ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 274 del codice
civile,  promosso  con  ordinanza del 26 novembre 2004 dalla Corte di
cassazione,  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Ivan Barbara e
Minuto  Rizzo  Emanuela  ed  altri,  iscritta  al  n. 57 del registro
ordinanze   2005   e   pubblicata   nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica, n. 8, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Visti  gli atti di costituzione di Ivan Barbara e di Minuto Rizzo
Alessandro ed Emanuela;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  10 gennaio  2006  il  giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
    Uditi  gli  avvocati  Mario  Loria  per Ivan Barbara e l'avvocato
Antonio D'Alessio per Minuto Rizzo Alessandro ed Emanuela.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza depositata il 26 novembre 2004, la Corte di
cassazione  -  nel  corso  di  un giudizio avverso una sentenza della
Corte   d'appello  di  Venezia  che  aveva  dichiarato  improponibile
l'azione  per  la dichiarazione giudiziale di paternita' naturale per
la  carenza  della previa dichiarazione di ammissibilita' dell'azione
ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 2, 3, 24, 30 e 111 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 274
del codice civile «nella parte in cui subordina al previo esperimento
di   una   procedura   delibatoria   di   ammissibilita'  l'esercizio
dell'azione  di  riconoscimento di paternita' naturale promossa da un
soggetto maggiorenne ai sensi del precedente art. 269 c.c.».
    Premette  la  Corte rimettente di avere sollevato analoga (ma non
identica)  questione,  nel corso del medesimo processo, con ordinanza
del  3 luglio  2003,  nella  quale  il  dubbio  di legittimita' della
suddetta  disposizione era diffusamente argomentato con riferimento a
quattro   distinti   profili:  a)  la  sopravvenuta  irragionevolezza
intrinseca  della  norma,  con  riguardo alla sua originaria ratio di
tutela  del  convenuto  a  fronte di avverse iniziative pretestuose o
temerarie;  b)  il  suo  carattere  discriminatorio nei confronti dei
figli naturali, non essendo analogo procedimento delibatorio previsto
per   la  corrispondente  azione  di  accertamento  della  filiazione
legittima;  c)  il  carattere obiettivamente ostativo della procedura
rispetto  alla  tutela  dei  diritti fondamentali dei figli naturali,
attinenti  al  loro  status  ed  alla loro identita' biologica; d) la
dubbia  compatibilita'  del  procedimento  di  ammissibilita',  quale
modellato dal diritto vivente, con il canone della ragionevole durata
del processo, a sua volta coessenziale al giusto processo.
    Detta questione e' stata dichiarata manifestamente inammissibile,
con  ordinanza  n. 169 del 2004, in ragione di una duplice carenza di
motivazione: da un lato, in punto di rilevanza, quanto all'eccezione,
formulata  nel giudizio a quo dai convenuti, di intervenuto giudicato
sulla  inammissibilita'  della  domanda;  dall'altro, in punto di non
manifesta  infondatezza,  per l'omessa considerazione, da parte della
Corte  rimettente,  della  concorrente finalita' di tutela del minore
assegnata  al  procedimento  delibativo  sub art. 274 cod. civ. dalla
sentenza n. 341 del 1990 e ribadita dalla successiva pronuncia n. 216
del 1997.
    Tutto  cio'  premesso,  osserva  il  giudice  rimettente  che  la
riproposizione   della   questione   -   previa   integrazione  della
motivazione  -  costituisce  a  questo  punto «atto istituzionalmente
dovuto»,   stante   la   persistenza   del   dubbio  di  legittimita'
costituzionale    ed    essendo   d'altro   canto   pacifica,   nella
giurisprudenza   costituzionale,   la   emendabilita'  delle  carenze
motivazionali    che    abbiano   condotto   alla   declaratoria   di
inammissibilita' della questione.
    Ai   fini,  dunque,  dell'integrazione  della  motivazione  sulla
rilevanza,  precisa  la  Corte  di  cassazione che non e' ravvisabile
alcun  giudicato  nella sentenza della stessa Corte n. 8342 del 1999,
che  ebbe a cassare l'ordinanza di sospensione del giudizio di merito
in  pendenza  del  procedimento  delibatorio.  Con  quella  sentenza,
infatti,  la  Corte  demando'  al giudice di primo grado «di decidere
egli  (ne'  evidentemente  avrebbe  potuto  farlo essa nella sede del
regolamento  di  competenza  ex  art. 42,  nuovo testo, del codice di
procedura  civile),  sulla questione della proponibilita' dell'azione
di   riconoscimento   nella   carenza  attuale  di  un  provvedimento
definitivo  di  autorizzazione  ex  art. 274  c.c.», cosicche' quella
sentenza  null'altro  configura  che  un giudicato sulla competenza a
procedere  del  giudice  adito,  che  aveva  erroneamente  sospeso il
processo. Con la conseguenza, dunque, che e' stato solo il Tribunale,
adito   con  l'azione  di  dichiarazione  giudiziale,  ad  escluderne
l'ammissibilita',  per  difetto  del  presupposto  processuale di cui
all'art. 274  cod.  civ.,  con  sentenza  confermata  dalla  Corte di
appello,  avverso  la  cui pronuncia e' stato proposto il ricorso per
cassazione di cui si tratta.
