ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato,
sorti  a  seguito di due ordinanze del 5 giugno 2000 e del 1° ottobre
2001,  nonche'  della sentenza del 22 novembre 2003, n. 11069, emesse
dal Tribunale di Milano, prima sezione penale, e di tre ordinanze del
14 luglio  2000,  del  9 ottobre  2000, del 21 novembre 2001, nonche'
della  sentenza  del 29 aprile 2003, n. 4688, emesse dal Tribunale di
Milano, quarta sezione penale, promossi dalla Camera dei deputati con
ricorsi notificati il 18 maggio 2005, depositati in cancelleria il 1°
giugno 2005  ed iscritti ai numeri 22 e 23 del registro conflitti tra
poteri dello Stato 2005, fase di merito;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  del  Senato  della Repubblica
nonche' gli atti di intervento del deputato Cesare Previti;
    Uditi  nell'udienza  pubblica  del  29 novembre  2005  i  giudici
relatori Franco Bile e Francesco Amirante;
    Uditi  gli  avvocati  Roberto  Nania per la Camera dei deputati e
Stefano Grassi per il Senato della Repubblica;

                          Ritenuto in fatto

    1.1.  -  Con  ricorso depositato l'11 gennaio 2005, la Camera dei
deputati ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei  confronti  del  Tribunale  di  Milano,  prima sezione penale, in
ragione  e  per  l'annullamento:  a)  dell'ordinanza emessa in data 5
giugno 2000,  nell'ambito  del  procedimento penale R.G. 879/2000 nei
confronti  del  deputato  Cesare  Previti,  con  la  quale sono state
respinte  le  eccezioni  relative  al  dedotto  impegno  parlamentare
dell'imputato concomitante con l'udienza del 20 settembre 1999, ed e'
stato  altresi' disposto doversi procedere oltre nel dibattimento; b)
dell'ordinanza  emessa  in  data  1° ottobre  2001,  nell'ambito  del
medesimo procedimento penale, con la quale, relativamente allo stesso
impedimento  del  predetto imputato, sono state respinte le eccezioni
difensive  in ordine alla nullita' degli atti processuali, tra cui il
decreto  che  ha  disposto  il  giudizio,  ed e' stato deciso doversi
procedere  oltre  nel  dibattimento; c) della sentenza pronunciata il
22 novembre   2003,   n. 11069,   sempre   nell'ambito  dello  stesso
procedimento  penale,  nei confronti del deputato Cesare Previti, con
la   quale   e'   stato  implicitamente  ribadito,  ma  senza  alcuna
motivazione, quanto stabilito nelle ordinanze del 5 giugno 2000 e del
1° ottobre 2001.
    La  Camera  dei  deputati ricorrente chiede che la Corte dichiari
«che non spetta all'autorita' giudiziaria, e per essa al Tribunale di
Milano,  sezione  prima penale, disconoscere nella specie, negandogli
validita',  l'impedimento  del  deputato  a  partecipare  all'udienza
penale  per  concomitanti  impegni  parlamentari,  cosi'  come non le
spetta affermare che l'impedimento non opera non consistendo i lavori
parlamentari  di  cui  si tratta in votazioni o che l'impedimento non
sia  stato  provato  o che comunque il suo mancato riconoscimento sia
rimasto  «innocuo»;  e  che  pertanto  non  le spetta impedire che il
contemperamento  tra  esigenze  del  processo ed esigenze del mandato
parlamentare   venga   realizzato   in   concreto   a  seguito  della
declaratoria  di  nullita' degli atti compiuti in udienza nonche' del
decreto  che  dispone il giudizio»; e che, conseguentemente, la Corte
annulli gli atti impugnati.
    1.2.  -  In  fatto,  la Camera dei deputati cosi' ricostruisce le
vicende processuali in questione.
    Con  cinque  ordinanze, rispettivamente, in data 17 settembre, 20
settembre,   22  settembre,  5 ottobre  e  6 ottobre  1999,  adottate
nell'ambito  di due diversi procedimenti penali, il GUP del Tribunale
di  Milano  respingeva le rispettive istanze di rinvio dell'udienza -
motivate  dalla  concomitanza  di impegni parlamentari - avanzate dal
deputato  Cesare  Previti,  che  in  quei  procedimenti era imputato.
Avverso tali ordinanze, la Camera dei deputati sollevava conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello  Stato,  che  veniva deciso, in data
6 luglio 2001, con la sentenza n. 225 del 2001, con la quale la Corte
costituzionale  annullava le ordinanze emesse dal GUP, stabilendo che
a  questo  «non  spettava  [...],  nell'apprezzare  i  caratteri e la
rilevanza  degli  impedimenti  addotti dalla difesa dell'imputato per
chiedere  il  rinvio  dell'udienza,  affermare  che l'interesse della
Camera  dei deputati allo svolgimento delle attivita' parlamentari, e
quindi   all'esercizio  dei  diritti-doveri  inerenti  alla  funzione
parlamentare,  dovesse essere sacrificato all'interesse relativo alla
speditezza del procedimento giudiziario».
    Nelle  more  della decisione della Corte, la prima sezione penale
del  Tribunale  di  Milano, cui nel frattempo era stato assegnato uno
dei  due procedimenti originariamente incardinati presso il GUP (R.G.
879/2000),  con  la  prima  delle  ordinanze  ora impugnate (datata 5
giugno 2000)   si  era  pronunciata  sul  legittimo  impedimento  del
deputato Cesare Previti a partecipare all'udienza tenutasi innanzi al
GUP  in  data  20 settembre 1999, asserendo che detto impedimento non
poteva  riconoscersi  poiche'  «concerneva  non  la  partecipazione a
votazioni in assemblea, ma ad altri lavori parlamentari».
    Successivamente,  la  medesima sezione del Tribunale di Milano, a
seguito  della  menzionata  sentenza di questa Corte n. 225 del 2001,
con  la seconda delle ordinanze attualmente impugnate (del 1° ottobre
2001)  aveva  dichiarato  di  prendere  atto  dell'annullamento della
ordinanza  del  GUP  del 20 settembre 1999, ammettendo esplicitamente
che la stessa doveva considerarsi tamquam non esset. Cio' nonostante,
aveva  disposto  doversi  procedere oltre nel dibattimento, rilevando
«la  legittimita'  del  mancato  rinvio dell'udienza del 20 settembre
1999»,  e deducendo - oltre alle considerazioni in merito alla natura
dei  lavori  parlamentari  in  data  20 settembre 1999 - anche che la
nullita'  delle attivita' dibattimentali, a causa del disconoscimento
dell'impedimento parlamentare, era comunque «rimasta "innocua"» e che
«l'allegazione    dell'impedimento    [era]   stata   manchevole   ed
assolutamente  inidonea a consentire al giudice quella valutazione di
contemperamento  di  esigenze che la Corte costituzionale ha ammonito
dover costituire oggetto necessario della valutazione del giudice».
    I  medesimi postulati venivano implicitamente fatti propri, senza
alcuna   motivazione,   anche   dalla   impugnata  sentenza  in  data
22 novembre 2003, conclusiva del procedimento di primo grado.
