ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5, commi 3 e
4, e 11, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma
dell'articolo 4  della  legge  23 ottobre 1992, n. 421), promosso con
ordinanza   del   19 settembre   2003  dalla  Commissione  tributaria
provinciale di Ancona, nelle controversie tributarie riunite vertenti
tra  la s.n.c. Grandinetti di Grandinetti Enrico & C. ed il Comune di
Ancona,  iscritta  al n. 431 del registro ordinanze 2005 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 37, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 25 gennaio 2006 il giudice
relatore Franco Gallo.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Ancona,  con
ordinanza   del  19 settembre  2003  (pervenuta  a  questa  Corte  il
29 luglio  2005),  nel corso di cinque giudizi riuniti promossi dalla
s.n.c.  Grandinetti  di  Grandinetti  Enrico  &  C. nei confronti del
Comune  di Ancona ed aventi ad oggetto l'impugnazione degli avvisi di
liquidazione  dell'ICI  emessi  dal  comune  per gli anni dal 1995 al
1999,  ha  sollevato  -  in  riferimento  agli  artt. 3, 4 e 53 della
Costituzione   -   questione  di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 5,  commi 3  e  4,  e  11, comma 1, ultimo periodo, del decreto
legislativo  30 dicembre  1992,  n. 504 (Riordino della finanza degli
enti  territoriali,  a  norma  dell'articolo 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 421).
    In  punto  di  fatto,  il  giudice rimettente premette che: a) la
societa'  aveva  acquistato,  in  data  1° giugno 1994, un fabbricato
ancora  privo di rendita catastale, censito al Catasto dei fabbricati
nel  gruppo  e  nella  categoria  catastali «D/198»; b) l'Ufficio del
territorio   aveva  attribuito  al  fabbricato  la  rendita  di  lire
5.780.000  solo  in  data 25 giugno 1999; c) nelle more, per gli anni
dal 1995 al 1999, la societa' aveva presentato al Comune di Ancona la
dichiarazione  ai  fini  dell'ICI  ed  aveva  versato l'imposta nella
misura  di  lire 2.084.000, calcolata in base alla rendita «presunta»
del   fabbricato;   d)  il  comune  aveva  tuttavia  notificato  alla
contribuente,  in  relazione agli stessi anni, avvisi di liquidazione
per  una  maggiore  imposta  di  lire  1.403.000,  oltre  interessi e
sanzioni; e) la societa' aveva impugnato tali avvisi di liquidazione,
eccependo  l'illegittimita'  costituzionale delle citate disposizioni
del decreto legislativo n. 504 del 1992.
    In  punto  di  diritto,  la  Commissione  tributaria provinciale,
sostanzialmente  accogliendo  la  prospettazione  della contribuente,
afferma che l'applicazione delle norme denunciate comporta arbitrarie
sperequazioni   perche',  in  forza  di  tali  norme,  mentre  per  i
fabbricati  classificabili  nel  gruppo  catastale  «D»,  se privi di
rendita  e  se  interamente posseduti da imprese (come nella specie),
l'ICI   e'   dovuta   «a   titolo  definitivo»  -  fino  all'anno  di
accatastamento compreso - sulla base del costo di acquisto risultante
dalle  scritture  contabili  e rivalutato annualmente, viceversa: (a)
per  i  fabbricati  del  citato  gruppo,  se  iscritti in catasto con
attribuzione  di rendita e se interamente posseduti da imprese, l'ICI
e'  dovuta in base alla rendita catastale; (b) per i fabbricati privi
di  rendita, se classificabili nel predetto gruppo catastale e se non
posseduti   o   non  interamente  posseduti  da  imprese,  oppure  se
classificabili  in  un  diverso  gruppo  catastale (posseduti o no da
imprese),  l'ICI  e'  dovuta,  «in via provvisoria», sulla base della
rendita catastale «presunta» e, «in via definitiva», sulla base della
rendita  catastale  poi  attribuita.  Secondo  il giudice a quo, tale
disparita'  di  trattamento  fiscale  nelle  indicate fattispecie non
sarebbe   invece   riscontrabile  nell'applicazione  dell'imposta  di
registro,  basata  sulla rendita catastale anche per i fabbricati non
ancora accatastati, in qualsiasi gruppo siano essi classificabili. Da
tutto  cio' la Commissione tributaria provinciale trae la conseguenza
che la denunciata disciplina dell'ICI, nell'ipotesi di cui al comma 3
dell'art. 5  del d.lgs. n. 504 del 1992, discrimina irragionevolmente
i  fabbricati  di  gruppo  «D», violando i principi costituzionali di
parita'  ed  eguaglianza  (art. 3  Cost.),  di capacita' contributiva
(art. 53  Cost.),  nonche'  i  diritti  dei  cittadini  che  svolgono
attivita' lavorativa, anche sotto forma d'impresa (art. 4 Cost.).
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  una  pronuncia  di inammissibilita' o di manifesta
infondatezza della questione.
    La  difesa  erariale, quanto all'inammissibilita', osserva che il
giudice   rimettente   non   indica   le  ragioni  per  le  quali  il
differenziato  trattamento fiscale delle fattispecie da lui descritte
violerebbe gli evocati artt. 3, 4 e 53 Cost.
    Nel  merito,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato afferma che le
fattispecie  esaminate  dal  rimettente  possono ridursi: a) a quella
relativa  agli  immobili  iscritti  in  catasto, per i quali l'ICI e'
calcolata  in base alla rendita attribuita; b) a quella relativa agli
immobili  ancora  privi di rendita catastale, ipotesi che a sua volta
si  suddivide  (b.1.) in quella relativa agli immobili classificabili
nel  gruppo catastale «D», che siano interamente posseduti da imprese
e  distintamente  contabilizzati,  per  i quali la base imponibile e'
costituita dal valore contabile attualizzato, fino a tutto l'anno nel
corso   del   quale   si   procede   all'iscrizione  in  catasto  con
l'attribuzione  della  rendita  (ovvero all'annotazione della rendita
proposta  dal  contribuente  con  la  procedura  DOC-FA, ai sensi del
decreto  ministeriale  19 aprile  1994,  n. 701),  e (b.2.) in quella
relativa  agli  altri  immobili,  ai  quali  si  applica il regime di
imposizione fondato sulla rendita «presunta», cioe' sulla rendita dei
fabbricati   similari  gia'  iscritti  in  catasto,  fatta  salva  la
determinazione   definitiva   dell'imposta,  ai  sensi  dell'art. 11,
comma 1,  del  decreto  legislativo n. 504 del 1992, sulla base della
rendita catastale successivamente attribuita.
    Da    tale   ricostruzione   delle   fattispecie   prospettabili,
l'Avvocatura  erariale  deduce  che  le  ipotesi tra loro omogenee e,
quindi,    effettivamente   confrontabili   sarebbero   solo   quelle
concernenti gli immobili privi di rendita catastale (ipotesi sub b.1.
e  sub  b.2.),  data  la  loro  eterogeneita' rispetto all'ipotesi di
immobili  gia'  accatastati. In forza di tale premessa, l'Avvocatura,
dopo  aver  sottolineato che nessun principio generale (tanto meno di
rango  costituzionale)  esige di riferirsi alla rendita catastale per
la  determinazione  della  base  imponibile  dell'ICI, afferma che la
scelta  legislativa di differenziare la disciplina dell'imposta nelle
indicate  ipotesi di immobili ancora privi di rendita trova razionale
giustificazione  nell'intento  del  legislatore  di utilizzare, quale
base  imponibile  per  gli immobili di cui al comma 3 dell'art. 5 del
d.lgs.  n. 504  del  1992, un valore che risulti immediatamente dalle
scritture   contabili   (in   particolare,   dal  registro  dei  beni
ammortizzabili);  che  non sia suscettibile di essere successivamente
corretto,  a  seguito  dell'attribuzione  (avente,  secondo la stessa
difesa erariale, effetti costitutivi e non retroattivi) della rendita
catastale;  che  sia  specifico  per  ciascun  fabbricato, secondo le
speciali  caratteristiche  dell'immobile; che non sia necessariamente
maggiore  di  quello calcolato con riferimento alla rendita catastale
dei fabbricati similari.