    Quanto,  poi,  alla  «piu'  compiuta individuazione del contenuto
della  norma  denunciata»,  ai fini della motivazione in punto di non
manifesta  infondatezza, precisa la Corte rimettente che la questione
sollevata  non  puo'  che  investire  la  sola  ipotesi (che viene in
considerazione   nella  fattispecie)  di  azione  proposta  ai  sensi
dell'art. 269  cod. civ. da soggetto maggiorenne, senza in alcun modo
coinvolgere il procedimento, additivamente rimodellato dalle sentenze
n. 341 del 1990 e n. 216 del 1997, relativo ai minori.
    Osserva  quindi il rimettente che la stessa Corte costituzionale,
nella  citata  sentenza  n. 216  del  1997, ha precisato che, ai fini
della  ammissibilita'  della  domanda  formulata dal maggiorenne, «e'
sufficiente l'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a
far   apparire   l'azione  verosimile,  tanto  che  la  pronuncia  di
ammissibilita'  puo'  essere  fondata  anche  sulle sole affermazioni
della parte ricorrente».
    Il procedimento ex art. 274 cod. civ., cosi' inteso, risulterebbe
all'evidenza  non piu' idoneo ad assolvere la finalita', per la quale
era  stato  introdotto,  di  tutela  del  preteso genitore da istanze
vessatorie  o  ricattatorie, tanto piu' che - nella assai infrequente
ipotesi  di  diniego  della autorizzazione all'azione - la domanda e'
reiterabile  sulla  base  di  nuove  allegazioni  senza  alcun limite
temporale.
    I    connotati    di   segretezza   della   procedura,   inoltre,
risulterebbero  fortemente  attenuati  nella  fase  di  gravame,  per
effetto  della  progressiva  accentuazione  del carattere contenzioso
della  procedura stessa, e del tutto azzerati in sede del ricorso per
cassazione,   stante   la  necessaria  pubblicita'  del  giudizio  di
legittimita'.
    In   definitiva,   la  fase  di  delibazione  avrebbe  perso,  in
riferimento  all'ipotesi di domanda proposta da soggetti maggiorenni,
ogni  ragione  giustificativa ed addirittura si presterebbe ad essere
strumentalizzata  in  danno  del  convenuto  -  alla  cui  tutela era
originariamente   preposta   -   proprio   in   considerazione  della
reiterabilita' senza limiti temporali della domanda.
    Di  qui  il  dubbio di legittimita' costituzionale della norma in
riferimento  all'art. 3,  secondo comma, Cost., per la sua intrinseca
irragionevolezza;  in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., per
la disparita' di trattamento che ne deriverebbe tra figli legittimi e
figli  naturali  in  tema  di  riconoscimento  della  paternita';  in
riferimento  agli  artt. 2,  30  e  24  Cost.,  per  il  vulnus  alla
effettivita' di tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status
ed  alla  identita' biologica, «che la coscienza sociale avverte come
essenziali allo sviluppo della persona».
    Sarebbe  infine  «di  particolare  delicatezza»,  ad avviso della
Corte  rimettente,  il  profilo  di  contrasto  con l'art. 111 Cost.,
derivante  dalla  dubbia compatibilita' del procedimento in questione
con  il  precetto  della  ragionevole  durata  del processo, anche in
relazione  all'art. 6,  paragrafo  1,  della  Convenzione europea dei
diritti  dell'uomo.  Un iter procedurale defatigatorio, «ove pur tale
per  accentuazione  di  garanzie», sarebbe, infatti, per definizione,
non  conforme  al  parametro  del  giusto  processo,  il cui rispetto
comporta  la  necessita'  di  ricondurre a ragionevolezza i tempi del
processo,   anche,   eventualmente,   attraverso   lo   scrutinio  di
costituzionalita'.
    2.  -  Si  e'  costituita  in  giudizio Barbara Ivan, attrice nel
giudizio  a quo, concludendo per l'accoglimento della questione sulla
scorta  di  considerazioni non dissimili da quelle svolte dal giudice
rimettente.
