ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 391-bis del
codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 30 aprile 2002
dalla  Corte  di  cassazione,  sul  ricorso  proposto  dal  comune di
Agrigento  c/  Salamone  Carmela,  iscritta  al  n. 343  del registro
ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 28, 1ยช serie speciale, dell'anno 2005.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 25 gennaio 2006 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che  la  Corte  di  cassazione,  nel corso del giudizio
promosso  dal  comune  di Agrigento per la revocazione della sentenza
n. 16282  del  29 ottobre  2003,  dello  stesso  Supremo Collegio, ha
sollevato      questione      di      legittimita'     costituzionale
dell'articolo 391-bis  del codice di procedura civile, nella parte in
cui  non  prevede  la  revocazione  di  sentenze  rese dalla Corte di
cassazione nel caso previsto dall'art. 395, primo comma, numero 5 del
codice  di  procedura  civile,  per  violazione dell'art. 24, secondo
comma, della Costituzione;
        che,  come  il  giudice  rimettente  espone,  con la predetta
pronuncia,  resa  all'udienza  dell'8 aprile  2003,  e  pubblicata il
29 ottobre  2003,  il  comune  di  Agrigento  era  stato condannato a
corrispondere a Carmela Salamone l'importo di Euro 55.563,54 a titolo
di  indennita'  di espropriazione, mentre gia' con sentenza n. 14109,
resa  alla  stessa  udienza,  ma  pubblicata il 23 settembre 2003, il
medesimo  comune  era  stato condannato a versare alla Salamone, allo
stesso  titolo,  la  somma di Euro 60.022,50, oltre all'indennita' di
occupazione  dello stesso fondo, pari agli interessi decorrenti dalla
data di scadenza di ciascuna annualita';
        che il comune di Agrigento, premesso che ricorreva un'ipotesi
di  litispendenza,  e  che il giudice della sentenza n. 16282 avrebbe
dovuto  rilevare  d'ufficio la violazione del principio del ne bis in
idem,  ricorreva per revocazione contro tale sentenza, deducendo, con
un  primo  motivo  di  doglianza,  che  la  Cassazione avrebbe dovuto
cassare  senza rinvio la sentenza di merito, versandosi in un caso di
impromovibilita'   o  improseguibilita'  del  secondo  giudizio,  per
ragioni  di  ordine  pubblico processuale inerenti al rispetto del ne
bis  in  idem; e con un secondo motivo, che la Cassazione non avrebbe
rilevato  il  giudicato esterno, ben rilevabile anche nel giudizio di
legittimita',   sollevando,  in  via  subordinata,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  alternativamente,  degli  artt. 324  o
391-bis  cod.  proc. civ.: il primo nella parte in cui non prevede la
rilevabilita'  d'ufficio  del  giudicato  esterno,  ed il secondo, in
relazione  all'art. 395  cod.  proc.  civ.,  nella  parte  in cui non
prevede  la  revocabilita'  delle sentenze di cassazione in contrasto
con  altra  sentenza  avente autorita' di giudicato, e non indica tra
gli  errori  di  fatto, eliminabili con il rimedio della revocazione,
quello   della   mancata   applicazione  delle  eccezioni  rilevabili
d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento;
        che, secondo il giudice rimettente, nessuna delle due ragioni
che  sostengono  il  ricorso  sono idonee a consentire la revocazione
proposta  ex art. 391-bis cod. proc. civ., in relazione all'art. 395,
primo  comma, numero 4, cod. proc. civ., poiche' la giurisprudenza di
legittimita'  e'  nel  senso  di considerare inammissibile il ricorso
fondato sul preteso omesso rilievo del giudicato;
        che  il  ricorso  neppure  potrebbe  essere  accolto sotto il
profilo  della  violazione  dell'art. 395, numero 5, cod. proc. civ.,
per contrasto con altra sentenza avente autorita' di giudicato, cosi'
come  lo  stesso  giudice  assume  essergli  stato inequivocabilmente
richiesto con un terzo motivo di ricorso;
        che   il   ricorso   proposto   dovrebbe   essere  dichiarato
inammissibile,   se  non  fosse  stata  posta  una  pregiudiziale  di
costituzionalita',  che  e'  da  considerare rilevante nel giudizio a
quo;
        che  la  controversia  non  potrebbe trovare altra soluzione,
restando  cosi'  consacrate due soluzioni difformi sull'entita' della
somma  riconosciuta  per  lo  stesso  titolo, reso sulla medesima res
litigiosa, in palese violazione del principio del ne bis in idem;
        che  le  modalita',  pressoche'  contestuali, con cui si sono
formate le due cose giudicate, induce a formulare meglio l'istanza di
rimessione  alla  Consulta  nel  senso  di  chiedere uno scrutinio di
costituzionalita'  dell'art. 391-bis  cod. proc. civ., nella parte in
cui  non  prevede  la  revocazione  di  sentenze  rese dalla Corte di
cassazione  nel  caso  previsto dall'art. 395, primo comma, numero 5,
cod.  proc.  civ.,  in  relazione  all'art. 24,  secondo comma, della
Costituzione;
        che,  con  l'art. 66  della  legge 26 novembre 1990, n. 353 -
osserva  il  giudice  a quo - si e' estesa, attraverso l'introduzione
dell'art. 391-bis   cod.   proc.   civ.,  l'invocabilita'  del  vizio
revocatorio, limitata pero' all'errore di fatto;
        che con tale previsione - secondo il collegio rimettente - il
legislatore ha evidentemente ritenuto di ovviare ad ogni possibilita'
di  situazione  incongruente,  ma  non  si e' posto il problema della
possibilita'  di  contrasto  tra  giudicati  nascenti dalle decisioni
adottate  dalla  Suprema  Corte  che si sia avvalsa dei poteri di cui
all'art. 384,  primo  comma, cod. proc. civ., alle quali, dunque, non
e'  estensibile  la  previsione di cui al numero 5 dell'art. 395 cod.
proc. civ;
        che  tale  eventualita',  pur  rara  a  verificarsi, non puo'
essere  esclusa quando, come nella specie, entrambe le sentenze siano
il risultato di una decisione della Suprema Corte nel merito ai sensi
dell'art. 384 cod. proc. civ., sia pure sulla base di accertamenti di
fatto  gia'  cristallizzati  nelle sentenze impugnate, ma senza piena
consapevolezza   dell'identita'   delle   controversie  in  corso  di
decisione;
        che  nei precedenti in cui la Suprema Corte ha escluso la non
manifesta  infondatezza della questione di costituzionalita' relativa
all'estensione del vizio revocatorio anche alle ipotesi del contrasto
fra   giudicati,   i  problemi  profilati  dalle  parti  concernevano
questioni   pregiudicanti  la  decisione  di  merito,  non  questioni
riguardanti  la  perfetta  identita'  della res litigiosa, decisa nel
merito ex art. 384 cod. proc. civ;
        che  la  questione  va  ora  ripensata,  secondo  il collegio
rimettente, con riguardo alle sentenze rese dalla Cassazione nel caso
previsto  dall'art. 395,  primo  comma,  numero  5,  cod. proc. civ.,
specie  quando  vi  sia  stata  decisione della causa nel merito, con
riferimento  al  parametro costituzionale di cui all'art. 24, secondo
comma,  Costituzione, che costituisce presidio del divieto del ne bis
in  idem  e  dello  stesso  principio  di  razionalita' normativa, in
riferimento  all'antinomia  costituita dall'esistenza di due concrete
regulae iuris per la stessa controversia;
        che  gia'  la Corte costituzionale, con la sentenza n. 17 del
1986,  stabili'  che  il  diritto  di  difesa risulterebbe gravemente
offeso  se l'errore di fatto, come descritto dall'art. 395, numero 4,
cod.  proc.  civ.,  non  fosse  suscettibile di emenda sol per essere
stato  perpetrato dal giudice cui spetta la funzione di nomofilachia,
anche  perche'  l'indagine  cognitoria  cui  da'  luogo  il  numero 4
dell'art. 360  del  codice  di  rito  non  sarebbe  diversa da quella
compiuta  da  ogni  giudice di merito allorche' esamina la ritualita'
degli atti del processo sottoposto al suo esame;
        che  tali  considerazioni, ad avviso del collegio rimettente,
acquistano  peso ancor maggiore con la possibilita' riconosciuta alla
Corte  di  cassazione,  con la novella del 1990, di decidere la causa
con poteri sostitutivi del giudice di merito;
        che  l'intervento  richiesto  non  sarebbe  contraddistinto -
come,  invece,  ritenuto  dalla  Corte costituzionale con l'ordinanza
n. 305  del  2001  -  da un grado di manipolativita' elevato, tale da
investire  un intero sistema di norme, e meno che mai sarebbe tale da
coinvolgere un insieme di disposizioni riservato al legislatore.
    Considerato  che la Corte di cassazione dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 391-bis  del codice di procedura civile la'
dove  non  prevede la revocazione di sentenze rese dalla stessa Corte
nel  caso  previsto  dall'art. 395, primo comma, numero 5, cod. proc.
civ. per violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione;
        che  la  questione  e' stata sollevata nel corso del giudizio
davanti  alla  Corte  di cassazione, promosso dal comune di Agrigento
per la revocazione della sentenza n. 16282 del 29 ottobre 2003, della
stessa  Corte,  con  la  quale  il ricorrente era stato condannato al
pagamento    dell'indennita'   di   espropriazione   determinata   in
Euro 55.563,54,   in  presenza  di  altra  sentenza  di  legittimita'
n. 14109  del  23 settembre  2003  -  emessa  fra  le stesse parti in
relazione  ad  analoga  controversia  - con la quale lo stesso comune
ricorrente   era   stato  condannato  a  corrispondere  la  somma  di
Euro 60.022,50,  a  titolo  di  indennita'  di  espropriazione, oltre
all'indennita' di occupazione del medesimo fondo;
        che  il  giudice  rimettente  -  in  presenza di una costante
giurisprudenza  di legittimita' per la quale, in ipotesi di contrasto
di  giudicati,  prevale il secondo giudicato, sempre che quest'ultimo
non  sia  stato  sottoposto a revocazione (ex plurimis: Cass. n. 6409
del  1999; Cass. n. 2082 del 1998; Cass. n. 997 e 833 del 1993) - non
ha motivato, ai fini della rilevanza della questione proposta, su una
necessaria,  preliminare  delibazione,  in ordine all'interesse della
parte  ricorrente  alla  revocazione  di una pronuncia di condanna di
ammontare  inferiore  rispetto  a quella contenuta nella sentenza che
secondo  la  regola  giurisprudenziale  indicata, dovrebbe regolare i
rapporti fra le parti in caso di accoglimento della domanda proposta;
        che,  per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice
deve  rendere  esplicite  le  ragioni  che lo inducono a sollevare la
questione  di  costituzionalita' con una motivazione autosufficiente,
tale  da  permettere  la  verifica della valutazione sulla rilevanza,
cio'  che,  per le evidenziate lacune, non risulta possibile nel caso
di specie;
        che  tale  insufficienza  della  motivazione, non consentendo
alla  Corte il controllo sulla rilevanza della questione nel giudizio
a  quo,  ne  determina  la  manifesta  inammissibilita' (ex plurimis:
ordinanze n. 365, n. 309 e n. 257 del 2004).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.