    Sempre  nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che
non  e'  pertinente  il riferimento del giudice a quo alla disciplina
dell'imposta  di  registro, quale tertium comparationis, perche' tale
tributo  e'  diverso  dall'ICI  per  presupposto  e  per  criteri  di
determinazione della base imponibile.
    Per  la  difesa  erariale,  infine,  la  questione  sollevata  in
riferimento  agli  artt. 4  e  53  Cost. e' manifestamente infondata,
perche'  le  norme censurate non incidono sul diritto al lavoro o sul
dovere  di  concorrere  al  progresso  materiale  e  spirituale della
societa'   e  perche'  il  valore  del  fabbricato  risultante  dalle
scritture   contabili   dell'imprenditore   costituisce   espressione
immediata e diretta di capacita' contributiva.

                       Considerato in diritto

    1.  - La Commissione tributaria provinciale di Ancona dubita - in
riferimento   agli  artt. 3,  4  e  53  della  Costituzione  -  della
legittimita' del combinato disposto degli artt. 5, commi 3 e 4, e 11,
comma 1,  ultimo  periodo,  del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 504  (Riordino  della  finanza  degli  enti  territoriali, a norma
dell'articolo 4  della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nella parte in
cui  prevede,  per  i  fabbricati ancora privi di rendita catastale e
classificabili nel gruppo catastale «D», ove interamente posseduti da
imprese  e  distintamente  contabilizzati,  che  la  base  imponibile
dell'ICI  sia  costituita  dal  valore  determinato secondo i criteri
stabiliti   dal   penultimo   periodo  del  comma 3  dell'art. 7  del
decreto-legge   11 luglio   1992,   n. 333  (Misure  urgenti  per  il
risanamento  della  finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
dalla  legge 8 agosto 1992, n. 359, e cioe' «dall'ammontare, al lordo
delle  quote  di  ammortamento, che risulta dalle scritture contabili
applicando   per   ciascun   anno   di  formazione  dello  stesso»  i
coefficienti  indicati  dalla  legge,  soggetti  ad aggiornamento con
decreto ministeriale.
    Secondo   il   giudice  rimettente,  le  disposizioni  denunciate
sarebbero  in  contrasto  con i principi costituzionali di parita' ed
eguaglianza  sanciti  dall'art. 3  della  Costituzione,  perche' tale
determinazione  della  base  imponibile  dell'ICI  comporterebbe  una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  dei  suddetti fabbricati
rispetto:  (a)  ai  fabbricati del medesimo gruppo catastale «D», ove
gia'  iscritti  in  catasto  con attribuzione di rendita, per i quali
l'ICI  e',  invece,  dovuta in base a tale rendita; (b) ai fabbricati
ancora privi di rendita catastale, sia se classificabili nel predetto
gruppo  «D»  e  non posseduti o non interamente posseduti da imprese,
sia se classificabili in un diverso gruppo (siano essi posseduti o no
da  imprese),  per i quali l'ICI e' dovuta, «in via provvisoria», con
riferimento  alla rendita «presunta», cioe' alla rendita attribuita a
fabbricati  similari;  (c)  ai fabbricati assoggettati all'imposta di
registro,  per  i  quali l'imponibile si determina - sempre ad avviso
del rimettente - con riferimento alla rendita catastale, in qualunque
gruppo  siano  classificabili.  Inoltre,  per  la  stessa Commissione
tributaria  provinciale,  le  medesime  disposizioni violerebbero sia
l'art. 4  Cost.,  perche'  sarebbero  in  contrasto con i «diritti di
quanti,  cittadini,  svolgono attivita' lavorativa, anche sotto forma
d'impresa»,  sia  l'art. 53 Cost., perche' sarebbero in contrasto con
il principio di capacita' contributiva.
