ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera del Senato della Repubblica del 30
giugno 2004,  relativa  alla insindacabilita' delle opinioni espresse
dal  senatore  Roberto  Castelli  nei confronti del deputato Oliviero
Diliberto,  giudizio  promosso  con ricorso del Giudice per l'udienza
preliminare  del  Tribunale  di  Roma, nei confronti del Senato della
Repubblica,  depositato in cancelleria l'8 giugno 2005 ed iscritto al
n. 24  del  registro  conflitti  tra poteri dello Stato 2005 (fase di
ammissibilita).
    Udito  nella  Camera di consiglio del 30 novembre 2005 il giudice
relatore Paolo Maddalena.
    Ritenuto  che, con ricorso depositato l'8 giugno 2005, il Giudice
per  l'udienza  preliminare  (GUP) del Tribunale di Roma ha sollevato
conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato nei confronti del
Senato  della  Repubblica, chiedendo a questa Corte di dichiarare che
non  spetta  al  Senato  affermare  che  i  fatti per cui e' in corso
procedimento  penale,  pendente  dinanzi  ad  esso  GUP, a carico del
senatore Roberto Castelli concernono opinioni espresse nell'esercizio
delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  e, conseguentemente, di annullare la delibera adottata
il 30 giugno 2004 «per il procedimento civile avente medesimo oggetto
e  che,  come  risulta  dagli atti, il Senato ha ritenuto applicabile
anche alla fattispecie presente»;
        che  il  ricorrente  premette  che, con querela del 27 aprile
2004,  il  deputato Oliviero Diliberto lamentava che, nel corso della
trasmissione televisiva «Telecamere» registrata in data 18 marzo 2004
e  andata  in  onda  il  successivo  giorno 21,  il  senatore Roberto
Castelli   avesse   proferito  dichiarazioni  diffamatorie  nei  suoi
confronti;
        che, in particolare, secondo la querela, alla domanda rivolta
dall'onorevole  Diliberto  al  senatore  Castelli su quali fossero le
ragioni  della  sua  presenza ad una manifestazione di giovani padani
svoltasi  davanti  al  «Parlamento»  (manifestazione  nel corso della
quale  erano state pronunciate le parole «chi non salta italiano e»),
quest'ultimo  aveva  risposto:  «piuttosto  che  mandare  in  giro  a
sprangare come fai tu preferisco saltare»;
        che  inoltre, nel corso della stessa trasmissione televisiva,
il  senatore  Castelli aveva sostanzialmente addebitato al querelante
«di   essere   il   mandante   di   azioni   delittuose»,  affermando
testualmente:  «fascisti, borghesi, ancora pochi mesi, te lo ricordi?
Poi  hanno  sparato  ed  i tuoi amici sono in Francia»; e, sempre nel
medesimo  contesto, il senatore Castelli dichiarava: «credo sia molto
piu'  grave  andare  a  ricevere  con gli onori le terroriste che voi
avete  fatto  liberare con l'inganno», con cio' accusando l'onorevole
Diliberto  «di  aver  operato illegalmente per favorire il rientro in
Italia  di  terroristi, allorche' aveva svolto l'incarico di Ministro
della Giustizia nel primo governo D'Alema»;
        che  il  GUP  ricorrente rammenta altresi' che, con ordinanza
del  13 dicembre  2004,  il  «Tribunale  dei ministri», investito dei
predetti  fatti in considerazione della carica ricoperta dal senatore
Castelli  nel Governo, dichiarava la propria incompetenza e disponeva
la restituzione degli atti ritenendo si trattasse di reati comuni;
        che  successivamente  -  si  espone  ancora  nel ricorso - la
Giunta  delle  elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari,  in  data
18 maggio  2005,  riteneva  che  per  i  fatti contestati al senatore
Castelli in sede penale, oggetto del procedimento pendente dinanzi ad
esso   giudice   ricorrente,   dovesse   intendersi   applicabile  la
deliberazione  di  insindacabilita'  gia'  adottata  dal Senato il 30
giugno 2004   (su   conforme   proposta   della  Giunta  in  data  15
giugno 2004),   trattandosi   di   delibera  riferita  alle  medesime
dichiarazioni  per  le  quali  era  stato gia' instaurato un giudizio
civile;
        che   nella  proposta  della  Giunta  del  15  giugno 2004  -
riferisce sempre il GUP del Tribunale di Roma - si poneva in risalto,
tra  l'altro,  «che  la contrapposizione della propria figura e della
propria  condotta politico amministrativa di Ministro della giustizia
con quella dei suoi predecessori della scorsa legislatura e' la cifra
della  pubblica  presentazione  che  il  senatore Castelli fa del suo
operato  quale  Ministro  della  giustizia, sin dall'assunzione della
carica»,   essendo   egli   figura  di  spicco  del  gruppo  politico
parlamentare  della  Lega  Nord  che  «ripetutamente  appunto' la sua
attenzione  sulle vicende connesse alla gestione del «caso Baraldini»
da  parte  del  secondo  governo  della scorsa legislatura, in cui il
deputato Diliberto rivestiva la carica di Guardasigilli»;
        che, in particolare, si osservava ancora nella proposta della
Giunta,  e'  «da  almeno sei mesi» che tra la Lega Nord ed il partito
«di   cui  il  deputato  Diliberto  e'  segretario  nazionale  si  va
sviluppando  una  contrapposizione  politica  piuttosto accesa, della