    3.  - Si sono altresi' costituiti in giudizio, con ampia memoria,
Alessandro  ed  Emanuela Minuto Rizzo, convenuti nel procedimento per
dichiarazione  giudiziale  di  paternita' quali eredi degli eredi del
presunto padre.
    In  via  preliminare, le parti suddette, considerato che e' ormai
imminente  l'approvazione  di  una  modifica  dell'art. 274 cod. civ.
(art. 69  del  disegno  di legge n. 2430 del Senato della Repubblica)
che,     pur    confermando    «la    giusta    cautela    preventiva
dell'ammissibilita»,  rimodellerebbe  il procedimento in modo tale da
superare  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  prospettati dal
rimettente, chiedono un differimento della pubblica udienza in attesa
della nuova normativa.
    In subordine, le medesime parti concludono per la declaratoria di
inammissibilita'  o, in via gradata, di infondatezza della questione,
ovvero,  in  via di ulteriore subordine, in caso di accoglimento, per
la   declaratoria  di  decorrenza  degli  effetti  dalla  data  della
sentenza.
    La questione sarebbe innanzi tutto priva di rilevanza a causa del
giudicato sulla inammissibilita' dell'azione derivante non solo dalla
sentenza   n. 8342  del  1999,  emessa  in  sede  di  regolamento  di
competenza, ma anche dalla sentenza n. 9033 del 1997, con la quale la
Corte  dichiaro'  la  nullita',  per  difetto di contraddittorio, del
decreto   di  ammissibilita'  dell'azione  a  suo  tempo  emesso  dal
Tribunale di Treviso.
    La  questione  stessa  sarebbe,  poi,  non adeguatamente motivata
quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  e, comunque, non fondata,
tenuto  conto  della finalita' squisitamente patrimoniale dell'azione
per   la  dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  promossa  da  un
maggiorenne  e della conseguente «necessita' logica» di un filtro che
garantisca  il convenuto da azioni temerarie o vessatorie, tanto piu'
quando  l'azione  sia  proposta  -  come nella specie - nei confronti
degli  eredi  degli eredi del preteso padre, del tutto all'oscuro dei
fatti  di causa e nell'impossibilita' di ricorrere alla prova del DNA
a seguito della intervenuta cremazione del loro dante causa.
    Un  siffatto filtro preventivo non rappresenterebbe d'altro canto
un   unicum   nel   panorama   legislativo,   analogo   giudizio   di
ammissibilita'  preventivo  essendo previsto, ad esempio, dall'art. 5
della   legge  n. 117  del  1988  sulla  responsabilita'  civile  dei
magistrati.
    L'esigenza  di una fase preliminare di ammissibilita' si porrebbe
del resto con particolare evidenza ove si consideri che, per pacifica
giurisprudenza,   l'azione   per   il  riconoscimento  giudiziale  di
paternita'  naturale  puo'  essere  proposta  unitamente  a quella di
petizione  ereditaria,  la  cui  trascrivibilita'  e' suscettibile di
provocare  danni  irreparabili  alla  famiglia  legittima del preteso
padre.
    4.  - Nella imminenza della data fissata per la udienza pubblica,
la  difesa  dei  convenuti  Alessandro  ed  Emanuela  Minuto Rizzo ha
presentato  una memoria, con la quale ha ribadito le conclusioni gia'
rassegnate, con riferimento, in particolare, al rilievo di difetto di
motivazione   sulla  rilevanza  della  questione  sollevata,  per  la
presenza  dei  due  giudicati di cui alle sentenze n. 9033 del 1997 e
n. 8342 del 1999 della Corte di cassazione.
    Nella  memoria  si  eccepisce un ulteriore profilo di irrilevanza
per  il  fatto che la Cassazione, dopo aver affermato un principio di
diritto   vincolante,  ed  avere,  pertanto,  almeno  implicitamente,
vagliato  la  costituzionalita'  della  norma  sulla  quale  esso era
fondato,   ha   sollevato,  su  richiesta  della  parte  soccombente,
questione di legittimita' costituzionale di quella stessa norma sulla
quale  era  stato definito in precedenza, dal medesimo giudice, detto
principio di diritto, tanto piu' che la I sezione civile della stessa
Cassazione  ha riproposto la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 274  cod.  civ.  -  dopo  che  essa  era  stata  dichiarata
manifestamente inammissibile con ordinanza della Corte costituzionale
n. 169  del  2004 - senza colmare la lacuna motivazionale evidenziata
dalla  predetta ordinanza, ma limitandosi a circoscrivere il sospetto
di  incostituzionalita'  a  quella  parte  della norma concernente il
giudizio   di   ammissibilita'   dell'azione   per  la  dichiarazione
giudiziale di paternita' e maternita' naturale di maggiorenne.
