ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge
27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), promossi
con  n. 2  ordinanze del 9 settembre 2004 dal Giudice per le indagini
preliminari  del Tribunale di Verona nei procedimenti penali a carico
di  Rumor Luigi ed altri e di Antonini Franco, iscritte ai nn. 1080 e
1081   del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 4, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Verona,  con  due  ordinanze  (r.o. nn. 1080 e 1081 del 2004), di
contenuto  sostanzialmente  identico,  emesse il 9 settembre 2004 nel
corso  di  due distinti procedimenti, ha sollevato, in relazione agli
artt. 1,  3,  53,  54,  79  e  112  della  Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 15  della  legge  27 dicembre
2002,  n. 289  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale  dello Stato. Legge finanziaria 2003), nella parte in cui
prevede,  quale  conseguenza  del  perfezionamento della procedura di
condono  fiscale,  la  non  punibilita', tra l'altro, di taluni reati
tributari;
        che  i  procedimenti a quibus hanno ad oggetto i reati di cui
agli  artt. 81,  secondo  comma,  del  codice penale, 4, primo comma,
lettera f),  del  decreto-legge  10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la
repressione  della  evasione  in materia di imposte sui redditi e sul
valore  aggiunto  e  per  agevolare  la definizione delle pendenze in
materia  tributaria),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge
7 agosto  1982, n. 516, e all'art. 4 del decreto legislativo 10 marzo
2000,  n. 74  (Nuova  disciplina  dei reati in materia di imposte sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25
giugno 1999, n. 205), commessi negli anni tra il 1997 ed il 2000;
        che  il  pubblico  ministero  aveva  formulato  richiesta  di
archiviazione,  ai  sensi  dell'art. 15  della legge n. 289 del 2002,
avendo  l'Agenzia delle entrate segnalato che le societa' (alle quali
risulterebbero  riconducibili gli indagati nei procedimenti a quibus)
hanno    «definito   quanto   oggetto   del   processo   verbale   di
constatazione»;
        che  il  rimettente  ha  dedotto  di  essere  chiamato a fare
applicazione  della  norma  di legge suddetta ai fini della decisione
sulla  archiviabilita'  o  meno  del  procedimento,  per  intervenuta
estinzione del reato in ragione del «condono tributario»;
        che  il  giudice  a  quo  assume  che  la norma impugnata sia
costituzionalmente  illegittima  per  violazione  dell'art. 79, primo
comma,   della   Costituzione,   in   quanto  «la  previsione  di  un
procedimento  estintivo  di  tutti i reati di una determinata specie,
purche'  commessi entro una data prefissata, subordinata al pagamento
di  somme  ed  altri comportamenti del reo» integrerebbe un'«amnistia
condizionata»,  e,  pertanto,  dovrebbe essere approvata dalle Camere
con le prescritte maggioranze qualificate;
        che la disposizione censurata lederebbe, altresi', l'art. 112
della  Costituzione,  in  quanto,  anche  a  voler  ritenere  che  la
procedura  di  cui  all'art. 15  della  legge n. 289 del 2002 non dia
luogo    ad    un'amnistia,    contrasterebbe    con   il   principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale l'attribuzione al legislatore
di   un  potere  di  estinzione  del  reato  o  di  esclusione  della
punibilita' mediante leggi ordinarie;
        che  sarebbe  violato  anche  l'art. 3 della Costituzione, in
quanto  si  sarebbe  in  presenza  di  una  disparita' di trattamento
innanzitutto  tra i cittadini che hanno trasgredito la legge e quelli
che  l'hanno rispettata, nonche' tra i cittadini per i quali sia gia'
intervenuto l'accertamento del reato tributario e quelli per i quali,
proprio  in ragione del condono, l'affermazione della responsabilita'
penale non potra' piu' avere luogo;
        che,  ad  avviso  del giudice a quo, la norma in questione si
porrebbe  in  contrasto  con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, che
stabiliscono  l'eguaglianza  dei  cittadini  davanti  alla  legge  in
generale,  e  a  quella  tributaria  in particolare, e non ammettono,
pertanto,  che il cittadino infedele possa ricevere un trattamento di
maggior  favore rispetto a quello fedele, atteso che «e' insegnamento
costante   della   Corte   costituzionale   che  ogni  disparita'  di
trattamento  deve  rinvenire  una  ragionevole  giustificazione, e la
commissione   di   un  illecito  (penale  e/o  tributario)  non  puo'
evidentemente assurgere a giustificazione di un privilegio o comunque
di un trattamento di favore in materia penale e fiscale»;
        che,   altresi',   il   rimettente   ravvisa   la  violazione
dell'art. 54  della Costituzione, in quanto mentre detta disposizione
costituzionale  stabilisce  che  tutti i cittadini hanno il dovere di
osservare  la  Costituzione  e  le  leggi, la disciplina del «condono
tributario»  si  porrebbe,  invece,  a  premio  di chi la legge abbia
violato, ed addirittura costituirebbe un disincentivo, per il futuro,
alla sua osservanza;
        che,  infine,  il GIP del Tribunale di Verona rileva come non
sia  possibile  ricondurre  a fonti e procedimenti normativi, diversi
dalla  legge  di  amnistia, effetti estintivi dell'illecito penale in
«dipendenza di pretese ragioni di eccezionalita»;
        che,  comunque,  anche  a voler ammettere la possibilita' che
situazioni di eccezionalita' possano giustificare deroghe ai principi
costituzionali,   non  sono  eludibili  quelli  dell'eguaglianza  dei
cittadini     dinanzi    alla    legge,    dell'obbligatorieta'    ed
irretrattabilita' dell'azione penale, della capacita' contributiva;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale sia
dichiarata infondata;
        che  ad  avviso  della  difesa  dello  Stato  non puo' essere
effettuata  un'equiparazione  tra  il  provvedimento  di «condono» ex
art. 15 della legge n. 289 del 2002 e l' «amnistia condizionata»;
        che  gli  interventi  del legislatore in grado di paralizzare
l'azione  penale  non  sono individuabili nella sola amnistia, e che,
quindi,   la   tesi  prospettata  dal  remittente  a  sostegno  della
violazione     dell'art. 112     della    Costituzione    «porterebbe
inevitabilmente ad una ingessatura del sistema»;
        che  la  previsione  di  un accordo transattivo, in forza del
quale  il  contribuente versi una somma pari a circa un terzo del suo
potenziale  debito  d'imposta,  non appare in alcun modo in contrasto
con l'art. 53 della Costituzione;
        che,  da  ultimo,  l'Avvocatura  dello  Stato osserva come la
circostanza  che  la  somma  da  pagare,  per  definire  la  pendenza
tributaria,  sia  ancorata ad un importo solo accertato ma tutt'altro
che definitivo, esclude la possibilita' di ravvisare un contrasto con
l'art. 3 e con l'art. 54 della Costituzione.
    Considerato  che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari del
Tribunale  di  Verona,  con  due ordinanze emesse in data 9 settembre
2004,   ha   sollevato   questione   di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 15  della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge
finanziaria 2003), per asserito contrasto con gli artt. 1, 3, 53, 54,
79 e 112 della Costituzione;
        che i giudizi di legittimita' costituzionale, in quanto hanno
ad  oggetto  la  stessa  questione,  vanno  riuniti per essere decisi
congiuntamente;
        che   l'art. 15  della  legge  n. 289  del  2002,  nella  sua
interezza,  introduce  un  procedimento  volto  alla  sanatoria delle
violazioni tributarie gia' oggetto di contestazione mediante processi
verbali,   inviti   al  contraddittorio  e  accertamenti  non  ancora
impugnati;
        che,  tenuto  conto  delle  funzioni esercitate dal giudice a
quo,  si  impone la precisazione secondo cui il thema decidendum deve
essere  propriamente  individuato  nelle  sole  norme  contenute  nel
comma 7 del predetto art. 15 della legge n. 289 del 2002, nella parte
in  cui  esse  dispongono  che  il  perfezionamento  della  procedura
tributaria  in  esame  comporta la «esclusione della punibilita», tra
l'altro,  per i reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del
decreto  legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati
in  materia  di  imposte  sui  redditi e sul valore aggiunto, a norma
dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205);
        che,   in   particolare,   il   rimettente  riferisce  che  i
procedimenti  penali  nel  corso  dei  quali  sono  state  emesse  le
ordinanze hanno ad oggetto i reati tributari di cui all'art. 4, primo
comma,  lettera f),  del  decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme
per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e
sul  valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in
materia  tributaria),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge
7 agosto  1982,  n. 516,  nonche'  all'art. 4 del decreto legislativo
10 marzo  2000,  n. 74  (Nuova  disciplina  dei  reati  in materia di
imposte  sui  redditi  e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9
della legge 25 giugno 1999, n. 205), reati commessi negli anni tra il
1997 ed il 2000;
        che, dopo questa premessa, il giudice a quo sottolinea che il
pubblico  ministero  ha  chiesto  l'archiviazione,  «avendo l'Agenzia
delle entrate segnalato l'avvenuta definizione degli illeciti oggetto
del  processo verbale di constatazione (coincidenti con quelli di cui
ai procedimenti a quibus), ex art. 15 della legge n. 289 del 2002»;
        che  tale  norma  -  ribadisce  il  rimettente  - prevede «la
"sanatoria"  (ad  istanza  dell'interessato e dietro pagamento di una
somma   costituente   una   percentuale,   prefissata   dalla  norma,
dell'imposta   dovuta)   dei   reati   tributari   di   dichiarazione
fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti  (art. 2  del  d.lgs.  n. 74  del 2000), di dichiarazione
fraudolenta   mediante  altri  artifizi  (art. 3),  di  dichiarazione
infedele  (art. 4), di omessa dichiarazione (art. 5), di occultamento
o distruzione di documenti contabili (art. 10)»;
        che,  tuttavia,  le suddette indicazioni non sono adeguate ai
fini del giudizio sulla rilevanza della questione sollevata;
        che l'art. 15 in questione prescrive che la definizione degli
avvisi  di accertamento, degli inviti al contraddittorio, nonche' dei
processi   verbali   di   constatazione  si  perfeziona  mediante  il
pagamento,   entro   la  data  del  16 aprile  2003,  di  un  importo
percentuale  delle  maggiori  imposte  complessivamente  accertate  o
indicate  nell'invito al contraddittorio, ovvero, con applicazione di
una diversa aliquota (variabile anche in considerazione del tributo),
delle maggiori imposte risultanti dal verbale di constatazione;
        che nel caso di specie - al di la' delle incertezze in ordine
alla  stessa tipologia di accertamento e alla natura dell'imposta che
viene  in  rilievo  -  non  e'  stata  indicata  la  data di avvenuto
pagamento, ne' sul punto risulta effettuato dal rimettente alcun tipo
di accertamento o di valutazione;
        che  i predetti profili di indeterminatezza nella descrizione
delle  fattispecie  oggetto di ciascun giudizio a quo, impedendo alla
Corte  di  pronunciarsi  nel merito, conducono ad una declaratoria di
manifesta   inammissibilita'   della   questione  sollevata  (v.,  ex
plurimis, ordinanze n. 435 e n. 251 del 2005 e nn. 365, 309 e 257 del
2004).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.