ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 119 e 142 del
d.P.R.   30 maggio  2002,  n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo
A),  promosso  con  ordinanza  del  26 novembre  2004  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  dell'Umbria,  sul  ricorso  proposto da El
Idrissi  Mohammed contro la Prefettura di Terni ed altri, iscritta al
n. 168  del  registro  ordinanze  2005  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 13, 1ยช serie speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio dell'11 gennaio 2006 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza del 26 novembre 2004, il Tribunale
amministrativo   regionale  dell'Umbria  ha  sollevato  questione  di
legittimita'   costituzionale   degli  artt. 119  e  142  del  d.P.R.
30 maggio  2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari  in  materia  di  spese  di  giustizia  -  Testo A), in
riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione;
        che,  secondo quanto il rimettente riferisce, con sentenza in
data  3 febbraio  2004, lo stesso Tribunale aveva respinto il ricorso
volto  all'annullamento  di  un diniego di regolarizzazione, ai sensi
della  legge  9 ottobre  2002,  n. 222  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge  9 settembre 2002, n. 195, recante
disposizioni   urgenti   in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro
irregolare  di extracomunitari) opposto dall'Ufficio territoriale del
Governo   di   Terni   al   datore   di   lavoro   di   un  cittadino
extracomunitario;
        che  il  giudice a quo e' chiamato ad esaminare la domanda di
liquidazione  delle  spese  di  giudizio  (compensate con la predetta
sentenza), presentata dal difensore dell'extracomunitario, sulla base
dell'ammissione di questo al patrocinio a spese dello Stato, disposta
con decreto del Presidente del Tribunale;
        che  il Ministero dell'economia e delle finanze ha chiesto la
revoca  dell'ammissione  al patrocinio a spese dello Stato, invocando
l'art. 119  del  d.P.R.  n. 115 del 2002, secondo cui il patrocinio a
spese  dello  Stato  e'  assicurato solo al cittadino italiano e allo
straniero  regolarmente  soggiornante  sul  territorio  nazionale  al
momento  del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da
instaurare;
        che  il successivo art. 142 considera poi il processo avverso
il  provvedimento  di espulsione di cittadini extracomunitari (di cui
all'art. 13  del  decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante
Testo    unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello straniero), per
disporre  che  le  relative  spese  sono  a carico dell'erario e sono
liquidate  nella  misura  e con le modalita' previste per i cittadini
comunitari;
        che  la  posizione  dello straniero, il quale abbia impugnato
(come  e' avvenuto nel giudizio definito con la predetta sentenza) il
diniego di regolarizzazione ai sensi della legge n. 222 del 2002, non
e'  dunque  riconducibile  agli  artt. 119  e  142  citati, ne' viene
altrimenti  considerata dalla normativa in tema di patrocinio a spese
dello Stato;
        che   il   cittadino   extracomunitario,   infatti,   non  e'
regolarmente  soggiornante  sul  territorio  nazionale,  posto che la
regolarizzazione  prevista  dalla  legge  n. 222  del 2002 presuppone
proprio  una  condizione  di  clandestinita', sanabile in presenza di
determinate condizioni;
        che,   d'altra   parte,   l'impugnazione   del   diniego   di
regolarizzazione  dinanzi  al  giudice  amministrativo  e' azione ben
distinta dall'impugnazione del provvedimento di espulsione dinanzi al
giudice ordinario;
        che,   secondo   il  rimettente,  la  mancata  considerazione
dell'impugnazione   del   diniego   di   regolarizzazione,   ai  fini
dell'ammissione  al  patrocinio  a  spese dello Stato, si porrebbe in
contrasto con gli art. 3, 24 e 113 della Costituzione;
        che  l'estensione  dell'istituto del patrocinio a spese dello
Stato ai giudizi in materia di diniego di regolarizzazione non appare
conseguibile  direttamente  in  via  interpretativa,  trattandosi  di
un'estensione  della  disciplina  che  comporta oneri per il bilancio
dello Stato;
        che,  secondo il giudice a quo, nel caso di specie sussistono
gli  altri  presupposti  richiesti  dalla  legge  per l'ammissione al
beneficio   (condizioni   economiche   disagiate   e   non  manifesta
inammissibilita'   o  infondatezza  del  ricorso),  ed  il  Consiglio
dell'Ordine  degli  avvocati  ha  espresso  il  parere  di congruita'
previsto  dall'art. 82,  comma 1,  del d.P.R. n. 115 del 2002, con la
conseguenza  che  la questione predetta sarebbe altresi' rilevante ai
fini  della  decisione  sulla  domanda di liquidazione delle spese di
giudizio in esame;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la questione venga dichiarata inammissibile o
comunque infondata.
    Considerato che il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria
dubita  della  legittimita'  costituzionale degli artt. 119 e 142 del
d.P.R.   30 maggio  2002,  n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo
A),  laddove non prevedono che lo straniero che si trovi in Italia in
una situazione di clandestinita' possa essere ammesso al patrocinio a
spese  dello  Stato  per  i  non abbienti, per violazione dell'art. 3
della Costituzione, perche' - in relazione alla condizione di disagio
sociale e difficolta' economica che rappresenta la normalita' per gli
aspiranti   alla   regolarizzazione   -   affiderebbero  l'esito  dei
procedimenti   di   regolarizzazione  a  fattori  casuali  (quali  la
possibilita'   dei  singoli  di  tutelare  concretamente  le  proprie
ragioni,    sostenendo    l'onere    del   patrocinio),   e   perche'
determinerebbero un'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto
ad  altri cittadini extracomunitari, i quali potrebbero usufruire del
patrocinio a spese dello Stato per contrastare provvedimenti negativi
incidenti  sulla  possibilita'  di  permanere nel territorio italiano
(impugnazione  dei  dinieghi  di  rinnovo del permesso di soggiorno),
giovandosi  di  una  situazione  di  soggiorno  regolare; nonche' per
violazione  dell'art. 24  della Costituzione, perche' non si potrebbe
escludere  che lo straniero legittimamente espulso sia comunque parte
di  controversie civili o amministrative che per lui rivestono vitale
importanza  senza  avere  i  mezzi  per  sostenerle; e per violazione
dell'art. 113  della Costituzione, che sostanzialmente riproduce, con
uguale   latitudine,   il   disposto   dell'art. 24,  riferendosi  in
particolare  alla  tutela  giurisdizionale  davanti agli organi della
giustizia amministrativa;
        che  il  provvedimento di rimessione fornisce una descrizione
insufficiente   in   ordine   alla  fattispecie  concreta  sottoposta
all'esame  del  giudice a quo, dal momento che si limita ad affermare
che  sussistono  le  condizioni  economiche disagiate del ricorrente,
quale  presupposto  richiesto  per  l'ammissione  al beneficio, senza
tenere  presente  che  da  tale  affermazione  non  si  desume  se il
cittadino  extracomunitario fosse o meno in possesso dei requisiti di
reddito necessari per accedere al patrocinio a spese dello Stato;
        che,  per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice
deve  rendere  esplicite  le  ragioni  che lo inducono a sollevare la
questione  di  costituzionalita' con una motivazione autosufficiente,
tale  da  permettere  la  verifica della valutazione sulla rilevanza,
cio'  che,  per le evidenziate lacune, non risulta possibile nel caso
di specie;
        che  tale  insufficienza  della  motivazione, non consentendo
alla  Corte il controllo sulla rilevanza della questione nel giudizio
a  quo,  determina  la  manifesta  inammissibilita'  della  questione
sollevata  (ex plurimis: ordinanze n. 365 e n. 251 del 2005, n. 309 e
n. 257 del 2004).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.