    1.3.  -  Affermata  - sulla base della consolidata giurisprudenza
costituzionale   -   la  propria  legittimazione  attiva  a  proporre
conflitto  di  attribuzione e la legittimazione passiva del Tribunale
di   Milano,   nonche'   la   sussistenza  dei  requisiti  oggettivi,
configurabili  quando - sia sotto forma di vindicatio potestatis, sia
sotto  forma  di  conflitto  da  menomazione  o  da interferenza - si
controverta   in   ordine   alla   delimitazione  della  sfera  delle
attribuzioni di cui sono titolari i poteri della Stato, la ricorrente
sottolinea  anche  il  suo interesse specifico a proporre il presente
conflitto in ragione del contenuto degli atti impugnati.
    Richiamate, infatti, le argomentazioni e la ratio decidendi della
sentenza  n. 225  del  2001,  osserva nel merito la Camera che, nelle
ordinanze  de quibus e nella sentenza, il Tribunale - disattendendo i
precisati  canoni  di comportamento, derivanti dalla parita' di rango
costituzionale  degli  interessi  confliggenti  -  si e' sottratto in
concreto   all'obbligo   di   ponderare   e  bilanciare  le  esigenze
processuali  con quelle della integrita' funzionale del Parlamento in
modo  da  renderne  possibile la coesistenza e da assicurare cosi' il
sereno  esercizio  da  parte del deputato dei diritti-doveri inerenti
alla  funzione,  accampando  mere  ragioni di ordine probatorio sulla
attestazione   dell'impedimento   ed  elaborando  la  non  conosciuta
categoria   della   «innocuita»  della  illegittimita'  compiuta  dal
giudice.
    Secondo  la  ricorrente, cosi' facendo, il Tribunale di Milano ha
sacrificato,  persino  piu' radicalmente di quanto non fosse avvenuto
in precedenza, le sue attribuzioni, compromettendo: a) la liberta' di
espletamento  del mandato parlamentare, garantita dagli artt. 67 e 68
della  Costituzione;  b)  la  posizione di autonomia della Camera, in
violazione   degli   artt. 64,  68  e  72  Cost.  e  delle  ulteriori
disposizioni  costituzionali  che  vi  si  correlano; c) il canone di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in uno col principio di leale
collaborazione tra poteri dello Stato; d) il giudicato costituzionale
(ex  artt. 134,  secondo  comma,  e  137,  terzo comma, Cost.), leso,
quest'ultimo,   solo  dall'ordinanza  del  1° ottobre  2001  e  dalla
sentenza  del  22 novembre  2003, successive alla sentenza n. 225 del
2001.
    1.4.  -  Ferma restando la suddetta assorbente censura, la Camera
ricorrente  denuncia,  in  termini  piu' specifici, la portata lesiva
delle  proprie  prerogative  derivante:  1)  dall'affermazione  della
irrilevanza  del  dedotto  impedimento, in quanto concernente «non la
partecipazione   a   votazioni  in  assemblea,  ma  ad  altri  lavori
parlamentari»,  trattandosi  di  assunto  contraddetto  dalla  citata
sentenza   n. 225   del   2001,   che   ha   sottolineato,   ai  fini
dell'attivazione   del  legittimo  impedimento,  la  parita'  tra  le
attivita'  che  si  svolgono  in Parlamento, le quali risultano tutte
strettamente  correlate  al  ruolo  che  la  Camera  e'  chiamata  ad
assolvere  nel  sistema costituzionale, con particolare riguardo agli
artt. 70  e  94 Cost.; 2) dalla argomentazione (svolta nell'ordinanza
del  1° ottobre  2001  e implicitamente fatta propria dalla sentenza)
secondo cui la nullita' determinatasi a seguito della pronunzia della
Corte costituzionale sarebbe «innocua» (posto che nell'udienza cui il
deputato  in questione non prese parte «fu svolta unicamente una mera
attivita'  interlocutoria»  e  non fu adottato alcun provvedimento se
non  quello  di  rinvio  ad  una  successiva  udienza),  giacche' - a
prescindere  dalla  inesattezza di tale assunto - non e' immaginabile
che il canone della coesistenza tra attivita' giudiziaria e attivita'
parlamentare  non  sia  governato  dalla razionalita' costituzionale,
sebbene   dal  puro  caso;  3)  dall'affermazione  (anch'essa  svolta
nell'ordinanza  del  1° ottobre  2001  e implicitamente fatta propria
dalla  sentenza) secondo la quale l'allegazione dell'impedimento, non
contenendo  i  dati  e  la  documentazione  necessaria  ad  attestare
l'attualita'  dell'impedimento  stesso,  sarebbe stata «manchevole ed
assolutamente  inidonea a consentire al giudice quella valutazione di
contemperamento  di esigenze» imposta dalla sentenza n. 225 del 2001,
giacche'  tale  documentazione  era  costituita dalla convocazione da
parte del capogruppo e non e' sostenibile che i rapporti tra deputato
e  gruppo,  aventi  ad  oggetto l'attivita' parlamentare cui i gruppi
sono  chiamati  a  concorrere,  si possano relegare in una dimensione
informale   o   privata,   disconoscendosi,  in  tal  modo,  la  loro
appartenenza   all'ordinamento   parlamentare;  4)  dalla  notazione,
«dedotta  in  via  allusiva»,  riguardante  la  possibilita'  per  il
deputato  di  essere  presente  nel corso della stessa giornata nella
sede parlamentare ed in quella giudiziaria, pur trattandosi di citta'
diverse  e lontane, in quanto simile argomento e' gia' stato reputato
come  «improbabile» da questa Corte (sentenza n. 284 del 2004), posto
che il principio di coesistenza tra le due attivita' in gioco, quella
parlamentare  e  quella  processuale,  deve  riposare  su di una base
certa,  qual  e'  appunto quella della compatibile organizzazione dei
tempi  processuali  indicata  dalla giurisprudenza costituzionale; 5)
infine,   dalla   mancata   collaborazione  informativa  opposta  dal
Tribunale nel caso specifico, quasi che i criteri fissati dalla Corte
costituzionale  debbano  valere soltanto pro futuro e come se, per la
lesione in precedenza prodottasi a carico delle attribuzioni di rango
costituzionale  della  Camera,  altre regole, opposte al canone della
leale  collaborazione,  possano sanzionare la irretrattabilita' della
lesione.
    2.1.  - Con ordinanza n. 185 del 2005, questa Corte ha dichiarato
ammissibile  il  conflitto,  estendendo  la  notifica  del  ricorso e
dell'ordinanza  stessa,  oltre  che  al  Tribunale  di  Milano, prima
sezione  penale, anche al Senato della Repubblica, stante l'identita'
della  posizione  costituzionale  dei  due  rami  del  Parlamento  in
relazione alle questioni di principio da trattare.
    2.2.  -  La  Camera  dei  deputati ha provveduto ad effettuare le
prescritte  notifiche  e a depositare tempestivamente gli atti con la
prova delle avvenute notifiche presso la cancelleria di questa Corte.
    3.  -  Degli  organi  destinatari  delle suddette notifiche si e'
costituito  in  giudizio  il  Senato  della  Repubblica chiedendo che
«questa Corte voglia riconoscere la fondatezza dei principi affermati
nel  ricorso  della Camera dei deputati, in particolare del principio
di   leale  collaborazione  fra  i  poteri  titolari  della  funzione
giurisdizionale  e  i  poteri  titolari  della funzione parlamentare,
nelle  ipotesi  in  cui la presenza fisica di un singolo parlamentare
sia  necessaria  al  corretto  esercizio  di  entrambe le funzioni e,
conseguentemente, voglia accogliere il ricorso».
    Il Senato ha, in particolare, posto l'accento sulla necessita' di
valutare,   ai   fini  dell'impedimento  alla  partecipazione  di  un
parlamentare  alle  udienze  penali,  il  diritto-dovere dello stesso
parlamentare di assolvere al proprio mandato partecipando alle sedute
del  ramo  del  Parlamento  di  cui  e'  membro,  secondo  i principi
affermati  da  questa  Corte  nella  sentenza  n. 225  del  2001, poi
ribaditi nelle sentenze n. 263 del 2003 e n. 284 del 2004.
    4.1.  -  E'  intervenuto  in  giudizio il deputato Cesare Previti
chiedendo  a  questa  Corte  una dichiarazione di «inottemperanza del
Tribunale  di  Milano alla sentenza n. 225 del 2001» e, in subordine,
che «venga ribadito che non spetta al giudice privilegiare l'esigenza
di   speditezza   processuale   su  quella  della  funzionalita'  del
Parlamento», con conseguente annullamento, in ogni caso, di tutti gli
atti oggetto del conflitto.
    4.2.  -  Affermata  la  propria legittimazione ad intervenire nel
presente   conflitto  (conformemente  ai  principi  desumibili  dagli
artt. 26,  comma 4, e 4 delle norme integrative per i giudizi davanti
alla  Corte  costituzionale, oltre che dagli artt. 24 e 111 Cost. e 6
della  Convenzione  europea  per  i  diritti  dell'uomo e le liberta'
fondamentali),   nel   merito   il  deputato  Previti  deduce  che  -
diversamente   da   quanto   sostenuto  dal  Tribunale  di  Milano  -
l'annullamento delle ordinanze da parte di questa Corte «riguarda non
soltanto il GUP che le ha adottate, ma il giudice del processo in cui
il  conflitto e' sorto» e, cioe', anche il Tribunale davanti al quale
il   processo   e'  proseguito.  Pertanto,  gli  atti  procedimentali
annullati  non  possono  piu'  essere rimessi in discussione, poiche'
altrimenti  si  realizzerebbe  una  sostanziale  inottemperanza  alla
decisione della Corte.
    Per   il   resto  l'interveniente  fa  integralmente  proprie  le
deduzioni  della  Camera  aggiungendo soltanto che l'affermazione del
Tribunale  di  Milano  in  merito  alla  pretesa violazione, da parte
dell'imputato,   dell'onere   probatorio   relativo   all'impedimento
parlamentare  sarebbe,  oltre  che  infondata, basata su un principio
inammissibile,  in  quanto  «nell'ambito  dei conflitti tra poteri il
principio  di collaborazione che deve informare il reciproco rapporto
esclude   [...]  che  uno  dei  poteri  possa  esimersi  dall'obbligo
collaborativo  trincerandosi  dietro il mancato assolvimento di oneri
che gravano su altri soggetti diversi dai poteri».
    5.1.  - Con altro ricorso depositato sempre l'11 gennaio 2005, la
Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri
dello  Stato  nei  confronti  del Tribunale di Milano, quarta sezione
penale,  in  ragione  e  per  l'annullamento  delle ordinanze in data
14 luglio  2000, 9 ottobre 2000, 21 novembre 2001 e della sentenza in
data  29 aprile - 5 agosto 2003, n. 4688/2003, rispettivamente emesse
nel  corso  e  in  conclusione  dei  procedimenti penali riuniti R.G.
n. 1600/2000  e  n. 7928/2001,  a carico, tra gli altri, del deputato
Cesare Previti.
    Nelle  menzionate  ordinanze  sono  state  respinte  le eccezioni
avanzate   dalla  difesa  del  deputato  di  nullita'  -  in  ragione
dell'impedimento del parlamentare a partecipare alle udienze del 17 e
22 settembre 1999, 5 e 6 ottobre 1999 - dei relativi atti nonche' del
decreto che dispone il giudizio. Nella sentenza sono state richiamate
e  ribadite,  in  sede  di  esame  delle  questioni  processuali,  le
determinazioni contenute nelle impugnate ordinanze.
    In  particolare:  a)  nell'ordinanza  in  data  14 luglio 2000 il
Tribunale  ha  escluso che l'impedimento dedotto potesse considerarsi
ritualmente provato, ritenendo che gli avvisi di convocazione a firma
del capogruppo parlamentare del partito Forza Italia (di appartenenza
del   deputato   Previti),  depositati  nell'ambito  dell'udienze  in
argomento, non fossero documenti idonei a comprovare la sussistenza e
la  effettivita'  dell'impedimento  dell'imputato  in  relazione alle
sedute  della  Camera  concomitanti  con le udienze. Il Tribunale ha,
inoltre,  aggiunto  che, in base al testo dell'art. 420 del codice di
procedura penale vigente all'epoca dello svolgimento delle udienze di
cui  si  tratta, al legittimo impedimento veniva attribuita rilevanza
solo  ai  fini  delle prima udienza di costituzione delle parti e non
per  le  udienze successive, quali sono quelle in argomento; b) nella
ordinanza  del  9 ottobre del 2000, il Tribunale - pur dando atto che
all'udienza   del   13 novembre   1999   era   stata   depositata  la
documentazione  ufficiale  della  Camera  dei  deputati  dalla  quale
risultava  la  presenza  in  aula  del  deputato  Previti  nei giorni
considerati  -  riteneva tardiva la suddetta allegazione e confermava
le  conclusioni raggiunte nel proprio precedente provvedimento di cui
riproduceva le argomentazioni; c) nell'ordinanza del 21 novembre 2001
lo stesso Tribunale - preso atto dell'annullamento delle ordinanze in
data  17 settembre, 20 settembre, 22 settembre, 5 ottobre e 6 ottobre
1999  emesse dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Milano,  in funzione di giudice dell'udienza preliminare, disposto da
questa  Corte con la sentenza n. 225 del 2001 - disponeva che dovesse
ugualmente  procedersi  oltre  nel  dibattimento, sul presupposto che
l'annullamento  delle suddette ordinanze non potesse riverberarsi sul
decreto  di rinvio a giudizio e sugli altri atti del dibattimento, in
quanto  doveva  ritenersi che, per motivi diversi da quelli censurati
da  questa  Corte, il GUP avesse comunque proceduto legittimamente in
assenza  dell'imputato,  il  cui  diritto  di  difesa  non  era stato
violato; d) nella sentenza n. 4688 del 2003, il Tribunale, come si e'
detto, richiamava e ribadiva le medesime argomentazioni.
    La  ricorrente  chiede  che  questa Corte dichiari che non spetta
all'autorita' giudiziaria e, per essa, al Tribunale di Milano, quarta
sezione  penale: a) «disconoscere nella specie, negandogli validita',
l'impedimento  del  deputato  a  partecipare  alle udienze penali per
concomitanti  impegni  parlamentari»; b) «affermare che l'impedimento
stesso  non  sia  stato  provato  o  lo  sia  stato tardivamente»; c)
«impedire  che  il  contemperamento  tra  esigenze  del  processo  ed
esigenze  dell'attivita'  parlamentare venga realizzato in concreto a
seguito  della  declaratoria  di nullita' degli atti compiuti in tali
udienze    nonche'    del   decreto   che   dispone   il   giudizio».