quale,   per   lo  stesso  tenore  delle  polemiche  e  per  la  sede
pre-elettorale  in  cui  si  svolgono,  e'  bene  che  sia arbitra la
pubblica opinione assai piu' che la sede giurisdizionale»;
        che,  espone  sempre  il ricorrente, nella stessa proposta si
assumeva esservi una «sperequazione», sotto il profilo della garanzia
prevista  dall'art. 68,  primo  comma,  della  Costituzione,  tra  la
posizione  rivestita  da  un  Ministro,  «che  nel nostro ordinamento
costituzionale  puo'  anche  essere  parlamentare  ma  che  non  puo'
ovviamente  spiegare  la  sua  attivita' negli atti tipici che questa
funzione  contempla»,  e quella del «mero parlamentare», giacche' «la
giurisprudenza  costituzionale  riconnette  il  nesso funzionale alla
preesistenza   di   atti   parlamentari   tipici   in  corrispondenza
contenutistica sostanziale con l'espressione delle opinioni»;
        che, a tal fine, si sosteneva nella proposta della Giunta, la
posizione   del   Ministro   presentava  «analogia»  con  quella  del
parlamentare  «che  a Camere sciolte, eserciti attivita' di cronaca o
di  critica  politica  su  fatti  successivi allo scioglimento, senza
percio' avere la possibilita' di produrre atti di sindacato ispettivo
preesistenti».  Un  caso,  questo,  venuto  all'esame durante la XIII
legislatura  (Doc.  IV-quater  n. 34,  riguardante  il sen. Meduri) e
deciso  nel  senso  dell'insindacabilita' delle opinioni espresse dal
parlamentare;  sicche'  -  si  concludeva  nella proposta - «non pare
possibile  discostarsi  da  quel  precedente  nel caso di specie, che
comunque   rappresenta  un'estrinsecazione  del  diritto  di  critica
motivato politicamente»;
        che, tanto premesso, il GUP ricorrente sostiene che il Senato
«abbia erroneamente valutato la sussistenza dei presupposti necessari
per  poter  considerare  le  dichiarazioni rese dal senatore Castelli
ricollegabili  all'ipotesi  prevista dall'art. 68, primo comma, della
Costituzione»;
        che, infatti, nel rammentare che la giurisprudenza in materia
ha ritenuto che «costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della
funzione  parlamentare  quelle  manifestate  durante il compimento di
atti tipici della funzione, nonche' quelle che, pur non essendo state
manifestate   in   sede   parlamentare,   riproducano   il  contenuto
sostanziale  delle  prime»,  il  giudice  ricorrente  osserva  che le
dichiarazioni del senatore Castelli «sono state rese nel corso di una
trasmissione  televisiva  e,  quindi,  al  di fuori dell'esercizio di
funzioni   parlamentari»,  non  risultando,  pero',  «sostanzialmente
riproduttive  di  un'opinione  espressa  in  sede parlamentare» dallo
stesso senatore;
        che,  in  conclusione,  il GUP del Tribunale di Roma sostiene
che  la  deliberazione  di insindacabilita' adottata dal Senato della
Repubblica,  proprio  perche'  frutto  di «un'erronea valutazione dei
presupposti     richiesti     dall'art. 68    Cost.»,    interferisca
illegittimamente «nelle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria».
    Considerato  che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte e'
chiamata,  a  norma  dell'art. 37,  terzo e quarto comma, della legge
11 marzo  1953,  n. 87,  a  deliberare,  senza contraddittorio, se il
ricorso  sia ammissibile in quanto vi sia la «materia di un conflitto
la  cui  risoluzione  spetti  alla  sua  competenza», sussistendone i
requisiti  soggettivo  ed  oggettivo  e  restando impregiudicata ogni
ulteriore questione, anche in punto di ammissibilita';
        che,   sotto   il   profilo   del  requisito  soggettivo,  va
riconosciuta  la legittimazione del Giudice per l'udienza preliminare
del  Tribunale  di  Roma  a  sollevare  conflitto,  in  quanto organo
giurisdizionale,  in  posizione  di  indipendenza  costituzionalmente
garantita,  competente  a  dichiarare definitivamente la volonta' del
potere cui appartiene nell'esercizio delle funzioni attribuitegli;
        che,  parimenti,  deve  essere riconosciuta la legittimazione
del  Senato  della Repubblica ad essere parte del presente conflitto,
quale  organo  competente  a dichiarare in modo definitivo la propria
volonta'  in  ordine  all'applicabilita'  dell'art. 68,  primo comma,
della Costituzione;
        che,  per  quanto  attiene  al profilo oggettivo, sussiste la
materia  di  un  conflitto,  giacche'  il  GUP  ricorrente lamenta la
lesione  della  propria  sfera  di  attribuzione,  costituzionalmente
garantita,  in  conseguenza di un esercizio ritenuto illegittimo, per
inesistenza  dei  relativi  presupposti,  del  potere  spettante alla
Camera    di    appartenenza    del    parlamentare   di   dichiarare
l'insindacabilita'  delle  opinioni espresse da quest'ultimo ai sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
        che,  infine,  dal  ricorso  e' dato ricavare «le ragioni del
conflitto»  e «le norme costituzionali che regolano la materia», alla
stregua  di quanto richiesto dall'art. 26 delle norme integrative per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale.