ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli articoli 26, comma
4;  29,  comma 2 (e ivi richiamato art. 8, comma 3); 32; 33, commi 1,
2,  3  (eccettuata  lettera d) e 4; 34, commi 1 e 2, lettera a) della
legge  della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza
e  controllo  dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa
statale  di  cui  all'articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito  con  modifiche  dalla  legge  24 novembre  2003, n. 326);
dell'articolo  2,  commi  1,  2, 5, lettera c) e 6, della legge della
Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria
edilizia straordinaria); dell'articolo 3, commi 1, 2 e 3, della legge
della  Regione  Marche  29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria
degli  abusi  edilizi); degli articoli 1, comma 1, limitatamente alle
parole  «salvo quanto disposto dalla presente legge»; 2, commi 1 e 2;
3,  comma  1,  della  legge  della Regione Lombardia 3 novembre 2004,
n. 31  (Disposizioni  regionali  in  materia  di  illeciti  edilizi);
dell'articolo  3,  commi  1,  lettere  a) e c) e 3, della legge della
Regione  Veneto  5 novembre  2004,  n. 21 (Disposizioni in materia di
condono  edilizio);  degli articoli 19; 20, comma 1, lettere a) e c);
21, comma 1, lettere c) d) e) ed h), e 27, comma 4, della legge della
Regione   Umbria  3 novembre  2004,  n. 21  (Norme  sulla  vigilanza,
responsabilita',  sanzioni  e sanatoria in materia edilizia); e degli
articoli  1;  3  (eccettuate  le  lettere b) e d) del comma 2); 4; 6,
commi  1,  2  e  5; 8, della legge della Regione Campania 18 novembre
2004,  n. 10  (Norme  sulla  sanatoria  degli abusi edilizi di cui al
decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269,  articolo  32  cosi' come
modificato  dalla  legge  24 novembre  2003,  n. 326 di conversione e
successive  modifiche  ed  integrazioni),  promossi  con  ricorsi del
Presidente  del  Consiglio  dei ministri, notificati il 20, il 27, il
29 dicembre  2004,  il  7  e  il  13 gennaio  2005  e  depositati  in
cancelleria  il  23, il 30 dicembre 2004 e il 7, l'11 e il 19 gennaio
2005  ed  iscritti  ai  nn. 114  e 115 del registro ricorsi 2004 e ai
nn. 2, 3, 7, 8 e 9 del registro ricorsi 2005.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  delle Regioni Emilia-Romagna,
Toscana, Marche, Lombardia, Veneto, Umbria e Campania;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  13 dicembre  2005  il giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi   gli  avvocati  Giuseppe  Nucaro  per  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  Giandomenico  Falcon  e  Fabio Dani per la
Regione  Emilia-Romagna,  Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione
Toscana,  Stefano Grassi per la Regione Marche, Beniamino Caravita di
Toritto  per la Regione Lombardia, Bruno Barel per la Regione Veneto,
Giovanni  Tarantini  per  la Regione Umbria e Vincenzo Cocozza per la
Regione Campania.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ricorso n. 114 del 2004, notificato il 20 dicembre 2004
e  depositato  il  23 dicembre  2004,  il Presidente del Consiglio di
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   ha  impugnato  alcune  disposizioni  della  legge  regionale
dell'Emilia-Romagna  21 ottobre  2004,  n. 23  (Vigilanza e controllo
dell'attivita'  edilizia  ed  applicazione della normativa statale di
cui  all'articolo  32  del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito
con  modifiche  dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), e segnatamente
l'art. 26, comma 4, l'art. 29, comma 2 (e, per quanto ivi richiamato,
l'art. 8, comma 3), l'art. 32, l'art. 33, commi da 1 a 4 (eccettuata,
nel  comma  3,  la  lettera d) l'art. 34, commi 1 e 2 (con esclusione
delle lettere b), c) ed e) del comma 2).
    Con  ricorso  n. 115  del  2004, notificato il 27 dicembre 2004 e
depositato  il  30 dicembre  2004,  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri  ha  impugnato  l'art. 2,  commi 1, 2, 5 (limitatamente alla
lettera  c)  e  6, della legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004,
n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria).
    Con  ricorso  n. 2  del  2005,  notificato  il 29 dicembre 2004 e
depositato  il  7 gennaio  2005,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha  impugnato  l'art. 3 (eccettuato il comma 4) della legge
della  Regione  Marche  29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria
degli abusi edilizi).
    Con  ricorso  n. 3  del  2005,  notificato  il 29 dicembre 2004 e
depositato  il  7 gennaio  2005,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha  impugnato  l'art. 1, comma 1 (limitatamente alle parole
«salvo quanto disposto dalla presente legge»), l'art. 2, commi 1 e 2,
e  l'art. 3,  comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre
2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi).
    Con  ricorso  n. 7  del  2005,  notificato  il  7 gennaio  2005 e
depositato  in  data 11 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei
ministri  ha  impugnato  l'art 3, commi 1, lettera a) e c) e 3, della
legge  della  Regione  Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in
materia di condono edilizio).
    Con  ricorso  n. 8  del  2005,  notificato  il  7 gennaio  2005 e
depositato  in  data 11 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei
ministri  ha impugnato la legge della Regione Umbria 3 novembre 2004,
n. 21  (Norme  sulla vigilanza, responsabilita', sanzioni e sanatoria
in  materia edilizia), limitatamente all'art. 20, comma 1, lettere a)
e  c);  all'art. 21, comma 1, lettere c) d) e) ed h); agli artt. 19 e
27,  comma  4  (tali ultime due disposizioni sono impugnate in virtu'
della loro asserita «connessione» con le altre).
    Con  ricorso  n. 9  del  2005,  notificato  il  13 gennaio 2005 e
depositato  il  19 gennaio  2005,  il  Presidente  del  Consiglio dei
ministri ha impugnato l'art. 1, l'art. 3 (eccettuate le lettere b e d
del  comma  2),  l'art. 4,  l'art. 6  (soltanto  i  commi 1, 2 e 5) e
l'art. 8  della  legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10
(Norme  sulla  sanatoria  degli abusi edilizi di cui al decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269, articolo 32, cosi' come modificato dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione e successive modifiche
ed integrazioni).
    Le  disposizioni  impugnate, nella prospettazione del ricorrente,
incorrerebbero  nella  violazione  degli artt. 3 (sotto diversificati
profili),  42, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a) e) l), s), 117,
terzo  comma,  119  della  Costituzione,  nonche'  del  principio  di
autonomia degli enti locali.
    Inoltre,  per  cio'  che riguarda tutte le disposizioni impugnate
della  legge  n. 10  del  2004  della Regione Campania, il ricorrente
rileva  che questa legge sarebbe stata emanata il 18 novembre 2004, e
dunque  quando  era  oramai  scaduto  il termine del 12 novembre 2004
stabilito  dall'art. 5,  comma  1,  del decreto-legge 12 luglio 2004,
n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica),
convertito  con  modificazioni  nella  legge  30 luglio 2004, n. 191.
Pertanto  si  dovrebbe  verificare  la legittimita' costituzionale di
tutte le disposizioni impugnate alla luce dell'art. 117, terzo comma,
Cost. e del principio di «leale collaborazione».
    2.   -   In   particolare,  in  relazione  alla  legge  regionale
dell'Emilia-Romagna n. 23 del 2004, l'Avvocatura generale dello Stato
afferma la illegittimita' costituzionale:
        a) dell'art. 26,  comma  4,  il  quale  dispone che «le opere
edilizie  autorizzate e realizzate in data antecedente all'entrata in
vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilita'
dei   suoli),   che   presentino   difformita'   eseguite  nel  corso
dell'attuazione  del titolo edilizio originario, si ritengono sanate,
fermo  restando  il  rispetto  dei  requisiti  igienico-sanitari e di
sicurezza»,  poiche'  violerebbe  l'art. 117, terzo comma, Cost., dal
momento  che  introdurrebbe  -  peraltro in contrasto con la tendenza
alla  riduzione  dell'ambito  applicativo  della sanatoria propria di
altre   norme   della   stessa   legge  regionale  -  «una  sanatoria
straordinaria  gratuita  ed ope legis non sorretta da alcun principio
fondamentale  determinato dallo Stato, e contrastante con le esigenze
della   finanza  pubblica»;  inoltre  la  medesima  norma  violerebbe
l'art. 3  Cost.,  in  quanto  introdurrebbe una discriminazione tra i
proprietari   basata   sulla  diversa  collocazione  temporale  degli
illeciti,  consentendo  la  sanatoria  ex  lege  solo per quelli piu'
risalenti nel tempo;
        b)  e  c)  dell'art. 29,  comma  2,  il  quale stabilisce che
«qualora  in  sede  di  definizione  della  domanda di sanatoria o di
controlli  successivi  alla stessa sia accertato che la asseverazione
del  professionista  abilitato» contenga dichiarazioni non veritiere,
rilevanti  ai  fini del conseguimento del titolo, «trova applicazione
quanto disposto dall'articolo 8, comma 3», nonche' dell'art. 8, comma
3,  per quanto richiamato dall'art. 29, secondo il quale «nel caso in
cui  il  titolo  abilitativo contenga dichiarazioni non veritiere del
progettista  necessarie  ai fini del conseguimento del titolo stesso,
l'Amministrazione  comunale  ne da' notizia all'Autorita' giudiziaria
nonche'  al competente Ordine professionale, ai fini dell'irrogazione
delle  sanzioni  disciplinari»,  in  quanto entrambe le summenzionate
disposizioni  violerebbero  l'art. 117,  secondo  comma,  lettera l),
Cost.,  in relazione alla materia dell'«ordinamento civile e penale»,
nonche'  dell'art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbero
con la competenza statale concorrente in materia di «professioni»;
        d) dell'art. 32,  il  quale  disciplina in linea generale gli
interventi  non  ammessi  a  sanatoria, aggiungendo a quelli ritenuti
tali  dalla normativa statale di principio, anche gli interventi e le
opere  «per  la  cui  realizzazione siano stati utilizzati contributi
pubblici  erogati  successivamente  al  1995 a qualunque titolo dallo
Stato,  dalla  Regione  e  dagli enti locali», nonche' gli interventi
realizzati  su  unita' abitative gia' oggetto di titolo in sanatoria,
ai  sensi  dei  capi IV e V della legge n. 47 del 1985 o dell'art. 39
della  legge n. 724 del 1994, «per la regolarizzazione amministrativa
di  interventi  di  nuova  costruzione  o di ristrutturazione nonche'
interventi  di  ampliamento  o  soprelevazione che abbiano comportato
nuove  unita' immobiliari». Tale disposizione violerebbe gli artt. 3,
primo  comma,  42,  117  e  119  Cost.,  in  quanto  la previsione di
ulteriori  (rispetto  a  quelle  previste dalla legislazione statale)
condizioni ostative all'ammissibilita' della sanatoria contrasterebbe
con   la   normativa  statale  di  principio,  con  il  principio  di
uguaglianza  e  con  la  disciplina  costituzionale  della proprieta'
privata,   determinando   una   irragionevole   discriminazione  «tra
proprietari  di  edifici ed anche tra autori (eventualmente imputati)
degli illeciti edilizi»;
        e) dell'art. 33,  comma  1, il quale dispone che «in tutto il
territorio  della  Regione  non  e' ammesso il rilascio dei titoli in
sanatoria per la costruzione di nuovi manufatti edilizi fuori terra o
interrati  realizzati  in contrasto con la legislazione urbanistica o
con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del
31 marzo 2003». Tale disposizione violerebbe l'art. 117, terzo comma,
Cost.,   perche',   escludendo  dalla  assoggettabilita'  al  condono
edilizio  i  nuovi  manufatti, contrasterebbe con la norma statale di
principio   di   cui   all'art. 32,   comma   25,  del  decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire lo
sviluppo  e  per  la  correzione  dell'andamento dei conti pubblici),
convertito,  con  modificazioni, dall'art. 1, della legge 24 novembre
2003,  n. 326,  secondo  la  quale  non  puo'  essere  esclusa  - ma,
eventualmente,  soltanto  delimitata  -  la  sanabilita'  delle nuove
costruzioni   residenziali   di   modeste  dimensioni  realizzate  in
contrasto con gli strumenti urbanistici. Contrasterebbe, inoltre, con
l'art. 117,  secondo  comma,  lettere  a)  ed  e)  Cost.,  in  quanto
inciderebbe  nelle materie - affidate alla competenza esclusiva dello
Stato  -  «dei  rapporti con l'Unione europea», della «moneta» e «del
sistema  tributario e contabile dello Stato», nonche' con l'art. 117,
terzo   comma,   con  l'art. 119  Cost.  e  la  potesta'  statale  di
coordinamento  della  finanza pubblica, con l'art. 81 Cost. in quanto
inciderebbe  negativamente sulla copertura finanziaria di molte leggi
di  spesa  che  «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio»,
determinando  una «indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del
Paese nel suo insieme»; con l'art. 3, Cost., in quanto la restrizione
dell'ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio
comporterebbe  una  violazione  del  principio  di  uguaglianza;  con
l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.  relativamente alla
competenza  statale  esclusiva  in  materia  di  ordinamento civile e
penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico
riceverebbe  nella Regione, per effetto dell'applicazione della norma
impugnata, un diverso trattamento giudiziario;
        f) dell'art. 33,  commi  2  e 3, nella parte in cui riduce in
modo sostanziale l'ammissibilita' della sanatoria per gli ampliamenti
e le sopraelevazioni, discostandosi dai limiti previsti dall'art. 32,
comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003. Tale disposizione violerebbe
l'art. 117,  terzo comma, Cost., perche', riducendo irrazionalmente e
irragionevolmente   l'ambito  degli  interventi  ammessi  al  condono
edilizio,  contrasterebbe  con l'art. 32, comma 25, del decreto-legge
n. 269  del  2003,  l'art. 117,  secondo  comma,  lettere  a)  ed  e)
l'art. 117,   terzo   comma,  nonche'  l'art. 119  Cost.,  in  quanto
ridurrebbe  il  gettito  finanziario previsto dalla normativa statale
sul  condono edilizio, in tal modo incidendo su materie di competenza
statale  esclusiva  («rapporti  dello  Stato  con  l'Unione europea»,
«moneta»)  e  concorrente  («coordinamento  della finanza pubblica»);
l'art. 81 Cost. in quanto avrebbe effetto sulla copertura finanziaria
di  molte  leggi  di  spesa  che  «fanno  affidamento sul gettito del
condono    edilizio»,    determinando    una    «indebita   turbativa
dell'equilibrio  finanziario  del  Paese  nel suo insieme»; l'art. 3,
Cost.,   in  quanto  la  restrizione  dell'ambito  applicativo  della
disciplina  statale del condono edilizio comporterebbe una violazione
del  principio di uguaglianza; l'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.  in  relazione  alla competenza statale esclusiva in materia di
ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di
illecito urbanistico riceverebbe, per effetto dell'applicazione della
norma  impugnata,  un diverso trattamento giudiziario; l'art. 3 Cost.
nella  parte  in cui introduce, per gli edifici bifamiliari (art. 32,
comma 3, lettera b) un limite (100 metri cubi) irragionevolmente piu'
severo rispetto a quello (cento metri quadrati) «che segna il confine
tra  la  nozione  di  variazione  essenziale  e  quella  di  parziale
difformita'   (per   l'Emilia-Romagna,   art. 23   della  legge  reg.
25 novembre 2002, n. 31)»;
        g) dell'art. 33,  comma  3  (ad  eccezione  della  lettera d)
concernente   gli  ampliamenti  e  le  sopraelevazioni  di  manufatti
esistenti,  e  dell'art. 34,  comma  2, concernente gli interventi di
ristrutturazione edilizia, nella parte in cui ammettono (soltanto) la
sanatoria  straordinaria  di  interventi  edilizi «che siano conformi
alla  legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni
degli  strumenti  urbanistici  vigenti  alla data del 31 marzo 2003»,
poiche'  violerebbero  l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto
contrasterebbero  con la normativa statale di principio relativa alla
individuazione  degli interventi ammissibili a sanatoria, non essendo
chiara  la  portata del requisito della conformita' alla legislazione
urbanistica  e potendo esso determinare una ridottissima possibilita'
di applicazione del condono, anche in relazione ad abusi minori;
        h) dell'art. 33,  comma  4,  il quale stabilisce che «qualora
gli  ampliamenti  di  cui al comma 3, lettera a) punto 1), riguardino
edifici  con  originaria  funzione  diversa da quella abitativa, tali
immobili  sono  obbligati  a  mantenere  una  destinazione  d'uso non
abitativa  nei  venti  anni successivi alla data di entrata in vigore
della  presente  legge», nella parte in cui vincola per venti anni la
destinazione  d'uso  degli immobili condonati, poiche' violerebbe gli
artt. 3,  117,  secondo comma, lettere a) e) ed l), 117, terzo comma,
119,   81   Cost.,   «l'autonomia  degli  enti  locali  in  relazione
all'esercizio  della  potesta'  urbanistica»,  l'art. 42  Cost.  e la
disciplina costituzionale della proprieta' privata;
        i)  e  l)  dell'art. 34,  comma  1,  il  quale  esclude dalla
sanatoria  gli interventi di ristrutturazione edilizia «realizzati in
contrasto con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli
strumenti  urbanistici  vigenti  alla  data  del 31 marzo 2003, fatto
salvo   quanto   disposto   dal  comma  2»,  senza  «distinguere  tra
ristrutturazioni  per  le quali e' necessario permesso di costruire e
ristrutturazioni  a  volumetria  e  superficie utile lorda invariate»
(che non comportano, di regola, alterazioni del carico urbanistico, e
dunque  non  implicano  oneri per la riqualificazione urbana a carico
delle  comunita'  locali),  nonche'  dell'art. 34,  comma 2, il quale
ammette  a  sanatoria  gli  interventi  di  ristrutturazione  purche'
ricorrano  le  condizioni elencate e siano conformi alla legislazione
urbanistica,  ed  in  particolare,  la  lettera a) la quale ammette a
sanatoria  gli  interventi  di  ristrutturazione  edilizia  che  «non
comportino  aumento  delle  unita'  immobiliari,  fatte  salve quelle
ottenute  attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in
edifici    residenziali   bifamiliari   e   monofamiliari»,   poiche'
violerebbero    l'art. 117,    terzo    comma,   Cost.,   in   quanto
contrasterebbero  con  la  normativa  statale  di  principio  che non
prevede tali limitazioni.
    3.  -  Con  riguardo alla legge regionale della Toscana n. 53 del
2004,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
        a) dell'art. 2,  comma  1,  nella  parte  in cui ammette alla
sanatoria   edilizia  soltanto  «le  opere  e  gli  interventi  (...)
realizzati   con  variazioni  essenziali  dal  titolo  abilitativo  o
comunque  in difformita' rispetto ad esso», escludendo dall'ambito di
applicazione  del  condono  gli  immobili  realizzati  in  assenza di
permesso  di  costruire,  ed inoltre, nella parte in cui subordina la
sanabilita'  al  «rispetto  dei  limiti  indicati  dal comma 2». Tale
disposizione  violerebbe  l'art. 117,  terzo comma, Cost., in quanto,
nel  circoscrivere  i limiti di volumetria e nell'escludere del tutto
tipologie   di   abusi  dall'ambito  degli  interventi  ammessi  alla
sanatoria,  contrasterebbe  con il principio fondamentale posto dalle
norme  statali  concernenti  il  condono  edilizio  che consente alle
Regioni   soltanto   la   possibilita'   di   «specificare  i  limiti
(quantitativi  e  non)  della  sanabilita»,  nonche' di «limare entro
margini  di  ragionevole  tollerabilita'  (...) le volumetrie massime
previste dal legislatore statale»; l'art. 117, secondo comma, lettere
a)  ed  e) Cost., in quanto inciderebbe nelle materie - affidate alla
competenza  esclusiva  dello  Stato  -  dei  «rapporti  con  l'Unione
europea»,  della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello
Stato»;  l'art. 117,  terzo  comma,  e l'art. 119 Cost. e la potesta'
statale  di coordinamento della finanza pubblica; l'art. 81 Cost., in
quanto  comprimerebbe  il  gettito derivante dal condono edilizio sul
quale  piu'  leggi  del Parlamento farebbero affidamento, ledendo «le
potesta'  statali  di  governo  della  finanza  pubblica»,  e potendo
«essere  considerato  indebita  turbativa dell'equilibrio finanziario
del  Paese  nel  suo  insieme»;  l'art. 3  Cost.  ed  il principio di
eguaglianza;  l'art. 117,  comma  2,  lettera l), Cost., in relazione
alla  competenza  esclusiva  statale  in  esso prevista nelle materie
dell'ordinamento  civile  e penale, in ragione della «asistematicita»
delle  pronunzie  giurisdizionali  che  i  giudici  comuni  sarebbero
chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata;
        b) dell'art. 2,  comma  2,  che  individua gli interventi non
suscettibili  di  sanatoria,  poiche'  violerebbe  l'art. 117,  terzo
comma,   Cost.   in   quanto   si  discosterebbe  «eccessivamente»  e
«irrazionalmente»,  dai  «limiti  quantitativi»  alla  sanabilita' di
ampliamenti  e ristrutturazioni, previsti dall'art. 32, comma 25, del
decreto-legge  n. 269  del  2003;  violerebbe,  altresi', l'art. 117,
secondo  comma,  lettere  a) ed e) Cost., in quanto inciderebbe nelle
materie  -  affidate  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato - dei
«rapporti  con  l'Unione  europea»,  della  «moneta»  e  del «sistema
tributario  e  contabile  dello  Stato»;  l'art. 117,  terzo comma, e
l'art. 119 Cost. e la potesta' statale di coordinamento della finanza
pubblica;   l'art. 81  Cost.,  in  quanto  comprimerebbe  il  gettito
derivante  dal  condono  edilizio sul quale piu' leggi del Parlamento
farebbero  affidamento, ledendo «le potesta' statali di governo della
finanza  pubblica»,  e potendo «essere considerato indebita turbativa
dell'equilibrio  finanziario  del  Paese  nel  suo insieme»; l'art. 3
Cost.  ed  il  principio di eguaglianza; l'art. 117, comma 2, lettera
l),  Cost.,  in  relazione  alla competenza esclusiva statale in esso
prevista  nelle  materie dell'ordinamento civile e penale, in ragione
della  «asistematicita» delle pronunzie giurisdizionali che i giudici
comuni  sarebbero  chiamati a rendere in applicazione della normativa
impugnata;
        c) dell'art. 2,  comma  5,  lettera  c)  il quale esclude del
tutto  dalla sanatoria «le opere e gli interventi in contrasto con le
destinazioni  d'uso  ammesse, nella zona interessata, dagli strumenti
urbanistici vigenti al momento dell'entrata in vigore» della medesima
legge, poiche' violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost, introducendo
«un limite non sorretto da (un) principio determinato dal legislatore
statale»,   nonche'   in   quanto   consentirebbe,   «nella  concreta
applicazione»  della normativa, «discrezionalita' non compatibili con
la `meccanica' di un condono edilizio»;
        d) dell'art. 2,  comma  6,  ai  sensi  del  quale, «qualora i
vincoli  di  cui  al comma 4 e al comma 5, lettera a) siano istituiti
dopo  l'entrata  in  vigore  della  presente legge, si applica quanto
previsto  dall'articolo 32 della l. n. 47/1985. Si applica ugualmente
l'articolo 32 della l. n. 47/1985 per la sanatoria delle opere di cui
al  comma 5, lettera a) conformi agli strumenti urbanistici», laddove
sembra attribuire ai vincoli istituiti dopo l'entrata in vigore della
legge  de  qua  «la  forza  di  impedire la sanatoria straordinaria»,
poiche'  violerebbe  gli  artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119
Cost;  l'art. 3  Cost., in quanto il principio di eguaglianza sarebbe
«irrazionalmente  leso  dalla  facolta' (e dalla attuale minaccia) di
travolgere  in  futuro  ed  in  modo  discrezionale l'affidamento del
cittadino  che  autodenuncia  l'abuso edilizio»; l'art. 97 Cost. ed i
principi di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione.
    4. - In relazione alla legge regionale della Regione Marche n. 23
del 2004, l'Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
        a) dell'art. 3,  commi  1  e  3, nella parte in cui introduce
limiti   quantitativi   all'ambito   degli  interventi  ammessi  alla
sanatoria  straordinaria, riducendo le volumetrie massime assentibili
ed  escludendo  quasi del tutto la sanatoria per le nuove costruzioni
residenziali,  in  tal  modo  ponendosi  in  contrasto con i principi
stabiliti   dalla   legislazione   statale,  poiche'  violerebbe  gli
artt. 81,  117, secondo comma, lettere a) e) ed l), 117, terzo comma,
119  Cost.  (per  le  medesime  ragioni invocate nei ricorsi n. 114 e
n. 115  del  2004),  nonche' l'art. 3 Cost. in quanto alterna in modo
«poco razionale» «misure di volumetria a misure di superficie», senza
specificare  se  si  tratta  di superficie utile lorda o netta, ed in
quanto  sopprime  «la  essenziale distinzione tra nuove costruzioni e
ampliamenti»  ed  inoltre  per  aver «fatto ricorso soltanto a limiti
massimi espressi in cifre assolute»;
        b) dell'art. 3,  nella  parte  in  cui  -  per  effetto della
soppressione  del  limite  del  30  per  cento della volumetria e del
limite  di  3. 000 metri cubi previsti dall'art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003, nonche' a causa della mancata differenziazione delle
nuove   costruzioni   non   residenziali  -  estende  l'ambito  della
sanabilita',  in quanto violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., il quale attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato
la materia dello «ordinamento civile e penale».
    5.  -  Con  riguardo alla legge della Regione Lombardia n. 31 del
2004,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
        a),  b),  c)  e  d)  dell'art. 2, comma 1, nella parte in cui
esclude   dalla   sanatoria   straordinaria  le  «nuove  costruzioni,
residenziali   e  non,  qualora  realizzate  in  assenza  del  titolo
abilitativo  edilizio  e  non  conformi  agli  strumenti  urbanistici
generali  vigenti  alla  data  di  entrata  in  vigore della presente
legge»;  della  medesima  disposizione,  nella  parte  in  cui appare
escludere  anche le opere realizzate in totale difformita' dal titolo
o con variazioni essenziali; ancora dell'art. 2, comma 1, nella parte
in  cui  riduce - in relazione agli ampliamenti - i limiti massimi di
volumetria    aggiuntiva    ammessi    a   sanatoria   straordinaria,
consentendoli  solo  ove  contenuti  entro  il  «20  per  cento della
volumetria  della  costruzione  originaria  o, in alternativa, di 500
metri cubi»; dell'art. 2, comma 2, il quale, nello stabilire che «non
sono  suscettibili  di  sanatoria  i mutamenti di destinazione d'uso,
qualora  superiori  a 500 metri cubi per singola unita' immobiliare e
non  conformi alle previsioni urbanistiche comunali vigenti alla data
di  entrata  in  vigore  della  presente  legge», pone due differenti
limiti,  ulteriori  a  quelli stabiliti dalla normativa statale, alla
sanabilita'  dei  mutamenti di destinazione d'uso, «senza distinguere
tra  mutamenti  implicanti  opere  ed altri mutamenti e tra mutamenti
incidenti sui carichi urbanistici ed altri mutamenti».
    Le indicate disposizioni, secondo il ricorrente, violerebbero gli
artt. 3,  81,  117,  secondo  comma,  lettere a) e) ed l), 117, terzo
comma,  e  119  Cost.  per  le  medesime ragioni invocate nei ricorsi
nn. 114 e 115 del 2004;
        e) dell'art. 3,  comma  1, ove «considerato esaustivo ed a se
stante» rispetto alla legislazione statale, e dunque, «interpretabile
a contrario» nel senso di consentire un ampliamento dell'ambito della
sanatoria,  poiche'  violerebbe  l'art. 117,  terzo  comma, Cost., in
quanto  sarebbe  contrastante  «con  il principio posto dall'art. 32,
comma 27, lettera d)», del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e
l'art. 117,  secondo  comma,  lettera l), Cost. in quanto invaderebbe
l'ambito   della   competenza   statale   esclusiva   in  materia  di
«ordinamento civile e penale».
    6. - In relazione alla legge della Regione Veneto n. 21 del 2004,
l'Avvocatura   generale   dello   Stato   afferma  la  illegittimita'
costituzionale:
        a) dell'art. 3,  comma  1,  lettera  a)  il  quale  ammette a
sanatoria  «le  tipologie  di opere di cui all'allegato 1 della legge
sul  condono»  a  condizione  che  «gli  ampliamenti di costruzioni a
destinazione   industriale,  artigianale  e  agricolo-produttiva  non
superino  il 20 per cento della superficie coperta fino ad un massimo
di  450  metri  quadrati  di  superficie lorda di pavimento», poiche'
violerebbe  l'art. 117,  terzo comma, Cost, in quanto, individuando i
limiti   quantitativi  degli  abusi  sanabili  con  riferimento  alla
superficie  e  non al volume, renderebbe possibile il superamento del
limite  di  750  metri  cubi  fissato  dall'art. 32,  comma  25,  del
decreto-legge   n. 269   del   2003,  in  contrasto  con  i  principi
fondamentali della materia «governo del territorio» individuati dalla
sentenza  di  questa  Corte  n. 196 del 2004 nella disciplina statale
posta   dall'art. 32   del  decreto-legge  n. 269  del  2003,  ed  in
particolare  con  il  limite  massimo  delle  volumetrie sanabili ivi
indicato;  nonche'  l'art. 117,  secondo comma, lettera l), Cost., in
quanto,  estendendo  l'ambito  della  sanabilita', determinerebbe una
palese  invasione della competenza statale in materia di «ordinamento
civile e penale»;
        b) dell'art. 3,  comma 1, lettera c) il quale, nella parte in
cui  dispone  che  «le tipologie di opere di cui all'allegato 1 della
legge   sul   condono  sono  suscettibili  di  sanatoria  edilizia  a
condizione  che  (...)  c)  le  nuove costruzioni siano pertinenze di
fabbricati  residenziali  prive di funzionalita' autonoma, fino ad un
massimo  di  300  metri cubi», esclude dal condono edilizio le «nuove
costruzioni  residenziali»  diverse  da quelle pertinenziali e aventi
volumetria  non  superiore  a  300  metri  cubi,  poiche'  violerebbe
l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto contrasterebbe con «un
principio   determinato  dal  legislatore  statale»  nonche'  con  la
«configurabilita»  -  che  sarebbe  stata  ammessa  anche dalla Corte
costituzionale   -   «di  una  sanatoria  straordinaria  di  illeciti
urbanistici»;   violerebbe,   inoltre,   l'art. 117,   terzo   comma,
l'art. 119  Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento
della  finanza  pubblica; l'art. 117, secondo comma, lettere a) ed e)
Cost.,  in  quanto  inciderebbe sulla competenza esclusiva statale in
materia  di  «rapporti  con l'Unione europea», «moneta», «ordinamento
civile  e penale»; l'art. 81 Cost., per contrasto con il principio di
copertura  finanziaria; l'art. 3, Cost. e il principio di eguaglianza
ivi  sancito;  l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto
invaderebbe l'ambito della competenza statale esclusiva in materia di
«ordinamento civile e penale»;
    c) dell'art. 3, comma 3, il quale dispone che «ad integrazione di
quanto  previsto  dall'articolo  32,  commi  26 e 27, della legge sul
condono,  nelle  aree assoggettate ai vincoli di cui all'articolo 32»
della   legge  n. 47  del  1985  e  successive  modificazioni,  «sono
suscettibili di sanatoria edilizia, a condizione che l'intervento non
sia precluso dalla disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i
seguenti  interventi,  ancorche'  eseguiti  in  epoca successiva alla
imposizione  del  relativo  vincolo:  a)  i mutamenti di destinazione
d'uso,  con  o  senza  opere, qualora la nuova destinazione d'uso sia
residenziale  e non comporti ampliamento dell'immobile; b) le opere o
modalita'  di  esecuzione  non valutabili in termini di volume». Tale
disposizione,  nella  misura in cui farebbe riferimento ad interventi
non  incidenti  sulla  volumetria,  ma solo sulla «superficie utile»,
escludendo   dalla   sanatoria   «ogni   altro  intervento  abusivo»,
violerebbe  gli  artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per  le  medesime  ragioni  indicate  nei  ricorsi nn. 114 e 115 del
2004),  nonche'  l'art. 117,  secondo comma, lettera s), Cost. sia in
quanto sarebbe riservata al legislatore statale «la tutela dei valori
(ad  esempio  ambientali)  presidiati» dai vincoli di cui all'art. 32
della  legge  n. 47  del  1985,  sia  in  quanto  possa  in  concreto
consentire  la  sanatoria  che sarebbe invece esclusa in via assoluta
dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985.
    7. - In relazione alla legge della Regione Umbria n. 21 del 2004,
l'Avvocatura   generale   dello   Stato   afferma  la  illegittimita'
costituzionale:
        a) dell'art. 20,   comma   1,   lettera   a)  il  quale,  nel
disciplinare la sanabilita' degli ampliamenti di fabbricati esistenti
introducendo  limiti  quantitativamente  diversi  rispetto  a  quelli
previsti  dall'art. 32,  comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003,
discrimina  tra  unita' immobiliari destinate ad attivita' produttive
ed  altre unita' immobiliari e determina tali limiti in «metri quadri
di  superficie  utile  coperta», anziche' in termini di volume, cosi'
violando  gli  artt. 3,  81,  117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per  le  medesime  ragioni  indicate  nei  ricorsi nn. 114 e 115 del
2004);
        b) dell'art. 20,  comma  1,  lettera  c)  il quale ammette la
sanatoria  delle  «opere  riconducibili  alle  seguenti  tipologie di
illecito  edilizio indicate con i numeri 3, 4, 5 e 6 dell'Allegato 1»
al  decreto-legge n. 269 del 2003, anche con eventuale modifica delle
destinazioni  d'uso  le quali «siano esse realizzate in conformita' o
in  difformita'  dalle  norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli
strumenti   urbanistici   alla  data  del  2 ottobre  2003»,  poiche'
violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, ove la data del
2 ottobre   2003  fosse  riferita  alla  realizzazione  delle  opere,
contrasterebbe  «con  il  fondamentale  principio posto dall'art. 32,
comma  25,  del  citato  decreto-legge  30 settembre 2003, n. 269, il
quale  fa  riferimento alle opere realizzate entro il 31 marzo 2003»;
l'art. 117, secondo comma, lettera l), in quanto invade la competenza
esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e penale;
        c) dell'art. 21,  comma  1,  lettera  c)  nella  parte in cui
esclude  la  sanabilita' di opere abusive che comportino «utilizzo di
aree  in zona agricola per usi del suolo diversi da quello agricolo»,
potendo   determinare  la  preclusione  della  sanatoria  nelle  zone
agricole,  oltretutto  in  contraddizione  con il precedente art. 20,
comma  1,  lettera a) numero 3, ove viene espressamente menzionata la
«zona  E»,  poiche'  violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo
comma,  e  119  Cost.,  in  quanto  determinerebbe  una irragionevole
diminuzione dell'ambito degli interventi condonabili;
        d) dell'art. 21, comma 1, lettera d) il quale, escludendo dal
condono   edilizio  straordinario  i  «nuovi  edifici,  salvo  quanto
previsto  dall'art. 20,  comma  1,  lettera b)», della medesima legge
regionale,   ridurrebbe   l'ambito  delle  fattispecie  passibili  di
sanatoria,   in   contrasto   con   i   principi  fondamentali  posti
dall'art. 32,  comma  25, del decreto-legge n. 269 del 2003, ai sensi
del  quale  sarebbero ammesse a sanatoria anche le «nuove costruzioni
residenziali»,  violerebbe  gli  artt. 3,  81,  117,  secondo e terzo
comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni svolte nei ricorsi n. 114
e n. 115 del 2004);
        e) dell'art. 21,  comma  1,  lettera  e)  nella  parte in cui
esclude  la  sanabilita'  dell'ampliamento di edifici la cui «intera»
costruzione  abbia  gia' beneficiato di «precedenti condoni edilizi»,
poiche'  violerebbe  l'art. 3  Cost.,  in  quanto  introdurrebbe  una
disuguaglianza  non  sorretta  da  un  principio  della  legislazione
statale;  gli  artt. 3  e 42 Cost., in quanto gli attuali proprietari
degli  edifici  in questione potrebbero essere soggetti diversi dagli
autori   dei  precedenti  abusi  e  dai  proprietari  degli  immobili
all'epoca  in  cui  essi  sono  stati realizzati; l'art. 117, secondo
comma,  lettera  l),  Cost.  in  quanto  tale discriminazione sarebbe
invasiva   della   competenza   esclusiva   statale   in  materia  di
«ordinamento civile e penale»;
        f) dell'art. 21,   comma   1,   lettera   h),   il   quale  -
nell'escludere  dalla  sanatoria gli interventi «di ampliamento nelle
zone  omogenee A di cui al D.M. n. 1444/1968» ad eccezione «di quelli
di  cui  all'articolo  20,  comma  2» - equipara «i centri storici ai
`siti  archeologici' e tutti i relativi edifici a quelli sottoposti a
vincolo   extraurbanistico»,  cosi'  determinando  una  irragionevole
diminuzione  dell'ambito  degli  interventi per i quali e' ammesso il
condono  edilizio; tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 81, 117,
secondo  e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni indicate
nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004);
        g) dell'art. 19,  il  quale al comma 1 afferma che «i limiti,
le  condizioni  e le modalita' per il rilascio del titolo abilitativo
in  sanatoria (...) sono disciplinate dal presente titolo», mentre al
successivo  comma 2 afferma che «per quanto non disposto dal presente
titolo  si  applicano»  le  normative  statali  del  1985 e del 1994,
nonche'  i  termini  temporali,  le modalita' e le procedure previste
dalle  norme  statali  del  2003, «in connessione con le doglianze in
precedenza  formulate»; tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 81,
117,  secondo  e  terzo  comma,  e  119  Cost., in quanto conterrebbe
disposizioni  poco  chiare  ed inoltre, in quanto la mancata menzione
delle «successive modifiche ed integrazioni» della disciplina statale
del 1985 e del 1994 potrebbe «ingenerare incertezze e controversie»;
        h) dell'art. 27, comma 4, il quale dispone che «l'ampliamento
di  cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 20, per gli edifici
costituiti  da  piu' unita' immobiliari dello stesso avente titolo, o
da  unita' immobiliari pertinenziali insistenti all'interno del lotto
o  dell'area,  sempre  dello stesso avente titolo, e' ammesso per una
sola volta ed e' riferito alla sommatoria delle superfici di tutte le
unita'  immobiliari interessate, salvo che ogni unita' immobiliare si
configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi»,
laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di piu' proprietari
di unita' immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico
proprietario  di piu' unita' immobiliari autonome, poiche' violerebbe
l'art. 117, terzo comma, Cost.
    8.  -  Con  riguardo  alla legge della Regione Campania n. 10 del
2004,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
        a) degli  artt. 1,  3  (eccettuate le lettere b e d del comma
2),  4,  6  (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8, in quanto emanati quando
era oramai decorso il termine di quattro mesi (scaduto il 12 novembre
2004)  stabilito  dall'art. 5,  comma  1, del decreto-legge 12 luglio
2004,  n. 168  (Interventi  urgenti  per  il contenimento della spesa
pubblica),  convertito  con modificazioni nella legge 30 luglio 2004,
n. 191,  per l'emanazione della legge di cui al comma 26 dell'art. 32
del  decreto-legge  n. 269 del 2003, cosi' violando l'art. 117, terzo
comma,  Cost.  e  il  principio di «leale collaborazione», in quanto,
decorso  il termine suddetto, la potesta' normativa regionale avrebbe
potuto essere esercitata soltanto recependo la normativa statale gia'
divenuta applicabile, «senza possibilita' di contraddirla»;
        b),  c)  d) e) dell'art. 1, comma 1, il quale dispone che «la
presente  legge  disciplina  la  possibilita',  le  condizioni  e  le
modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria degli abusi edilizi di cui
al  decreto  legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito
in   legge  dalla  legge  24 novembre  2003,  n. 326,  articolo  1  e
successive modificazioni e integrazioni», laddove sia suscettibile di
essere  interpretato  nel  senso  di escludere «dal tessuto normativo
complessivo»  le  disposizioni  statali  in esso citate; dell'art. 3,
comma  1,  nella  parte  in cui esclude dalla sanatoria straordinaria
tutte  le  «opere  abusive  che  hanno comportato la realizzazione di
nuove   costruzioni   difformi   dalle  norme  urbanistiche  e  dalle
prescrizioni   degli  strumenti  urbanistici  vigenti  alla  data  di
esecuzione   delle   stesse»,   in   contrasto   con   l'art. 32  del
decreto-legge  n. 269  del  2003,  ed  inoltre  nella  parte  in cui,
irrazionalmente darebbe rilevanza a norme e strumenti urbanistici non
piu' vigenti al momento dell'entrata in vigore della legge regionale;
dell'art. 4,  comma  1,  lettera  a)  il  quale,  disponendo che sono
sanabili  le  opere  abusive  rientranti  tra  le  tipologie  di  cui
all'allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se le stesse «hanno
comportato  un  ampliamento  del  manufatto inferiore al quindici per
cento  della  volumetria  della  costruzione  originaria,  sempre che
l'ampliamento non superi complessivamente i 250 metri cubi», pone per
gli  ampliamenti  due  limiti  piu' severi rispetto a quelli previsti
dalla  norma  statale  ed  inoltre  tra  loro  cumulativi in tal modo
restringendo  l'ambito della sanatoria; dell'art. 4, comma 1, lettera
b)  il quale stabilisce che sono sanabili le opere abusive che «hanno
comportato  la realizzazione di nuove costruzioni conformi alle norme
urbanistiche  e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti
alla  data  di  esecuzione  delle  stesse  e  aventi  una  volumetria
inferiore  a  250 metri cubi per singola richiesta di titolo edilizio
in   sanatoria,   sempre   che   la   nuova  costruzione  non  superi
complessivamente i 600 metri cubi».
    Tutte  le  summenzionate  disposizioni  violerebbero,  secondo il
ricorrente,  l'art. 117,  terzo comma, Cost., in quanto, introducendo
limiti    quantitativi   alla   sanabilita'   delle   opere   abusive
«irrazionalmente  ed  eccessivamente  inferiori  a quelli determinati
dall'art. 32,  comma  25»,  della normativa statale, contrasterebbero
con  i  principi fondamentali da essa posti; l'art. 117, terzo comma,
l'art. 119  Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento
della  finanza  pubblica; l'art. 117, secondo comma, Cost., in quanto
inciderebbero  sulla  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di
«rapporti  con  l'Unione  europea»,  «moneta»,  «ordinamento civile e
penale»; l'art. 81 Cost., per contrasto con il principio di copertura
finanziaria;  l'art. 3,  Cost.  e  il  principio  di  eguaglianza ivi
sancito;
        f) dell'art. 3, comma 2, lettera a) «con i connessi commi 3 e
4»,  e  l'art. 4,  comma 1, lettera c) nella parte in cui restringono
l'ambito  degli  interventi  sanabili  negando  rilevanza  al  parere
favorevole  delle  autorita'  preposte  alla tutela del vincolo senza
distinguere   se   tale   vincolo   sia  anteriore  all'abuso  ovvero
successivo,  poiche'  violerebbero  gli  artt. 3,  81, 117, secondo e
terzo  comma,  e  119  Cost. (per le medesime ragioni di cui al punto
precedente), nonche' l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost;
        g) dell'art. 3, comma 2, lettera a) «con i connessi commi 3 e
4»,  e  l'art. 4,  comma  1,  lettera c) nella parte in cui estendono
l'ambito  degli  interventi  sanabili in ragione del riferimento alle
norme  urbanistiche  e  alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti  alla  data  di  esecuzione  delle  opere  abusive,  norme  e
strumenti che potrebbero risultare meno severi di quelli vigenti alla
data  di entrata in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, poiche'
violerebbero  l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.  contrastando  con  i
principi  fondamentali  posti  dalla  normativa  statale; l'art. 117,
secondo  comma,  lettera  l), Cost., in quanto invadono la competenza
statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale»;
        h) dell'art. 3,  comma 2, lettera c) il quale, disponendo che
non  possono essere sanate le opere «realizzate su aree facenti parte
o di pertinenza del demanio pubblico», e non distinguendo tra demanio
statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe l'ambito delle
ipotesi  di  esclusione dalla sanabilita' gia' prevista dall'art. 32,
comma  14,  decreto-legge  n. 269  del  2003,  poiche' violerebbe gli
artt. 42  e  117,  secondo  comma,  lettera g) Cost., in relazione al
demanio   statale,  per  il  quale  la  sanabilita'  delle  opere  e'
subordinata  al  previo  esplicito consenso dello Stato proprietario;
l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.  in  quanto  contrasterebbe  con un
principio determinato dalla normativa statale (art. 32, comma 14, del
decreto-legge  n. 269  del 2003 e art. 32, comma 6, della legge n. 47
del  1985);  l'art. 117,  terzo comma, Cost. in relazione ai beni del
demanio  provinciale  e comunale, in quanto la disposizione regionale
non  sarebbe  sorretta da alcun principio determinato dalla normativa
statale;
        i) dell'art. 4,  comma  1,  lettera  d) il quale ammette alla
sanatoria  gli  interventi  che  «hanno comportato un ampliamento del
manufatto, gia' oggetto di condono ai sensi delle disposizioni di cui
alla  legge  28 febbraio  1985,  n. 47, capi IV e V, o ai sensi della
legge  23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, inferiore al cinque per
cento  della  volumetria  della  costruzione  originaria,  sempre che
l'ampliamento  non  superi  complessivamente  i  cento  metri  cubi»,
poiche' violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a) e)
ed  l), 117, terzo comma, e 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle
svolte nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004), nonche' l'art. 42 Cost. e
la garanzia costituzionale della proprieta'.
        9.  - Nel giudizio instaurato con ricorso n. 114 del 2004, la
Regione Emilia-Romagna, con atto depositato il 12 gennaio 2005, si e'
costituita  in  giudizio,  chiedendo  che  le  questioni proposte dal
Presidente  del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili
o  infondate,  e  riservando  ulteriori  deduzioni  ad una successiva
memoria.
        10.  -  Nella memoria depositata in data 30 novembre 2005, la
Regione  Emilia-Romagna  osserva innanzitutto che l'art. 33, comma 1,
avrebbe  riguardo  «ad  uno  solo  dei  sette  tipi di intervento che
compongono  il  genus  "interventi  di  nuova costruzione"» di cui al
punto  g)  dell'Allegato  alla  legge  regionale  n. 31  del  2002, e
all'interno  di quel tipo, si riferirebbe «solo ai nuovi manufatti, e
non  agli  ampliamenti».  Inoltre,  l'esclusione  del  condono per le
costruzioni edificate ex novo in modo totalmente abusivo rientrerebbe
nel   potere   regionale   di  modulare  la  dimensione  del  condono
all'interno    dei    principi   fondamentali,   come   espressamente
riconosciuto  da  questa Corte nella sentenza n. 196 del 2004 e nella
sentenza  n. 71  del  2005.  Relativamente  alle  censure  svolte nei
confronti  dell'art. 33,  commi  2  e 3, la Regione premette che tale
disposizione  ammette  il  rilascio  del titolo in sanatoria - seppur
solo  in  determinati casi - per gli ampliamenti e le sopraelevazioni
di  manufatti  esistenti  conformi  alla  legislazione urbanistica ma
contrastanti con gli strumenti urbanistici vigenti il 31 marzo 2003.
    Per  quanto  riguarda i limiti quantitativi al condono, rileva la
difesa regionale che non esisterebbe alcun nesso tra l'istituto della
variazione  essenziale  (neppure considerato dal decreto-legge n. 269
del 2003) e quello del condono: il primo rileverebbe ai fini del tipo
di  sanzione,  il  secondo avrebbe come risultato la regolarizzazione
dell'opera.
    Per  quanto riguarda l'art. 34, commi 1 e 2, il quale non ammette
la   sanatoria   per  gli  interventi  di  ristrutturazione  edilizia
realizzati   in  contrasto  con  la  legislazione  urbanistica  o  le
prescrizioni  degli  strumenti  vigenti  al 31 marzo 2003, la Regione
sostiene  che il condono sarebbe escluso solo per le ristrutturazioni
contrarie    alla   legislazione   urbanistica,   mentre   le   altre
ristrutturazioni   sarebbero  condonabili  anche  se  contrarie  agli
strumenti urbanistici, purche' ricorrano le condizioni indicate.
    Le  censure  concernenti  la violazione delle potesta' statali in
materia  di  rapporti  con  l'Unione  europea  «e relativi stringenti
`vincoli», di moneta e di sistema tributario e contabile dello Stato,
oltre   che   inammissibili   per   genericita',   essendo  prive  di
argomentazione, sarebbero altresi' «stravaganti» ed infondate. Dietro
l'impropria  invocazione  di  tali parametri normativi, vi sarebbe il
rifiuto  di prendere atto che la titolarita' del diritto di stabilire
con  legge  le  dimensioni del condono edilizio - come chiarito dalla
Corte  -  non spetta in via esclusiva allo Stato, ma e' condivisa tra
lo Stato e le Regioni.
    Inammissibile  per genericita' sarebbe anche la censura sollevata
in  relazione  all'art. 117,  secondo  comma,  lettera l), Cost. Essa
sarebbe  altresi' infondata dal momento che l'art. 26, comma 2, della
legge   impugnata   precisa   che   i   limiti   posti  non  incidono
sull'estinzione del reato, che consegue al pagamento dell'oblazione.
    Priva  di  fondamento  sarebbe  inoltre  la  asserita lesione del
principio di uguaglianza in quanto le pronunce `asistematiche' di cui
si   duole   l'Avvocatura,   sarebbero  frutto  dell'esistenza  della
competenza   legislativa   regionale   in   materia  di  governo  del
territorio.
    Per quanto attiene all'art. 32 legge regionale, la Regione rileva
che  solo  se  l'unita'  abitativa  e' stata oggetto in passato di un
rilevante abuso (condonato) essa non e' ammessa alla nuova sanatoria.
    Inoltre,   l'esclusione  degli  interventi  abusivi  per  la  cui
realizzazione   sono   stati   utilizzati   contributi   pubblici  si
giustificherebbe  per  la  riprovevolezza  della  condotta ed avrebbe
finalita' sia afflittiva verso il trasgressore, sia preventiva.
    L'obbligo,  posto dall'art. 33, comma 4, di non modificare per 20
anni  la destinazione d'uso non abitativa per gli ampliamenti abusivi
che   beneficino   della   sanatoria,  mirerebbe  a  non  incentivare
ampliamenti  abusivi di edifici non residenziali. In tale prospettiva
la  limitazione  del  diritto  di proprieta' si giustificherebbe alla
luce dell'art. 42, secondo comma, Cost.
    Per  quanto concerne l'art. 26, comma 4, che prevede la sanatoria
delle  opere  edilizie  autorizzate  e  realizzate anteriormente alla
legge  n. 10  del 1977, che presentino difformita' esecutive, osserva
la  Regione che la disposizione avrebbe ad oggetto una sola tipologia
di  abusi,  e  cioe'  le  difformita' esecutive lievi e risalenti nel
tempo  e si giustificherebbe per l'esigenza di assicurare la certezza
del  diritto  e  la  facilita'  degli  scambi  privati. Essa inoltre,
opererebbe  non  solo  ai fini del condono straordinario, ma anche «a
regime».
    Inammissibile   sarebbe   infine   la  censura  proposta  avverso
l'art. 29,   comma   2,   e   l'art. 8,   comma  3,  per  carenza  di
specificazione  nella  delibera  del  Consiglio  dei  ministri.  Tale
censura  sarebbe  comunque infondata, in quanto basata su una erronea
lettura  della  norma  la  quale  non  riguarda  le asseverazioni del
professionista  in  quanto  la  norma  impone  semplicemente oneri di
comunicazione alle competenti autorita', delle risultanza istruttorie
da cui risulta che le asseverazioni non corrispondono al vero.
    11.  -  Anche  l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria
nella  quale,  oltre  a ribadire le censure gia' proposte nel ricorso
n. 114  del 2004, si sofferma sulle previsioni in tema di sanabilita'
di  ampliamenti  e sopraelevazioni, contenute nell'art. 33, commi 2 e
3,  della  legge regionale emiliana. Tale disposizione, ammettendo il
condono solo per le opere che pur essendo difformi dalla legislazione
urbanistica,   siano   conformi  alle  prescrizioni  degli  strumenti
urbanistici,   contrasterebbe   con   il  «principio-cardine  di  una
normativa  del  condono  edilizio» che, per definizione opererebbe in
deroga  agli  strumenti urbanistici. In ordine al diverso trattamento
riservato  agli  edifici  residenziali  (art. 33, comma 3, lettera b)
rispetto a quelli non residenziali (art. 33, comma 3, lettera a) esso
non  troverebbe  riscontro nella normativa statale, ed inoltre, nella
parte  in  cui  limita l'aumento di cubatura sanabile, contrasterebbe
con  il  principio  enunciato  dall'art. 32,  comma 25, decreto-legge
n. 269  del  2003.  Tale principio sarebbe violato anche dalla totale
esclusione   della   sanabilita'  di  ampliamenti  e  sopraelevazioni
realizzati  in  edifici residenziali diversi da quelli unifamiliari e
bifamiliari.
    12.  - Nel giudizio introdotto con il ricorso n. 115 del 2004, la
Regione  Toscana si e' costituita in giudizio, con atto depositato il
14 gennaio  2005,  chiedendo che le questioni proposte con il ricorso
del   Presidente   del   Consiglio   dei  ministri  siano  dichiarate
inammissibili  o  infondate,  e riservando ulteriori deduzioni ad una
successiva memoria.
    13.   -  Nella  memoria  depositata  successivamente,  la  difesa
regionale   afferma,  innanzitutto,  che  le  disposizioni  impugnate
rispetterebbero  i limiti fissati dalla giurisprudenza costituzionale
sul   condono  edilizio,  tenendo  conto  «della  specificita'  della
situazione sia normativa che territoriale della Toscana». In coerenza
con  la  legislazione  regionale  in  materia  di attivita' edilizie,
l'art. 2  della  legge  impugnata esclude dal condono le edificazioni
totalmente   nuove   e  senza  titolo,  nonche'  le  ristrutturazioni
urbanistiche  anch'esse  senza  titolo. Invece, per tutte le restanti
opere sarebbe ammessa la sanatoria straordinaria sia se realizzate in
mancanza del titolo sia se in difformita' dal medesimo.
    Infondate  sarebbero  le  censure  con  cui  lo  Stato lamenta la
violazione  della  competenza  statale  in  materia  di  rapporti con
l'Unione  europea,  moneta e di coordinamento della finanza pubblica.
In particolare, ove si trascurasse, come fa l'Avvocatura dello Stato,
il  contenuto  specifico  della normativa, si consentirebbe sempre al
legislatore  statale di interferire in ambiti di competenza regionale
in  nome  del  «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  perche' la
disciplina di tutte le materie ha risvolti in termini finanziari.
    Inammissibile  sarebbe  poi  la  censura  formulata  in relazione
all'art. 3   Cost.,   in   quanto  generica.  Essa  sarebbe  comunque
infondata,  perche'  la  possibilita'  per i legislatori regionali di
disciplinare  la  sanatoria  straordinaria sarebbe stata riconosciuta
come legittima dalla Corte.
    Ugualmente  generica,  e comunque infondata, sarebbe la censurata
violazione  dell'art. 117,  secondo comma, lettera l), Cost. La legge
regionale infatti, non inciderebbe sulla sfera penale del condono, ma
si  limiterebbe  a regolarne gli effetti amministrativi e le relative
sanzioni amministrative.
    Per  quanto concerne i limiti posti dall'art. 2, comma 5, lettera
c)  alla  sanabilita' dei mutamenti di destinazione d'uso, afferma la
Regione  che l'impugnazione del Governo sarebbe inammissibile perche'
si  risolverebbe  in  un  sindacato  di merito. Essa sarebbe comunque
infondata,  dal  momento  che il cambio di destinazione d'uso avrebbe
rilevanti conseguenze dal punto di vista urbanistico.
    Infondata,  sarebbe  infine  la  censura  mossa avverso l'art. 2,
comma  6: subordinandosi, infatti, la sanatoria delle opere, nel caso
in  cui  i vincoli siano stati apposti dopo l'entrata in vigore della
legge,  alla  valutazione  dell'autorita'  preposta  al  vincolo,  si
opererebbe una «scelta ragionevole ed equilibrata nel rapporto tra le
istanze  e  le  aspettative  del privato che ha commesso l'abuso, con
quelle  di  salvaguardare  un'area  che  necessita di una particolare
tutela».
    14.  -  Anche  l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria
nella  quale  ribadisce e specifica le censure mosse avverso l'art. 2
della   legge   regionale   della   Toscana   n. 53  del  2004.  Tale
disposizione,  infatti,  impedirebbe la sanatoria straordinaria delle
nuove   costruzioni  residenziali,  in  contrasto  con  il  principio
determinato dal legislatore statale.
    Anche  la  disciplina degli ampliamenti sarebbe irragionevolmente
riduttiva  di  quella statale a danno delle costruzioni residenziali,
mentre  accettabili sarebbero i limiti previsti dall'art. 2, comma 2,
lettera c) per le costruzioni destinate ad uso non abitativo.
    Secondo    la   difesa   statale,   tali   previsioni   sarebbero
incostituzionali,  dal  momento  che  il  legislatore  regionale  non
potrebbe  negare  «in  misura  prevalente  (rispetto al "quantum'' di
volumetria  ammesso  a  sanatoria dalla legge statale) la sanabilita'
degli  abusi  edilizi», in quanto, diversamente, si vanificherebbe la
cogenza  dei  principi  determinati  dal  Parlamento,  degradandoli a
«velleitarie esortazioni ottative».
    15. - Nel giudizio introdotto con ricorso n. 2 del 2005, con atto
depositato  il  27 gennaio  2005,  si  e'  costituita  in giudizio la
Regione  Marche,  concludendo  nel  senso  della  inammissibilita', e
comunque dell'infondatezza, del ricorso.
    In  particolare, la pretesa incostituzionalita' dell'art. 3 della
legge  regionale,  per violazione degli artt. 117 e 119 Cost, sarebbe
priva  di fondamento, in quanto la Corte costituzionale, con la sent.
n. 196   del  2004,  avrebbe  riconosciuto  alle  Regioni  un  «ruolo
indefettibile» nell'attuazione del condono edilizio straordinario.
    Inoltre,  le  dichiarazioni di incostituzionalita' da parte della
medesima  sentenza  dei  commi 25 e 26 dell'art. 32 del decreto-legge
n. 269  del  2003,  nella  parte  in  cui  non prevedono che la legge
regionale  possa disporre in materia di una larga discrezionalita' in
questi  ambiti  equivarrebbe  a  legittimare  le  leggi  regionali  a
subordinare  le  tipologie di abuso ritenute condonabili ad ulteriori
limiti.  Quindi,  le Regioni sarebbero state «legittimate ad ampliare
l'elenco  delle  opere  non condonabili, stabilendo criteri e limiti,
incidendo  anche  sulla  stessa possibilita' di conseguire il condono
per determinate categorie di opere o per determinate zone».
    In  relazione  alla  «abolizione asseritamene operata dall'art. 3
del limite del 30% della volumetria», la difesa della Regione afferma
che  la norma sarebbe pienamente legittima poiche' «il limite del 30%
(costituirebbe)   parametro  alternativo  a  quello  dell'ampliamento
superiore  a  750  metri  cubi  per  l'ammissibilita'  alla sanatoria
secondo   espressa   previsione  del  comma  25  dell'art. 32»  della
legislazione statale.
    Quanto  alla  affermata  lesione, da parte della legge impugnata,
delle competenze statali in materia di rapporti con l'Unione europea,
di  «moneta»,  e  di coordinamento della finanza pubblica, la Regione
osserva  che  tali  competenze  non  potrebbero  «in ogni caso ledere
quelle costituzionalmente garantite determinandone una invasione».
    Sarebbe  inoltre  priva  di  fondamento la necessita' - affermata
dall'Avvocatura  dello  Stato  -  di  preservare  «l'affidamento  sul
gettito  del  condono  edilizio  per  la copertura (art. 81 Cost.) di
spese   pubbliche»   laddove  comporti  un'indebita  invasione  della
competenza    regionale    costituzionalmente    garantita    tramite
«l'imposizione di dettagliati strumenti concreti». A sostegno di tale
affermazione  viene  anche  ricordata  la sentenza n. 390 del 2004 di
questa Corte.
    La  asserita  violazione  del  principio  di eguaglianza, nonche'
dell'art. 117,  comma  secondo,  lettera  l), Cost., inoltre, sarebbe
insussistente  in  quanto  - come proverebbe anche la stessa sentenza
n. 196   del   2004  nella  parte  in  cui  evidenzia  il  differente
«trattamento  costituzionale»  degli  aspetti penalistici e di quelli
amministrativistici  del  condono  -  la  competenza  dello  Stato in
materia   penale   non   potrebbe  essere  «lesiva  delle  competenze
costituzionali  costituzionalmente  garantite», dal momento che essa,
come  affermato  anche  dalla  sentenza  n. 185 del 2004, sarebbe una
competenza  «strumentale,  potenzialmente  incidente nei piu' diversi
ambiti  materiali».  Analoghe  considerazioni varrebbero anche per la
materia «ordinamento civile».
    16. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 30 novembre
2005,  una  memoria  nella  quale  precisa che deve ritenersi escluso
dalla  materia  del  contendere  l'art. 3, comma 3, della legge della
Regione  Marche,  potendo  la  Regione  ridurre la volumetria massima
sanabile  rispetto  a  quella  prevista  dal  legislatore statale, ed
escludere la condonabilita' «in qualche zona omogenea».
    Peraltro residuerebbero le censure svolte in relazione ai commi 1
e  2  dell'art. 3:  l'Avvocatura  in  particolare,  sostiene  che  il
legislatore  marchigiano  avrebbe  eluso  «in  modo "poco visibile" e
pero'  efficace» i principi fondamentali posti dallo Stato in materia
di  condono  edilizio, ponendo un limite volumetrico alla sanabilita'
talmente basso da escludere, di fatto, quasi del tutto la sanabilita'
delle nuove costruzioni residenziali. La circostanza che questa Corte
abbia  riconosciuto  alle Regioni la possibilita' di prevedere limiti
volumetrici  inferiori a quelli stabiliti dal legislatore statale, ad
avviso  dell'Avvocatura,  non sarebbe risolutiva, dal momento che, in
ogni  caso,  non si potrebbero operare riduzioni tali da vanificare i
principi determinati dal legislatore statale.
    Nella  memoria  si  ribadisce,  inoltre,  che la soppressione del
limite  del  30%  della  volumetria  originaria,  nonche'  la mancata
previsione  di  un  limite  d'insieme  complessivo, determinerebbe un
illegittimo ampliamento della sanatoria.
    17.  -  Anche  la  Regione  Marche,  in data 30 novembre 2005, ha
depositato  una memoria nella quale ribadisce innanzitutto che questa
Corte,  nelle  sentenze  n. 196  del  2004  e  n. 71  del 2005, se ha
riconosciuto  come  spettante  allo  Stato  la  determinazione  della
portata  massima  del  condono  edilizio,  ha ritenuto sussistente il
potere  delle  Regioni di modularne l'ampiezza entro i limiti massimi
fissati  dalla  legge  nazionale. In quest'ambito, la Regione avrebbe
esercitato l'attivita' di controllo del territorio, in coerenza anche
con la propria precedente normativa in materia.
    Per  quanto  concerne  le  singole  censure,  la difesa regionale
osserva  come  la  previsione  nell'art. 3  della  legge impugnata di
limiti  volumetrici  espressi  in  cifre assolute, anziche' in misura
percentuale,   sarebbe   coerente   con   l'art. 32,  comma  25,  del
decreto-legge  n. 269 del 2003, il quale prevede, per gli ampliamenti
il  limite  del  30%  della  volumetria originaria come alternativo a
quello di 750 mc.
    In   ordine   alla   censura   formulata  sul  preteso  contrasto
dell'art. 3  con  l'art. 117,  secondo comma, lettere a) ed e) Cost.,
per  invasione  dei  compiti  attribuiti  alla  competenza  esclusiva
statale in materia di rapporti con l'Unione europea e di «moneta», la
difesa   regionale  rileva  come  cio'  che  sarebbe  da  considerare
riservato  alla competenza esclusiva dello Stato dovrebbe attenere ad
una  politica  economica che abbia valenza sul piano nazionale per la
sua rilevanza macroeconomica.
    Infondata  sarebbe altresi' la asserita violazione dell'art. 117,
terzo   comma,  e  dell'art. 119  Cost.  per  invasione  dei  compiti
attribuiti  alla  competenza  statale  di coordinamento della finanza
pubblica, dal momento che tali competenze non potrebbero in ogni caso
ledere    quelle    costituzionalmente    garantite    alle   Regioni
determinandone  un'indebita  invasione.  La  Corte avrebbe piu' volte
affermato che il legislatore statale puo' legittimamente imporre agli
enti  autonomi  vincoli  alle  politiche  di  bilancio  «ma solo, con
"disciplina  di principio", "per ragioni di coordinamento finanziario
connesse  ad  obiettivi  nazionali, condizionati anche dagli obblighi
comunitari"».
    In  ordine al preteso contrasto dell'art. 3 della legge regionale
con  il  principio  di  eguaglianza  di cui all'art. 3 Cost. e con la
competenza  esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.,  la  Regione  aggiunge  che nella sentenza n. 196 del 2004 «la
linea  di  riparto  scelta  dalla Corte, in tema di condono edilizio,
passi   per   la  distinzione  tra  sanatoria  penale  (di  esclusiva
competenza   statale)  e  sanatoria  amministrativa  (di  competenza,
potrebbe dirsi, quasi completamente regionale)».
    Per   quanto   attiene   infine  alla  pretesa  violazione  della
competenza  statale  esclusiva  nella  materia  «ordinamento civile»,
questa  Corte,  gia' nella sentenza n. 282 del 2002, avrebbe chiarito
che  (nell'ipotesi  specifica in materia di responsabilita' civile in
materia  sanitaria), «si deve escludere che ogni disciplina, la quale
tenda  a  regolare e vincolare l'opera dei sanitari, e in quanto tale
sia  suscettibile  di  produrre  conseguenze  in sede di accertamento
delle   loro  responsabilita',  rientri  per  cio'  stesso  nell'area
dell'ordinamento civile, riservata al legislatore statale».
    18. - Nel giudizio introdotto con ricorso n. 3 del 2005, con atto
depositato  in  data  28 gennaio 2005 si e' costituita in giudizio la
Regione  Lombardia, richiedendo che le questioni proposte dal ricorso
statale siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
    Quanto  alla  asserita inammissibilita' delle censure statali, la
Regione  Lombardia  osserva  che  essa  dipenderebbe, in primo luogo,
dalla   circostanza   secondo   la   quale  esse  prendono  le  mosse
dall'«erroneo  presupposto  che  l'unica  fonte  di  disciplina della
materia  sia costituita dalla legge regionale, e non piuttosto - come
ha  sottolineato la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 196
-  dal  combinato  disposto  della  legislazione  statale e di quelle
regionali». In secondo luogo, la inammissibilita' delle censure mosse
dalla  difesa  erariale  dipenderebbe  dalla  loro «indeterminatezza,
oscurita'  e genericita», che determinerebbero difficolta' nella loro
interpretazione.
    Quanto  agli  aspetti  di  merito,  la  difesa  regionale osserva
anzitutto   come   non   sia   svolta  alcuna  censura  nei  riguardi
dell'art. 1,  comma  1,  della  legge regionale; trattasi comunque di
disposizione   semplicemente  finalizzata  a  chiarire  il  carattere
meramente  derogatorio  della  disciplina regionale rispetto a quella
statale,  la  quale, dunque, si applicherebbe a tutti gli aspetti non
regolati dalla legge regionale.
    Quanto   alle   censure  relative  alla  diminuzione  dei  limiti
volumetrici  massimi  alla sanabilita' delle opere ed alla esclusione
della  possibilita' di sanatoria per le nuove costruzione, la Regione
evidenzia come la sentenza n. 196 del 2004, sia nelle motivazioni che
nel  dispositivo, abbia «espressamente riconosciuto in tale ambito la
facolta' per la Regione di ridurre gli indici volumetrici condonabili
in  virtu'  della  legge  statale».  Inoltre, la Regione nota come la
stessa  avvocatura riconosca il potere della Regione di specificare i
limiti,   anche   quantitativi,   della   sanabilita',   seppur  solo
nell'ambito  della  «ragionevole  tollerabilita»:  in  tali limiti la
resistente ritiene che la legge regionale si sia comunque mantenuta.
    Quanto  al  divieto  di  sanatoria  delle  opere relative a nuove
costruzioni,  la difesa della resistente nota come la legge impugnata
-  lungi  dal  comportare  «un  diniego  totale»  di  sanatoria degli
illeciti  urbanistici  come  sostiene  l'Avvocatura dello Stato - non
porrebbe   alcun   divieto   assoluto   di   sanatoria,   ma  avrebbe
semplicemente  escluso  la  possibilita'  di  condonare abusi edilizi
caratterizzati da un particolare rilievo sul piano urbanistico. Cio',
peraltro,  in  attuazione  di  quanto  esplicitamente affermato dalla
Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 196 del 2004.
    Piu' in particolare, la Regione evidenzia come la norma impugnata
si sia limitata a non consentire le «opere realizzate in assenza o in
difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme
urbanistiche   e  alle  prescrizioni  degli  strumenti  urbanistici».