Conseguentemente la Camera richiede che questa Corte annulli gli atti
processuali che hanno dato origine al presente conflitto.
    5.2.  -  Quanto  all'ammissibilita' del conflitto, la ricorrente,
dopo aver affermato la propria legittimazione attiva e quella passiva
del  Tribunale  di  Milano, quarta sezione penale, osserva che nessun
dubbio puo' nutrirsi neppure in merito alla sussistenza dei requisiti
oggettivi  del  conflitto  di attribuzione, posto che questa Corte e'
chiamata  a stabilire se, mediante i provvedimenti giurisdizionali in
argomento,  si  sia  illegittimamente inciso sulle attribuzioni della
Camera,  con particolare riferimento alle disposizioni costituzionali
poste  a  tutela  della  indipendenza,  autonomia  e integrita' della
stessa  nonche'  di  quelle  che  presidiano  il libero esercizio del
mandato   rappresentativo.   Per  quel  che  riguarda  l'interesse  a
ricorrere,  la Camera sottolinea che, negli atti di cui si tratta, e'
stato  del  tutto  omesso  - o comunque e' stato effettuato con esito
irragionevole e inadeguato - il bilanciamento, allo scopo di renderle
compatibili,   tra   le  esigenze  del  processo  e  quelle  connesse
all'attivita'   parlamentare,   oltretutto  dopo  che  tale  tipo  di
bilanciamento  era  stato  espressamente  prescritto  da questa Corte
nella  sentenza  n. 225  del  2001, nella quale si e' posto l'accento
anche  sulla pubblicita' degli atti e dei lavori parlamentari e sulla
conseguente  praticabilita'  del  relativo riscontro, se del caso, da
parte   dello   stesso   giudice   procedente,  onde  scongiurare  la
concomitanza delle udienze penali con i lavori parlamentari.
    Altrettanto  chiaro sarebbe l'interesse della ricorrente a vedere
stigmatizzata  l'affermazione,  reiterata  nei  provvedimenti stessi,
sulla  inidoneita'  della prova dell'impedimento addotta dal deputato
Previti   in  quanto  tale  affermazione  sarebbe  lesiva  sia  della
posizione  del deputato sia di quella della Camera nel suo complesso,
oltre a violare il principio di leale collaborazione tra poteri dello
Stato.
    5.3.  -  Quanto al merito, la Camera sostiene che i provvedimenti
da  cui  e'  sorto  il presente conflitto incorrono nei medesimi vizi
ravvisati  da  questa  Corte  nella citata sentenza n. 225 del 2001 e
nelle  successive  sentenze  n. 263 del 2003 e n. 284 del 2004, dalle
quali  si  desume  il  principio  secondo  cui l'obbligo, imposto dal
sistema  costituzionale  delle  attribuzioni,  della ponderazione tra
esigenze  processuali  ed  esigenze  della  funzione  parlamentare, a
fronte   dell'allegazione  del  relativo  impedimento  da  parte  del
parlamentare  sottoposto  a procedimento penale, e' immanente in ogni
attivita'  del  giudice.  Questi,  pertanto - a meno che contesti, in
ipotesi,  la  stessa  veridicita'  della allegazione - non vi si puo'
sottrarre  facendo  semplicemente  riferimento  a  ragioni  di ordine
probatorio.
    Per  quel  che riguarda, specificamente, gli effetti della citata
sentenza  n. 225 del 2001 rispetto all'attuale conflitto, la Camera -
dopo aver rilevato che le due ordinanze del 14 luglio e del 9 ottobre
2000   dovrebbero   considerarsi  automaticamente  travolte  da  tale
sentenza  «in  virtu'  del  petitum di cui al ricorso introduttivo» -
osserva  che,  per l'ordinanza del 21 novembre 2001 e per la sentenza
n. 4688  del  2003  (successive  alla  suddetta  pronuncia),  si pone
l'ulteriore  vizio  della violazione del giudicato costituzionale che
non puo' non ridondare in lesione delle attribuzioni della Camera, da
quel  medesimo  giudicato riconosciute in base agli stessi principi e
disposizioni   costituzionali   che   fanno  da  sfondo  al  presente
conflitto.  Ed  altrettanto  lesiva, con riferimento a tutti gli atti
attualmente  in  contestazione, si appalesa l'affermazione secondo la
quale  l'impedimento  parlamentare, in base alle norme processuali da
applicare  nella  specie,  avrebbe  potuto  assumere  rilievo solo in
riferimento  alla prima udienza di costituzione delle parti e non con
riguardo  alle  udienze  successive,  quali  sono  quelle  di  cui si
controverte.
    Pertanto,  la  ricorrente  ritiene  che  il  Tribunale di Milano,
quarta sezione penale, nel fare applicazione delle regole processuali
in  modo  tale  da non consentire una equilibrata realizzazione della
necessaria  coesistenza  tra processo e attivita' parlamentare, abbia
sacrificato,  persino  piu' radicalmente di quanto non fosse avvenuto
in  precedenza  ad  opera  del  GUP,  le  attribuzioni  della Camera,
compromettendo  la  liberta' di espletamento del mandato parlamentare
(garantita dagli artt. 67 e 68 Cost.), violando gli artt. 64, 68 e 72
Cost. e le ulteriori disposizioni costituzionali ad esse correlate su
cui si fonda la posizione di autonomia della Camera, non rispettando,
altresi',  ne' l'art. 3 Cost. con il canone di ragionevolezza da esso
consacrato  ne' il principio di leale collaborazione tra poteri dello
Stato  piu'  volte richiamato da questa Corte (v. sentenze n. 231 del
1975, n. 379 del 1992 e n. 403 del 1994).
    5.4.  -  Ferma restando la suddetta assorbente censura, la Camera
sviluppa  ulteriori  argomenti  critici  in  merito all'affermazione,
contenuta  negli  atti  di cui si tratta, sul carattere «informale» e
quindi  inidoneo  a  fornire la prova del legittimo impedimento degli
avvisi  di  convocazione a firma del capogruppo parlamentare di Forza
Italia.
    Al  riguardo  la ricorrente - dopo aver precisato che, per quanto
attiene  all'udienza  del 17 settembre 1999 (presa in considerazione,
in  aggiunta delle altre, dalla sola ordinanza del 21 novembre 2001),
pur  non  trattandosi  di  impegno  per  votazione, comunque e' stata
depositata  unitamente  alla  comunicazione  del  capogruppo anche la
conforme  documentazione  della  Camera  relativa  al  calendario dei
lavori  per  il  periodo  tra il 14 settembre ed il 1° ottobre 1999 -
sottolinea    che   e'   inimmaginabile   che   possa   disconoscersi
l'appartenenza all'ordinamento parlamentare dei rapporti tra deputato
e  gruppo aventi ad oggetto l'attivita' parlamentare e quindi negarsi
il  carattere  di  atti  parlamentari  anche  delle  informative  del
capogruppo   e   la   relativa   idoneita'  probatoria  a  comprovare
l'impedimento.
    Conseguentemente,  la  Camera  si sofferma a contestare l'assunto
del  Tribunale  - ritenuto in contrasto con gli artt. 54, 64, 68 e 72
Cost.  -  secondo il quale la prova dell'effettiva partecipazione del
deputato  allo  svolgimento  dei  lavori  parlamentari avrebbe dovuto
essere  fornita  attraverso  il  tempestivo  deposito dell'ordine del
giorno  ufficiale  della Camera, indicante gli orari delle votazioni,
accompagnato  da  una  certificazione idonea ad attestare l'effettiva
presenza  dell'imputato  in  aula al fine di esercitare il diritto di
voto. Tale affermazione, infatti, sarebbe il frutto di una inadeguata
e irragionevole ponderazione del rapporto tra esigenze processuali ed
esigenze  dell'attivita' parlamentare in quanto, non essendo previste
procedure  per  verificare  la  presenza in aula dei singoli deputati
all'inizio  o  nel  corso  delle  sedute, il deputato puo' fornire la
relativa documentazione solo ex post tramite i resoconti stenografici
(come,  nella  specie, e' stato fatto con l'allegazione del resoconto
della  seduta  dell'aula  n. 614,  in data 29 ottobre 1999), i quali,
peraltro,  non  consentono  di  fornire  la  prova della presenza dei
deputati  che,  pur  trovandosi  nell'aula,  non  prendano parte alle
votazioni  ovvero non intervengano nella discussione. Ne consegue che
la  suindicata  richiesta  probatoria  -  peraltro  avanzata «ora per
allora» facendo riferimento ad adempimenti mai richiesti dal GUP - si
sarebbe tradotta in una limitazione della liberta' di esercizio della
funzione  parlamentare, perche' inequivocabilmente diretta a spingere
il  deputato  ad  optare  per  la  presenza  in  udienza.  Inoltre il
Tribunale,  avendo  escluso  la  configurabilita'  a  carico  del GUP
dell'onere  di  attivarsi  per avere certezza, nei termini descritti,
dell'effettivo assolvimento dell'attivita' parlamentare dedotta quale
impedimento  (con  la eventuale richiesta di riscontri da parte della
Camera),  avrebbe  altresi' violato il canone di leale collaborazione
tra  poteri  dello  Stato.  Canone  che  lo  stesso Tribunale, sempre
nell'ambito  del  medesimo  processo,  ha  invece  rispettato  in una
ordinanza  dell'11 maggio  2000 e in una missiva inviata da parte del
Presidente  del  collegio alla Camera e pervenuta il 26 ottobre 2001,
nelle quali sono stati richiesti - e prontamente ottenuti - riscontri
sull'andamento  dei  lavori  della  Camera  stessa onde coordinare la
programmazione delle udienze penali con l'attivita' parlamentare.
    6.1.  -  La  Corte,  con ordinanza n. 186 del 2005, ha dichiarato
ammissibile  il  conflitto  estendendo  la  notifica  del  ricorso  e
dell'ordinanza  stessa,  oltre  che  al  Tribunale  di Milano, quarta
sezione  penale, anche al Senato della Repubblica, stante l'identita'
della  posizione  costituzionale  dei  due  rami  del  Parlamento  in
relazione alle questioni di principio da trattare.
    6.2.  -  La  Camera  dei  deputati ha provveduto ad effettuare le
prescritte  notifiche  e a depositare tempestivamente gli atti con la
prova delle avvenute notifiche presso la cancelleria di questa Corte.
    7.  -  Degli  organi  destinatari  delle suddette notifiche si e'
costituito   in   giudizio   il  Senato  della  Repubblica  svolgendo
motivazioni  e  formulando  conclusioni  identiche a quelle contenute
nella  memoria  di costituzione depositata nel giudizio per conflitto
di  attribuzione  promosso  dalla  Camera  dei  deputati  con ricorso
iscritto al n. 22 del registro confitti 2005.
    8.  -  E'  intervenuto il deputato Cesare Previti con una memoria
anch'essa  di contenuto identico a quello dell'atto di intervento nel
giudizio  per  conflitto  di  attribuzione  promosso dalla Camera dei
deputati con ricorso iscritto al n. 22 del registro conflitti 2005.
    9.  -  Nell'imminenza  dell'udienza,  la  Camera  dei deputati ha
depositato,  in  entrambi  i  giudizi,  memorie  illustrative  in cui
ribadisce  le  argomentazioni  svolte  nei  ricorsi  ed  insiste  per
l'accoglimento dei conflitti.
    10.1.  -  Anche  il  Senato  della Repubblica ha depositato ampie
memorie  illustrative,  concludendo  anch'esso per l'accoglimento dei
ricorsi.
    Confermata  la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi
di  ammissibilita'  dei  conflitti,  il Senato richiama quei principi
fondamentali  gia' invocati, a tutela dell'autonomia del Parlamento e
dei  corretti  rapporti  tra  i  poteri  dello  Stato, nel precedente
giudizio  concluso  dalla  sentenza  n. 225 del 2001, che, in estrema
sintesi  esso  individua: a) nel principio di autonomia parlamentare,
in  relazione  alla  capacita'  delle  singole  Camere  di regolare i
meccanismi  di  formazione  della loro volonta', organizzando i tempi
dei lavori e fissando i presupposti per il regolare svolgimento delle
sedute,  senza  interferenze derivanti dall'esercizio di attribuzioni
costituzionali  di  altri  organi;  b)  nel principio di autonomia di
ciascuna  Camera,  in  relazione  alle  lesioni  o ai condizionamenti
subiti  dai  singoli parlamentari che ne fanno parte, con particolare
riferimento  al  diritto-dovere  del parlamentare di partecipare alle
sedute, consentendo la formazione dei quorum strutturali e funzionali
richiesti  per  la validita' delle deliberazioni; c) nel principio di
leale   collaborazione   tra  poteri  dello  Stato,  come  metodo  di
perfezionamento  del  tessuto  costituzionale,  capace  di  garantire
l'effettiva valorizzazione delle attribuzioni costituzionali affidate
alle  Camere e delle attribuzioni costituzionali affidate agli organi
giurisdizionali.
    10.2.   -  Sulla  scorta  di  tali  principi,  il  Senato  -  con
riferimento  al  conflitto  proposto  nei  confronti del Tribunale di
Milano,   prima  sezione  penale  -  contesta  innanzitutto  la  tesi
sostenuta   nelle  impugnate  decisioni,  secondo  cui  il  legittimo
impedimento  non  poteva essere riconosciuto in quanto concerneva non
la  partecipazione  a  votazioni  in  assemblea  ma  ad  altri lavori
parlamentari,  poiche'  la stessa sentenza n. 225 del 2001 ha escluso
la  possibilita'  di effettuare una distinzione tra i diversi aspetti
dell'attivita'   parlamentare,   tutti  riconducibili  egualmente  ai
diritti  e  doveri  funzionali  degli  organi  rappresentativi  e ha,
quindi,  ritenuto  che  la  valutazione  sull'importanza o meno delle
attivita'  parlamentari che devono essere svolte non vada affidata al
giudice  ordinario,  ma  debba  essere  lasciata  alla  liberta'  del
parlamentare,   garantita  dal  sistema  di  principi  che  esprimono
l'autonomia delle Camere.
    Il  Senato  condivide,  poi,  l'assunto  della Camera secondo cui
l'assenza  di  una  corretta  ponderazione  non  puo'  costituire una
illegittimita'   «innocua»,   equivalendo  cio'  ad  una  sostanziale
violazione  del  giudicato costituzionale, giacche', anche in sede di
conflitto  tra  poteri,  la  statuizione  che  lo  risolve  - per non
risultare  una  inutile  enunciazione  di  principio  -  deve  essere
osservata   dalle   parti   in   giudizio;   comunque,   la   mancata
partecipazione  all'udienza  del  deputato  sottoposto a procedimento
penale realizza di per se' una lesione del diritto di difesa, che non
permette  di  individuare  a  posteriori  la  rilevanza  o meno delle
attivita'  processuali  svolte nell'udienza alla quale l'imputato non
ha potuto partecipare.
    Quanto,  poi,  alla  sufficienza della documentazione prodotta al
fine  di  provare  l'attivita'  parlamentare,  il Senato rileva che -
attesa  la  piena  riconducibilita' alle attivita' parlamentari delle
comunicazioni  effettuate  dal  capogruppo nei confronti dei deputati
appartenenti  al  gruppo parlamentare - la leale collaborazione tra i
poteri  dello  Stato  avrebbe  potuto suggerire al giudice un agevole
diretto  controllo sugli atti pubblici della Camera dell'affermazione
formulata dall'imputato.
    10.3.  -  Con riferimento al conflitto proposto nei confronti del
Tribunale  di  Milano,  quarta  sezione  penale,  il  Senato pone, in
particolare,  l'accento  sul  fatto  che  i giudici si sono sottratti
all'obbligo  (derivante  dal  principio  di  leale collaborazione) di
effettuare  il  bilanciamento tra esigenze processuali ed esigenze di
rispetto  dell'integrita'  funzionale  del Parlamento, specificamente
imposto dalla sentenza n. 225 del 2001.
    Infine,  per  quel  che  riguarda  l'argomento  -  sviluppato nei
provvedimenti  impugnati - secondo cui (in base al combinato disposto
degli  artt. 420  e  486  cod.  proc.  pen.  nel  testo vigente prima
dell'entrata   in   vigore  della  legge  16 dicembre  1999,  n. 479)
l'impedimento   parlamentare   avrebbe  assunto  rilievo  nell'ambito
dell'udienza  preliminare  solo  con  riguardo  alla prima udienza di
costituzione  delle parti e non per le udienze successive (quali sono
quelle di cui si tratta), il Senato afferma di condividere l'opinione
espressa  nel  ricorso  dalla  Camera dei deputati in base alla quale
«una simile impostazione implica l'affermazione del principio opposto
a  quello  affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale e, cioe',
quello  secondo  cui  l'organo  giudicante  non puo', in nessun caso,
limitare   solo  ad  alcune  fasi  del  processo  l'applicazione  del
principio costituzionale dell'equilibrata coesistenza tra esigenze di
giustizia  e  del processo penale ed esigenze di autonomia e liberta'
nello svolgimento delle attivita' parlamentari».

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con i ricorsi indicati in epigrafe, la Camera dei deputati
ha  proposto due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato nei
confronti  rispettivamente  della prima e della quarta sezione penale
del  Tribunale  di  Milano,  in  riferimento a provvedimenti adottati
nell'ambito di procedimenti penali in cui e' imputato, tra gli altri,
il deputato Cesare Previti.
    Il  conflitto  iscritto  al  n. 22 del 2005 riguarda le ordinanze
emesse  in  data  5  giugno 2000  e  1° ottobre  2001  e  la sentenza
pronunciata  il  22 novembre  2003,  n. 11069/2003.  Rispetto  a tali
provvedimenti,  la  Camera  dei deputati chiede che la Corte dichiari
«che non spetta all'autorita' giudiziaria, e per essa al Tribunale di
Milano,  sezione  prima penale, disconoscere nella specie, negandogli
validita',  l'impedimento  del  deputato  a  partecipare  all'udienza
penale  per  concomitanti  impegni  parlamentari,  cosi'  come non le
spetta affermare che l'impedimento non opera non consistendo i lavori
parlamentari  di  cui  si tratta in votazioni o che l'impedimento non
sia  stato  provato  o che comunque il suo mancato riconoscimento sia
rimasto  «innocuo»;  e  che  pertanto  non  le spetta impedire che il
contemperamento  tra  esigenze  del  processo ed esigenze del mandato
parlamentare   venga   realizzato   in   concreto   a  seguito  della
declaratoria  di  nullita' degli atti compiuti in udienza nonche' del
decreto  che  dispone  il  giudizio».  Conseguentemente la ricorrente
chiede altresi' che la Corte annulli gli atti impugnati.
    A  sua  volta il conflitto iscritto al n. 23 del 2005 concerne le
ordinanze emesse in data 14 luglio 2000, 9 ottobre 2000 e 21 novembre
2001, nonche' la sentenza pronunciata il 29 aprile 2003 n. 4688/2003.
La  ricorrente  chiede  che  questa  Corte  dichiari  che  non spetta
all'autorita' giudiziaria e, per essa, al Tribunale di Milano, quarta
sezione  penale: a) «disconoscere nella specie, negandogli validita',
l'impedimento  del  deputato  a  partecipare  alle udienze penali per
concomitanti  impegni  parlamentari»; b) «affermare che l'impedimento
stesso  non  sia  stato  provato  o  lo  sia  stato tardivamente»; c)
«impedire  che  il  contemperamento  tra  esigenze  del  processo  ed
esigenze  dell'attivita'  parlamentare venga realizzato in concreto a
seguito  della  declaratoria  di nullita' degli atti compiuti in tali
udienze    nonche'    del   decreto   che   dispone   il   giudizio».
Conseguentemente  la  Camera  richiede che questa Corte annulli anche
questi provvedimenti.
    2.  -  I due giudizi per conflitto devono essere riuniti, perche'
pongono questioni in gran parte analoghe.
    I ricorsi sono parzialmente fondati.
    3.  -  Questa  Corte  e'  stata  piu'  volte chiamata a risolvere
conflitti  di  attribuzione del tipo di quelli proposti con i ricorsi
in  esame.  In  particolare con la sentenza n. 225 del 2001 la Corte,
decidendo  un  conflitto  proposto  dalla  Camera  dei  deputati,  ha
annullato   talune   ordinanze   emesse   dal   giudice  dell'udienza
preliminare  del  Tribunale di Milano nel corso degli stessi processi
nel  cui  ambito  sono  successivamente  intervenuti  i provvedimenti
oggetto  dei  presenti  conflitti (concernenti le medesime situazioni
processuali cui si riferivano gli atti annullati).
    Con  la  citata  sentenza, la Corte ha affermato che la posizione
dell'imputato  membro  del  Parlamento  di  fronte alla giurisdizione
penale  non  e'  assistita da speciali garanzie costituzionali, salvo
quelle  (estranee  al  caso  di  specie) stabilite dall'art. 68 della
Costituzione, per cui - al di fuori di queste tassative ipotesi - per
l'imputato  parlamentare operano le generali regole del processo, con
le relative sanzioni e gli ordinari rimedi processuali.
    La Corte ha anche rilevato che - ove l'imputato, come nel caso in
esame,  deduca  di essere impedito ad intervenire all'udienza dovendo
esercitare   il   suo   diritto-dovere   di   partecipare  ai  lavori
parlamentari   -   fra   l'esigenza   di   speditezza  dell'attivita'
giurisdizionale  e  quella di tutela delle attribuzioni parlamentari,
aventi   entrambe  fondamento  costituzionale,  si  puo'  determinare
un'interferenza   suscettibile   di   incidere   sulle   attribuzioni
costituzionali  di  un  soggetto  estraneo  al  processo penale e, in
particolare,  sull'interesse  della  Camera  di  appartenenza  a  che
ciascuno  dei  suoi  componenti  sia  libero  di  regolare la propria
partecipazione   ai   lavori  parlamentari  nel  modo  ritenuto  piu'
opportuno.
    Pertanto,  il  giudice  non puo' limitarsi ad applicare le regole
generali  del  processo  in  tema  di onere della prova del legittimo
impedimento  dell'imputato,  incongruamente  coinvolgendo un soggetto
costituzionale  estraneo  al  processo  stesso,  ma (come la Corte ha
rilevato)  ha  l'onere  di programmare il calendario delle udienze in
modo  da  evitare  coincidenze  con i giorni di riunione degli organi
parlamentari.
    4.  -  Dalla distinzione fra i due giudizi - e in particolare dal
rilievo   che   in   quello   per  conflitto  la  Corte  e'  chiamata
esclusivamente  a  decidere  in  ordine alle denunciate lesioni delle
attribuzioni  costituzionali della Camera, ad opera dei provvedimenti
impugnati  (cosi'  la  citata  sentenza  n. 225  del 2001) - discende
direttamente  l'inammissibilita'  degli  interventi spiegati avanti a
questa  Corte  dal  parlamentare  assoggettato a processo penale. Del
resto il principio generale secondo cui nel giudizio per conflitto la
legittimazione  spetta  soltanto  agli organi dei poteri confliggenti
subisce  un'unica deroga quando (ma non e' il caso di specie) l'esito
di  tale  giudizio possa definitivamente pregiudicare le posizioni di
un soggetto ad esso estraneo (cfr. sentenza n. 342 del 2004).
    D'altro   canto   il   prosieguo   del  giudizio  penale  -  dopo
l'annullamento, da parte di questa Corte, delle ordinanze del giudice
dell'udienza  preliminare  -  sotto  nessun profilo puo' considerarsi
come «giudizio di ottemperanza» del giudicato costituzionale, ostando
a  tale configurazione le differenze oggettive e soggettive esistenti
fra il processo costituzionale e quello penale.
    5.  -  I  provvedimenti impugnati con i due ricorsi devono essere
esaminati alla luce dei principi appena enunciati.
    6.  -  Con  il  ricorso iscritto al n. 22 del 2005, la Camera dei
deputati  ha,  come  detto,  impugnato  le ordinanze rese dalla prima
sezione  penale  del  Tribunale  di  Milano  il  5  giugno 2000  e il
1° ottobre 2001 e la sentenza pronunciata il 22 novembre 2003.
    7.  -  La  prima  delle citate ordinanze - emessa in pendenza del
giudizio  per  conflitto  deciso  dalla sentenza n. 225 del 2001 - ha
rigettato  le  eccezioni  relative  al  dedotto  impegno parlamentare
dell'imputato, concomitante con l'udienza del 20 settembre 1999.
    Il  Tribunale  ha ritenuto la non assolutezza dell'impedimento in
quanto   esso  «concerneva  non  la  partecipazione  a  votazioni  in
assemblea, ma ad altri lavori parlamentari».
    Con  tale  ordinanza  il  giudice ha menomato le attribuzioni del
Parlamento  che - come questa Corte ha gia' affermato con la sentenza
n. 225 del 2001 - hanno tutte, in linea di principio, pari dignita' e
non  tollerano  distinzioni  «fra  diversi aspetti dell'attivita' del
parlamentare, tutti riconducibili ugualmente ai suoi diritti e doveri
funzionali». Si deve quindi dichiarare che non spettava all'autorita'
giudiziaria formulare nella motivazione queste affermazioni.
    8. - Con l'Ordinanza emessa il 1° ottobre 2001 - dopo la sentenza
n. 225  del  2001  che  aveva  annullato l'ordinanza resa dal giudice
dell'udienza  preliminare in data 20 settembre 1999 - il Tribunale ha
rigettato   l'istanza   proposta   dagli  imputati  per  ottenere  la
«rimozione   automatica»  di  tutti  gli  atti  processuali  compiuti
nell'udienza  tenuta  in  quella  data e nelle successive, tra cui il
decreto che aveva disposto il giudizio.
    L'ordinanza si fonda su due distinti profili di motivazione.
    Con   il   primo   il   Tribunale   ha  negato  che  la  nullita'
dell'ordinanza   del  20 settembre  1999  si  sia  estesa  agli  atti
processuali  posteriori,  in  considerazione  della  natura  e  della
rilevanza  delle  attivita'  svoltesi  in  quell'udienza,  onde  ogni
«effetto diffusivo» si era definitivamente interrotto.
    Con  il  secondo  ordine  di argomentazioni invece il Tribunale -
sulla  premessa  di  fatto  che  l'imputato aveva ritenuto di provare
l'impedimento  con  la  produzione della lettera di convocazione alla
Camera del capo del gruppo parlamentare di appartenenza - ha ritenuto
tale  allegazione  «manchevole ed assolutamente inidonea a consentire
al   giudice   [dell'udienza   preliminare]   quella  valutazione  di
contemperamento  di  esigenze che la Corte costituzionale ha ammonito
dover costituire oggetto necessario della valutazione del giudice».
    Sotto  il primo profilo il giudice ha adottato una motivazione di
tipo  processuale, il cui sindacato compete esclusivamente al giudice
del processo penale.
    Il  secondo  profilo  merita  le  censure mosse dalla ricorrente,
perche'  il giudice - pur in presenza di una situazione di potenziale
conflitto  con  le attribuzioni costituzionali della Camera, soggetto
estraneo al giudizio penale - si e' limitato a far riferimento ad una
motivazione  di  tipo processuale senza tenere adeguatamente conto di
tali  attribuzioni.  Si  deve  quindi  dichiarare  che  non  spettava
all'autorita' giudiziaria formulare nella motivazione le affermazioni
di cui sopra.
    9.  -  La  sentenza  del  22 novembre  2003,  che  ha concluso il
giudizio  di  primo  grado,  non contiene alcuna autonoma valutazione
dell'impedimento,  ne'  affermazioni  lesive  delle  prerogative  del
Parlamento.
    10.  -  Con  il  ricorso iscritto al n. 23 del 2005 la Camera dei
deputati  ha  impugnato le ordinanze rese dalla quarta sezione penale
del Tribunale di Milano nelle date del 14 luglio 2000, 9 ottobre 2000
e 21 novembre 2001 e la sentenza del 29 aprile 2003.
    11.  -  Le  prime due ordinanze sono state emesse in pendenza del
giudizio per conflitto deciso dalla sentenza n. 225 del 2001.
    Con l'ordinanza del 14 luglio 2000, il Tribunale ha rigettato una
pluralita' di eccezioni di nullita' sollevate dalle difese e tra esse
quella  relativa  alla  nullita'  del  decreto  che aveva disposto il
giudizio,  conseguente al mancato rilievo dell'impedimento assoluto a
comparire dedotto dall'imputato per impegni parlamentari concomitanti
con  l'udienza  preliminare  nei  giorni 22 settembre e 5 e 6 ottobre
1999.
    Anche  in  questo caso il Tribunale ha adottato un duplice ordine
di motivazioni.
    In  primo  luogo ha ritenuto che spettava all'imputato fornire la
piena  prova  dell'impedimento; che il giudice non aveva alcun dovere
di  attivarsi  per  conseguirla;  che  la lettera di convocazione del
capo del  gruppo  parlamentare di appartenenza non aveva alcun valore
di prova; e che la prova doveva concernere non solo la programmazione
dei  lavori  parlamentari  per  un certo giorno, ma anche l'effettiva
partecipazione dell'imputato ai lavori comportanti votazioni.
    Tali   affermazioni   meritano   le   censure  prospettate  dalla
ricorrente,  per  le  stesse  ragioni gia' illustrate a proposito dei
provvedimenti della prima sezione, sopra esaminati. Deve aggiungersi,
relativamente  al  rilievo  concernente  la  partecipazione ai lavori
parlamentari,  che  essa  in realta' puo' assumere connotati diversi,
secondo  le  particolarita'  delle  circostanze, e sostanziarsi anche
nella  decisione  di  non  votare.  Si deve quindi dichiarare che non
spettava  all'autorita'  giudiziaria  formulare  nella motivazione le
affermazioni di cui sopra.
    In  secondo  luogo  il  Tribunale ha affermato che l'art. 420 del
codice  di  procedura penale, nel testo vigente prima dell'entrata in
vigore  della  legge 16 dicembre 1999, n. 479, richiamando soltanto i
primi  due  commi dell'art. 486 cod. proc. pen. e non anche il terzo,
attribuiva   rilevanza   al  legittimo  impedimento  dell'imputato  a
comparire   solo   con  riguardo  alla  prima  udienza,  ipotesi  non
ricorrente nella specie.
    Poiche'   il   giudice   ha  adottato  una  motivazione  di  tipo
processuale, valgono al riguardo le considerazioni svolte a proposito
del  primo  profilo di motivazione dell'ordinanza del 1° ottobre 2001
(retro, 1/2 8).
    12. - Con l'ordinanza del 9 ottobre 2000 il Tribunale ha respinto
l'istanza  di  revoca  del  precedente  provvedimento, proposta dalla
difesa  ancora  al  fine di ottenere la dichiarazione di nullita' del
decreto  che  ha  disposto  il  giudizio.  Il giudice - confermata la
validita'  delle  argomentazioni  svolte  nella  prima ordinanza - ha
affermato  che,  ai  fini  della  prova  del  legittimo  impedimento,
«sarebbe  stato  sufficiente  documentare,  in  esordio  di  udienza,
l'esistenza   di   una   convocazione  attraverso  la  documentazione
ufficiale   della   Presidenza   della   Camera   di  appartenenza  e
successivamente  mediante  ulteriore  comunicazione,  anche  via fax,
idonea  ad  attestare la presenza dell'istante quanto meno all'inizio
della seduta parlamentare».
    Anche  a  queste  argomentazioni  si  attagliano  i rilievi prima
esposti a proposito del secondo profilo di motivazione dell'ordinanza
del  1° ottobre 2001 (retro, 1/2 8), con la conseguente dichiarazione
che  non  spettava  all'autorita'  giudiziaria  di  formularle  nella
motivazione.
    13.  -  L'Ordinanza  emessa  il  21 novembre  2001 e' stata sulla
richiesta  di  dichiarare  la nullita' del decreto che ha disposto il
giudizio  «in  esecuzione  della  sentenza della Corte costituzionale
n. 225 del 4 luglio 2001».
    Il  Tribunale  - che, in applicazione della suddetta sentenza, ha
preso in considerazione anche l'udienza tenutasi il 17 settembre 1999
-  ha  rigettato  l'istanza  sulla  base  di  una pluralita' di linee
argomentative. In primo luogo ha individuato la portata del giudicato
costituzionale   formatosi   con   la   pronunzia  sul  conflitto  di
attribuzione,  sottolineandone  i  limiti soggettivi ed oggettivi, in
particolare  quelli concernenti la sua incidenza sul processo penale.
Inoltre  ha  confermato la tesi, sopra sintetizzata, dell'ininfluenza
dell'impedimento  dell'imputato  nelle udienze successive alla prima.
Infine   ha   ripreso,  ulteriormente  sviluppandoli,  gli  argomenti
relativi  alle modalita' di acquisizione della prova dell'impedimento
e all'oggetto di essa.
    Per  i  primi due profili, con i quali il giudice ha adottato una
motivazione  di  tipo processuale, valgono le considerazioni svolte a
proposito  del  primo  ordine  di  argomentazioni  dell'ordinanza del
1° ottobre 2001 (retro, 1/2 8); per il terzo vale invece quanto detto
nello stesso paragrafo, circa la non spettanza al medesimo giudice di
formulare tali affermazioni nella motivazione.
    14.  -  Per quanto riguarda la sentenza del 29 aprile 2003, basta
rilevare  che  essa  si limita a richiamare le precedenti ordinanze e
non  contiene  alcuna  nuova,  autonoma  valutazione delle situazioni
oggetto del conflitto.
    15.  -  Da  ultimo occorre stabilire quali provvedimenti la Corte
debba adottare in conseguenza della rilevata non spettanza al giudice
di formulare le affermazioni lesive delle attribuzioni costituzionali
della Camera dei deputati.
    Al  riguardo, la citata sentenza n. 225 del 2001 ha fatto seguire
alla  dichiarazione  di  non spettanza l'annullamento delle ricordate
ordinanze  del  giudice  dell'udienza  preliminare, motivate nel modo
sopra indicato, ma - pur essendo il processo proseguito - non ha reso
alcun provvedimento nei confronti di altri atti processuali.
    La  sentenza  n. 263  del 2003, resa in analogo conflitto, ha poi
chiarito  che  «alla  constatazione  dell'avvenuta  lesione  consegue
l'annullamento   del  provvedimento  impugnato,  fermo  restando  che
spettera'  alle  competenti  autorita'  giurisdizionali investite del
processo  (essendosi  questo  nel  frattempo concluso in primo grado)
valutare  le  eventuali  conseguenze  di  tale annullamento sul piano
processuale» (v. anche la sentenza n. 284 del 2004).
    Pertanto,  gli  effetti  caducatori  della  dichiarazione  di non
spettanza  devono  limitarsi  ai provvedimenti, o alle parti di essi,
che  siano  stati  riconosciuti  lesivi  degli  interessi oggetto del
giudizio costituzionale per conflitto di attribuzione.
    Queste  premesse  comportano anzitutto che l'ordinanza emessa dal
Tribunale di Milano in data 5 giugno 2000 deve essere annullata nella
sua   totalita',  essendo  sorretta  da  una  motivazione  costituita
esclusivamente dalle affermazioni lesive.
    Invece  le  altre  ordinanze  prima  esaminate  sono  fondate  su
distinte  linee argomentative, taluna delle quali di tipo processuale
e  quindi  estranee  al  giudizio  per  conflitto di attribuzione. La
pronunzia  caducatoria  deve essere quindi limitata alle parti di cui
e'  stata  affermata  la  lesivita', secondo le considerazioni dianzi
svolte.  Spettera' poi al giudice penale rilevare, alla stregua delle
norme   che   disciplinano  il  processo,  l'eventuale  esistenza  di
ulteriori effetti derivanti dai vizi accertati.
    Nessuna  pronunzia  di  annullamento deve essere emessa da questa
Corte  nei confronti delle sentenze, non essendo esse affette da vizi
rilevabili in sede di conflitto di attribuzione.