    Il  giudice  rimettente  precisa,  in  punto di rilevanza, che le
disposizioni  censurate sono applicabili nel giudizio a quo, il quale
ha  ad  oggetto  l'impugnazione degli avvisi di liquidazione dell'ICI
relativi   agli  anni  dal  1995  al  1999,  emessi  dal  comune  con
riferimento  al  valore contabile attualizzato di un fabbricato privo
di  rendita  catastale  per  quegli  anni,  classificabile nel gruppo
catastale  «D»,  interamente  posseduto da un'impresa e distintamente
contabilizzato,  recanti un ammontare dell'imposta superiore a quello
gia'  corrisposto  dalla  contribuente  e  da  questa  calcolato  con
riferimento alla rendita catastale di fabbricati ritenuti similari.
    2.  -  La  difesa  erariale  eccepisce  l'inammissibilita'  della
questione  perche'  l'ordinanza  di  rimessione  sarebbe  carente  di
motivazione sulla non manifesta infondatezza.
    L'eccezione non e' fondata.
    Le  censure  del  giudice  a  quo  si  basano  sulla  mancanza di
ragionevolezza     della     suddetta     disciplina    differenziata
dell'imponibile dell'ICI, per i fabbricati di gruppo «D», interamente
posseduti   da   imprese  e  distintamente  contabilizzati.  Da  tale
irragionevolezza  il rimettente fa discendere, quale mero corollario,
la  violazione  anche  degli  altri  parametri costituzionali evocati
(artt. 4   e   53  Cost.),  in  quanto  le  disposizioni  denunciate,
nell'imporre  per  i  suddetti  fabbricati  criteri di determinazione
dell'imponibile ritenuti dal rimettente comparativamente piu' gravosi
per  i  contribuenti, discriminerebbero ingiustificatamente il lavoro
d'impresa  e  la capacita' contributiva degli imprenditori. In questo
quadro  argomentativo,  la  prospettazione da parte della Commissione
tributaria  provinciale di ipotesi ritenute omogenee a quelle oggetto
dei  giudizi  principali,  ma  assoggettate  ad  un  diverso  e  piu'
favorevole  trattamento  fiscale, costituisce sufficiente motivazione
della  prospettata  irragionevolezza  delle  disposizioni censurate e
dell'ingiustificata   disparita'   di   trattamento  conseguentemente
dedotta.  La  questione  e'  pertanto ammissibile, restando riservata
all'esame  di  merito  la  valutazione della effettiva comparabilita'
delle fattispecie poste a raffronto e, quindi, della fondatezza delle
censure.
    3. - Nel merito, la questione non e' fondata.
    Il  decreto  legislativo  n. 504  del 1992 prevede una disciplina
differenziata  per  la  determinazione della base imponibile dell'ICI
sui  fabbricati,  distinguendo  i  fabbricati iscritti in catasto con
attribuzione  di  rendita  da  quelli  che  ne  sono ancora privi. In
particolare,  per  i  fabbricati provvisti di rendita viene stabilito
che   la   base   imponibile  e'  costituita  dal  valore  risultante
dall'applicazione,  all'ammontare  delle rendite catastali vigenti al
1° gennaio  dell'anno  di imposizione, dei moltiplicatori determinati
con  i  criteri e le modalita' previsti dal primo periodo dell'ultimo
comma   dell'art. 52  del  d.P.R.  26 aprile  1986,  n. 131,  recante
«Approvazione   del   testo   unico  delle  disposizioni  concernenti
l'imposta   di   registro»   (art. 5,  comma 2,  del  citato  decreto
legislativo).  Per  i fabbricati ancora privi di rendita, la suddetta
normativa  sull'ICI distingue ulteriormente da tutte le altre ipotesi
quella  dei  fabbricati  a  destinazione speciale, classificabili nel
gruppo   catastale   «D»,   interamente   posseduti   da   imprese  e
distintamente  contabilizzati.  Con riguardo a questa ultima ipotesi,
l'art. 5,  comma 3,  del citato d.lgs. n. 504 del 1992 prevede che la
base  imponibile  e'  costituita  dal  valore  determinato  secondo i
criteri  stabiliti  dal penultimo periodo del comma 3 dell'art. 7 del
decreto-legge  n. 333  del 1992, convertito, con modificazioni, dalla
legge  n. 359  del 1992 e cioe' «dall'ammontare, al lordo delle quote
di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili applicando per
ciascun  anno di formazione dello stesso» i coefficienti indicati dal
medesimo  comma 3  dell'art. 5, soggetti ad aggiornamento con decreto
ministeriale.  Con  riguardo  alle altre ipotesi di fabbricati ancora
privi  di  rendita,  il  successivo  comma 4  dello stesso articolo 5
individua tale base imponibile nel valore determinato con riferimento
alla   cosiddetta   rendita  presunta  e,  cioe',  alla  rendita  dei
fabbricati similari gia' iscritti in catasto.
    La  fattispecie  oggetto  del giudizio a quo rientra nell'ipotesi
dei  fabbricati  classificabili  nel  gruppo  catastale «D», che sono
interamente  posseduti  da imprese e distintamente contabilizzati, la
cui  base  imponibile  e'  calcolata  con  riferimento  al cosiddetto
«valore contabilizzato», prescindendo dalla rendita catastale.
    Secondo il rimettente, la scelta del legislatore di non applicare
il  criterio  del valore fondato sulla rendita sarebbe irragionevole,
perche'   -   in   violazione   dell'art. 3  Cost.  -  creerebbe  una
ingiustificata disparita' di trattamento fiscale tra ipotesi ritenute
equivalenti,  quali  quelle  riguardanti  i fabbricati: a) iscritti a
catasto,   con  attribuzione  di  rendita;  b)  privi  di  rendita  e
classificabili  in gruppi catastali diversi dal gruppo «D», posseduti
o  no  da  imprese; c) privi di rendita, anch'essi classificabili nel
gruppo  «D», ma non posseduti o non interamente posseduti da imprese;
d) assoggettati ad imposta di registro.
    E' erroneo il presupposto da cui muove il rimettente, e cioe' che
tali  ipotesi siano omogenee rispetto a quella prevista dal censurato
comma 3 dell'art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992.
    In  particolare,  l'ipotesi  sub  a) e' evidentemente diversa, in
quanto   presuppone   l'attribuzione   della  rendita  catastale  del
fabbricato  e la conseguente possibilita' di determinare l'imponibile
con  riferimento  a  detta  rendita,  mentre nell'ipotesi oggetto del
giudizio a quo tale rendita non e' stata ancora attribuita.
    Neppure  l'ipotesi  sub  b) e' comparabile con quella di cui alla
norma  denunciata.  Infatti,  i  fabbricati soggetti ad ICI, privi di
rendita  e classificabili in gruppi catastali diversi dal gruppo «D»,
in  quanto  «a  destinazione ordinaria», sono ordinati in catasto per
tariffe d'estimo, con la conseguenza che, in attesa dell'attribuzione
della  rendita,  la loro base imponibile e' agevolmente determinabile
in  relazione  alla  rendita  «presunta»,  e  cioe'  alla  rendita di
fabbricati similari gia' iscritti in catasto. Viceversa, i fabbricati
di  cui  al  gruppo  catastale  «D»  - nel quale e' classificabile il
fabbricato   di   cui   al  giudizio  a  quo  -  sono,  per  le  loro
caratteristiche  funzionali  e tipologiche, «a destinazione speciale»
e,  quindi,  sono  ordinati  per rendita catastale ottenuta con stima
diretta  (art. 7,  primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 604,
recante «Revisione degli estimi e del classamento del catasto terreni
e  del catasto edilizio urbano»); con la conseguenza che, in mancanza
di  tale  stima,  si e' preferito il criterio - gia' sperimentato per
l'imposta  straordinaria  sugli immobili (ISI) - del costo rivalutato
di  acquisizione  del  bene  ricavabile dalle scritture contabili, in
luogo  di  quello  basato sulla rendita «presunta», di piu' difficile
applicazione. Cio' e' confermato anche dalla relazione governativa al
d.lgs.  n. 504 del 1992, che ha giustificato, appunto, tale scelta in
ragione   della   «estrema   difficolta'   di   attribuire  in  tempi
ragionevolmente  brevi ai numerosi fabbricati di gruppo D) la rendita
catastale  la  quale,  come  e'  noto,  si basa su stima diretta». La
differenziazione  della  disciplina  della  base  imponibile  non  e'
pertanto  irragionevole  e rientra nell'ambito delle legittime scelte
del legislatore.
    Non  v'e' omogeneita' neanche tra il caso all'esame del giudice a
quo  e  quello  sub  c),  in  cui i fabbricati di gruppo «D» privi di
rendita  non  sono  posseduti  o  non  sono  interamente posseduti da
imprese. Riguardo ai fabbricati non posseduti da imprese, la mancanza
di  un  obbligo  di  tenuta  di  scritture  contabili  a  carico  del
possessore  non  ha, infatti, consentito al legislatore di utilizzare
il  piu' agevole criterio del valore contabilizzato e, quindi, gli ha
imposto  di adottare, quale alternativa e in attesa dell'attribuzione
della  rendita,  il  criterio  interinale  della  rendita «presunta»,
ancorche' di difficile applicazione. Anche riguardo ai fabbricati non
interamente  posseduti da imprese, il legislatore ha preferito, nella
sua   discrezionalita',   utilizzare   quale   criterio  unitario  di
valutazione  quello, oggettivo e suscettibile di essere applicato sia
agli  imprenditori che ai non imprenditori, della rendita «presunta»,
piuttosto  che  imporre  ai soggetti non imprenditori il criterio del
valore  contabilizzato,  proprio  delle imprese obbligate alla tenuta
delle scritture contabili.
    Infine,  neppure  la  fattispecie  sub d), relativa ai fabbricati
assoggettati all'imposta di registro, puo' essere assimilata a quella
oggetto  del  giudizio  a  quo,  perche'  detto  tributo  e'  diverso
dall'ICI,  non  solo per quanto attiene alla natura e al presupposto,
ma   anche   -   almeno   secondo   il   testo   vigente  al  momento
dell'applicazione  dell'ICI  nel caso di specie (articoli 43, 51 e 52
del  d.P.R.  n. 131  del  1986)  -  per  quanto attiene ai criteri di
determinazione   della  base  imponibile.  Questa,  nella  disciplina
dell'imposta di registro, e' costituita, infatti, dal valore del bene
dichiarato o (se superiore) dal prezzo pattuito e il riferimento alla
rendita  catastale rileva ai fini non della determinazione della base
imponibile, ma solo dell'esercizio del potere di rettifica in aumento
da parte dell'ufficio finanziario, nell'ipotesi in cui il valore o il
corrispettivo   dell'immobile  siano  inferiori  all'ammontare  della
rendita   catastale   moltiplicata   e   aggiornata  ai  sensi  degli
articoli 52,   comma 4,   del   d.P.R.  n. 131  del  1986  e  12  del
decreto-legge  14 marzo  1988,  n. 70  (Norme  in  materia tributaria
nonche'  per  la  semplificazione  delle  procedure di accatastamento
degli  immobili  urbani),  convertito  con modificazioni, dalla legge
13 maggio 1988, n. 154.
    L'evidenziata  eterogeneita' delle predette ipotesi rispetto alla
fattispecie  oggetto  del giudizio a quo, nonche' la sottolineata non
palese     irragionevolezza     della     disciplina    differenziata
dell'imponibile  dell'ICI comportano, dunque, la non fondatezza della
questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.
    4.  -  Ad  identica conclusione di non fondatezza della questione
deve  giungersi con riguardo agli altri parametri evocati, perche' il
criterio  di calcolo dell'ICI previsto dalle disposizioni censurate e
basato sul valore dei fabbricati risultante dalle scritture contabili
dell'imprenditore  -  cioe'  sul  costo  di acquisto, aumentato degli
eventuali  costi  incrementativi  - non solo non e' irragionevole, ma
neppure  comporta  un  tributo  necessariamente  maggiore  di  quello
calcolato  in  base  alla  rendita catastale «effettiva» o «presunta»
degli  stessi  fabbricati.  Le disposizioni denunciate, pertanto, non
incidono  negativamente  sul diritto al lavoro (art. 4 Cost.), inteso
dal   rimettente   come   lavoro   di   impresa,   ne'   discriminano
sfavorevolmente  la  capacita' contributiva degli imprenditori, della
quale  il  valore  contabilizzato del fabbricato costituisce - anzi -
sicura espressione (art. 53 Cost.).