    La  difesa  della  parte  privata  ha  dedotto,  inoltre,  la non
rilevanza   della  questione  sollevata  perche'  non  influente  sul
giudizio  a  quo,  improponibile nei confronti degli eredi indiretti,
per  mancanza di legittimazione passiva degli stessi, a seguito della
sentenza  delle  Sezioni unite della Corte di cassazione n. 21287 del
2005;  ed,  ancora,  la  nullita'  del  giudizio principale in quanto
promosso  innanzi  ad un giudice incompetente, rilevando che esso era
stato  incardinato  innanzi al Tribunale di Treviso - precedentemente
alla  sentenza  della  Corte  di  cassazione n. 2016 del 2001, con la
quale,  in sede di regolamento di competenza, era stata dichiarata la
competenza  del  Tribunale  di  Roma - e, poi, era proseguito innanzi
alla   Corte  di  appello  di  Venezia,  e,  quindi,  in  Cassazione,
nonostante  la  esplicita  eccezione  di  incompetenza  sollevata dai
convenuti in seguito alla citata sentenza n. 2016 del 2001.
    Nella  memoria  si  fa,  infine, presente che, essendo passata in
giudicato,  per  effetto  della  sentenza  della  Corte di cassazione
n. 16531  del 2005, la dichiarazione di ammissibilita' dell'azione di
cui  si  tratta,  richiesta  sempre dalla signora Ivan, costei potra'
nuovamente esperire l'azione di merito presso il Tribunale di Roma.
    Nel  merito,  si  conclude  per  la  manifesta infondatezza della
questione,  e, qualora la Corte decida di accoglierla con riferimento
all'art. 111  della  Costituzione,  sotto il profilo della violazione
del  principio  della  ragionevole durata del processo, si chiede che
gli  effetti  di  detta decisione siano fatti decorrere dalla data di
entrata in vigore della legge costituzionale n. 2 del 1999.

                       Considerato in diritto

    1.   -   La   Corte   di  cassazione  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 274  del  codice civile, in quanto la norma
impugnata,  prevedendo  una preliminare delibazione di ammissibilita'
dell'azione  per  la  dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  o di
maternita'  naturale  promossa  da  un  soggetto maggiorenne ai sensi
dell'art. 269  cod.  civ.,  violerebbe l'art. 3, secondo comma, della
Costituzione,  sotto il profilo dell'«eccesso di potere legislativo»,
a  causa della contraddizione intrinseca tra l'attuale disciplina del
procedimento  -  non piu' caratterizzato da segretezza dell'indagine,
quanto   meno   nella   fase   di  legittimita',  e  suscettibile  di
reiterazione,  sulla  base  di elementi ulteriori, senza alcun limite
temporale  -  e la ratio originaria della norma, intesa a tutelare il
convenuto  da  azioni  temerarie  o infondate; l'art. 3, primo comma,
Cost.,  per  la disparita' di trattamento, quanto alle condizioni per
l'accertamento  dei  rispettivi  status,  tra  i  figli  di  genitori
coniugati   e  non  coniugati;  gli  artt. 2,  30  e  24  Cost.,  per
l'obiettivo  effetto  di ostacolo alla tutela di diritti fondamentali
dei  figli naturali che siffatto procedimento determinerebbe; nonche'
l'art. 111  Cost.,  sotto  il  profilo della irragionevole durata del
processo.
    2.  - Questione analoga a quella all'odierno esame era gia' stata
sottoposta  nel corso della medesima controversia all'esame di questa
Corte,  la  quale l'aveva dichiarata manifestamente inammissibile con
ordinanza n. 169 del 2004.
    I  rilievi  che  avevano  dato  luogo alla pronuncia di manifesta
inammissibilita'  riguardavano,  per  un  verso,  l'avere  omesso  il
giudice  a  quo  ogni  motivazione in ordine alla circostanza che nel
corso  del giudizio principale fosse gia' intervenuto un giudicato in
punto  di  ammissibilita'  della  domanda  per  effetto dell'avvenuta
cassazione  (Cass.  n. 8342  del 1999) della ordinanza di sospensione
del  giudizio di merito, con conseguente, possibile irrilevanza della
questione proposta; per l'altro, una carenza di motivazione, in punto
di   non  manifesta  infondatezza  della  questione,  per  la  omessa
considerazione  della  concorrente finalita' della norma impugnata di
tutela  del  minore,  affidata  al  procedimento  delibativo  di  cui
all'art. 274  cod. civ. dalla sentenza della Corte n. 341 del 1990, e
ribadita  dalla  successiva sentenza n. 216 del 1997, con conseguente
censura  al rimettente di non aver individuato compiutamente la norma
denunciata e le ragioni che la ispirano.
    Tali rilievi sono superati dalla nuova ordinanza.
    Infatti,   la  stessa  precisa,  quanto  al  primo  aspetto,  con
motivazione  non  implausibile,  che  nessun giudicato e' ravvisabile
sulla  ammissibilita'  dell'azione alla stregua della citata sentenza
della  Corte  di cassazione n. 8342 del 1999, avuto riguardo al fatto
che,  con  detta  pronuncia, fu demandato al giudice di decidere egli
stesso  sulla  proponibilita'  dell'azione,  e  che, pertanto, quella
decisione  configura  solo  un giudicato sulla competenza del giudice
adito.
    Quanto  all'altro  profilo di inammissibilita' cui fa riferimento
la  ordinanza  di  questa  Corte  n. 169  del 2004, relativo alla non
compiuta individuazione della norma denunziata, la nuova ordinanza di
rimessione  precisa  che la questione, sorta nel corso di un giudizio
promosso  ai  sensi  dell'art. 269 cod. civ., investe solo la domanda
proposta da maggiorenne.
    3.   -   In   via   preliminare  vanno  esaminati  i  profili  di
inammissibilita'  evidenziati  dai convenuti nel giudizio principale,
costituitisi nel giudizio innanzi alla Corte.
    3.1.   -   L'eccezione   di   giudicato   sulla  inammissibilita'
dell'azione   per   la   dichiarazione   giudiziale   di  paternita',
ravvisabile,  secondo  i  predetti,  nella  sentenza  della  Corte di
cassazione  n. 9033 del 1997, con la quale fu dichiarata la nullita',
per  difetto di contraddittorio, del decreto di ammissibilita' emesso
dal  Tribunale  di  Treviso, e' infondata, in quanto detta sentenza -
come,  del  resto, rilevato dal rimettente gia' nella prima ordinanza
di rimessione - non ebbe affatto a rendere definitiva una statuizione
di  inammissibilita', essendosi, invece, limitata a rinviare al primo
giudice, che gia' aveva ritenuto l'ammissibilita' dell'azione, per la
integrazione del contraddittorio.
    3.2.  -  Parimenti  infondata  risulta la eccezione di inadeguata
motivazione  in  ordine  alla non manifesta infondatezza, dal momento
che  tale  motivazione,  al contrario, e' particolarmente articolata,
con  riguardo  alla inidoneita' del filtro apprestato dalla procedura
di cui all'art. 274 cod. civ. e alle finalita' per le quali era stato
introdotto.
    3.3.  -  Ne'  appare  meritevole  di accoglimento la eccezione di
irrilevanza  della  questione con riferimento alla circostanza che la
Corte  di cassazione, nella citata sentenza n. 8342 del 1999 - con la
quale,  nel  decidere  sul  regolamento di competenza cui si e' fatto
riferimento, aveva affermato il principio che la parte istante, prima
della  pronuncia  definitiva sull'ammissibilita', e' priva del potere
di chiedere l'accertamento giudiziale della filiazione naturale e che
la  domanda proposta deve essere dichiarata improponibile dal giudice
della   fase   di   merito   -  avrebbe  gia',  nell'effettuare  tale
interpretazione   dell'art. 274  cod.  civ.,  almeno  implicitamente,
compiuto  un  esame  della  conformita'  a  Costituzione della stessa
norma.
    Al  riguardo  va  osservato  che  nel  nostro sistema di garanzie
costituzionali  non  e' assolutamente ipotizzabile un giudicato sulla
legittimita' costituzionale di una norma.
    E   cio'   prescinde   dalla   valenza  di  principio  vincolante
dell'affermazione  di cui si tratta nel caso di specie, in cui questa
era  stata  compiuta  con  riguardo  alla  individuazione del giudice
competente  alla  valutazione  dell'ammissibilita' dell'azione per la
dichiarazione  giudiziale  di  paternita', in un caso in cui, per una
complessa  vicenda  processuale,  il  giudizio di merito era iniziato
prima  del giudizio definitivo sull'ammissibilita' e la Cassazione ne
aveva ritenuto erronea la disposta sospensione.
    3.4.  -  Si  deduce, inoltre, la inammissibilita' per irrilevanza
della  questione  in considerazione della sopravvenuta sentenza delle
Sezioni   unite   n. 21287  del  2005,  con  la  quale,  in  sede  di
composizione  di  contrasto  di  giurisprudenza,  si  e'  esclusa  la
legittimazione  passiva, nel giudizio per la dichiarazione giudiziale
di paternita', degli eredi degli eredi del preteso padre naturale.
