ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 18 e 53 del
decreto   legislativo   8 luglio   1999,   n. 270  (Nuova  disciplina
dell'amministrazione  straordinaria  delle grandi imprese in stato di
insolvenza,  a  norma  dell'articolo 1  della  legge  30 luglio 1998,
n. 274),  promosso con ordinanza del 9 novembre 2004 dal Tribunale di
Milano  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Olcese  S.p.A. e Gh
Michell  & Sons Ltd., iscritta al n. 52 del registro ordinanze 2005 e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 30 novembre 2005 il giudice
relatore Annibale Marini;
    Ritenuto  che il Tribunale di Milano, con ordinanza depositata il
9 novembre 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 18
e  53 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina
dell'amministrazione  straordinaria  delle grandi imprese in stato di
insolvenza,  a  norma  dell'articolo 1  della  legge  30 luglio 1998,
n. 274), «nella parte in cui prevedono che nella fase di osservazione
e  nella  procedura di amministrazione straordinaria con programma di
ristrutturazione l'accertamento dei crediti debba avvenire secondo le
regole del concorso ancorche' i pagamenti debbano avvenire secondo le
regole ordinarie»;
        che  nel  giudizio a quo, avente ad oggetto una opposizione a
decreto   ingiuntivo,   la   societa'  opponente  ha  dedotto  essere
intervenuta  nei  suoi  confronti,  in data 14 ottobre 2004, sentenza
dichiarativa  dello  stato  di  insolvenza,  ai sensi dell'art. 2 del
decreto legislativo n. 270 del 1999;
        che,  ai sensi dell'art. 18 del medesimo decreto legislativo,
la  sentenza  che  dichiara  lo stato di insolvenza, pur non privando
l'imprenditore  della  capacita' di stare in giudizio, determina, tra
gli   altri,   gli   effetti   previsti   dall'art. 52   della  legge
fallimentare,  con  applicazione,  quindi, del principio del concorso
formale  fin  dalla  fase  cosiddetta  di «osservazione», che precede
l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria ovvero la
dichiarazione  di  fallimento,  ai  sensi  dell'art. 30  del  decreto
legislativo;
        che  l'applicazione della regola del concorso formale risulta
poi confermata dall'art. 53 del richiamato decreto legislativo n. 270
del   1999,   secondo   cui,   una   volta  aperta  la  procedura  di
amministrazione  straordinaria,  «l'accertamento del passivo prosegue
sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato
di insolvenza»;
        che  pertanto,  secondo  il  giudice  a  quo,  la  domanda di
condanna  sottesa  al  decreto  ingiuntivo,  a seguito della sentenza
dichiarativa  dello  stato  di insolvenza, dovrebbe essere dichiarata
improcedibile,   con   conseguente   revoca   dello   stesso  decreto
ingiuntivo,  al  fine  di consentire l'insinuazione del creditore nel
passivo della procedura;
        che l'applicazione del procedimento concorsuale di formazione
del  passivo  alla  fase  di osservazione ed alla stessa procedura di
amministrazione  straordinaria  costituirebbe  tuttavia  - secondo il
rimettente   -   «scelta   normativa   incoerente»,   censurabile  in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
        che  l'incoerenza sistematica sarebbe rappresentata dal fatto
che   nella   fase   di   osservazione,   cosi'   come  nella  stessa
amministrazione  straordinaria  con  ristrutturazione,  non  vi  e' -
diversamente  da quanto accade nel fallimento - alcuna espropriazione
del  patrimonio del debitore e non deve percio' essere predisposto un
piano  di riparto, in quanto l'imprenditore e' tenuto ad adempiere le
proprie  obbligazioni  per  l'intero  e  non  secondo  le  regole del
concorso;
        che,   pertanto,   il   medesimo   debitore,   all'esito  del
procedimento,  si trovera' ad essere vincolato ad un accertamento del
debito,  effettuato  in  sede  concorsuale,  cui  egli  non ha potuto
partecipare, con violazione del suo diritto di difesa;
        che sarebbe, sotto altro aspetto, violato anche il diritto di
difesa  dei  creditori,  in quanto costretti ad un accertamento dello
stato  passivo  nel  quale  vigono  le  regole  della  concorsualita'
nonostante che l'adempimento debba avvenire al di fuori del concorso;
        che  si  verificherebbe, infine, una violazione del principio
di eguaglianza in danno dei creditori che partecipano al procedimento
di  accertamento  del  passivo  rispetto a quelli che scelgono di non
parteciparvi  per  chiedere  un  accertamento  extra-concorsuale  del
proprio diritto;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilita' o comunque
di infondatezza della questione;
        che,  ad  avviso  della  parte pubblica, sarebbe innanzitutto
opinabile  il  presupposto interpretativo da cui muove il rimettente,
secondo  cui  all'improcedibilita'  (assoluta)  del  giudizio  a  quo
conseguirebbe  la  revoca del decreto ingiuntivo opposto, ben potendo
sostenersi  invece  che la declaratoria dello stato di insolvenza del
debitore  opponente  determini  solo  una improcedibilita' temporanea
dell'opposizione,    fino    alla    conclusione    della   procedura
amministrativa;
        che, inoltre, le norme impugnate non sarebbero immediatamente
applicabili  nel  giudizio  a quo, venendo in rilievo solamente nella
successiva fase di accertamento del passivo;
        che   sicuramente  irrilevante  sarebbe,  in  ogni  caso,  la
questione  relativa  all'art. 53  del  decreto  legislativo,  recante
disposizioni  destinate  ad  operare  soltanto  nella fase, meramente
eventuale, «di accertamento del passivo dinanzi al giudice delegato»;
        che,  nel merito, non sussisterebbe, comunque, alcuna lesione
dell'art. 24  della  Costituzione in danno del debitore, non solo nel
caso  in cui egli mantenga - come sembrerebbe accadere nella specie -
la capacita' di stare in giudizio, ma anche nelle ipotesi in cui tale
capacita'  sia  attribuita  al  commissario  giudiziale  (art. 18 del
decreto  legislativo)  o  al  commissario  straordinario  (in caso di
ammissione  alla  procedura),  in  quanto  il  diritto  di difesa del
medesimo   debitore   sarebbe   pienamente   assicurato   «sia  dalla
rappresentanza   di  tali  figure,  sia  dal  contraddittorio  tra  i
creditori  nella fase di accertamento del passivo, sia, infine, dalla
previsione di ipotesi in cui il debitore puo' intervenire in giudizio
o deve essere sentito (artt. 43 e 96 legge fallimentare)»;
        che  non sarebbe d'altro canto significativa l'assenza, nella
procedura di ristrutturazione, di una finalita' liquidatoria, venendo
comunque  in  rilievo,  analogamente a quanto avviene nel fallimento,
l'interesse  dei  creditori  ad essere soddisfatti in presenza di uno
stato di insolvenza giudizialmente accertato;
        che del pari insussistente sarebbe la prospettata lesione del
diritto  di  difesa  dei  creditori,  «posto  che essi dispongono dei
rimedi  di rito, previsti in sede di accertamento e verificazione del
passivo  fallimentare,  avverso  la  esclusione  o  la ammissione con
riserva  dei  propri  crediti o avverso la ammissione di quelli degli
altri creditori»;
        che  nemmeno  sussisterebbe, infine, la denunciata violazione
del  principio di eguaglianza tra i creditori, considerato che, da un
lato,  quelli che partecipano alla procedura concorsuale godono della
possibilita' di vedere soddisfatti i propri crediti anche prima della
conclusione  della  procedura, mentre, dall'altro, la possibilita' di
accertamento extra-concorsuale del credito, «oltre ad essere soggetta
[...]  a  ben precise condizioni», e' comunque, nel sistema delineato
dal  decreto  legislativo  n. 270  del 1999, del tutto ipotetica, ben
potendo   la   fase   di   osservazione  o  la  stessa  procedura  di
amministrazione   straordinaria  volgere  in  qualsiasi  momento  nel
fallimento del debitore.
    Considerato  che  il  Tribunale  di Milano dubita, in riferimento
agli  artt. 3  e  24  Cost.,  della legittimita' costituzionale degli
artt. 18  e  53  del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova
disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
stato  di  insolvenza,  a norma dell'articolo 1 della legge 30 luglio
1998,  n. 274),  «nella  parte  in  cui  prevedono  che nella fase di
osservazione  e  nella procedura di amministrazione straordinaria con
programma   di  ristrutturazione  l'accertamento  dei  crediti  debba
avvenire secondo le regole del concorso ancorche' i pagamenti debbano
avvenire secondo le regole ordinarie»;
        che, nel giudizio a quo, di opposizione a decreto ingiuntivo,
la  societa'  opponente  versa, a seguito della sentenza dichiarativa
dello  stato  di insolvenza, nella fase cosiddetta di «osservazione»,
destinata  a  concludersi, ai sensi dell'art. 30 del medesimo decreto
legislativo,  con  l'ammissione  alla  procedura  di  amministrazione
straordinaria   ovvero,  in  alternativa,  con  la  dichiarazione  di
fallimento;
        che la questione relativa all'art. 53 del decreto legislativo
e'  percio' palesemente irrilevante, considerato che la norma attiene
all'accertamento  del passivo nella successiva (ed eventuale) fase di
amministrazione  straordinaria  e che, pertanto, il rimettente non e'
chiamato a fare di tale norma alcuna applicazione;
        che,   quanto   all'art. 18,   il   dubbio   di  legittimita'
costituzionale  si incentra, dunque, su una asserita irragionevolezza
(della  previsione)  di una procedura concorsuale di accertamento del
passivo  nonostante la possibile assenza (nel caso di ammissione alla
procedura   di   amministrazione   straordinaria   cui   consegua  il
risanamento dell'impresa) di una successiva fase liquidatoria;
        che  tale  dubbio  discende  evidentemente  dall'assunto  che
l'accertamento  concorsuale  del  passivo  possa trovare la sua unica
giustificazione   nella   concorsualita'   anche   del   procedimento
liquidatorio;
        che  siffatto assunto e', tuttavia, erroneo, ove si consideri
che,   nella   fase   cosiddetta  di  «osservazione»,  la  formazione
concorsuale  dello  stato  passivo costituisce all'evidenza strumento
per  la  valutazione,  che  il  tribunale  deve  compiere,  circa  la
sussistenza  delle  «concrete prospettive di recupero dell'equilibrio
economico   delle  attivita'  imprenditoriali»  cui  e'  condizionata
l'ammissione alla procedura e che, in ogni caso, essa rappresenta una
delle   possibili   modalita'   -  la  cui  scelta  e'  rimessa  alla
discrezionalita'  del legislatore - attraverso le quali puo' avvenire
l'accertamento  dei  debiti, a seguito della dichiarazione giudiziale
dello  stato di insolvenza, nell'ambito di un procedimento, riservato
alle  sole  imprese  aventi  le caratteristiche di cui all'art. 2 del
decreto legislativo, alternativo al fallimento ma pur sempre ispirato
al  contemperamento  tra  l'interesse  al  risanamento dell'impresa e
quello,  proprio  dei  creditori,  al  soddisfacimento  delle proprie
ragioni;
        che  la  questione  va,  pertanto,  dichiarata manifestamente
inammissibile quanto ad entrambe le norme impugnate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.