Viceversa,  sarebbero  suscettibili  di  sanatoria  «tutte  le  altre
fattispecie di abuso non previste dalla legge regionale e contemplate
dalla legge statale».
    Anche  le censure mosse nei confronti dell'art. 2, comma 2, della
legge  regionale  n. 31  del  2004  sarebbero infondate, poiche' tale
disposizione si limita a «consentire la sanabilita' di quei mutamenti
considerati inammissibili ai sensi della vigente legge regionale n. 1
del 2001», mentre, per tutti gli altri abusi relativi ai mutamenti di
destinazione  d'uso «continuera' a trovare applicazione la disciplina
statale».
    Da  ultimo,  la  Regione  Lombardia  espone alcune considerazioni
difensive  in relazione alla pretesa incostituzionalita' dell'art. 3,
comma  1,  della  legge regionale impugnata, asserendo che con questa
disposizione   il   legislatore   lombardo  ha  inteso  semplicemente
«ribadire  e  consacrare,  anche  in  un testo legislativo regionale,
quanto gia' previsto dalla legislazione statale».
    19. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 14 novembre
2005,  una memoria nella quale circoscrive e specifica l'ambito delle
censure formulate nel ricorso introduttivo n. 3 del 2005.
    Innanzitutto,  precisa che non e' stato impugnato l'art. 2, comma
1, primo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004,
nella parte in cui disciplina gli ampliamenti.
    Per  quanto  concerne  la  censura  avente ad oggetto la medesima
norma, ma nella parte in cui in modo non specifica se fossero esclusi
dalla  sanatoria solo gli interventi realizzati in assenza del titolo
abilitativo,  ovvero anche quelli realizzati in totale difformita' da
esso  o  con  variazioni essenziali, afferma il ricorrente che non vi
sarebbe  piu'  controversia. La Regione, infatti, nel proprio atto di
costituzione  avrebbe  specificato  la  portata  della  disposizione,
precisando che tali opere (realizzate in difformita' o con variazioni
essenziali) sarebbero sanabili. Tuttavia, prosegue l'Avvocatura, «non
risulta  che  il chiarimento sia stato portato (...) a conoscenza dei
comuni e - tempestivamente - della generalita' dei cittadini e che ad
esso le amministrazioni si attengano».
    La  Regione  avrebbe  circoscritto  la portata anche dell'art. 2,
comma   2,  riferendola  ai  soli  mutamenti  di  destinazione  d'uso
qualificati  inammissibili  dalla  propria  legge  regionale n. 1 del
2001.  Questa  interpretazione  riduttiva  «elimina, nel concreto una
parte  cospicua  della materia controversa, lasciando di essa solo la
parte  residua».  Anche  tale  interpretazione,  tuttavia non sarebbe
stata divulgata.
    Analogamente,  alla  luce  dell'interpretazione  fornitane  dalla
Regione, verrebbe meno anche la censura relativa all'art. 3, comma 1,
nella  parte  in  cui  avrebbe  ampliato  l'ambito  degli  interventi
condonabili.
    Pertanto,  ritiene  l'Avvocatura  che  la  controversia «parrebbe
ridimensionata,  sul  piano  pratico,  per  quanto concerne l'art. 2,
comma 2, e l'art. 3, comma 1».
    Conseguentemente,  il  nucleo  delle censure sarebbe circoscritto
all'art. 2,  comma 1, nella parte in cui esclude la sanabilita' delle
nuove  costruzioni  residenziali.  A  tale  riguardo,  il  ricorrente
ribadisce  le  censure gia' svolte nell'atto introduttivo, precisando
che  la  sentenza  n. 196  del  2004  e  il punto 2) del dispositivo,
invocato  dalla  Regione  a  giustificazione della legittimita' della
disposizione,  avrebbe  ampliato  le  possibilita'  di intervento dei
legislatori   regionali   nell'ambito  della  competenza  legislativa
concorrente,  ma non li avrebbe liberati dal dovere di conformarsi ai
principi   determinati   dal   Parlamento   nazionale.   Pertanto  al
legislatore regionale sarebbe consentito apportare solo articolazioni
e specificazioni della disciplina statale.
    20.  - Nella ulteriore memoria depositata il 30 novembre 2005, la
Regione  Lombardia  prende  atto  che, a seguito delle considerazioni
svolte  dall'Avvocatura dello Stato, gli artt. 2, comma 1, e 3, comma
1, della legge impugnata non sarebbero piu' oggetto del giudizio.
    Anche  in relazione all'art. 2, comma 2, vi sarebbe un difetto di
interesse  al  ricorso,  in  quanto  l'Avvocatura avrebbe ritenuto la
controversia `ridimensionata' a seguito dei chiarimenti forniti dalla
difesa   regionale,   ma,   ciononostante,   avrebbe   insistito  per
l'annullamento  della  norma, affermando di non essere autorizzata ad
abbandonare  il ricorso. Tale interesse non potrebbe essere ravvisato
nella  asserita mancata divulgazione dell'interpretazione della legge
regionale, dal momento che la Regione avrebbe reso ai comuni lombardi
numerosi   pareri   in   merito   e,   comunque,   la   non  corretta
interpretazione  della legge regionale da parte delle amministrazioni
comunali   non   potrebbe   costituire   oggetto   del  sindacato  di
legittimita' costituzionale.
    Con  riguardo  alla impugnazione dell'art. 2, comma 1, la Regione
Lombardia  osserva  che  l'Avvocatura  nella  memoria  in  cui  aveva
riconosciuto  che  effettivamente  la legge lombarda non prevedeva un
divieto  assoluto di sanatoria, ha riproposto le censure ai commi 1 e
2  dell'art. 2, e per di piu' ha affermato che qualsiasi eccezione al
principio  della  sanabilita'  degli  abusi  sulle  nuove costruzioni
sarebbe  da  considerare  illegittima  in quanto lesiva del principio
fondamentale  della sanabilita' degli illeciti realizzati sulle nuove
costruzioni.  In tal modo la difesa statale avrebbe ampliato e mutato
il  thema  decidendum,  con  conseguente inammissibilita' della nuova
censura.
    Nel  merito,  tali  censure  sarebbero  infondate dal momento che
l'art. 2,  comma  1,  avrebbe escluso la sanatoria solo per gli abusi
edilizi  particolarmente  rilevanti  sul  piano  urbanistico  e  cio'
avrebbe   fatto   nell'ambito   dei   poteri  regionali,  cosi'  come
riconosciuti  da questa Corte nelle sentenze n. 196 del 2004 e nn. 70
e 71 del 2005.
    Infondate  sarebbero  le  censure  di  violazione  dell'art. 117,
secondo  comma,  lettere  a)  e)  l),  dell'art. 119  Cost.,  nonche'
dell'art. 3  Cost.,  dal  momento che questa Corte avrebbe ricondotto
alla  competenza  concorrente i1 potere delle Regioni di specificare,
articolare e persino derogare alla disciplina statale.
    Con  riguardo  alle  censure  mosse avverso l'art. 2, comma 2, la
Regione  rileva  come  la  difesa  dello  Stato, dopo aver preso atto
dell'interpretazione  sistematica della norma svolta nella memoria di
costituzione,  ha  affermato  che  essa  avrebbe  eliminato una parte
cospicua della controversia, pur lasciandone una parte residua, senza
tuttavia  chiarire  quale  essa  fosse.  Tale  censura sarebbe dunque
inammissibile  per carenza di interesse e per mancata identificazione
della  disposizione  violata, nonche' per genericita' ed imprecisione
della censura.
    21. - Nel giudizio introdotto con ricorso n. 7 del 2005, con atto
depositato  il 26 gennaio 2005, la Regione Veneto si e' costituita in
giudizio,  chiedendo  che  le  questioni  proposte con il ricorso del
Presidente  del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili
o infondate, e riservando ad una successiva memoria.
    22.  -  Nella  memoria  depositata  in  data 30 novembre 2005, la
Regione  Veneto  sostiene,  innanzitutto,  che il ricorso dello Stato
sarebbe  fondato  su una lettura parziale e fuorviante della sentenza
n. 196  del  2004;  significativa sarebbe anche la sentenza n. 71 del
2005,  nella  quale  questa  Corte avrebbe espressamente riconosciuto
alle  Regioni  il potere di determinare, entro i limiti fissati dalla
legge statale, tipologie ed entita' degli abusi assentibili.
    Per  quanto attiene alla censura mossa avverso l'art. 3, comma 1,
lettera  c)  della legge impugnata, il quale pone, per la sanabilita'
delle   nuove   costruzioni,   il   duplice  limite  che  esse  siano
pertinenziali  a fabbricati residenziali e che abbiano una volumetria
massima  di  300  metri  cubi,  la difesa regionale osserva come tale
disposizione  avrebbe  rispettato  la  condizione  generale posta dal
legislatore  nazionale, pur introducendo condizioni piu' restrittive,
sulla   base   della   particolare  «esperienza  urbanistico-edilizia
veneta».  Con  la  disposizione  impugnata,  pertanto, il legislatore
veneto  avrebbe  rispettato  i  limiti  posti dalla normativa statale
facendo  un  uso  del  potere  ad  esso  spettante  ben piu' limitato
rispetto a quanto consentito.
    Anche  le  censure  mosse  avverso  l'art. 3,  comma 3, sarebbero
infondate.   Innanzitutto,   la   norma   si  riferirebbe  alle  aree
assoggettate  ai  vincoli  di  cui all'art. 32, della legge n. 47 del
1985,   ossia   ai   vincoli   non   preclusivi   in   via   assoluta
dell'edificabilita'  e  pertanto  non sarebbe neppure ipotizzabile la
lamentata  violazione  dell'art. 33 della stessa legge riguardante le
aree soggette ai vincoli di inedificabilita'.
    D'altra  parte, la ammissione di alcuni mutamenti di destinazione
d'uso  e  delle  «opere  o  modalita' di esecuzione non valutabili in
termini  di  volume»  escluderebbe  dalla  sanatoria  qualsiasi altro
intervento abusivo.
    A  tale  riguardo,  si osserva come la Regione non avrebbe inteso
discostarsi  dalla  disciplina statale di cui all'art. 32 della 1egge
n. 47 del 1985 ed all'art. 32, comma 27, del decreto-legge n. 269 del
2003.  Anzi,  a  fronte dell'incertezza interpretativa in ordine alla
portata  delle  disposizioni citate, il legislatore veneto si sarebbe
limitato  a  chiarire  che la normativa statale, «anche se intesa nel
senso  piu'  restrittivo, non preclude la sanatoria amministrativa di
abusi   che   abbiano   natura  insignificante  rispetto  al  vincolo
paesaggistico  o  ambientale».  Sarebbe pertanto ammessa la sanatoria
dei  mutamenti  di  destinazione d'uso, con o senza opere, qualora la
nuova  destinazione d'uso sia residenziale e non comporti ampliamento
dell'immobile;  sarebbe  inoltre  ammessa  la sanatoria delle opere o
modalita' di esecuzione non valutabili in termini di volume. La norma
riguarderebbe,    pertanto,    ipotesi   gia'   desumibili   in   via
interpretativa,  in  quanto  prive  di  impatto esterno, per le quali
sarebbe  irrilevante  la circostanza che l'area sia o meno soggetta a
vincolo paesaggistico o ambientale.
    La   difesa   regionale   eccepisce,  poi,  l'inammissibilita'  e
l'improcedibilita'  della  censura,  dal  momento che la disposizione
impugnata  sarebbe  stata  modificata  dall'art. 19 della legge della
Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8.
    La  Regione  contesta,  da  ultimo,  le censure mosse all'art. 3,
comma  1,  lettera  a)  concernente  gli ampliamenti di costruzioni a
destinazione   industriale,   artigianale,   agricolo-produttiva,  ed
impugnato dallo Stato perche' consentirebbe il superamento del limite
massimo  fissato  dal  legislatore  statale.  In  realta', osserva la
difesa  regionale,  con  tale disposizione si sarebbe voluto limitare
l'ammissibilita' del condono, allo stesso tempo prendendo atto che il
criterio   urbanistico  di  riferimento  utilizzato  dal  legislatore
statale  non  corrisponde  a  quello  utilizzato  dalla  legislazione
urbanistica  veneta  per  disciplinare  gli  edifici  a  destinazione
produttiva.  Conseguentemente,  la  Regione  avrebbe  «convertito» il
parametro  dei  metri  cubi  in  quello  dei  metri quadrati; avrebbe
altresi'  ridotto  i limiti massimi di ammissibilita' della sanatoria
rispetto  al «tetto» statale, limitando l'ampliamento sanabile al 20%
della   superficie   coperta   originaria  e  la  superficie  massima
dell'ampliamento   sanabile  a  450  mq;  avrebbe  inoltre  reso,  da
alternative,   cumulative   le  due  condizioni  sopra  indicate.  La
doverosita' del rispetto di ambedue i limiti non consentirebbe mai il
superamento  del  «tetto»  statale, in quanto il 20% della superficie
coperta  esistente  sarebbe  logicamente  inferiore al 30% del volume
esistente  ed  inoltre,  in quanto il limite dei 450 mq di superficie
coperta massima dell'ampliamento, operando «congiuntamente col limite
del  20% della superficie coperta», rileverebbe «solo se ed in quanto
comprima   ulteriormente  l'ampliamento  sanabile,  escludendo  anche
ampliamenti  di  per  se'  rispettosi  della  soglia  del  20%  della
superficie coperta esistente se comunque troppo ampi».
    23.  -  L'Avvocatura  dello  Stato,  in data 22 novembre 2005, ha
depositato  una  memoria  nella quale ribadisce le censure svolte nel
ricorso avverso la legge regionale del Veneto n. 21 del 2004.
    24. - Nel giudizio introdotto con ricorso n. 8 del 2005, con atto
depositato  il  4 febbraio  2005,  si  e'  costituita  in giudizio la
Regione  Umbria,  concludendo  nel  senso  della  inammissibilita', e
comunque  della  infondatezza,  delle  censure  proposte  dal ricorso
statale.
    La  resistente,  in  via preliminare, afferma che per la sentenza
n. 196  del  2004  i contenuti di principio da ritenersi sottratti al
legislatore  regionale  sono,  oltre  ai profili penalistici, solo la
«previsione  del  titolo  abilitativo edilizio in sanatoria di cui al
comma  1  dell'art. 32,  il  limite  temporale  massimo  delle  opere
condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili».
Per  le  restanti  parti,  le  Regioni  potrebbero  quindi introdurre
discipline differenti.
    In  riferimento  alle  censure  mosse nei confronti dell'art. 21,
comma  1,  lettera  d)  la  difesa  regionale osserva che la sentenza
n. 196   del   2004  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte
in  cui non prevede che la legge regionale di cui al successivo comma
26  possa  determinare  limiti  volumetrici  inferiori  a  quelli ivi
indicati.  Da  cio'  discenderebbe che il solo principio fondamentale
desumibile  dalla  disposizione  in  questione e' rappresentato dalla
indicazione  del  limite  massimo  di  750 metri cubi per ogni titolo
abilitativo  in  sanatoria.  Peraltro,  la  Regione  osserva  che  la
disposizione   impugnata   non   escluderebbe   il  condono  per  gli
ampliamenti    delle    nuove   costruzioni   residenziali,   ma   lo
circoscriverebbe soltanto.
    In  relazione  alle  censure proposte nei confronti dell'art. 20,
comma  1, invece, la resistente osserva che la espressione dei limiti
in  metri cubi, anziche' in metri quadri, non puo' essere considerata
un   principio   fondamentale   della   materia,  stante  la  agevole
convertibilita'  dei  metri  quadri  in  metri  cubi,  in  base  alla
considerazione  dell'altezza media degli edifici del tipo di volta in
volta  in questione, o la maggiore altezza in concreto risultante. Il
legislatore regionale avrebbe altresi' contemplato l'eventualita' che
l'immobile  sia particolarmente alto - in quanto, ad esempio, adibito
a  scopi industriali - precisando all'art. 20, comma 3, che le «opere
di  cui al comma 1, lettere a) e b) e al comma 2 non possono comunque
comportare  il  superamento  dei limiti volumetrici massimi stabiliti
all'articolo 32, comma 25 del D.L. n. 269/2003». Per l'ipotesi in cui
l'abuso  determini  solo  un  aumento  del volume, ma non anche della
superficie  (ad es. una sopraelevazione o uno scantinato), l'art. 27,
comma 2, prevede il ricorso ad una formula matematica per determinare
la  superficie  corrispondente e determinare quindi la compatibilita'
dell'intervento  con  i  limiti  prescritti  nell'art. 20,  comma  1,
lettera a).
    Quanto poi alla differenziazione che la legge regionale opera tra
unita'  immobiliari  destinate  ad  abitazioni  e quelle destinate ad
attivita'  produttive e servizi, essa sarebbe pienamente giustificata
e   comunque   sarebbe   il   frutto   di   una  scelta  di  politica
edilizio-urbanistica che competerebbe alla Regione.
    Le  questioni  di  costituzionalita' proposte dal ricorso statale
inerenti  la  presunta violazione della competenza statale in materia
di  rapporti  con l'UE, moneta e sistema tributario e contabile dello
Stato,  secondo  la resistente, andrebbero ritenute inammissibili per
evidente  genericita'.  Ancora,  nessuna motivazione sorreggerebbe la
presunta  violazione  della  competenza statale in materia di sistema
tributario e contabile dello Stato.
    Nel  merito,  tali  censure  sarebbero  infondate, poiche' basate
sull'erroneo  presupposto  secondo  il  quale  la  potesta' normativa
regionale  incontrerebbe  «un  limite  nel rispetto dell'ampiezza del
gettito  finanziario stabilito unilateralmente dal Governo in tema di
condono  ed  altrettanto  unilateralmente  destinato  a coprire altre
spese statali» e comunque contrastate da quanto stabilito dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 196 del 2004.
    Quanto  alle censure relative all'art. 21, comma 1, lettera c) la
Regione  afferma  come esse siano frutto di una erronea lettura della
disposizione,  che  invece  si riferisce «esclusivamente all'utilizzo
dell'area agricola per usi diversi da quello agricolo».
    I  rilievi concernenti la lettera e) invece, sarebbero infondati,
in  quanto  la distinzione della posizione dei fabbricati interamente
condonati in precedenza non sarebbe affatto irragionevole.
    La   censura   concernente   l'art. 21,   lettera   h),   sarebbe
inammissibile,  a  causa della sua genericita'; comunque, nel merito,
si   osserva  come  la  «grandissima  valenza  storica,  artistica  e
culturale»  dei  centri delle citta' umbre rende non irragionevole la
loro  assimilazione  ai  siti  archeologici e all'edificato civile di
particolare rilievo architettonico e paesistico.
    Pretestuosi  sarebbero,  invece,  i  rilievi  mossi nei confronti
dell'art. 19,  dal  momento che le disposizioni statali espressamente
richiamate  solo  dal  comma  2,  sarebbero riferite anche al comma 1
dello stesso art. 19.
    Del   pari   destituite   di   fondamento  sarebbero  le  censure
concernenti  l'art. 27,  comma  4,  che distingue l'ipotesi in cui le
piu'  unita'  immobiliari  appartenenti  allo  stesso proprietario si
configurino  come un'unica unita' abitativa o produttiva, ovvero come
distinte  ed  autonome tra loro, ammettendo che solo nel secondo caso
il condono possa riguardare ciascuna unita' abitativa.
    25. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 15 novembre
2005,  una  memoria  nella  quale, prendendo atto delle difese svolte
dalla   Regione   Umbria,   circoscrive   l'ambito   delle   censure,
individuando i «punti non, o non piu' controversi anche per segnalare
l'utilita'  - ai fini di certezza giuridica - di esplicite specifiche
puntualizzazioni   in  proposito  nella  motivazione  della  emananda
sentenza».
    Innanzitutto  il  ricorrente afferma che e' «superata» la censura
relativa  all'art. 20, comma 1, lettera c) dal momento che la Regione
ne ha fornito un'interpretazione conforme alla normativa statale.
    Anche  la  questione concernente l'art. 27, comma 4, «puo' essere
superata  esplicitandosi  che»  tale norma non deroga ai limiti posti
dall'art. 20,  comma  3,  della  stessa  legge  regionale, e cioe' ai
limiti  volumetrici  massimi  stabiliti all'articolo 32, comma 25 del
decreto-legge n. 269 del 2003.
    Non piu' controverso sarebbe anche l'art. 19 del quale la Regione
avrebbe  fornito  un interpretazione conforme alla normativa statale,
nonche'  l'art. 21,  comma 1, lettera c) il quale non escluderebbe la
sanabilita' delle costruzioni realizzate in zona agricola.
    Conseguentemente,  il  nucleo  delle censure sarebbe circoscritto
all'art. 21,  comma  1,  lettera  d)  nella  parte  in cui esclude la
sanabilita' delle nuove costruzioni residenziali. A tale riguardo, il
ricorrente  afferma  che  la  sentenza  n. 196  del  2004 non avrebbe
liberato  i  legislatori  regionali  dal  dovere  di  conformarsi  ai
principi   determinati   dal   Parlamento.  Pertanto  al  legislatore
regionale   sarebbe   consentito   apportare   solo  articolazioni  e
specificazioni della disciplina statale.
    L'Avvocatura   ribadisce   altresi'   le  censure  fondate  sugli
artt. 81,   117,  terzo  comma,  e  119  Cost.,  dal  momento  che  i
legislatori  regionali  non  potrebbero sottrarre risorse finanziarie
essenziali  al bilancio dello Stato e turbare il difficile equilibrio
della  finanza  pubblica  statale,  dal  momento  che  le esigenze di
politica  economico-finanziaria  nazionale «necessariamente pervadono
tutte le materie» rientranti nella competenza concorrente.
    Il  ricorrente  ribadisce infine le censure relative all'art. 20,
comma  1, lettera a) e all'art. 21, lettera e) della legge regionale,
mentre  «reputa  preferibile  non insistere nella domanda di parziale
demolizione»  dell'art. 21,  lettera  h),  tenuto  conto della scarsa
rilevanza pratica della questione.
    26.  - La Regione Umbria, nella memoria depositata il 29 novembre
2005,  ribadisce  che  le censure svolte dallo Stato avverso la legge
impugnata  non  terrebbero  conto  della sentenza n. 196 del 2004, la
quale  avrebbe  individuato,  sia  pure  a  titolo esemplificativo, i
principi fondamentali contenuti nell'art. 32 del decreto-legge n. 269
del   2003.   Non  costituirebbe  invece  principio  fondamentale  la
indicazione  delle  quantita'  sanabili  in  metri  cubi, come invece
asserito  dall'Avvocatura  dello  Stato. D'altra parte, la disciplina
regionale  si  limiterebbe  a  circoscrivere  la sanatoria alle opere
realizzate  in  assenza o difformita' dal titolo abilitativo, purche'
conformi  alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti al 2 ottobre 2003.
    Per  quanto attiene alla lamentata lesione dell'art. 117, secondo
comma,  lettere  a)  ed e) Cost., la difesa regionale rileva che tali
censure  sarebbero  immotivate.  Qualora  esse dovessero essere lette
come   sostegno   alla   asserita   violazione   della   materia  del
coordinamento   della   finanza  pubblica,  sarebbero  infondate.  La
imposizione  di  un vincolo, «per di piu' di entrata», alla autonomia
di bilancio non sarebbe, infatti, principio generale di coordinamento
della finanza pubblica.
    L'esclusione   dalla   sanatoria   degli   immobili  che  abbiano
beneficiato  di precedenti condoni edilizi (art. 21, comma 1, lettera
e)  rientrerebbe nella potesta' riconosciuta al legislatore regionale
di  introdurre  esclusioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla
disciplina   statale,   e  giustificata  dalla  tutela  di  finalita'
generali,  come  il contrasto della recidiva e dell'abitualita' nella
commissione degli abusi.
    La  limitazione  alla  condonabilita'  degli abusi realizzati nei
centri   storici,  censurata  dallo  Stato,  si  giustificherebbe  se
inquadrata  nella valenza storica e artistica dei centri urbani della
Regione Umbria.
    La   resistente  precisa,  altresi',  come  le  limitazioni  alla
sanatoria poste dai legislatori regionali inciderebbero, a differenza
di  quanto  mostra  di  ritenere  l'Avvocatura  dello Stato, solo sul
rilascio  del  titolo abilitativo in sanatoria e non sulla estinzione
del  reato, di modo che, quand'anche l'abuso non fosse sanabile sotto
il  profilo  amministrativo  in  base  ad  una  previsione  regionale
restrittiva, il suo autore potrebbe comunque beneficiare dell'effetto
estintivo del reato.
    La  difesa regionale precisa, infine, come l'art. 27, comma 4, si
riferisca  chiaramente  alle ipotesi di piu' unita' immobiliari dello
stesso proprietario comprese in un unico edificio e non autonome.
    27. - Nel giudizio introdotto con ricorso n. 9 del 2005, con atto
depositato  il  4 febbraio 2005, la Regione Campania si e' costituita
in giudizio, contestando l'ammissibilita' e la fondatezza del ricorso
statale.
    La  difesa  regionale  innanzitutto  afferma  che  il  termine di
quattro  mesi  non  decorrerebbe  dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge n. 168 del 2004, bensi' dalla data di entrata in vigore
della  legge  di  conversione,  e  cioe'  dal  1° agosto 2004, che ha
apportato emendamenti sul punto specifico.
    La  difesa  regionale eccepisce comunque l'inammissibilita' delle
censure  prospettate con riguardo al mancato rispetto del termine, in
quanto sollevate in modo dubitativo.
    Nel   merito  contesta  che  tale  termine  sia  e  possa  essere
qualificato  come  perentorio.  In  ogni caso, esso sarebbe del tutto
sganciato  dall'impianto  concettuale  utilizzato  dalla  Corte nella
sentenza n. 196 del 2004, la quale, nel disporre che la legge statale
dovesse  fissare  un  congruo  termine  per  l'emanazione delle leggi
regionali,   collegava   tale   previsione   al  principio  di  leale
cooperazione.
    La  Regione  eccepisce come ulteriore profilo di inammissibilita'
del  ricorso,  l'impugnativa di alcune soltanto delle norme contenute
nella  legge  regionale,  in  tal  modo  operando  una non consentita
frammentazione  di  un unitario intervento regionale. Quanto poi alle
censure  relative  alle singole disposizioni, la Regione ne eccepisce
innanzitutto   l'inammissibilita',  per  carenza  dell'argomentazione
nonche' per genericita' dei parametri evocati.
    Nel  merito tali censure sarebbero infondate in quanto la Regione
avrebbe  esercitato l'autonomia di scelta risconosciutale dalla Corte
in  ordine  alla delimitazione della possibilita', delle condizioni e
delle modalita' della sanatoria straordinaria.
    Anche  la  previsione  della  esclusione  dalla sanabilita' delle
opere  ricadenti  sul demanio pubblico rientrerebbe tra le scelte che
la   Corte   ha   attribuito  alla  Regione,  laddove  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  della  legge  statale  che  non  ha
previsto l'applicabilita' della disciplina regionale anche al demanio
statale.
    In  via  subordinata, la difesa regionale chiede che ove la Corte
ritenga  che  il  termine  per  l'emanazione  della  legge  regionale
decorresse  dal  12 luglio 2004, sollevi avanti a se' la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge
n. 168  del  2004,  «nella parte in cui limita a soli quattro mesi il
termine   per  l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale»,
trattandosi   di   termine  incongruo  rispetto  alla  pluralita'  di
contenuti  e  alla  complessita'  delle  scelte  che  il  legislatore
regionale  doveva operare, per violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost. e del principio di leale collaborazione.
    28.  - La Regione Campania ha depositato una memoria difensiva in
data   8 ottobre   2005,   nella   quale  insiste  perche'  la  Corte
costituzionale  dichiari  inammissibile,  e  comunque  infondato,  il
ricorso statale.
    In  particolare,  la  resistente  contesta  la configurazione del
termine posto all'esercizio della potesta' legislativa regionale come
perentorio.  Si tratterebbe, invece, di un termine posto a presidiare
la  «effettiva  reciproca collaborazione fra i livelli di governo, al
fine di consentire la operativita' della scelta del condono».
    Peraltro,  la  Regione  ribadisce  la incongruita' del termine in
concreto   stabilito   dalla   legge   statale,   e   dunque  la  sua
illegittimita' costituzionale.
    Le  doglianze  espresse nel ricorso statale circa il merito delle
scelte  operate con la legge regionale, inoltre, sarebbero infondate,
in   quanto   «sul   piano   urbanistico-amministrativo»   la   Corte
costituzionale   avrebbe   gia'  «definitivamente  riconosciuto  alle
Regioni una ampia discrezionalita».
    29. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 5 novembre,
una  memoria  nella  quale, anzitutto, contesta che l'impugnazione di
alcune  soltanto  delle norme contenute nella legge regionale campana
determini l'inammissibilita' del ricorso.
    Ribadisce    inoltre    l'illegittimita'   costituzionale   delle
disposizioni  censurate  «per  inottemperanza, in quanto tardivamente
prodotte,  alle  indicazioni  date» dalla Corte nella sentenza n. 196
del  2004  e  per  conseguente  inosservanza  del  principio di leale
collaborazione e violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
    Tale  censura,  ove ritenuta fondata, sarebbe assorbente rispetto
alle doglianze specifiche prospettate nel ricorso «in via logicamente
subordinata».
    L'Avvocatura  infine  contesta il carattere generico delle difese
svolte dalla Regione.
    In  tutti  i ricorsi sopra menzionati il Presidente del Consiglio
dei  ministri  precisa  inoltre che la declaratoria di illegittimita'
costituzionale  delle  disposizioni  impugnate non produrrebbe alcuna
lacuna,   posto  che  da  essa  deriverebbe  «il  riespandersi  della
normativa statale».
    30.   -   Nel   corso  dell'udienza  pubblica  il  rappresentante
dell'Avvocatura   generale   dello   Stato   ha   insistito   per  la
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  di  tutte le norme
impugnate,  non  essendo  stato autorizzato a rinunziare ad alcuna di
esse.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, ha impugnato numerose
disposizioni  di  sette  leggi  regionali:  gli artt. 26, comma 4; 29
comma  2  (e,  per quanto ivi richiamato, l'art. 8, comma 3); 32; 33,
commi da 1 a 4 (eccettuata, nel comma 3, la lettera d); 34, commi 1 e
2  (con esclusione delle lettere b), c), d) ed e) del comma 2), della
legge  della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza
e  controllo  dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa
statale  di  cui  all'articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito  con  modifiche  dalla  legge  24 novembre  2003, n. 326);
l'art. 2,  commi  1,  2,  5 (limitatamente alla lettera c) e 6, della
legge  della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia
di  sanatoria  edilizia straordinaria); l'art. 3 (eccettuato il comma
4)  della  legge  della  Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme
sulla   sanatoria   degli   abusi  edilizi);  gli  artt. 1,  comma  1
(limitatamente  alle  parole  «salvo  quanto  disposto dalla presente
legge»);  2,  commi  1  e  2;  3,  comma 1, della legge della Regione
Lombardia  3 novembre  2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia
di  illeciti edilizi); gli artt. 3, commi 1 (eccettuata la lettera b)
e  3,  della  legge  della  Regione  Veneto  5 novembre  2004,  n. 21
(Disposizioni  in  materia  di  condono  edilizio); gli artt. 19; 20,
comma  1,  lettere  a) e c); 21, comma 1, lettere c) d) e) ed h); 27,
comma  4 (tali ultime due disposizioni sono impugnate in virtu' della
loro  asserita «connessione» con le altre), della legge della Regione
Umbria    3 novembre    2004,    n. 21    (Norme   sulla   vigilanza,
responsabilita',  sanzioni  e  sanatoria  in  materia  edilizia); gli
artt. 1,  3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2); 4; 6 (soltanto
i  commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione Campania 18 novembre
2004,  n. 10  (Norme  sulla  sanatoria  degli abusi edilizi di cui al
decreto  legge  30 settembre  2003,  n. 269,  articolo  32 cosi' come
modificato  dalla  legge  24 novembre  2003, n. 326, di conversione e
successive modifiche ed integrazioni).
    I  parametri  costituzionali che, sotto differenziati profili, si
assumono  violati  sono  gli artt. 3; 42; 81; 97; 117, secondo comma,
lettere a) e) l), s); 117, terzo comma; 119 Cost., nonche' i principi
di  autonomia degli enti locali e di leale collaborazione fra Stato e
Regioni.
    2.  - Considerata la sostanziale identita' della materia, nonche'
l'analogia  di  gran  parte  delle  questioni  prospettate, i giudizi
possono  essere riuniti per essere affrontati congiuntamente e decisi
con unica sentenza.
    3.  -  Le molteplici questioni di costituzionalita' sollevate nei
ricorsi  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri possono essere
sintetizzate nei termini seguenti.
        I) l'art. 26,     comma     4,    della    legge    regionale
dell'Emilia-Romagna  n. 23  del  2004, il quale dispone che «le opere
edilizie  autorizzate e realizzate in data antecedente all'entrata in
vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilita'
dei   suoli),   che   presentino   difformita'   eseguite  nel  corso
dell'attuazione  del titolo edilizio originario, si ritengono sanate,
fermo  restando  il  rispetto  dei  requisiti  igienico-sanitari e di
sicurezza»,  violerebbe  l'art. 117,  terzo comma, Cost., dal momento
che  introdurrebbe  -  peraltro  in  contrasto  con  la tendenza alla
riduzione  dell'ambito  applicativo  della sanatoria propria di altre
norme  della  stessa  legge  regionale - «una sanatoria straordinaria
gratuita  ed  ope  legis non sorretta da alcun principio fondamentale
determinato dallo Stato, e contrastante con le esigenze della finanza
pubblica»;  inoltre,  la medesima norma violerebbe l'art. 3 Cost., in
quanto  introdurrebbe  una  discriminazione  tra i proprietari basata
sulla  diversa  collocazione temporale degli illeciti, consentendo la
sanatoria ex lege solo per quelli piu' risalenti nel tempo;
        II   e   III) l'art. 29,   comma  2,  della  legge  regionale
dell'Emilia-Romagna  n. 23 del 2004, il quale stabilisce che «qualora
in  sede  di  definizione  della  domanda di sanatoria o di controlli
successivi  alla  stessa  sia  accertato  che  la  asseverazione  del
professionista   abilitato»  contenga  dichiarazioni  non  veritiere,
rilevanti  ai  fini del conseguimento del titolo, «trova applicazione
quanto disposto dall'articolo 8, comma 3», nonche' l'art. 8, comma 3,
della  medesima legge, per quanto richiamato dall'art. 29, secondo il
quale  «nel  caso in cui il titolo abilitativo contenga dichiarazioni
non  veritiere  del  progettista necessarie ai fini del conseguimento
del   titolo   stesso,  l'Amministrazione  comunale  ne  da'  notizia
all'Autorita' giudiziaria nonche' al competente Ordine professionale,
ai  fini  dell'irrogazione delle sanzioni disciplinari», violerebbero
l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in relazione alla
materia  dell'«ordinamento  civile  e penale», nonche' dell'art. 117,
terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbe con la competenza statale
concorrente in materia di «professioni»;
        IV) l'art. 32,   della  legge  regionale  dell'Emilia-Romagna
n. 23  del  2004, che disciplina in linea generale gli interventi non
ammessi  a  sanatoria,  aggiungendo  a  quelli  ritenuti  tali  dalla
normativa  statale  di principio anche gli interventi e le opere «per
la  cui  realizzazione  siano  stati  utilizzati  contributi pubblici
erogati successivamente al 1995 a qualunque titolo dallo Stato, dalla
Regione  e  dagli  enti locali», nonche' gli interventi realizzati su
«unita'  abitative  gia' oggetto di titolo in sanatoria, ai sensi dei
capi  IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di
controllo  dell'attivita'  urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e
sanatoria   delle   opere   edilizie),  o  dell'art. 39  della  legge
23 dicembre  1994,  n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica),  per  la  regolarizzazione amministrativa di interventi di
nuova   costruzione  o  di  ristrutturazione  nonche'  interventi  di
ampliamento  o  soprelevazione  che  abbiano  comportato nuove unita'
immobiliari»,  violerebbe  gli  artt. 3,  primo  comma, 42, 117 e 119
Cost.,  in  quanto  la  previsione  di  ulteriori  (rispetto a quelle
previste    dalla    legislazione    statale)   condizioni   ostative
all'ammissibilita'  della  sanatoria  contrasterebbe con la normativa
statale di principio, con il principio di uguaglianza e la disciplina
costituzionale    della    proprieta'   privata,   determinando   una
irragionevole  discriminazione  «tra  proprietari di edifici ed anche
tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi»;
        V) l'art. 33,     comma     1,    della    legge    regionale
dell'Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale dispone che «in tutto il
territorio  della  Regione  non  e' ammesso il rilascio dei titoli in
sanatoria per la costruzione di nuovi manufatti edilizi fuori terra o
interrati  realizzati  in contrasto con la legislazione urbanistica o
con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del
31 marzo  2003»,  violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., perche',
escludendo  dalla  assoggettabilita'  al  condono  edilizio  i  nuovi
manufatti,  contrasterebbe  con  la norma statale di principio di cui
all'art. 32,  comma  25,  del  decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269
(Disposizioni  urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei  conti  pubblici), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1  della  legge  24 novembre 2003, n. 326, secondo la quale
non puo' essere esclusa - ma, eventualmente, soltanto delimitata - la
sanabilita'   delle   nuove   costruzioni   residenziali  di  modeste
dimensioni  realizzate  in  contrasto  con gli strumenti urbanistici;
contrasterebbe, inoltre, con l'art. 117, secondo comma, lettere a) ed
e)  Cost.,  in  quanto  inciderebbe  nelle  materie  -  affidate alla
competenza  esclusiva  dello  Stato  -  dei  «rapporti  con  l'Unione
europea»,  della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello
Stato»,  nonche'  con  l'art. 117, terzo comma, l'art. 119 Cost. e la
potesta'   statale  di  coordinamento  della  finanza  pubblica;  con
l'art. 81  Cost., in quanto inciderebbe negativamente sulla copertura
finanziaria  di  molte  leggi  di  spesa  che  «fanno affidamento sul
gettito  del  condono edilizio», determinando una «indebita turbativa
dell'equilibrio  finanziario  del  Paese nel suo insieme»; violerebbe
altresi'  l'art. 3,  Cost.,  in  quanto  la  restrizione  dell'ambito
applicativo   della   disciplina   statale   del   condono   edilizio
comporterebbe   una   violazione   del   principio   di  uguaglianza;
violerebbe,  infine,  l'art. 117,  secondo  comma,  lettera l), Cost.
relativamente   alla  competenza  statale  esclusiva  in  materia  di
ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di
illecito   urbanistico   riceverebbe   nella   Regione,  per  effetto
dell'applicazione  della  norma  impugnata,  un  diverso  trattamento
giudiziario;
        VI) l'art. 33,   commi   2   e   3,   della  legge  regionale
dell'Emilia-Romagna n. 23 del 2004, nella parte in cui limita in modo
sostanziale l'ammissibilita' della sanatoria per gli ampliamenti e le
sopraelevazioni,  discostandosi  dai  limiti  previsti  dall'art. 32,
comma  25,  del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe l'art. 117,
terzo    comma,   Cost.,   perche'   ridurrebbe   irrazionalmente   e
irragionevolmente   l'ambito  degli  interventi  ammessi  al  condono
edilizio  dalla normativa statale; l'art. 117, secondo comma, lettere
a) ed e) l'art. 117, terzo comma, nonche' l'art. 119 Cost., in quanto
ridurrebbe  il  gettito  finanziario previsto dalla normativa statale
sul  condono edilizio, in tal modo incidendo su materie di competenza
statale  esclusiva  («rapporti  dello  Stato  con  l'Unione europea»,
«moneta»)  e  concorrente  («coordinamento  della finanza pubblica»);
l'art. 81   Cost.,   in   quanto   avrebbe  effetto  sulla  copertura
finanziaria  di  molte  leggi  di  spesa  che  «fanno affidamento sul
gettito  del  condono edilizio», determinando una «indebita turbativa
dell'equilibrio  finanziario  del  Paese  nel suo insieme»; l'art. 3,
Cost.,   in  quanto  la  restrizione  dell'ambito  applicativo  della
disciplina  statale del condono edilizio comporterebbe una violazione
del  principio di uguaglianza; l'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.,  in  relazione alla competenza statale esclusiva in materia di
ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di
illecito urbanistico riceverebbe, per effetto dell'applicazione della
norma  impugnata, un diverso trattamento giudiziario; l'art. 3 Cost.,
nella  parte  in cui introduce, per gli edifici bifamiliari (art. 32,
comma 3, lettera b) un limite (100 metri cubi) irragionevolmente piu'
severo rispetto a quello (cento metri quadrati) «che segna il confine
tra  la  nozione  di  variazione  essenziale  e  quella  di  parziale
difformita'   (per   l'Emilia-Romagna,   art. 23   della  legge  reg.
25 novembre 2002, n. 31)»;
        VII) l'art. 33,  comma 3 (ad eccezione della lettera d) della
legge  regionale  dell'Emilia-Romagna n. 23 del 2004, concernente gli
ampliamenti  e  sopraelevazioni  di manufatti esistenti, e l'art. 34,
comma  2,  concernente  gli  interventi di ristrutturazione edilizia,
nella parte in cui ammettono la sanatoria straordinaria (soltanto) di
interventi  edilizi «che siano conformi alla legislazione urbanistica
ma  che  contrastino  con le prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti  alla data del 31 marzo 2003», violerebbero l'art. 117, terzo
comma,  Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di
principio relativa alla individuazione degli interventi ammissibili a
sanatoria,   non  essendo  chiara  la  portata  del  requisito  della
conformita'  alla legislazione urbanistica e potendo esso determinare
una  ridottissima  possibilita' di applicazione del condono, anche in
relazione ad abusi minori;
        VIII) l'art. 33,    comma    4,    della    legge   regionale
dell'Emilia-Romagna  n. 23 del 2004, il quale stabilisce che «qualora
gli  ampliamenti  di  cui al comma 3, lettera a) punto 1), riguardino
edifici  con  originaria  funzione  diversa da quella abitativa, tali
immobili  sono  obbligati  a  mantenere  una  destinazione  d'uso non
abitativa  nei  venti  anni successivi alla data di entrata in vigore
della  presente  legge», nella parte in cui vincola per venti anni la
destinazione  d'uso degli immobili condonati, violerebbe gli artt. 3,
117,  secondo  comma,  lettere a) e) ed l), 117, terzo comma, 119, 81
Cost.,  «l'autonomia  degli  enti  locali» in relazione all'esercizio
della  potesta'  urbanistica,  nonche'  l'art. 42 Cost. e la garanzia
costituzionale della proprieta';
        IX   e   X) l'art. 34,   comma   1,   della  legge  regionale
dell'Emilia-Romagna  n. 23 del 2004, il quale esclude dalla sanatoria
gli  interventi di ristrutturazione edilizia «realizzati in contrasto
con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti
urbanistici  vigenti  alla data del 31 marzo 2003, fatto salvo quanto
disposto dal comma 2», senza «distinguere tra ristrutturazioni per le
quali  e'  necessario  permesso  di  costruire  e  ristrutturazioni a
volumetria  e  superficie utile lorda invariate» (che non comportano,
di regola, alterazioni del carico urbanistico, e dunque non implicano
oneri  per  la  riqualificazione  urbana  a  carico  delle  comunita'
locali),  nonche'  l'art. 34, comma 2, lettere a) e d) della medesima
legge,   il   quale   ammette   a   sanatoria   gli   interventi   di
ristrutturazione  purche'  ricorrano  le  condizioni elencate e siano
conformi  alla legislazione urbanistica, ed in particolare la lettera
a)  la  quale  ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione
edilizia  che «non comportino aumento delle unita' immobiliari, fatte
salve  quelle  ottenute  attraverso il recupero ai fini abitativi dei
sottotetti,  in  edifici  residenziali  bifamiliari e monofamiliari»,
violerebbero    l'art. 117,    terzo    comma,   Cost.,   in   quanto
contrasterebbero  con  la  normativa  statale  di  principio  che non
prevede tali limitazioni;
        XI) l'art. 2,  comma  1,  della legge regionale della Toscana
n. 53  del  2004,  nella parte in cui ammette alla sanatoria edilizia
soltanto  «le  opere e gli interventi (...) realizzati con variazioni
essenziali   dal  titolo  abilitativo  o,  comunque,  in  difformita'
rispetto  ad esso» (lettera a) escludendo dall'ambito di applicazione
del  condono  gli  immobili  realizzati  in  assenza  di  permesso di
costruire, ed inoltre, nella parte in cui subordina la sanabilita' al
«rispetto  dei  limiti  indicati dal comma 2», violerebbe l'art. 117,
terzo  comma,  Cost.,  in  quanto,  nel  circoscrivere  i  limiti  di
volumetria  e nell'escludere del tutto tipologie di abusi dall'ambito
degli  interventi  ammessi  alla  sanatoria,  contrasterebbe  con  il
principio  fondamentale  posto  dalle  norme  statali  concernenti il
condono  edilizio  che consente alle Regioni soltanto la possibilita'
di  «specificare  i  limiti  (quantitativi  e non) della sanabilita»,
nonche'  di  «`limare'  entro  margini  di ragionevole tollerabilita'
(...)  le  volumetrie  massime  previste  dal  legislatore  statale»;
l'art. 117,  secondo  comma,  lettere  a)  ed  e)  Cost.,  in  quanto
inciderebbe  nelle materie - affidate alla competenza esclusiva dello
Stato  -  dei  «rapporti  con l'Unione europea», della «moneta» e del
«sistema  tributario  e  contabile  dello  Stato»;  l'art. 117, terzo
comma,  l'art. 119 Cost. e la potesta' statale di coordinamento della
finanza pubblica; l'art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe il gettito
derivante  dal  condono  edilizio sul quale piu' leggi del Parlamento
farebbero  affidamento, ledendo «le potesta' statali di governo della
finanza  pubblica»,  e potendo «essere considerato indebita turbativa
dell'equilibrio  finanziario  del  Paese  nel  suo insieme»; l'art. 3
Cost.  ed  il  principio  di  eguaglianza; l'art. 117, secondo comma,
lettera  l), Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale in
esso  prevista  nelle  materie  dell'ordinamento  civile e penale, in
ragione  della «asistematicita» delle pronunzie giurisdizionali che i
giudici  comuni  sarebbero  chiamati  a rendere in applicazione della
normativa impugnata;
        XII) l'art. 2,  comma  2, della legge regionale della Toscana
n. 53  del  2004,  che  individua  gli interventi non suscettibili di
sanatoria,  violerebbe  l'art. 117,  terzo comma, Cost., in quanto si
discosterebbe   «eccessivamente»  e  «irrazionalmente»,  dai  «limiti
quantitativi»  alla  sanabilita'  di  ampliamenti e ristrutturazioni,
previsti  dall'art. 32,  comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003;
violerebbe, altresi', gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a)
e)  ed  l), 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle indicate per le
questioni sub VI e XI);
        XIII) l'art. 2,  comma  5,  lettera  c) della legge regionale
della  Toscana  n. 53  del  2004,  il  quale  esclude del tutto dalla
sanatoria «le opere e gli interventi in contrasto con le destinazioni
d'uso  ammesse,  nella  zona interessata, dagli strumenti urbanistici
vigenti  al  momento  dell'entrata  in  vigore» della medesima legge,
violerebbe  l'art. 117,  terzo comma, Cost, perche' introdurrebbe «un
limite  non  sorretto  da  (un) principio determinato dal legislatore
statale»,   nonche'   in   quanto   consentirebbe,   «nella  concreta
applicazione»  della normativa, «discrezionalita' non compatibili con
la `meccanica' di un condono edilizio»;
        XIV) l'art. 2,  comma  6, della legge regionale della Toscana
n. 53  del  2004,  ai  sensi  del quale, «qualora i vincoli di cui al
comma  4  e  al comma 5, lettera a) siano istituiti dopo l'entrata in
vigore della presente legge, si applica quanto previsto dall'articolo
32  della legge n. 47/1985. Si applica ugualmente l'articolo 32 della
legge  n. 47/1985  per  la  sanatoria  delle opere di cui al comma 5,
lettera  a)  conformi  agli  strumenti  urbanistici»,  laddove sembra
attribuire  ai vincoli istituiti dopo l'entrata in vigore della legge
de  qua «la forza di impedire la sanatoria straordinaria», violerebbe
gli artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost; l'art. 3 Cost.,
in  quanto  il principio di eguaglianza sarebbe «irrazionalmente leso
dalla  facolta' (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed
in  modo  discrezionale  l'affidamento del cittadino che autodenuncia
l'abuso  edilizio»;  l'art. 97 Cost. ed i principi di imparzialita' e
buon andamento dell'amministrazione;
        XV) l'art. 3,  commi  1  e  3,  della  legge  regionale della
Regione  Marche  n. 23  del 2004, nella parte in cui introduce limiti
quantitativi  all'ambito  degli  interventi  ammessi  alla  sanatoria
straordinaria,   riducendo   le  volumetrie  massime  assentibili  ed
escludendo  quasi  del  tutto  la  sanatoria per le nuove costruzioni
residenziali,  in  tal  modo  ponendosi  in  contrasto con i principi
stabiliti  dalla  legislazione statale, violerebbe gli artt. 81, 117,
secondo  comma, lettere a) e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per
identiche  ragioni rispetto a quelle indicate per le questioni sub VI
e  XI),  nonche'  l'art. 3  Cost.,  in  quanto  alterna in modo «poco
razionale»  «misure  di  volumetria  a  misure  di superficie», senza
specificare  se  si  tratta  di superficie utile lorda o netta, ed in
quanto  sopprime  «la  essenziale distinzione tra nuove costruzioni e
ampliamenti»  ed  inoltre  in  quanto  fa  «ricorso soltanto a limiti
massimi espressi in cifre assolute»;
        XVI) l'art. 3  della  legge  regionale  della  Regione Marche
n. 23  del  2004, nella parte in cui - per effetto della soppressione
del  limite  del 30 per cento della volumetria e del limite di 3. 000
metri  cubi  previsti dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003,
nonche'   a   causa   della   mancata  differenziazione  delle  nuove
costruzioni  non  residenziali  - estende l'ambito della sanabilita',
violerebbe    l'art. 117,   terzo   comma,   Cost.,   nonche',   piu'
specificamente,  l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l), Cost., il
quale  attribuisce  alla  competenza esclusiva dello Stato la materia
dello «ordinamento civile e penale»;
        XVII,  XVIII,  XIX,  XX) l'art. 2, comma 1, della legge della
Regione  Lombardia  n. 31  del 2004, nella parte in cui esclude dalla
sanatoria  straordinaria  le  «nuove costruzioni, residenziali e non,
qualora  realizzate  in assenza del titolo abilitativo edilizio e non
conformi  agli  strumenti  urbanistici  generali vigenti alla data di
entrata  in  vigore della presente legge»; nonche' nella parte in cui
appare  escludere anche le opere realizzate in totale difformita' dal
titolo  o  con  variazioni  essenziali; ed infine, nella parte in cui
riduce  -  in  relazione  agli  ampliamenti  -  i  limiti  massimi di
volumetria    aggiuntiva    ammessi    a   sanatoria   straordinaria,
consentendoli  solo  ove  contenuti  entro  il  «20  per  cento della
volumetria  della  costruzione  originaria  o, in alternativa, di 500
metri cubi»; l'art. 2, comma 2, della medesima legge, il quale, nello
stabilire  che  «non  sono  suscettibili  di sanatoria i mutamenti di
destinazione  d'uso,  qualora  superiori a 500 metri cubi per singola
unita'  immobiliare  e  non  conformi  alle  previsioni  urbanistiche
comunali  vigenti  alla  data  di  entrata  in  vigore della presente
legge»,  pone  due  differenti  limiti,  ulteriori a quelli stabiliti
dalla   normativa   statale,   alla   sanabilita'  dei  mutamenti  di
destinazione d'uso, «senza distinguere tra mutamenti implicanti opere
ed  altri mutamenti e tra mutamenti incidenti sui carichi urbanistici
ed  altri  mutamenti»,  violerebbero  gli  artt. 3,  81, 117, secondo
comma,  lettere a) e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per ragioni
identiche a quelle indicate per le questioni sub VI e XI);
        XXI) l'art. 3,  comma  1, della legge della Regione Lombardia
n. 31  del  2004, ove «considerato esaustivo ed a se stante» rispetto
alla legislazione statale, e dunque, «interpretabile a contrario» nel
senso  di  consentire  un  ampliamento  dell'ambito  della sanatoria,
violerebbe   l'art. 117,   terzo  comma,  Cost.,  in  quanto  sarebbe
contrastante  «con il principio posto dall'art. 32, comma 27, lettera
d)», del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269; violerebbe altresi'
l'art. 117,  secondo  comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe
l'ambito   della   competenza   statale   esclusiva   in  materia  di
«ordinamento civile e penale»;
        XXII) l'art. 3, comma 1, lettera a) della legge della Regione
Veneto  n. 21 del 2004, il quale ammette a sanatoria «le tipologie di
opera di cui all'Allegato 1 della legge sul condono» a condizione che
«gli   ampliamenti   di   costruzioni   a  destinazione  industriale,
artigianale  e agricolo-produttiva non superino il 20 per cento della
superficie  coperta  fino  ad  un  massimo  di  450 metri quadrati di
superficie  lorda  di pavimento», violerebbe l'art. 117, terzo comma,
Cost,  in  quanto,  individuando  i  limiti  quantitativi degli abusi
sanabili  con riferimento alla superficie e non al volume, renderebbe
possibile  il  superamento  del  limite  di  750  metri  cubi fissato
dall'art. 32,  comma  25,  del  decreto-legge  n. 269  del  2003,  in
contrasto  con  i  principi  fondamentali  della materia «governo del
territorio»  individuati  dalla  sentenza  di questa Corte n. 196 del
2004  nella  disciplina  statale posta dall'art. 32 del decreto-legge
n. 269  del  2003,  ed  in  particolare  con  il limite massimo delle
volumetrie  sanabili ivi indicato, nonche' l'art. 117, secondo comma,
lettera  l), Cost., in quanto, estendendo l'ambito della sanabilita',
determinerebbe  una  palese  invasione  della  competenza  statale in
materia di «ordinamento civile e penale»;
        XXIII) l'art. 3,  comma  1,  lettera  c)  della  legge  della
Regione  Veneto  n. 21 del 2004, il quale, nella parte in cui dispone
che  «le  tipologie  di  opera  di cui all'allegato 1 della legge sul
condono» sono suscettibili di sanatoria edilizia a condizione che «le
nuove  costruzioni  siano pertinenze di fabbricati residenziali prive
di  funzionalita'  autonoma,  fino  ad un massimo di 300 metri cubi»,
esclude  dal  condono  edilizio  le  «nuove costruzioni residenziali»
diverse  da  quelle pertinenziali e aventi volumetria non superiore a
300  metri cubi, violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
contrasterebbe   con   «un   principio  determinato  dal  legislatore
statale»,  nonche'  con  la  «configurabilita»  -  che  sarebbe stata
ammessa  anche  da  questa Corte - «di una sanatoria straordinaria di
illeciti urbanistici»; l'art. 117, terzo comma, l'art. 119 Cost. e la
competenza   statale   in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica;  l'art. 117,  secondo comma, lettere a) e) ed l), Cost., in
quanto  inciderebbe  sulla competenza esclusiva statale in materia di
«rapporti  con  l'Unione  europea»,  «moneta»,  «ordinamento civile e
penale»; l'art. 81 Cost., per contrasto con il principio di copertura
finanziaria,  l'art. 3,  Cost.  e  il  principio  di  eguaglianza ivi
sancito;
        XXIV) l'art. 3,  comma  3,  della  legge della Regione Veneto
n. 21  del  2004  -  il  quale dispone che «ad integrazione di quanto
previsto  dall'articolo  32,  commi 26 e 27, della legge sul condono,
nelle  aree  assoggettate  ai  vincoli  di cui all'articolo 32» della
legge  n. 47  del 1985 e successive modificazioni, «sono suscettibili
di sanatoria edilizia, a condizione che l'intervento non sia precluso
dalla  disciplina  di  tutela  del vincolo, esclusivamente i seguenti
interventi,  ancorche'  eseguiti in epoca successiva alla imposizione
del  relativo  vincolo:  a)  i mutamenti di destinazione d'uso, con o
senza  opere,  qualora la nuova destinazione d'uso sia residenziale e
non  comporti  ampliamento  dell'immobile; b) le opere o modalita' di
esecuzione  non valutabili in termini di volume», nella misura in cui
farebbe  riferimento ad interventi non incidenti sulla volumetria, ma
solo sulla «superficie utile», escludendo dalla sanatoria «ogni altro
intervento abusivo», violerebbe gli artt. 117, secondo e terzo comma,
81,  119  e  3  Cost.  (per  le medesime ragioni svolte sub VI e XI),
nonche'  l'art. 117,  secondo comma, lettera s), Cost., sia in quanto
sarebbe  riservata  al  legislatore statale «la tutela dei valori (ad
esempio  ambientali) presidiati» dai vincoli di cui all'art. 32 della
legge  n. 47  del 1985, sia in quanto possa in concreto consentire la
sanatoria  che  sarebbe  invece  esclusa in via assoluta dall'art. 33
della legge n. 47 del 1985;
        XXV) l'art. 20, comma 1, lettera a) della legge della Regione
Umbria n. 21 del 2004, il quale nel disciplinare la sanabilita' degli
ampliamenti     di    fabbricati    esistenti,    introduce    limiti
quantitativamente  diversi  rispetto  a quelli previsti dall'art. 32,
comma  25,  del  decreto-legge n. 269 del 2003, discrimina tra unita'
immobiliari  destinate  ad  attivita'  produttive o a servizi e altre
unita'  immobiliari,  determina  tali  limiti  in  «metri  quadri  di
superficie   utile  coperta»,  anziche'  in  termini  di  volume,  in
violazione degli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub
VI, XI);
        XXVI) l'art. 20,  comma  1,  lettera  c)  della  legge  della
Regione  Umbria  n. 21  del 2004, il quale ammette la sanatoria delle
«opere  riconducibili  alle  seguenti  tipologie di illecito edilizio
indicate  con  i  numeri 3, 4, 5 e 6 dell'allegato 1 al decreto-legge
medesimo,  anche  con eventuale modifica delle destinazioni d'uso» le
quali  «siano  esse  realizzate in conformita' o in difformita' dalle
norme  urbanistiche  e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici
alla  data  del  2 ottobre 2003», violerebbe l'art. 117, terzo comma,
Cost.,  in quanto, ove la data del 2 ottobre 2003 fosse riferita alla
realizzazione   delle  opere,  contrasterebbe  «con  il  fondamentale
principio  posto  dall'art. 32,  comma  25,  del citato decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269»,  il  quale  fa  riferimento  alle opere
realizzate entro il 31 marzo 2003; l'art. 117, secondo comma, lettera
l),  Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva dello Stato
in materia di «ordinamento civile e penale»;
        XXVII) l'art. 21,  comma  1,  lettera  c)  della  legge della
Regione  Umbria  n. 21  del  2004,  nella  parte  in  cui  esclude la
sanabilita' di opere abusive che comportino «utilizzo di aree in zona
agricola  per  usi  del  suolo  diversi  da quello agricolo», potendo
determinare  la  preclusione  della  sanatoria  nelle  zone agricole,
oltretutto  in  contraddizione  con  il  precedente art. 20, comma 1,
lettera  a) numero 3, ove viene espressamente menzionata la «zona E»,
determinerebbe   una   irragionevole  diminuzione  dell'ambito  degli
interventi  condonabili, cosi' violando gli artt. 3, 81, 117, secondo
e  terzo  comma, e 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a quelle
indicate nelle questioni sub VI e XI);
        XXVIII) l'art. 21,  comma 1,  lettera  d)  della  legge della
Regione  Umbria  n. 21  del  2004,  il  quale, escludendo dal condono
edilizio  straordinario  i  «nuovi  edifici,  salvo  quanto  previsto
dall'art. 20,  comma  1, lettera b)», della medesima legge regionale,
ridurrebbe  l'ambito  delle  fattispecie  passibili  di sanatoria, in
contrasto  con  i principi fondamentali posti dall'art. 32, comma 25,
del  decreto-legge  n. 269  del  2003,  ai  sensi del quale sarebbero
ammesse  a  sanatoria  anche  le «nuove costruzioni residenziali», in
violazione  degli  gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119
Cost.  (per  identiche  ragioni  rispetto  a  quelle  indicate  nelle
questioni sub VI e XI);
        XXIX) l'art. 21,  comma  1,  lettera  e)  della  legge  della
Regione  Umbria  n. 21  del  2004,  nella  parte  in  cui  esclude la
sanabilita'  dell'ampliamento  di edifici la cui «intera» costruzione
abbia  gia'  beneficiato  di «precedenti condoni edilizi», violerebbe
l'art. 3  Cost.,  in  quanto  introdurrebbe  una  disuguaglianza  non
sorretta da un principio della legislazione statale; gli artt. 3 e 42
Cost.,  in  quanto  discriminerebbe  gli  attuali  proprietari  degli
edifici  in  questione  che  potrebbero essere soggetti diversi dagli
autori   dei  precedenti  abusi  e  dai  proprietari  degli  immobili
all'epoca  in  cui  essi  sono  stati realizzati; l'art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., in quanto la discriminazione tra proprieta'
edilizie  e  relativi  proprietari  sarebbe invasiva della competenza
esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale»;
        XXX) l'art. 21,  comma  1,  lettera  h),  della  legge  della
Regione  Umbria  n. 21  del  2004,  il  quale  - nell'escludere dalla
sanatoria gli interventi «di ampliamento nelle zone omogenee A di cui
al  D.M.  n. 1444/1968, nonche' nei centri storici», ad eccezione «di
quelli  di cui all'articolo 20, comma 2» - equipara «i centri storici
ai `siti archeologici' e tutti i relativi edifici a quelli sottoposti
a   vincolo   extraurbanistico»,   determinando   una   irragionevole
diminuzione  dell'ambito  degli  interventi per i quali e' ammesso il
condono  edilizio,  violerebbe  gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo
comma, e 119 Cost., (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate
nelle questioni sub VI e XI);
        XXXI) l'art. 19  della  legge  della Regione Umbria n. 21 del
2004,  il  quale al comma 1 afferma che «i limiti, le condizioni e le
modalita'  per  il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (...)
sono  disciplinate dal presente titolo», mentre al successivo comma 2
afferma   che  «per  quanto  non  disposto  dal  presente  titolo  si
applicano»  le  normative  statali  del  1985  e  del 1994, nonche' i
termini  temporali,  le modalita' e le procedure previste dalle norme
statali  del  2003,  «in  connessione  con le doglianze in precedenza
formulate», violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e
119 Cost., in quanto conterrebbe disposizioni poco chiare ed inoltre,
in   quanto  la  mancata  menzione  delle  «successive  modifiche  ed
integrazioni»  della  disciplina statale del 1985 e del 1994 potrebbe
«ingenerare incertezze e controversie»;
        XXXII) l'art. 27,  comma  4, della legge della Regione Umbria
n. 21  del  2004,  il  quale  dispone  che «l'ampliamento di cui alla
lettera  a)  del comma 1 dell'articolo 20, per gli edifici costituiti
da  piu'  unita'  immobiliari dello stesso avente titolo, o da unita'
immobiliari   pertinenziali   insistenti   all'interno  del  lotto  o
dell'area, sempre dello stesso avente titolo, e' ammesso per una sola
volta  ed  e'  riferito  alla  sommatoria delle superfici di tutte le
unita'  immobiliari interessate, salvo che ogni unita' immobiliare si
configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi»,
laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di piu' proprietari
di unita' immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico
proprietario   di   piu'   unita'  immobiliari  autonome,  violerebbe
l'art. 117, terzo comma, Cost.;
        XXXIII) gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma
2),  4,  6  (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione
Campania  n. 10 del 2004, in quanto emanati quando era oramai decorso
il  termine  di  quattro mesi (scaduto il 12 novembre 2004) stabilito
dall'art. 5,  comma  1,  del  decreto-legge  12 luglio  2004,  n. 168
(Interventi  urgenti  per  il  contenimento  della  spesa  pubblica),
convertito  con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191, per
l'emanazione  della  legge  di  cui  al  comma  26  dell'art. 32  del
decreto-legge  n. 269 del 2003, violerebbero l'art. 117, terzo comma,
Cost. e il principio di «leale collaborazione», in quanto, decorso il
termine  suddetto,  la  potesta'  normativa  regionale avrebbe potuto
essere  esercitata  soltanto  recependo  la  normativa  statale  gia'
divenuta applicabile, «senza possibilita' di contraddirla»;
        XXXIV,  XXXV,  XXXVI,  XXXVII) l'art. 1, comma 1, della legge
della  Regione  Campania  n. 10  del  2004,  il quale dispone che «la
presente  legge  disciplina  la  possibilita',  le  condizioni  e  le
modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria degli abusi edilizi di cui
al  decreto  legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito
in   legge  dalla  legge  24 novembre  2003,  n. 326,  articolo  1  e
successive modificazioni e integrazioni», laddove sia suscettibile di
essere  interpretato  nel  senso  di escludere «dal tessuto normativo
complessivo»  le disposizioni statali in esso citate; l'art. 3, comma
1,  della  medesima legge, nella parte in cui esclude dalla sanatoria
straordinaria  tutte  le  «opere  abusive  che  hanno  comportato  la
realizzazione  di nuove costruzioni difformi dalle norme urbanistiche
e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di
esecuzione   delle   stesse»,   in   contrasto   con   l'art. 32  del
decreto-legge  n. 269  del  2003,  ed  inoltre  nella  parte  in cui,
irrazionalmente darebbe rilevanza a norme e strumenti urbanistici non
piu'  in  vigore  al  momento  dell'entrata  in  vigore  della  legge
regionale;  l'art. 4,  comma  1,  lettera a) della medesima legge, il
quale,  disponendo  che sono sanabili le opere abusive rientranti tra
le tipologie di cui all'allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003,
se le stesse «hanno comportato un ampliamento del manufatto inferiore
al  quindici per cento della volumetria della costruzione originaria,
sempre  che  l'ampliamento  non  superi  complessivamente i 250 metri
cubi»,  pone  per  gli  ampliamenti due limiti piu' severi rispetto a
quelli  previsti  dalla norma statale ed inoltre tra loro cumulativi,
in tal modo restringendo l'ambito della sanatoria; l'art. 4, comma 1,
lettera  b) della medesima legge, che disponendo che sono sanabili le
opere  abusive  che  «hanno  comportato  la  realizzazione  di  nuove
costruzioni  conformi  alle  norme  urbanistiche  e alle prescrizioni
degli  strumenti  urbanistici  vigenti  alla data di esecuzione delle
stesse e aventi una volumetria inferiore a 250 metri cubi per singola
richiesta  di  titolo  edilizio  in  sanatoria,  sempre  che la nuova
costruzione   non   superi   complessivamente   i  600  metri  cubi»,
violerebbero  gli  artt. 3,  81,  117,  secondo  e terzo comma, e 119
Cost.,  (per  ragioni  identiche  rispetto  a  quelle  indicate nelle
questioni sub VI e XI);
        XXXVIII) l'art. 3,  comma 2, lettera a) «con i connessi commi
3  e  4»,  e  l'art. 4, comma 1, lettera c) della legge della Regione
Campania  n. 10  del  2004,  nella  parte in cui restringono l'ambito
degli  interventi  sanabili  negando  rilevanza  al parere favorevole
delle  autorita'  preposte alla tutela del vincolo, senza distinguere
se   tale   vincolo   sia   anteriore  all'abuso  ovvero  successivo,
violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per  le medesime ragioni di cui alle questioni sub VI e XI), nonche'
l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.;
        XXXIX) l'art. 3,  comma 2, lettera a) «con i connessi commi 3
e  4»,  e  l'art. 4,  comma  1,  lettera c) della legge della Regione
Campania  n. 10 del 2004, nella parte in cui estendono l'ambito degli
interventi   sanabili   in   ragione   del   riferimento  alle  norme
urbanistiche  e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti
alla  data  di  esecuzione delle opere abusive, norme e strumenti che
potrebbero  risultare  meno  severi  di  quelli  vigenti alla data di
entrata  in  vigore  del  decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbero
l'art. 117,  terzo comma, Cost. ponendosi in contrasto con i principi
fondamentali  posti  dalla  normativa  statale,  nonche'  l'art. 117,
secondo   comma,  lettera  l),  Cost.,  in  quanto  invaderebbero  la
competenza  statale  esclusiva  in  materia  di «ordinamento civile e
penale»;
        XL) l'art. 3,  comma  2, lettera c) della legge della Regione
Campania  n. 10  del  2004,  nella  parte  in cui, disponendo che non
possono essere sanate le opere «realizzate su aree facenti parte o di
pertinenza  del  demanio  pubblico»,  e  non distinguendo tra demanio
statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe l'ambito delle
ipotesi  di  esclusione dalla sanabilita' gia' prevista dall'art. 32,
comma  14, del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe gli artt. 42
e  117,  secondo  comma,  lettera  g)  Cost., in relazione al demanio
statale,  per  il  quale la sanabilita' delle opere e' subordinata al
previo esplicito consenso dello Stato proprietario; l'art. 117, terzo
comma,  Cost.  in  quanto contrasterebbe con un principio determinato
dalla  normativa statale (art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269
del 2003 e art. 32, comma 6, della legge n. 47 del 1985); l'art. 117,
terzo  comma,  Cost.,  in relazione ai beni del demanio provinciale e
comunale, in quanto la disposizione regionale non sarebbe sorretta da
alcun principio determinato dalla normativa statale;
        XLI) l'art. 4,  comma 1, lettera d) della legge della Regione
Campania  n. 10  del  2004,  il  quale  ammette  alla  sanatoria  gli
interventi  che  «hanno comportato un ampliamento del manufatto, gia'
oggetto  di  condono  ai  sensi  delle disposizioni di cui alla legge
28 febbraio  1985,  n. 47,  capi  IV  e  V,  o  ai  sensi della legge
23 dicembre  1994, n. 724, articolo 39, inferiore al cinque per cento
della   volumetria   della   costruzione   originaria,   sempre   che
l'ampliamento  non  superi  complessivamente  i  cento  metri  cubi»,
violerebbe  gli  artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per  le  medesime  ragioni  di cui alle questioni questioni sub VI e
XI),  nonche'  l'art. 42  Cost.  e  la  garanzia costituzionale della
proprieta'.
    4.  -  Le  censure  prospettate  dall'Avvocatura dello Stato sono
nella  loro  grande maggioranza  riconducibili  a  pochi  macrogruppi
omogenei.
    Questi macrogruppi possono essere cosi' individuati.
        1) questioni  in  cui  si  contesta  la riduzione dell'ambito
della  sanatoria  straordinaria mediante l'esclusione dal condono sul
versante  amministrativo di talune tipologie di abusi edilizi: a tale
gruppo  sono riconducibili le questioni sub V, VI, IX, XI (in parte),
XVII, XVIII, XXIII, XXIV (in parte), XXVIII, XXX, XXXV;
        2) questioni  in  cui  si  contesta  la riduzione dell'ambito
della  sanatoria  straordinaria  mediante  la  riduzione  dei  limiti
quantitativi   delle  volumetrie  condonabili:  a  tale  gruppo  sono
riconducibili  le  questioni  sub  XI  (in parte), XII, XV, XIX, XXV,
XXXVI, XXXVII, XLI;
        3) questioni  in  cui  si  contesta  la riduzione dell'ambito
della  sanatoria straordinaria mediante l'introduzione, ai fini della
condonabilita' di taluni interventi, di ulteriori condizioni rispetto
a  quelle  previste dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003: a
tale  gruppo  sono  riconducibili  le questioni sub IV, VII, VIII, X,
XIII, XIV, XX, XXVII, XXIX, XXXII, XXXVIII, XL;
        4) questioni   in   cui   si   contesta  l'ampliamento  degli
interventi  ammessi alla sanatoria amministrativa: a tale gruppo sono
riconducibili  le  questioni  sub I, XVI, XXI, XXII, XXIV (in parte),
XXXIX;
        5) questioni  in  cui  si  contesta  il  mancato rispetto del
termine  previsto  per  l'emanazione  della  legge  regionale  di cui
all'art. 32,  comma 26, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito
dalla  legge  n. 326  del  2003,  da  parte dell'art. 5, comma 1, del
decreto-legge  n. 168  del  2004,  convertito  dalla legge n. 191 del
2004: questioni sub XXXIII.
    Estranee   a   queste   categorie,   in   quanto  sostanzialmente
eterogenee,  risultano  le  sole  questioni  sub II, III, XXVI, XXXI,
XXXIV.
    5.   -   In   via   preliminare,   deve   essere   dichiarata  la
inammissibilita' di alcune delle questioni sollevate dalla Avvocatura
dello   Stato   relativamente  a  disposizioni  legislative  che  non
risultano individuate nelle corrispondenti delibere del Governo e nei
relativi   allegati.  Come,  infatti,  questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato,  la  delibera  del  Consiglio  dei ministri o la relazione
ministeriale  a  cui questa rinvii devono necessariamente indicare le
specifiche  disposizioni  che  si ritiene di impugnare (si vedano, ex
plurimis,  le  sentenze  n. 300  del  2005;  n. 43 e n. 134 del 2004,
n. 315 del 2003, n. 533 del 2002).
    La  deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004
contiene  una  generica  determinazione  di  impugnare la legge della
Regione  Veneto  5 novembre  2004, n. 21, e la allegata relazione del
Ministro  per  gli  affari  regionali non fa menzione, fra le diverse
norme da impugnare, dell'art. 3, comma 1, lettera a) ne' dell'art. 3,
comma 3. Sono pertanto inammissibili le questioni sub XXII e XXIV.
    Analogamente,  la  deliberazione  del  Consiglio dei ministri del
23 dicembre 2004 contiene una generica determinazione di impugnare la
legge  della  Regione  Umbria  3 novembre  2004, n. 21, e la allegata
relazione  del Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra
le  diverse norme da impugnare, dell'art. 19 e dell'art. 27, comma 4.
L'Avvocatura,  nel  ricorso,  motiva  laconicamente l'impugnazione di
tali  disposizioni sostenendo che esisterebbe una «connessione con le
doglianze  fin qui formulate»; in realta', si tratta semplicemente di
un'affermazione  del  tutto  generica,  tale  da  non giustificare la
censura  di  norme non specificamente individuate nella deliberazione
dell'organo  politico.  Pertanto, anche le questioni sub XXXI e XXXII
sono inammissibili.
    Infine,   la   deliberazione   del  Consiglio  dei  ministri  del
23 dicembre 2004 contiene una generica determinazione di impugnare la
legge  della  Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10, e la allegata
relazione  del Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra
le  diverse  norme  da  impugnare,  dell'art. 1, comma 1. Pertanto e'
inammissibile la questione sub XXXIV.
    5.1.   -   Deve   essere   dichiarata,   altresi',  inammissibile
l'impugnazione  dell'art. 1,  comma  1,  della  legge  della  Regione
Lombardia  n. 31  del  2005, che il ricorrente effettua limitatamente
alle parole «salvo quanto disposto dalla presente legge».
    L'Avvocatura  si  limita  infatti  ad indicare, nell'epigrafe del
ricorso,  tale  disposizione  tra  quelle  oggetto  di  impugnazione,
omettendo  pero'  di  svolgere  alcuna argomentazione al riguardo. La
censura  manca pertanto dei requisiti minimi che, secondo il costante
orientamento  di  questa Corte, gli atti introduttivi del giudizio in
via principale devono presentare (sentenze n. 423 e n. 286 del 2004).
    6.  -  Tutte le disposizioni regionali impugnate hanno ad oggetto
la  disciplina  del  condono  edilizio straordinario del 2003, e sono
state emanate ai sensi dell'art. 32, commi 26 e 33, del decreto-legge
n. 269  del  2003,  cosi'  come modificato dalla legge di conversione
n. 326  del  2003,  come  risultante  a  seguito  della  pronuncia di
parziale illegittimita' costituzionale operata con la sentenza n. 196
del  2004  di  questa  Corte;  sentenza  cui  ha  dato esplicitamente
esecuzione  l'art. 5  del  decreto-legge  n. 168 del 2004, convertito
dalla legge n. 191 del 2004.
    Dal  momento che larga parte delle questioni di costituzionalita'
sollevate  dal  ricorrente e delle argomentazioni svolte dalle difese
regionali   si   fondano   su  differenziate,  se  non  contrapposte,
interpretazioni  della  giurisprudenza  di  questa  Corte  su  questa
legislazione  relativa  al  recente  condono  edilizio straordinario,
appare necessario richiamarne alcuni fondamentali contenuti.
    Nella  citata sentenza n. 196 del 2004, questa Corte ha affermato
esplicitamente  che  nella  disciplina  del  condono edilizio di tipo
straordinario  convergono  la  competenza legislativa esclusiva dello
Stato  per  quanto riguarda la esenzione dalla sanzionabilita' penale
(con la correlativa disciplina strumentale della piena collaborazione
dei   comuni  con  gli  organi  giurisdizionali  quindi  chiamati  ad
applicare  la  legge sul condono) e la competenza legislativa di tipo
concorrente  delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di «governo
del  territorio»,  nonche'  di  «valorizzazione dei beni culturali ed
ambientali»,  oltre a varie altre competenze innominate riconducibili
al  quarto comma dell'art. 117 Cost. (ad esempio, commercio, turismo,
insediamenti  produttivi). Al tempo stesso, non si puo' sottovalutare
la  tradizionale  titolarita'  da  parte  dei comuni dei fondamentali
poteri   di   gestione   dell'assetto  urbanistico  ed  edilizio  del
territorio,  ivi  compreso l'ordinario e limitato potere di sanatoria
edilizia,   poteri   che   certamente   potrebbero   risultare  anche
radicalmente   vulnerati   dall'imposizione   di   uniformi   condoni
straordinari,  che  non tengano in adeguata considerazione le diverse
legislazioni   urbanistiche   regionali   e   le   stesse  condizioni
urbanistiche   ed   edilizie   dei  diversi  territori.  Da  cio'  la
conclusione «che, in riferimento alla disciplina del condono edilizio
(per  la  parte  non  inerente  ai profili penalistici, integralmente
sottratti   al  legislatore  regionale,  ivi  compresa  -  come  gia'
affermato  in  precedenza  -  la collaborazione al procedimento delle
amministrazioni   comunali),   solo   alcuni  limitati  contenuti  di
principio  di  questa  legislazione  possono ritenersi sottratti alla
disponibilita'  dei  legislatori  regionali,  cui  spetta  il  potere
concorrente  di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio certamente la
previsione  del  titolo  abilitativo  edilizio in sanatoria di cui al
comma  1  dell'art. 32,  il limite temporale massimo di realizzazione
delle  opere  condonabili, la determinazione delle volumetrie massime
condonabili).  Per  tutti  i  restanti  profili  e' invece necessario
riconoscere  al legislatore regionale un ruolo rilevante - piu' ampio
che  nel periodo precedente - di articolazione e specificazione delle
disposizioni  dettate  dal legislatore statale in tema di condono sul
versante amministrativo» (paragrafo 20 del Considerato in diritto).
    D'altra  parte,  nella  medesima  sentenza sono state superate le
censure  fondate  sull'asserita  irrimediabile violazione dei primari
valori  della  tutela  dei  beni  ambientali  e  paesaggistici di cui
all'art. 9  Cost.,  solo  con  la  affermazione  che «la tutela di un
fondamentale  valore costituzionale sara' tanto piu' effettiva quanto
piu'  risulti  garantito  che  tutti  i soggetti istituzionali cui la
Costituzione   affida  poteri  legislativi  ed  amministrativi  siano
chiamati  a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco.
E  il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo
specificativo  -  all'interno  delle  scelte riservate al legislatore
nazionale  - delle norme in tema di condono contribuisce senza dubbio
a  rafforzare  la  piu'  attenta e specifica considerazione di quegli
interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che
sono  -  per loro natura - i piu' esposti a rischio di compromissione
da  parte  delle legislazioni sui condoni edilizi». Ne' si dimentichi
che,  sempre  nella  sentenza n. 196 del 2004, questa Corte ha potuto
dichiarare  infondate  le  censure  relative all'adozione di un nuovo
condono  straordinario  in  relazione  alla  presunta  violazione del
principio  di  ragionevolezza  (a  causa  della  asserita mancanza di
circostanze  eccezionali  che  potessero  giustificare  la  ulteriore
reiterazione di un provvedimento certamente lesivo della certezza del
diritto)  solo dando al comma 2 dell'art. 32 del citato decreto-legge
n. 269  del 2003 il significato di individuare la giustificazione del
condono da esso previsto «nelle contingenze particolari della recente
entrata  in  vigore  del  testo  unico  delle disposizioni in materia
edilizia  (...),  nonche'  dell'entrata  in vigore del nuovo Titolo V
della  seconda  parte della Costituzione, che consolida ulteriormente
nelle  Regioni  e  negli  enti  locali  la  politica  di gestione del
territorio».
    Su   questa   base,   le   numerose   dichiarazioni  di  parziale
illegittimita'   dell'art. 32  erano  esplicitamente  finalizzate  ad
eliminare  le  limitazioni che «escludono il legislatore regionale da
ambiti materiali che invece ad esso spettano», pur nel pieno rispetto
delle  esclusive  responsabilita'  della  legge  statale sul versante
delle   sanzioni  penali.  In  particolare,  per  cio'  che  concerne
l'ampiezza   della   discrezionalita'   riconosciuta  al  legislatore
regionale  in  materia  di  condono  sul  versante  della  disciplina
amministrativa,  nella  sentenza  n. 196  questa Corte ha «dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  anzitutto  il comma 26 dell'art. 32,
nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la  legge  regionale  possa
determinare  la  possibilita',  le  condizioni  e  le  modalita'  per
l'ammissibilita'  a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio
di  cui  all'Allegato  1  del decreto-legge n. 269 del 2003». Analoga
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  ha  pronunziato in
relazione  al  «comma 25 dell'art. 32, nella parte in cui non prevede
che  la  legge  regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti
volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione».
    Del   tutto   uniformemente,  seppur  in  termini  sintetici,  la
successiva sentenza n. 71 del 2005 ha affermato «che, a seguito della
citata sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta nell'art. 32
del   decreto-legge   n. 269   del   2003   ha  subito  una  radicale
modificazione,  soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni
del  potere  di modulare l'ampiezza del condono edilizio in relazione
alla  quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando
la  spettanza al legislatore statale della potesta' di individuare la
portata  massima  del  condono  edilizio straordinario, attraverso la
definizione  sia  delle  opere abusive non suscettibili di sanatoria,
sia  del  limite  temporale  massimo  di  realizzazione  delle  opere
condonabili,  sia delle volumetrie massime sanabili» (analogamente si
vedano le sentenze nn. 70 e 304 del 2005).
    Al  tempo  stesso,  la  sentenza  n. 70  del  2005 ha chiaramente
ribadito  che  cio'  che  esula  dalla  potesta'  delle Regioni e' il
«potere  di  rimuovere  i  limiti  massimi  di  ampiezza  del condono
individuati dal legislatore statale».
    Su   un   diverso   piano,   la  sentenza  n. 196  del  2004,  in
considerazione  della  evidente  interdipendenza  fra la legislazione
esclusiva  statale  sul  condono  edilizio  per  quanto  riguarda  le
conseguenze  penali  e quella regionale sul condono edilizio per cio'
che  riguarda  il  versante  amministrativo (sia nell'interesse delle
diverse  istituzioni  pubbliche, che dei vari possibili interessati),
ha  affermato  che  «l'adozione  della  legislazione  da  parte delle
Regioni  appare non solo opportuna, ma doverosa e da esercitare entro
il termine determinato dal legislatore nazionale; nell'ipotesi limite
che  una  Regione o Provincia autonoma non eserciti il proprio potere
legislativo  in materia nel termine massimo prescritto, a prescindere
dalla   considerazione   se  cio'  costituisca,  nel  caso  concreto,
un'ipotesi  di  grave  violazione  della  leale cooperazione che deve
caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potra' che trovare
applicazione   la  disciplina  dell'art. 32  e  dell'Allegato  1  del
decreto-legge n. 269 del 2003».
    7.  -  Cosi'  richiamati  i  confini  tra  competenza legislativa
statale  e  competenza  legislativa  regionale gia' individuati nella
giurisprudenza  di  questa  Corte, si possono esaminare nel merito le
censure prospettate nei ricorsi.
    Logicamente  preliminari  sono le questioni sub XXXIII, aventi ad
oggetto  l'art. 1, l'art. 3, eccettuate le lettere b e d del comma 2,
l'art. 4,  l'art. 6,  commi  1,  2  e 5, e l'art. 8 della legge della
Regione  Campania n. 10 del 2004. Tali disposizioni sono impugnate in
quanto  sarebbero  state  adottate  oltre  il termine di quattro mesi
dalla  data  di  entrata in vigore del decreto-legge n. 168 del 2004,
cosi'  come  convertito  nella  legge n. 191 del 2004, secondo quanto
prescritto dall'art. 5, comma 1, del suddetto decreto.
    Le  questioni,  pur  relative  solo  ad alcune disposizioni della
legge regionale n. 10 del 2004, sono senz'altro ammissibili, malgrado
l'eccezione  prospettata  dalla  difesa  regionale  secondo la quale,
lamentandosi la sussistenza di un vizio formale, le censure avrebbero
dovuto  semmai  riguardare l'intera legge; al contrario, va osservato
che il limite temporale all'esercizio del potere legislativo da parte
delle  Regioni  in questa particolare materia concerne esclusivamente
le   disposizioni   che,   specificando   l'ambito  degli  interventi
condonabili   sul   versante   amministrativo,  si  discostano  dalle
previsioni dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, cosi' come
modificato  dalla  legge  di  conversione  n. 326  del  2003,  e come
risultante  a  seguito della dichiarazione di parziale illegittimita'
costituzionale  ad  opera  della  sentenza  n. 196 del 2004 di questa
Corte.  Non  incontra,  invece, limiti temporali del genere il potere
legislativo  regionale  che  si  svolga in conformita' dell'art. 32 o
nell'ambito   di  una  qualsiasi  ordinaria  materia  legislativa  di
competenza della Regione.
    Nel merito le questioni sono fondate.
    La prescrizione del termine di quattro mesi da parte dell'art. 5,
comma  1,  del  decreto legge n. 168 del 2004 da' attuazione a quanto
espressamente  statuito  al  punto  7  del dispositivo della sentenza
n. 196   del   2004,   il   quale  ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo  l'art. 32, decreto-legge n. 269 del 2003 «nella parte in
cui  non  prevede  che  la  legge  regionale di cui al comma 26 debba
essere  emanata  entro  un  congruo termine da stabilirsi dalla legge
statale». Peraltro, nella motivazione di tale pronuncia, questa Corte
ha  configurato  tale  termine  come  perentorio,  tanto da prevedere
addirittura  che,  ove  le  Regioni  non esercitino il proprio potere
entro  il  termine prescritto «non potra' che trovare applicazione la
disciplina  dell'art. 32  e  dell'Allegato 1 del decreto-legge n. 269
del 2003, cosi' come convertito in legge».
    Privo  di  pregio  e'  il  tentativo  della  difesa  regionale di
sostenere  che il termine di quattro mesi decorrerebbe non gia' dalla
data di entrata in vigore del decreto legge n. 168, bensi' dalla data
di  entrata  in  vigore della legge di conversione n. 191, sulla base
dell'argomentazione  che appunto la legge di conversione ha integrato
il  testo  del  comma  1  dell'art. 5, aggiungendo ad esso il secondo
periodo:  a prescindere dal fatto che quest'ultimo periodo non fa che
parafrasare  il  contenuto  della  sentenza  n. 196  del  2004 (prima
citato)  a  proposito della applicabilita' della normativa statale in
caso   di  mancato  esercizio  nel  termine  del  potere  legislativo
regionale, il riferimento al termine di quattro mesi e' contenuto nel
primo  periodo  del comma 1 dell'art. 5 e individua in modo espresso,
come dies a quo, la «data di entrata in vigore del presente decreto».
    Quanto  alla richiesta, formulata in via subordinata dalla difesa
regionale,  che  questa  Corte  sollevi  avanti a se' la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge
n. 168  del  2004,  «nella parte in cui limita a soli quattro mesi il
termine   per  l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale»,
trattandosi   di   termine  incongruo  rispetto  alla  pluralita'  di
contenuti  e  alla  complessita'  delle  scelte  che  il  legislatore
regionale   doveva   operare,   sembra  sufficiente,  ai  fini  della
dichiarazione di manifesta infondatezza di questa richiesta, rilevare
che  numerose  Regioni  hanno  adottato  questa legislazione entro il
termine prescritto, senza che emergessero problemi particolari.
    Deve  pertanto  essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1,  dell'art. 3  (eccettuate le lettere b e d del comma 2),
dell'art. 4,  dell'art. 6, commi 1, 2 e 5, e dell'art. 8, della legge
della  Regione  Campania  n. 10  del  2004.  Restano conseguentemente
assorbite  le  ulteriori  questioni concernenti le disposizioni della
legge  della  Regione  Campania  individuate sub XXXV, XXXVI, XXXVII,
XXXVIII, XXXIX, XL e XLI.
    8.  - Possono essere trattate unitariamente le numerose questioni
-  di  cui ai macrogruppi nn. 1, 2, 3 elencati al precedente par. 4 -
in  cui  si  contesta  la  riduzione,  da  parte  delle  disposizioni
legislative  impugnate, dell'ambito della sanatoria straordinaria sia
mediante  l'esclusione  dal  condono  sul  versante amministrativo di
talune  tipologie  di  abusi  edilizi,  sia mediante la riduzione dei
limiti quantitativi delle volumetrie condonabili, sia infine mediante
l'introduzione,  ai  fini  della sanabilita' di taluni interventi, di
ulteriori  condizioni  rispetto  a  quelle  previste dall'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003.
    Queste   censure   sono   basate,  in  sostanza,  sulla  asserita
violazione  delle  medesime  norme costituzionali, spesso considerate
nelle  loro  reciproche  relazioni  o anche nel loro complesso, ed in
particolare:
        a) dell'art. 117  Cost,  secondo  comma, lettera a) (per cio'
che  riguarda  i  vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario),
lettera  e) (per cio' che riguarda l'esclusiva competenza legislativa
statale  in  tema  di  «moneta»  e di «sistema tributario e contabile
dello  Stato»),  lettera s) (in relazione alla competenza legislativa
statale  in  materia  di  «tutela dell'ambiente»); dell'art. 81 Cost;
dell'art. 119  Cost.  (per  cio' che riguarda l'autonomia finanziaria
statale sul lato delle entrate); dell'art. 117, terzo comma (per cio'
che   riguarda   la   competenza   legislativa  statale  in  tema  di
determinazione   dei   principi   fondamentali   nella   materia  del
«coordinamento della finanza pubblica»);
        b) dell'art. 3   Cost.,   in   relazione   al   principio  di
uguaglianza,  e  dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (per
cio'  che riguarda l'esclusiva competenza legislativa statale in tema
di «ordinamento civile e penale»);
        c) dell'art. 117,  terzo  comma, Cost., per cio' che riguarda
la   competenza  statale  in  tema  di  determinazione  dei  principi
fondamentali  nello  specifico  settore  della disciplina del condono
edilizio  straordinario  di  cui all'art. 32 del decreto-legge n. 269
del 2003;
        d) di   alcune   disposizioni   costituzionali  che  comunque
costituiscono  limite  anche  all'esercizio del potere legislativo da
parte  delle  Regioni:  art. 3  Cost.  (sotto  vari profili), art. 42
Cost., art. 97 Cost., principio di autonomia degli enti locali.
    8.1.  -  Rispetto  ai parametri costituzionali di cui al punto a)
che  si asseriscono violati, alcune Regioni resistenti hanno eccepito
la  inammissibilita'  di  queste  censure,  data  la  loro sommaria e
generica  prospettazione;  peraltro, malgrado la indubbia sommarieta'
delle  motivazioni  svolte  nei  ricorsi (tanto piu' discutibile, dal
momento che si tratta in sostanza di riproposizione di argomentazioni
gia'  avanzate  nella  vicenda processuale conclusasi con la sentenza
n. 196  del  2004),  esse,  nel loro complesso, esprimono comunque la
tesi,  piu'  volta  ribadita  nelle  memorie dell'Avvocatura, che una
legislazione  regionale  che  disciplini i profili amministrativi del
condono  edilizio  non  potrebbe comunque produrre indirettamente una
riduzione  significativa  delle  entrate  erariali  ed un conseguente
squilibrio  della  complessiva  finanza  pubblica,  la cui disciplina
sarebbe  di  esclusiva  competenza  statale,  ponendo  quindi anche a
rischio  il  rispetto,  da  parte  delle  istituzioni  nazionali, dei
vincoli europei sulla spesa pubblica.
    Le censure non sono fondate.
    A  prescindere  dalla  irrilevanza,  nel  caso  di  specie, delle
competenze  statali  esclusive  in  tema  di  «moneta»  e di «sistema
tributario  e  contabile  dello  Stato»,  e  dalla  improprieta'  del
richiamo  ai  poteri  statali  in tema di principi sul «coordinamento
della  finanza  pubblica»,  le  censure  in  esame prescindono da una
adeguata  ricostruzione  sistematica del Titolo V della seconda parte
della   Costituzione   ed   in  particolare  dal  livello  di  tutela
costituzionale   dell'autonomia  legislativa  regionale  che  ivi  e'
previsto.  I limiti a tale autonomia non possono che essere espressi,
e  cio' tanto piu' ove ci si riferisca ad effetti indiretti derivanti
dall'uso  che  una  Regione  faccia  della  propria  discrezionalita'
legislativa  (magari,  come  nel  caso  di specie, addirittura con la
finalita'  di  contenere  un'eccezionale  forma di compressione della
discrezionalita'  propria e degli enti locali nel settore del governo
del  territorio).  In  altri  termini,  e'  del  tutto  evidente che,
allorche'  il  legislatore  regionale  eserciti le proprie competenze
legislative  costituzionalmente  riconosciute,  non possa attribuirsi
rilievo, ai fini dell'eventuale illegittimita' costituzionale di tale
intervento,  agli  effetti  che  solo in via indiretta ed accidentale
dovessero derivare al gettito di entrate di spettanza dello Stato.
    8.2.  -  Del  pari  infondate  sono  le  censure secondo le quali
sarebbe  grave  «la  lesione del principio di eguaglianza (...) delle
persone  rispetto alla legge e della competenza esclusiva ex art. 117
comma  secondo, lettera l), Cost.», poiche' i giudici comuni, dinanzi
alla  «eccessiva  restrizione»  da  parte  del  legislatore regionale
dell'ambito  della  legislazione  statale in tema di condono edilizio
sarebbero obbligati «a rendere, a carico dei proprietari ed autori di
illeciti  (e  di  eventuali  di  controinteressati  e  parti offese),
pronunce  quanto  meno  asistematiche». Questa Corte, con la sentenza
n. 196  del  2004,  ha considerato compatibile con la Costituzione la
legge  statale  sul  condono  straordinario esclusivamente per quanto
riguarda  i  profili  penalistici, mentre per i profili relativi alla
disciplina  del  condono  straordinario  sul  piano amministrativo ha
affermato  che essi operano nell'ambito della materia del governo del
territorio  e  cioe'  di  una materia che per le Regioni ad autonomia
ordinaria   e'   di   competenza  legislativa  concorrente  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost; ma cio' evidentemente significa che
la  legislazione  delle singole Regioni puo' disporre diversamente da
quanto previsto dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, quale
convertito  dalla  legge  n. 326  del  2003, e che quindi - da questo
punto  di  vista  -  e'  del  tutto  probabile e non certo incoerente
rispetto  al  disegno  costituzionale che siano adottate legislazioni
diversificate  da  Regione  a  Regione  (come, d'altra parte, avviene
normalmente  negli  ambiti affidati al potere legislativo regionale),
con  tutto cio' che ne consegue per gli interessati e per le pronunce
giurisdizionali che facciano applicazione di tale disciplina.
    8.3.  -  Quanto  al  terzo  gruppo  di  norme  costituzionali che
sarebbero    violate    dalle   disposizioni   regionali   censurate,
l'Avvocatura  generale  dello  Stato  afferma piu' volte che, proprio
considerando  che  la  sentenza  196  del 2004 individua il titolo di
competenza   legislativa   delle   Regioni   in  materia  di  condono
straordinario  sul versante amministrativo nella materia «governo del
territorio»  contemplata  nel  terzo  comma  dell'art. 117  Cost., le
Regioni dovrebbero rispettare i principi fondamentali determinati dal
legislatore  statale, principi che sarebbero deducibili dai contenuti
dello  stesso  art. 32  del  decreto-legge  n. 269  del  2003,  quale
convertito   dalla  legge  n. 326  del  2003;  su  questa  linea,  in
particolare,  l'Avvocatura  afferma  che  «la sanabilita' delle nuove
costruzioni   residenziali   di   relativamente   modeste  dimensioni
realizzate  in  contrasto  con  gli  strumenti  urbanistici  (...) e'
principio  cui  ogni  Regione deve attenersi»; sostiene inoltre che i
limiti  ulteriori  rispetto  a  quelli  del  legislatore  statale non
possono  essere  previsti  perche'  non  sorretti  da  un  «principio
determinato dal legislatore statale». Secondo lo Stato ricorrente, la
Regione  potrebbe  «specificare  i  limiti (quantitativi e non) della
sanabilita',   e   perfino  «limare»  entro  margini  di  ragionevole
tollerabilita'  (come  qualche  altra Regione ha fatto) le volumetrie
massime  previste  del  legislatore  statale»;  non potrebbe, invece,
«negare  in  toto  o  in  misura  prevalente  (rispetto al quantum di
volumetria  ammesso  dalla  legge statale) la sanabilita' delle nuove
costruzioni o degli ampliamenti».
    Anche   volendosi   prescindere   dalla  stessa  possibilita'  di
configurare  come  principi  fondamentali  disposizioni  estremamente
puntuali  e  dettagliate, che permetterebbero solo «specificazioni» e
«limature»  «entro  margini  di  ragionevole tollerabilita», il punto
centrale  della  sentenza  n. 196  del 2004 sta nel riconoscimento al
legislatore   regionale   di  un  ampio  potere  discrezionale  nella
possibilita' di definire i confini entro cui modulare gli effetti sul
piano  amministrativo  del  condono  edilizio  straordinario. Cio' in
ragione  delle primarie responsabilita' legislative ed amministrative
spettanti  sulla  base delle norme costituzionali alle Regioni e agli
enti  locali  in  relazione  al  governo del territorio, sia pure nel
rispetto  del  regime  penale  del  condono  riservato al legislatore
statale,  e  nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legge
dello  Stato  (tra i quali la sentenza n. 196 del 2004 ha individuato
«la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al
comma  1  dell'art. 32,  il limite temporale massimo di realizzazione
delle  opere  condonabili, la determinazione delle volumetrie massime
condonabili»).
    Ma  soprattutto  occorre  considerare  che la pronuncia da ultimo
citata,  ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale del comma 25
dell'art. 32  proprio  nella parte in cui non prevedeva «che la legge
regionale  di  cui  al  comma 26 possa determinare limiti volumetrici
inferiori   a   quelli   ivi   indicati»;   ha   inoltre   dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  del  comma  26  dell'art. 32, nella
parte  in cui non prevedeva «che la legge regionale possa determinare
la  possibilita', le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a
sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'Allegato
1».
    Pertanto,  sulla  base  delle  addizioni  operate  dalla sentenza
n. 196  del 2004 al citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003,
integralmente  recepite  dal legislatore nazionale con la conversione
in legge dell'art. 5 del decreto-legge n. 168 del 2004 ad opera della
legge  n. 191  del 2004 (articolo intitolato: «Esecuzione di sentenza
della  Corte  costituzionale  in  materia  di definizione di illeciti
edilizi»),  deve  riconoscersi  che  non  esistono nella legislazione
statale  vigente  principi  fondamentali quali quelli prospettati nei
ricorsi.
    8.4.   -   Questo   riconoscimento  di  un  significativo  potere
legislativo  delle  Regioni in tema di possibilita', di ampiezza e di
limiti del condono edilizio straordinario sul versante amministrativo
rende  infondate anche le questioni di costituzionalita' sollevate in
riferimento  ai  parametri costituzionali di cui al precedente gruppo
d).
    In  particolare,  risultano  infondate  le  censure, sollevate in
relazione  agli  artt. 3  e  42 Cost., a proposito dell'art. 32 della
legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub IV).
Non   costituisce,   infatti,  irragionevole  scelta  legislativa  la
subordinazione  da  parte  della  Regione  della condonabilita' delle
opere  abusive  alla  ulteriore  condizione che le medesime non siano
state  realizzate  con  contributi  pubblici  erogati successivamente
all'ultimo  condono,  ovvero  che  non  abbiano  gia'  beneficiato di
precedenti  condoni,  volendosi evidentemente in tal modo penalizzare
la  reiterazione  di  comportamenti  illeciti,  nonche' l'utilizzo di
denaro  pubblico per la realizzazione di opere abusive. Analogamente,
per  l'art. 21,  comma 1, lettera e) della legge della Regione Umbria
n. 21 del 2004 (questioni sub XXIX), non risulta irragionevole che la
Regione  subordini  la  condonabilita'  delle  opere  alla  ulteriore
condizione  che  le stesse non abbiano gia' beneficiato di precedenti
condoni.
    Lo  stesso  e' da dirsi per l'art. 33, comma 4, della legge della
Regione  Emilia-Romagna  n. 23  del  2004  (questioni  sub VIII), che
impone  che  edifici  con  destinazione  d'uso  non abitativa possano
essere  condonati  solo  se  mantengono per venti anni questo tipo di
destinazione;  in  questa  ipotesi  le  censure dell'Avvocatura dello
Stato  muovono  dalla presunta lesione, oltre che dell'art. 42 Cost.,
anche  del  principio  di autonomia degli enti locali; in realta', si
tratta  di  una disposizione che non vieta l'esercizio da parte degli
enti locali del potere di ridefinire le destinazioni d'uso, ma incide
soltanto  sulla  possibilita'  che coloro che abbiano beneficiato del
condono  in  relazione  ad  immobili  destinati  ad usi non abitativi
possano  successivamente  mutarne la destinazione d'uso, aggirando la
relativa disciplina.
    L'art. 2,  comma  6,  della  legge della Regione Toscana e' a sua
volta censurato (questioni sub XIV) anche perche' contrasterebbe «con
il   principio   di   eguaglianza   (art. 3,   primo   comma,  Cost.)
irrazionalmente  leso  dalla  facolta'  (e dalla attuale minaccia) di
travolgere  in  futuro  ed  in  modo  discrezionale l'affidamento del
cittadino   che  autodenuncia  l'abuso  edilizio,  e  con  le  regole
costituzionali  della  imparzialita'  e  del buon andamento (art. 97,
primo  comma,  Cost.)».  Va  osservato,  al  contrario,  che la norma
regionale   disciplina   semplicemente   la   sanatoria  delle  opere
realizzate su aree sulle quali siano stati apposti, dopo l'entrata in
vigore  della legge regionale, i vincoli di inedificabilita' assoluta
di  cui  all'art. 33,  della  legge  n. 47  del 1985 ovvero i vincoli
idrogeologici,  ambientali  e  paesistici,  relativi  a parchi e aree
protette  di  cui all'art. 32 della medesima legge, subordinandola al
parere  favorevole  dell'autorita'  preposta  al vincolo, in tal modo
dando   rilevanza  anche  ai  vincoli  imposti  successivamente  alla
realizzazione  dell'intervento  abusivo  secondo l'oramai consolidato
orientamento della giurisprudenza amministrativa.
    8.5.  -  La  constatata insussistenza della lesione dei parametri
costituzionali   indicati   comporta  l'infondatezza  delle  numerose
censure  che  si  basavano  su  di  esse;  vanno pertanto respinte le
questioni  sub  IV,  V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV,
XVII, XVIII, XIX, XX, XXIII, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX.
    9.  - Con le residue censure individuate nel macrogruppo 4 di cui
al precedente par. 4, l'Avvocatura contesta sostanzialmente l'effetto
di ampliamento degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa
che  verrebbe  a determinarsi sulla base di alcune disposizioni delle
leggi regionali impugnate.
    Come  si  e' gia' ribadito al par. 6, la giurisprudenza di questa
Corte  sul  condono  edilizio  straordinario  del  2003  e'  costante
nell'affermare che spetta al legislatore statale determinare non solo
tutto  cio'  che  attiene alla dimensione penalistica del condono, ma
anche la potesta' di individuare, in sede di definizione dei principi
fondamentali  nell'ambito  della  materia  legislativa  «governo  del
territorio»,  la  portata massima del condono edilizio straordinario,
attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di
sanatoria,  sia  del  limite temporale massimo di realizzazione delle
opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili.
    L'art. 26,  comma  4,  della  legge  della Regione Emilia-Romagna
n. 23  del  2004  (questioni  sub  I) individua un'ipotesi di condono
avente   ad   oggetto   opere   edilizie   autorizzate  e  realizzate
anteriormente  alla  legge  28 gennaio  1977,  n. 10  (Norme  per  la
edificabilita'  dei suoli) che presentino difformita' esecutive. Tale
disposizione ha contenuto piu' ampio rispetto alla normativa statale,
prevedendo  anche  che  in  quest'ambito  la sanatoria intervenga ope
legis,  dunque  a  prescindere  dalla  specifica  richiesta  e  dalla
concessione  del titolo abilitativo in sanatoria. La difesa regionale
giustifica  la  disposizione,  sostenendo che essa avrebbe ad oggetto
solo difformita' esecutive lievi e risalenti nel tempo e mirerebbe ad
assicurare  la  certezza  del  diritto  e  la  facilita' degli scambi
privati.
    La   questione  prospettata  dal  ricorrente  in  relazione  alla
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. e' fondata.
    Nell'ambito   della   speciale  normazione  relativa  al  condono
edilizio  straordinario  questa Corte - come si e' detto piu' sopra -
ha  precisato  che  le Regioni non possono rimuovere i limiti massimi
fissati  dal  legislatore statale, e che, tra i principi fondamentali
cui  esse  devono  attenersi, vi e' quello proprio a fini di certezza
delle  situazioni giuridiche, della previsione del titolo abilitativo
in  sanatoria  al  termine  dello  speciale procedimento disciplinato
dalla normativa statale.
    Poiche',  dunque,  l'art. 26,  comma 4, della legge della Regione
Emilia-Romagna  n. 23  del  2004  si  risolve  nella estensione della
sanatoria  straordinaria  ad  ipotesi  ulteriori  rispetto  a  quelle
previste dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, deve esserne
dichiarata la illegittimita' costituzionale.
    L'art. 3 della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, secondo
lo  Stato  ricorrente, determinando i limiti per il conseguimento del
condono  amministrativo  con  disposizioni  che in genere riducono le
volumetrie   massime,   non  ripete  pero'  tutti  i  limiti  massimi
determinati  dal  comma  25 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del
2003  (30% della volumetria originaria della costruzione ampliata, 3.
000  metri cubi complessivi per le nuove costruzioni residenziali) e,
quindi,  per  questa  parte  estenderebbe  l'area delle opere abusive
ammesse alla sanatoria amministrativa (questioni sub XVI).
    La   questione  prospettata  dal  ricorrente  in  relazione  alla
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. e' fondata.
    La  difesa  della  Regione, anzitutto, sostiene che questi limiti
potrebbero  ritenersi  implicitamente  richiamati,  dal  momento  che
l'art. 1  della legge regionale in questione parla di legge che attua
i  «principi  di cui all'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269».  Tale  argomento risulta privo di pregio, dal momento che la
specificita'   della   disciplina  dettata  dall'art. 3  della  legge
regionale,   a   fronte   del   generico   richiamo  all'art. 32  del
decreto-legge  n. 269  del  2003  contenuto  nell'art. 1 della stessa
legge, osta ad una interpretazione adeguatrice del genere.
    La   difesa   regionale  sostiene,  altresi',  che  «l'abolizione
asseritamene  operata dall'art. 3 del limite del 30% della volumetria
sarebbe  in  ogni  caso pienamente legittima», poiche' «il limite del
30%  (costituirebbe)  parametro alternativo a quello dell'ampliamento
superiore  a  750  metri  cubi  per  l'ammissibilita'  alla sanatoria
secondo espressa previsione del comma 25 dell'art. 32».
    In  realta',  con  riguardo  all'ampliamento  degli  immobili non
residenziali, l'art. 3 della legge regionale n. 23 del 2004 determina
il  limite  in relazione (non gia' al volume, ma) al diverso criterio
della  superficie  realizzabile.  Pertanto,  non ponendo alcun limite
volumetrico,  ne'  richiamando le limitazioni del 30% e dei 750 metri
cubi previsti - sia pure in via alternativa - dall'art. 32, comma 25,
del  decreto-legge  n. 269  del 2003, la disposizione impugnata rende
possibile,  per  gli  immobili  non residenziali, la realizzazione di
ampliamenti  superiori  a  quelli  massimi  previsti  dalla normativa
statale.
    Con    riguardo   alla   realizzazione   di   nuove   costruzioni
residenziali,  l'art. 3  della  legge  regionale  n. 23 del 2004, pur
individuando  limiti  piu'  rigorosi in relazione alla singola unita'
immobiliare ammessa a sanatoria (la quale non puo' essere superiore a
200  metri cubi, comprese le pertinenze), non pone alcuna limitazione
alla  volumetria complessiva della nuova costruzione. In tal modo, la
disposizione  censurata  rende  possibile  che  la  nuova costruzione
residenziale  superi  il  limite  complessivo  di  3.  000 metri cubi
stabilito  dall'art. 32,  comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003
per tale tipologia di interventi.
    Pertanto  deve essere dichiarata la illegittimita' costituzionale
dell'art. 3,  comma  1,  della  legge  della Regione Marche n. 23 del
2004,  nella parte in cui non prevede, quali ulteriori condizioni per
la   conseguibilita'  della  sanatoria,  che  le  opere  abusive  non
residenziali  non  abbiano  comportato  un  ampliamento del manufatto
superiore  al  trenta  per  cento  della volumetria della costruzione
originaria,  e  che  le  nuove  costruzioni residenziali non superino
complessivamente i 3. 000 metri cubi.
    9.1.  -  L'art. 3,  comma  1, della legge della Regione Lombardia
n. 3  del  2005  e'  stato impugnato poiche' la norma potrebbe essere
interpretata  nel  senso  di  escludere  la  sanabilita'  delle opere
realizzate  in  aree  vincolate  solo  se  si  tratti  di  vincolo di
inedificabilita',  e  non anche se si tratti di vincolo diverso. Cio'
sarebbe  in  contrasto  con  l'art. 32,  comma  27,  lettera  d)  del
decreto-legge  n. 260  del  2003,  il quale non consente la sanatoria
delle  opere  realizzate  su  aree  comunque  vincolate,  e  pertanto
violerebbe  l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  nonche' la competenza
legislativa  esclusiva  statale  in  materia di «ordinamento civile e
penale» (questioni sub XXI).
    La  difesa  della  Regione Lombardia ha peraltro obiettato che il
legislatore  regionale  ha  invece  semplicemente  voluto «ribadire e
consacrare,  anche  in  un  testo  legislativo regionale, quanto gia'
previsto  dalla  legislazione statale, all'art. 32, comma 27, lettera
d)». L'Avvocatura dello Stato, in una successiva memoria, ha ritenuto
tale interpretazione della norma «coerente con la normativa statale».
    Le questioni non sono fondate, dal momento che l'art. 3, comma 1,
della  legge  della  Regione  Lombardia  n. 3  del  2005  si  limita,
effettivamente,  a  recepire  la  normativa  statale  concernente  la
sanatoria   degli   abusi  realizzati  nelle  aree  vincolate,  senza
introdurre  ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste
dal decreto-legge n. 269 del 2003.
    10.  -  Fra  le  censure estranee ai cinque macrogruppi di cui al
par. 4, residuano le sole questioni sub II, III e XXVI.
    Le  questioni  sub  II  e  III  riguardano la legge della Regione
Emilia-Romagna  n. 23  del 2004 che all'art. 29, comma 2, prevede che
ove «in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli
successivi  alla  stessa  sia  accertato  che  la  asseverazione  del
professionista  abilitato (...) contenga dichiarazioni non veritiere,
rilevanti  ai fini del conseguimento del titolo», si applica il terzo
comma   dell'art. 8   della   stessa  legge,  il  quale  dispone  che
«l'Amministrazione  comunale ne da' notizia all'Autorita' giudiziaria
nonche'  al competente Ordine professionale, ai fini dell'irrogazione
delle sanzioni disciplinari».
    A  questo  proposito, l'Avvocatura dello Stato asserisce che tali
disposizioni prevedono «sanzioni disciplinari ed eventualmente penali
a  carico  del professionista», cosi' ledendo la competenza esclusiva
dello  Stato  in  materia  di  «ordinamento  civile e penale» e della
competenza concorrente in materia di «professioni».
    Le questioni non sono fondate.
    Le  due  norme,  infatti,  si  limitano  a  prevedere un generico
obbligo  dell'amministrazione pubblica di comunicazione della notizia
di dichiarazioni non veritiere all'autorita' giudiziaria e all'ordine
professionale,     evidentemente    perche'    questi    verifichino,
rispettivamente,  la  eventuale  sussistenza  di  reati o di illeciti
disciplinari,  senza peraltro incidere in alcun modo sulla disciplina
penale,  ovvero  sulla  disciplina  delle professioni. D'altra parte,
previsione  del tutto analoga e' contenuta nell'art. 29, comma 3, del
d.P.R.   6 giugno   2001,  n. 380  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e  regolamentari  in materia edilizia), il quale prevede
che, qualora la relazione del professionista di accompagnamento della
denunzia  di  inizio  attivita' contenga dichiarazioni non veritiere,
«l'amministrazione  ne da' notizia al competente ordine professionale
per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari».
    Il gruppo di questioni sub XXVI ha ad oggetto l'art. 20, comma 1,
lettera  c)  della  legge  della  Regione  Umbria n. 21 del 2004; dal
momento che in una disposizione che individua le opere condonabili e'
contenuto  un  riferimento alla data del 2 ottobre 2003, l'Avvocatura
generale,  pur  riconoscendo che non vi sarebbero problemi se la data
fosse  riferita  agli  strumenti  urbanistici,  nel dubbio che invece
possa   essere   riferita   alla  data  di  ultimazione  delle  opere
condonabili,  fissata al 31 marzo 2003 dall'art. 32 del decreto-legge
n. 269   del  2003,  l'ha  impugnata  «per  grave  contrasto  con  il
fondamentale  principio  posto  dall'art. 32,  comma  25,  del citato
decreto-legge»,  nonche'  per violazione della competenza legislativa
esclusiva  statale  in  materia  di «ordinamento civile e penale». La
difesa  regionale  sostiene  che  la  data del 2 ottobre si riferisce
esclusivamente  «agli  strumenti urbanistici, visto che la previsione
di  tale  termine  temporale  e'  collocata  immediatamente  dopo  il
richiamo  di  detti  strumenti».  Il  ricorrente,  in  una successiva
memoria,   ha   ritenuto  «superata»  la  questione  di  legittimita'
costituzionale,  pur  non  formalizzando  la  rinuncia alla questione
stessa.
    Le questioni non sono fondate.
    Dal   tenore   letterale   della  disposizione  impugnata  emerge
chiaramente  che  la  data  del  2 ottobre  2003 in essa contenuta e'
riferita  alla  vigenza  delle  norme  urbanistiche e degli strumenti
urbanistici  rispetto ai quali devono essere valutati gli interventi,
e  non gia' all'epoca di realizzazione degli stessi. Quest'ultima e',
infatti,  fissata  dallo  stesso  art. 20, comma 1, primo periodo, al
31 marzo  2003,  in conformita' con quanto disposto dall'art. 32, del
decreto-legge n. 269 del 2003.