    Anche   questa  eccezione  e'  infondata:  la  valutazione  della
mancanza di siffatta legittimazione in capo ai convenuti nel giudizio
principale   per   effetto   di   una  decisione  del  giudice  della
legittimita',  adottata  in  altro  giudizio,  non  rende  ictu oculi
inammissibile  la  questione  proposta  e, comunque, non assume alcun
rilievo nella sede attuale.
    3.5.  -  Parimenti  irrilevante  in  questa sede e' l'eccezione -
sollevata  con la memoria depositata nell'imminenza dell'udienza - di
nullita'  del  giudizio  principale  in quanto promosso innanzi ad un
giudice  incompetente,  sollevata sulla base della considerazione che
esso   era   stato   incardinato  innanzi  al  Tribunale  di  Treviso
precedentemente  alla  sentenza della Corte di cassazione n. 2016 del
2001,  con  la quale, in sede di regolamento di competenza, era stata
dichiarata   la  competenza  del  Tribunale  di  Roma,  e,  poi,  era
proseguito  innanzi  alla  Corte di appello di Venezia, e, quindi, in
Cassazione,   nonostante   la  esplicita  eccezione  di  incompetenza
sollevata  dai  convenuti in seguito alla citata sentenza n. 2016 del
2001.
    La  decisione  da  ultimo  richiamata,  emessa  nel  giudizio  di
ammissibilita'  dell'azione  ex  art. 274  cod.  civ.,  non ha alcuna
efficacia  nel  diverso  giudizio  di  merito  ex art. 269 cod. civ.,
attesa l'autonomia fra gli stessi e tenuto conto che la questione non
risulta  dedotta  nel  giudizio di cassazione, nel cui corso e' stata
prospettata la questione di costituzionalita' oggi in discussione.
    3.6.  -  Ne',  infine, rileva la circostanza che, successivamente
all'ordinanza  di rimessione, la Corte di cassazione, con la sentenza
n. 16531  del  2005,  abbia  dichiarato  ammissibile  l'azione per la
dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  naturale  proposta  fra le
stesse parti, non solo perche' la vicenda del giudizio incidentale di
legittimita'  costituzionale  non  puo'  essere influenzata da eventi
successivi  che  potrebbero incidere sul procedimento principale (v.,
tra  le altre, ordinanze n. 270 del 2003, n. 383 del 2002, n. 110 del
2000), ma anche, e soprattutto, perche' oggetto del giudizio a quo e'
la  proponibilita'  del giudizio di merito in assenza di un giudicato
sulla  ammissibilita'  della  domanda:  oggetto sul quale non puo' in
alcun modo incidere il sopravvenire del giudicato in questione.
    4. - Passando all'esame del merito, la questione e' fondata.
    Il  codice  civile  del  1942  - come risulta dalla Relazione del
Guardasigilli  al  Progetto  definitivo  -  allo scopo di scoraggiare
iniziative   con   finalita'   solo   ricattatorie,  introdusse,  con
l'art. 274  cod.  civ.,  la  previsione  di un preventivo giudizio di
delibazione   in   ordine   all'ammissibilita'   dell'azione  per  la
dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  e maternita' naturale, nel
corso del quale, con indagine sommaria e segreta, si potesse valutare
l'esistenza,  o  meno,  di  indizi  tali da far apparire giustificata
detta azione.
    Tale   giudizio   doveva   svolgersi   in  Camera  di  consiglio;
l'inchiesta  sommaria doveva avere luogo senza alcuna pubblicita', ed
essere  mantenuta  segreta,  e  il  decreto  con  cui  si  dichiarava
ammissibile o inammissibile l'azione non era reclamabile.
    Successivamente,   questa   Corte   dichiaro'  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 274, secondo comma, cod. civ. nella parte in
cui  disponeva che la decisione avesse luogo con decreto non motivato
e  non  soggetto  a reclamo, nonche' per la parte in cui escludeva la
necessita'  del  contraddittorio e dell'assistenza dei difensori, per
violazione  dell'art. 24,  secondo  comma, Cost., relativo al diritto
inviolabile  della difesa, nonche', sempre in riferimento allo stesso
principio,   la   illegittimita'   costituzionale   del  terzo  comma
dell'art. 274,   per   la   parte  in  cui  disponeva  la  segretezza
dell'inchiesta  anche  nei  confronti delle parti (sentenza n. 70 del
1965).
    Con la stessa pronuncia la Corte, con riguardo all'art. 30 Cost.,
rilevo'  testualmente:  «e'  chiaro  che  la ricerca della paternita'
viene  cosi'  considerata  come  una  forma  fondamentale  di  tutela
giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, e, come tale, e' fatta
oggetto  di  garanzia  costituzionale»  ed aggiunse: «la stessa norma
costituzionale,  pero',  stabilisce  che  la  legge  ordinaria pone i
limiti  per  la  detta  ricerca:  limiti  che potranno derivare dalla
esigenza,  affermata  nel comma 3, di far si' che la tutela dei figli
nati  fuori  del  matrimonio  sia  compatibile  con  i  diritti della
famiglia legittima e dall'esigenza di salvaguardare, in materia tanto
delicata,  i  fondamentali  diritti della persona, tutelati anch'essi
dalla  Costituzione,  dai  pericoli  di  una persecuzione in giudizio
temeraria e vessatoria».
    A  seguito  di questa pronuncia fu approvata la legge 23 novembre
1971, n. 1047 (Proroga dei termini per la dichiarazione di paternita'
e   modificazione   dell'art. 274   del  codice  civile),  contenente
all'art. 2  una  nuova  disciplina  del  giudizio  di  ammissibilita'
dell'azione, la quale stabili' l'obbligo di motivazione del decreto e
la  sua  reclamabilita' alla corte d'appello, confermando peraltro la
non  pubblicita'  dell'inchiesta  sommaria  compiuta  dal tribunale e
l'obbligo di mantenerla segreta.
    Dal carattere contenzioso del procedimento la Corte di cassazione
ha  desunto  la ricorribilita' per cassazione, ai sensi dell'art. 111
della Cost., avverso il decreto della corte d'appello.
    Il   contemperamento  operato,  con  le  sentenze  in  precedenza
richiamate,   del   carattere   sommario   del  procedimento  con  la
salvaguardia   del   diritto  di  difesa,  attraverso  la  previsione
dell'obbligo  di  contraddittorio  tra  gli interessati, l'obbligo di
motivazione  del decreto sulla domanda di ammissibilita' e il reclamo
alla  corte  d'appello,  nonche'  la  riconosciuta ammissibilita' del
ricorso  per  cassazione  ai sensi dell'art. 111 Cost., finiscono per
escludere  quel  carattere  di  segretezza posto a difesa del preteso
padre.
    La  riforma  del  diritto  di  famiglia  del 1975 ha lasciato poi
immutata  la  struttura del procedimento, limitandosi a sostituire le
«specifiche  circostanze»  agli  «indizi»  di cui al testo originario
dell'art. 274  cod.  civ.,  quali  elementi  la  cui  sussistenza  e'
richiesta ai fini del giudizio di ammissibilita' di cui si tratta.
    Questa  Corte  ha  successivamente  dichiarato  la illegittimita'
costituzionale  dell'art. 274  cod.  civ.  nella  parte in cui, se si
tratta  di  minore  infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa
dal  genitore  esercente  la  potesta'  sia  ammessa  solo quando sia
ritenuta  dal  giudice rispondente all'interesse del minore (sentenza
n. 341   del   1990),   ma   ha   ritenuto   sufficiente,   ai   fini
dell'ammissibilita'  dell'azione,  l'esistenza  di  elementi anche di
tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile, precisando
che  «il  procedimento  in esame e' ispirato pertanto a due finalita'
concorrenti  e  non in contrasto fra loro, essendo posto a tutela non
solo   del  convenuto  contro  il  pericolo  di  azioni  temerarie  e
ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta
nell'affermazione  di  un  rapporto  di  filiazione veridico, che non
pregiudichi  la  formazione  e lo sviluppo della propria personalita»
(sentenza n. 216 del 1997).
    A  cio'  bisogna  poi  aggiungere  che la costante giurisprudenza
della Corte di cassazione ha valutato le «specifiche circostanze» cui
fa  riferimento  l'art. 274  cod.  civ.  alla  stregua  di criteri di
verosimiglianza  e  non  di  certezza,  ritenendo  sufficiente che la
dichiarazione  della  madre  sia  supportata  da  un fumus boni iuris
(Cass.,  sentenze  n. 151  del  1998,  n. 2346  del 1994, n. 7742 del
1995),  rinviando  al  giudizio di merito l'esame delle contestazioni
sollevate  dal convenuto e limitandosi a conoscere delle eccezioni di
improponibilita'  dell'azione (per decadenza, giudicato, transazione)
in  via  meramente  delibativa  al solo fine di emettere la decisione
sull'ammissibilita' dell'azione instauranda (Cass. n. 2979 del 1976).
In  tal  modo  la stessa Corte di cassazione ha fornito conferma alla
opinione  di quanti avevano definito il giudizio di ammissibilita' di
cui  si tratta un «ramo secco» dell'ordinamento che limita il diritto
dei  figli all'accertamento della paternita' senza piu' salvaguardare
le  esigenze del preteso genitore. In definitiva, detto giudizio puo'
ormai  considerarsi  un  inutile  duplicato  idoneo  solo  a favorire
istanze dilatorie.
