ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 5,
della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2003),  promosso  con ordinanza del 22 dicembre 2004 dal Tribunale di
Parma,  in  funzione  di  giudice del lavoro, nel procedimento civile
vertente  tra  Mengoni Bruna ed altri e il Ministero dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca  ed altri, iscritta al n. 261 del
registro  ordinanze  2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio dell'11 gennaio 2006 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
    Ritenuto  che  il  Tribunale di Parma, in funzione di giudice del
lavoro,  con  ordinanza emessa in data 22 dicembre 2004, nel corso di
un  giudizio  -  promosso  da alcuni insegnanti dichiarati non idonei
allo  svolgimento  della  funzione di docente per motivi di salute ed
utilizzati   in   altri   compiti   all'interno  dell'amministrazione
scolastica  -  volto  all'accertamento  del  «diritto a conservare il
posto  nel  quale  sono  collocati  con  le mansioni attualmente loro
attribuite  a tempo indeterminato, con condanna delle parti convenute
a  mantenere  i  ricorrenti  nelle  loro  collocazioni  e nell'ambito
dell'organizzazione amministrativa cui sono attualmente preposti», ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 35,
comma  5,  della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2003),  per  violazione  degli  articoli 2, 3 e 35 della
Costituzione;
        che  la disposizione in esame e' sospettata di illegittimita'
costituzionale  nella  parte in cui prevede che «il personale docente
collocato  fuori  ruolo o utilizzato in altri compiti per inidoneita'
permanente  ai  compiti  di  istituto puo' chiedere di transitare nei
ruoli  dell'amministrazione  scolastica  o  di  altra amministrazione
statale  o ente pubblico. Il predetto personale, qualora non transiti
in altro ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di
cinque  anni dalla data del provvedimento di collocamento fuori ruolo
o di utilizzazione in altri compiti. Decorso tale termine, si procede
alla risoluzione del rapporto di lavoro sulla base delle disposizioni
vigenti.  Per il personale gia' collocato fuori ruolo o utilizzato in
altri  compiti,  il  termine  di  cinque  anni  decorre dalla data di
entrata in vigore della presente legge»;
        che  il  giudice  a  quo  deduce  che  quanto  previsto dalla
suddetta norma osta all'accoglimento della domanda;
        che  il  rimettente  rileva come la difesa dei ricorrenti - i
quali rientrerebbero, «se non si e' male inteso» il ricorso (si legge
nell'ordinanza),   nell'ambito  del  personale  utilizzato  in  altri
compiti,  con  la  conseguente  applicazione  nei  loro confronti del
suddetto   termine   massimo   di   cinque   anni   -   ha   eccepito
l'illegittimita' costituzionale della disposizione in questione;
        che   il   Tribunale  di  Parma  ritiene  non  manifestamente
infondata   la  questione  di  costituzionalita',  condividendo,  con
proprie   argomentazioni,   le  relative  deduzioni  prospettate  nel
giudizio a quo;
        che   il  rimettente  assume,  quindi,  la  violazione  degli
articoli 2, 3 e 35 della Costituzione;
        che la norma impugnata lederebbe l'art. 2 della Costituzione,
poiche'  la  risoluzione  del  rapporto di lavoro puo' intervenire in
ragione  della  mera  valutazione  fisica  del  lavoratore,  riferita
«nemmeno  alle  mansioni  attualmente svolte», ma a quelle pregresse,
senza  che  sia  stabilita  alcuna  cautela per il ricollocamento del
lavoratore  presso altre amministrazioni, che puo' avvenire solamente
mediante la «mobilita' ordinaria»;
        che sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione, in quanto la
disposizione  in  esame  introduce, irragionevolmente, una disciplina
discriminatoria   per  gli  insegnanti  dichiarati  non  idonei  alla
funzione  di  docente  per motivi di salute, i quali risultano essere
gli  unici  dipendenti del comparto scuola per i quali e' prevista la
risoluzione  del  rapporto  di  lavoro  sulla  base di un'incapacita'
lavorativa  attinente  ad  una  mansione  che non e' quella ricoperta
attualmente;
        che   la   disposizione   censurata   stabilisce,   altresi',
un'eccezione  al principio - espressione del piu' generale diritto al
lavoro  -  secondo  il  quale  la sopravvenuta inidoneita' fisica del
lavoratore  allo  svolgimento  delle  mansioni  per le quali e' stato
assunto  non  puo'  determinare, di per se stessa, la risoluzione del
rapporto di lavoro;
        che,  infine,  secondo  il giudice a quo, l'art. 35, comma 5,
della  legge  n. 289  del  2002,  nella  parte  impugnata,  lederebbe
l'art. 35  della  Costituzione, dal momento che «non risulta tutelare
il lavoro delle parti ricorrenti, con specifico riferimento al lavoro
attualmente    svolto    nell'interesse    dell'amministrazione    di
appartenenza»;
        che  ad  avviso  del  rimettente, infatti, le suddette parti,
qualora  non  riescano  a  transitare  nei ruoli dell'amministrazione
scolastica  o  di altra amministrazione statale o ente pubblico - non
recuperando,  nel  frattempo, nuova idoneita' all'insegnamento - sono
sottoposte  al  rischio  della  risoluzione del rapporto di lavoro in
essere,  senza  alcuna  opportunita'  di  fare valere la possibilita'
concreta  ed effettiva di continuare a svolgere l'attivita' di lavoro
in  atto,  e senza che siano valutate le reali esigenze organizzative
dell'amministrazione scolastica;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  ed  ha  chiesto  che  la  questione  di costituzionalita' sia
dichiarata inammissibile e comunque non fondata;
        che  la  difesa dello Stato osserva che il Tribunale muove da
un  assunto  erroneo,  in  quanto  non  e'  condivisibile la ritenuta
equiparabilita'  dei  docenti  agli  altri  lavoratori dipendenti del
medesimo comparto scuola;
        che  non  vi  sono,  infatti,  mansioni  equivalenti a quelle
dell'insegnamento  e  che,  a  fronte  di una permanente inidoneita',
l'art. 113  del  d.P.R.  31 maggio  1974,  n. 417  (Norme sullo stato
giuridico  del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola
materna,  elementare,  secondaria ed artistica dello Stato), consente
una diversa utilizzazione del personale in questione, riconoscendo al
medesimo una facolta' di scelta;
        che  la  disposizione  oggetto  di impugnazione, a sua volta,
contempera  molteplici esigenze e prevede la risoluzione del rapporto
di  lavoro  solo  nel  caso  in cui il docente non scelga il transito
definitivo in un altro ruolo;
        che,  quindi,  non  sarebbe  ravvisabile  alcuna  lesione dei
diritti   fondamentali   del   lavoratore,   ne'   del  principio  di
uguaglianza,  poiche',  anzi,  il  regime  giuridico  previsto per il
personale  docente  e'  piu' favorevole rispetto a quello delle altre
categorie di personale;
        che,  infine,  la norma in esame non violerebbe il diritto al
lavoro, in quanto la risoluzione del rapporto di impiego opera in via
gradata.
    Considerato  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
investe  l'art. 35,  comma  5,  della  legge 27 dicembre 2002, n. 289
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  -  legge  finanziaria  2003),  in particolare il terzo,
quarto,  quinto e sesto inciso della disposizione stessa, ed e' posta
in riferimento agli articoli 2, 3 e 35 della Costituzione;
        che  questa  Corte,  con  la  sentenza n. 322 del 2005, si e'
pronunciata  in  ordine alla questione di legittimita' costituzionale
di   tale  medesima  norma,  sollevata  dal  Tribunale  di  Roma,  in
riferimento  agli articoli 3, 35 e 36 della Costituzione, dichiarando
non   fondata   la   prospettata  violazione  dell'articolo  3  della
Costituzione  e inammissibile la dedotta violazione degli articoli 35
e 36 della Costituzione;
        che  la  suddetta  norma era stata denunciata, in riferimento
all'articolo  3  della  Costituzione, in quanto avrebbe dato luogo ad
una  disparita'  di  trattamento  del  personale  docente rispetto al
personale   dirigente   e  al  personale  amministrativo,  tecnico  e
ausiliario (c.d. personale ATA) del comparto scuola, in ragione della
previsione  solo  per  il  primo  della  risoluzione  del rapporto di
lavoro,  ai sensi del richiamato art. 35, comma 5, della legge n. 289
del 2002;
        che   il  Tribunale  di  Parma  prospetta,  ex  art. 3  della
Costituzione,   identica   censura,   anche   sotto   il  profilo  di
un'ingiustificata eccezione al piu' generale principio del diritto al
lavoro,  da  cui  discenderebbe  l'impossibilita'  di  procedere alla
risoluzione del rapporto di lavoro;
        che  nella  sentenza  sopra  richiamata  si  e' affermato che
l'art. 35,  comma  5,  della  legge  n. 289  del  2002,  si inserisce
nell'ambito della disciplina della dispensa dal servizio per assoluta
e   permanente   inidoneita'   fisica  o  incapacita'  o  persistente
insufficiente  rendimento  del  personale docente e dei dirigenti, di
cui  all'art. 512  del  decreto  legislativo  16 aprile  1994, n. 297
(Approvazione  del testo unico delle disposizioni legislative vigenti
in  materia  di  istruzione,  relative  alle  scuole di ogni ordine e
grado), e che, per effetto degli articoli 514 e 579 del d.lgs. n. 297
del  1994,  il  personale  del  comparto  scuola, dichiarato inidoneo
all'espletamento della propria funzione per motivi di salute, puo', a
domanda, essere utilizzato in altri compiti;
        che  nella  medesima  sentenza  e'  stata richiamata anche la
pronuncia  n. 3  del  1994,  secondo  cui  «la dispensa per motivi di
salute  si  fonda  su una situazione (lo stato di infermita) la quale
(...)  e'  ovviamente  indipendente dalla volonta' dell'interessato -
per  cui  certamente esula dal provvedimento una valutazione negativa
del   comportamento  dell'impiegato  (e  comunque  qualsiasi  profilo
sanzionatorio)»;
        che  si e', altresi', richiamata la sentenza n. 212 del 1983,
con  la  quale,  nell'esaminare gli effetti dell'assenza dal servizio
per  infermita'  del  docente non di ruolo, la Corte ha affermato che
«in   tutto  l'ambito  della  pubblica  amministrazione  non  e'  mai
riconosciuto  all'impiegato  il  diritto ad un'assenza illimitata dal
servizio  a  causa  d'infermita';  e'  sempre  stabilito,  invece, un
periodo  piu' o meno lungo, decorso il quale, ove l'impiegato non sia
in  grado  di  riprendere  servizio,  si fa luogo alla cessazione del
rapporto d'impiego, applicando, secondo i casi, gli istituti all'uopo
preordinati (collocamento a riposo per motivi di salute, dispensa dal
servizio per inabilita' fisica, licenziamento, ecc.)»;
        che, quindi, in ragione del quadro normativo sopra delineato,
nonche' delle pronunce ivi richiamate, si e' riaffermato il principio
generale, proprio dell'ordinamento del pubblico impiego, in forza del
quale  il personale inidoneo al servizio per ragioni di salute, prima
di   essere   dispensato,  deve  essere  posto  nelle  condizioni  di
continuare   a  prestare  servizio  nell'assolvimento  di  compiti  e
funzioni compatibili con le sue condizioni di idoneita' fisica;
        che   solo   nel   caso   in   cui  non  sia  possibile  tale
utilizzazione,  o  per  ragioni  di  carattere oggettivo o per scelta
dell'interessato,   ne   e'   disposto   il   collocamento  a  riposo
d'autorita';
        che le tre categorie di personale che operano nel mondo della
scuola  -  personale  docente,  dirigente  e amministrativo, tecnico,
ausiliario  (c.d.  personale  ATA)  -  presentano discipline di stato
giuridico  distinte,  che  giustificano  la differenziata valutazione
operata  dal legislatore - con scelta discrezionale non irragionevole
-  in ordine al collocamento fuori ruolo e all'assegnazione a compiti
diversi da quelli inerenti alla qualifica di appartenenza originaria;
        che  non  puo',  quindi,  essere affermata l'esistenza di una
identita'  di  situazioni  giuridiche, rispetto alle quali l'art. 35,
comma  5,  della  legge  n. 289 del 2002, sia tale da determinare una
disparita'  di  trattamento  rilevante agli effetti dell'art. 3 della
Costituzione;
        che,  infine,  la Corte ha affermato, come, in un complessivo
quadro   di   misure   volte  alla  razionalizzazione  delle  risorse
finanziarie  per  la scuola e nell'ambito di una politica generale di
contenimento  della spesa, trovano giustificazione norme dirette alla
piu'  proficua  utilizzazione  del  personale che, pur non idoneo per
ragioni  di  salute  all'espletamento della funzione di docente, puo'
essere  ancora  proficuamente utilizzato in altre funzioni, previo il
transito presso altre strutture organizzative pubbliche;
        che,  pertanto,  per le stesse ragioni formulate nella citata
sentenza n. 322 del 2005, la questione di legittimita' costituzionale
sollevata  dal  Tribunale  di  Parma, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, deve essere dichiarata manifestamente infondata;
        che  il  giudice a quo ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale  anche  in  riferimento  agli  articoli  2  e 35 della
Costituzione,   prospettando,   rispettivamente,  la  violazione  del
diritto  al  lavoro  e  la  mancata  tutela  «del lavoro attuale» dei
ricorrenti;
        che  i principi generali di tutela della persona e del lavoro
(cfr.  sentenza  n. 541  del  2000; ordinanza n. 254 del 1997) non si
traducono  nel  diritto  al  conseguimento  ed  al mantenimento di un
determinato  posto  di  lavoro  (cfr. sentenza n. 390 del 1999), ne',
tanto meno, garantiscono - a fronte di una scelta del legislatore non
censurabile,  per  le  argomentazioni  sopra svolte, sotto il profilo
della  arbitrarieta'  o della manifesta irragionevolezza - il diritto
al  mantenimento  di  specifiche  mansioni  (quali  quelle svolte dai
ricorrenti  in quanto non idonei alla funzione di docente), dovendosi
piuttosto  riconoscere garanzia costituzionale al solo diritto di non
subire un licenziamento arbitrario;
        che,  alla  luce  delle  considerazioni  innanzi svolte, deve
essere,   pertanto,   dichiarata   la  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 5, della
legge  n. 289 del 2002, sollevata dal Tribunale di Parma, in funzione
di   giudice  del  lavoro,  in  riferimento  agli  evocati  parametri
costituzionali.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.