dell'esercizio del
diritto di difesa;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che le questioni
siano dichiarate infondate;
        che  con  successiva  memoria,  la difesa erariale - rilevato
come  le  disposizioni impugnate siano state medio tempore modificate
dal  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in
tema  di  immigrazione),  convertito,  con  modificazioni,  in  legge
12 novembre 2004, n. 271 - ha chiesto che gli atti vengano restituiti
al giudice a quo.
    Considerato  che  il giudice rimettente dubita della legittimita'
costituzionale  di  due disposizioni - la norma incriminatrice di cui
all'art. 14,  comma 5-ter,  del  d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e    norme   sulla   condizione   dello   straniero),   che   punisce
l'ingiustificata    inottemperanza   dello   straniero   colpito   da
provvedimento   di   espulsione   all'ordine  di  allontanamento  dal
territorio   dello  Stato  impartitogli  dal  questore;  e  la  norma
processuale  di cui al comma 5-quinquies dello stesso articolo, nella
parte  in cui prevede l'arresto obbligatorio dell'autore del predetto
reato  -  delle  quali  non  e'  affatto chiamato a fare applicazione
nell'ambito  del procedimento in cui l'incidente di costituzionalita'
si innesta;
        che  - secondo quanto si legge nell'ordinanza di rimessione -
il  giudice a quo e' infatti investito unicamente del giudizio civile
diretto   alla   verifica   della   legittimita'   del  provvedimento
prefettizio  di espulsione che sta «a monte» dell'ordine del questore
di allontanamento dal territorio dello Stato: ordine che costituisce,
a  sua  volta,  il  presupposto  del  reato di cui al citato art. 14,
comma 5-ter;
        che  la configurabilita' o meno di una responsabilita' penale
del  ricorrente  nel  giudizio  a  quo  per il reato ora indicato e',
dunque,  aspetto  totalmente estraneo al thema decidendum del giudice
rimettente; ne' la rilevanza della questione di costituzionalita' che
investe l'anzidetta norma incriminatrice puo' essere fatta discendere
-  come  si  pretende  nell'ordinanza di rimessione - dall'obbligo di
denuncia previsto dall'art. 331 cod. proc. pen. a carico di qualunque
pubblico  ufficiale  (e non solo del giudice) che abbia notizia di un
reato  perseguibile  d'ufficio  nell'esercizio  delle sue funzioni: e
cio'  per  l'ovvia ragione che la presentazione o meno della denuncia
nei   confronti   dello  straniero,  per  il  reato  considerato,  e'
circostanza   avulsa   ed  assolutamente  ininfluente  rispetto  allo
scrutinio del suo ricorso avverso il provvedimento di espulsione;
        che  tanto  meno,  poi,  il  rimettente  e'  chiamato  a fare
applicazione   della   disposizione   di   cui  al  comma 5-quinquies
dell'art. 14, in tema di arresto obbligatorio per il reato in parola:
arresto, nella specie, neppure avvenuto;
        che,  al riguardo, e' infondata l'argomentazione in base alla
quale   il   giudice  a  quo  afferma  la  rilevanza  del  dubbio  di
costituzionalita'  concernente  tale disposizione: vale a dire che la
previsione  normativa  censurata  renderebbe  praticamente inutile la
convocazione  del  ricorrente  ai fini dell'audizione personale - cui
esso  giudice  a  quo  dovrebbe  procedere  prima della decisione sul
ricorso  -  dato  che, in caso di comparizione, il ricorrente sarebbe
destinato  ad  essere  arrestato  «in  limine  dell'udienza»,  e  non
potrebbe dunque partecipare a questa;
        che  -  a  prescindere,  dal  rilievo  che,  in  tal modo, il
rimettente  basa  l'affermazione  della  rilevanza  su un presupposto
fattuale  «patologico»  nel  sistema  della  legge  (che,  cioe',  lo
straniero   colpito   da   ordine  di  allontanamento  del  questore,
disobbedisca ingiustificatamente all'intimazione) e, al tempo stesso,
su  un  evento  futuro  ed  ipotetico  (l'arresto  del  ricorrente in
occasione  della  comparizione  all'udienza,  il  quale  potrebbe  in
concreto  non  verificarsi per i piu' diversi motivi) - e' assorbente
la considerazione che si palesa erronea la premessa interpretativa su
cui si regge l'intera costruzione logica;
        che,   infatti   -   come   ripetutamente   affermato   dalla
giurisprudenza di legittimita' - a seguito della modifica del comma 8
dell'art. 13  del  d.lgs.  n. 286 del 1998 operata dall'art. 12 della
legge  30 luglio  2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di
immigrazione  e di asilo), che ha altresi' soppresso il comma 9 dello
stesso   articolo,   ove   si   prevedeva   l'obbligo   di  audizione
dell'interessato, nel giudizio sul ricorso dello straniero avverso il
decreto  prefettizio  di espulsione non e' piu' richiesta l'audizione
personale  del  ricorrente: e cio' in coerenza con la regola generale
dell'immediata    esecuzione    del    provvedimento   a   mezzo   di
accompagnamento alla frontiera;
        che  il  rimettente, in effetti, trascura la circostanza che,
nel  sistema  introdotto  dalla  citata  legge  n. 189  del  2002, il
provvedimento   di  espulsione  -  che  e'  immediatamente  esecutivo
nonostante  gravame  (art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998) -
deve  essere  eseguito, in via di principio, con accompagnamento alla
frontiera  a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4, del d.lgs.
n. 286   del   1998),  ricorrendosi  allo  strumento  dell'ordine  di
allontanamento  (presidiato da sanzione penale e cui accede l'arresto
obbligatorio)  solo quando l'esecuzione immediata dell'espulsione non
sia possibile (art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998);
        che  tale  regime  rende,  dunque,  del tutto implausibile il
duplice  assunto  per cui, da un lato, la legge imporrebbe tuttora al
giudice  di  sentire comunque personalmente l'interessato prima della
decisione   sul  ricorso  avverso  il  provvedimento  prefettizio  di
espulsione  (per  la  cui  proposizione  e'  previsto  il  termine di
sessanta giorni); e, dall'altro lato, l'elemento che impedirebbe tale
audizione  sarebbe  rappresentato  dalla mera previsione dell'arresto
obbligatorio per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs.
n. 286  del  1998:  arresto che rappresenta, di contro, solo l'ultimo
possibile  anello  della  catena degli eventi prefigurati dal sistema
normativo,  presupponendo  non  solo  che  non  sia  stato  possibile
accompagnare immediatamente lo straniero alla frontiera, ma anche che
lo  straniero  non  abbia  ottemperato, senza giustificato motivo, al
conseguente ordine di allontanamento dal territorio nazionale;
        che  la  palese  estraneita'  delle norme denunciate all'area
decisionale  del  giudice  rimettente esclude che debba farsi luogo -
cosi'  come richiesto dall'Avvocatura dello Stato - alla restituzione
degli  atti  al  predetto giudice, per un nuovo esame della rilevanza
delle  questioni  alla  luce  dei  sopravvenuti  mutamenti  che hanno
interessato le norme stesse: mutamenti rappresentati, in particolare,
dalla  sentenza  di questa Corte n. 223 del 2004 - con cui l'art. 14,
comma 5-quinquies,  del  d.lgs.  n. 286  del 1998 e' stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevedeva l'arresto
obbligatorio  per  il  reato  contravvenzionale di cui al comma 5-ter
dello  stesso  articolo - e dal successivo decreto-legge 14 settembre
2004,  n. 241  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di immigrazione),
convertito,  con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, il
quale,  per  un verso, ha trasformato l'anzidetta figura criminosa in
delitto,    fatta   eccezione   per   l'ipotesi   dell'ingiustificato
trattenimento  nel caso di espulsione disposta perche' il permesso di
soggiorno  e'  scaduto  da  piu' di sessanta giorni e non ne e' stato
chiesto  il rinnovo; e, per un altro verso, ha ripristinato la misura
dell'arresto  obbligatorio in rapporto alle ipotesi di ingiustificato
trattenimento che hanno assunto connotazione delittuosa;
        che   le   questioni  debbono  essere  dichiarate,  pertanto,
manifestamente inammissibili.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.