    Ed,   infatti,   la   descritta   evoluzione   della   disciplina
procedimentale   del   giudizio   di   ammissibilita'  ha  totalmente
vanificato  la  funzione in vista della quale tale giudizio era stato
originariamente  previsto  dal legislatore, e cioe' la protezione del
convenuto   da   iniziative   «temerarie   e  vessatorie»  perseguita
attraverso  la sommarieta' e la segretezza della cognizione, devoluta
in  questa  fase  all'organo  giudicante;  con  la conseguenza che il
giudice  e'  abilitato  dalla norma attualmente in vigore a dare alla
sua  cognizione  l'estensione ritenuta piu' opportuna e pertanto tale
da  spaziare,  come  ha  statuito  la giurisprudenza di legittimita',
dalla  ammissione  di  accertamenti  tecnici  idonei  a  definire  il
giudizio  di merito, senza che cio' incida sulla necessita' della sua
successiva   proposizione,   fino   alla   sufficienza   delle   sole
affermazioni della parte ricorrente.
    Peraltro, il meccanismo processuale di cui alla norma impugnata -
in  palese  contraddizione  con  la  sua  funzione  «preventiva» - si
presta,   come   e'  stato  esattamente  rilevato  nell'ordinanza  di
rimessione,   ad   incentivare,   per   la   sua   stessa  struttura,
strumentalizzazioni, oltre che da parte del convenuto, anche da parte
dello stesso attore che, attraverso una accurata programmazione della
produzione  probatoria,  e'  in grado di assicurarsi - non essendo il
provvedimento   di   inammissibilita'   suscettibile  di  passare  in
giudicato  - una reiterabilita', a tempo indeterminato, della istanza
di  riconoscimento,  con  la  conseguenza  che,  proprio  a fronte di
iniziative  effettivamente  vessatorie,  il  convenuto  potrebbe  non
esserne mai definitivamente al riparo.
    L'intrinseca,  manifesta  irragionevolezza  della  norma  (art. 3
Cost.) fa si' che il giudizio di ammissibilita' ex art. 274 cod. civ.
si  risolva  in un grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione
garantito  dall'art. 24  Cost.,  e  cio'  per  giunta in relazione ad
azioni  volte  alla  tutela  di  diritti fondamentali, attinenti allo
status  ed  alla  identita'  biologica;  cosi' come da tale manifesta
irragionevolezza  discende  la  violazione  del  precetto  (art. 111,
secondo  comma, Cost.) sulla ragionevole durata del processo, gravato
di   una  autonoma  fase,  articolata  in  piu'  gradi  di  giudizio,
prodromica  al  giudizio  di  merito,  e  tuttavia priva di qualsiasi
funzione.  Ne'  puo'  tacersi che l'evoluzione della tecnica consente
ormai di pervenire alla decisione di merito, in termini di pressoche'
assoluta certezza, in tempi estremamente concentrati.
    Da quanto precede deriva l'incostituzionalita' dell'art. 274 cod.
civ.  per  violazione degli articoli 3, secondo comma, 24 e 111 della
Costituzione,  senza  che  sia di ostacolo alla relativa pronuncia la
limitazione  del  petitum,  contenuta  nella ordinanza di rimessione,
nella  quale  si  fa  riferimento  al solo giudizio di ammissibilita'
promosso da maggiorenni.
    La   definizione   dei  termini  della  questione,  adottata  dal
rimettente  sotto  il  vincolo  che allo stesso si impone in funzione
della   sua   rilevanza   nel  giudizio  principale,  non  limita  le
valutazioni   di   questa   Corte  sul  procedimento  regolato  dalla
disposizione  impugnata,  ove  affetta  dai denunciati vizi nella sua
complessiva e generale applicazione ad ogni ipotesi di delibazione di
ammissibilita' dell'azione.
    Infatti,  in  presenza di una incostituzionalita' che, come si e'
appena  visto,  coinvolge  detto  procedimento  nella sua struttura e
funzione,  la  circostanza  che  lo  stesso  abbia  anche lo scopo di
accertare    l'interesse    del    minore    non   fa   venire   meno
l'incostituzionalita'    stessa,   ne'   giustifica   la   permanenza
nell'ordinamento  del  giudizio  di  ammissibilita'  con  questo solo
scopo.
    L'esigenza,  infatti,  che  l'azione  di dichiarazione giudiziale
della  paternita'  o  maternita'  naturale risponda all'interesse del
minore  non viene certamente meno con la soppressione del giudizio di
cui  all'art. 274  del  codice civile, ma potra' essere eventualmente
delibata  prima  dell'accertamento  della  fondatezza  dell'azione di
merito.