IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento in materia
di  risarcimento  danni  da  infortunio  sul  lavoro n. 579/2005 R.G.
pendente  tra  Simonetto  Willmer, ricorrente, rappresentato e difeso
dall'avv.  Maria  Luisa  Miazzi  e  dall'avv.  Francesco  Rossi,  con
domicilio  eletto  presso  la UIL di Treviso, via Cacciatori del Sile
n. 23  giusta  mandato  a  margine  del ricorso, e Sinergo S.r.l., in
persona   del  legale  rappresentante  Francesco  Gatto,  resistente,
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Paolo  Ferraresi,  con domicilio
eletto presso il suo studio in Treviso giusta mandato a margine della
memoria  di  costituzione  ex  art. 416  c.p.c., a scioglimento della
riserva  che  precede,  esaminati  gli  atti di causa, osserva quanto
segue.
    La  presentazione  del ricorso per cui e' causa, avvenuta tramite
deposito  in  cancelleria  in  data  16  maggio  2005,  non  e' stata
preceduta  dall'espletamento  del tentativo di conciliazione previsto
dell'art. 412-bis,   primo   comma,   c.p.c.   come   condizione   di
procedibilita' della domanda.
    Infatti,  i procuratori di Simonetto Willmer, dopo aver richiesto
con  raccomandata  datata  23  settembre  2003  la convocazione della
competente  commissione  di  conciliazione  per  la trattazione della
controversia  promossa dal lavoratore da loro assistito nei confronti
del  datore  di lavoro (cfr. doc. 15 allegato al ricorso, ed ottenuta
detta  convocazione  per  il  giorno  8  gennaio  2004  (cfr. doc. 16
allegato  al  ricorso),  comunicavano  in  data  7  gennaio 2004 alla
commissione  di  conciliazione  presso  la  Direzione provinciale del
lavoro di Treviso «che essendo decorsi i 60 giorni dalla richiesta di
convocazione sara' dato corso all'azione giudiziale, conformemente al
disposto  di  cui  all'art. 410-bis  c.p.c.  e  che  pertanto nessuno
comparira'  per  l'istante  alla convocazione fissata per l'8 gennaio
2004» (cfr. doc. 17 allegato al ricorso).
    Conseguentemente la Commissione di conciliazione redigeva in data
8 gennaio 2004 processo verbale di mancata comparizione dove si legge
che  «la  Commissione, constatata la mancata comparizione di entrambe
le  parti,  motivata da parte ricorrente con nota del 7 gennaio 2004,
dichiara l'impossibilita' di procedere al tentativo di conciliazione»
(cfr.  doc. dimesso dai procuratori del Simonetto in data 29 novembre
2005 su richiesta del G.L.).
    Osserva  questo  giudicante  che  la Corte costituzionale, con la
sentenza  n. 276/2000 ha stabilito che la «giurisprudenza consolidata
di  questa  corte  ritiene  che l'art. 24 della Costituzione, laddove
tutela il diritto di azione, non comporta l'assoluta immediatezza del
suo  esperimento,  ben  potendo  la legge imporre oneri finalizzati a
salvaguardare «interessi generali», con le dilazioni conseguenti.
    E'  appunto  questo  il  caso  in  esame,  in quanto il tentativo
obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l'interesse generale
sotto  un  duplice  profilo: da un lato, evitando che l'aumento delle
controversie  attribuite  al  giudice  ordinario in materia di lavoro
provochi  un  sovraccarico dell'apparato giudiziario, con conseguenti
difficolta'  per  il  suo  funzionamento;  dall'altro,  favorendo  la
composizione  preventiva  della  lite,  che  assicura alle situazioni
sostanziali  un  soddisfacimento  piu'  immediato  rispetto  a quella
conseguita attraverso il processo»...
    «Il   tempo   di   sessanta   giorni  durante  il  quale  perdura
l'impedimento  e' obbiettivamente limitato e non irragionevole, anche
considerando:  a)  che  la  richiesta  del  tentativo obbligatorio di
conciliazione  produce  sostanzialmente  gli  effetti  della  domanda
giudiziale, comportando la sospensione del decorso di ogni termine di
prescrizione  e  di  decadenza,  per i sessanta giorni nei quali deve
avvenire  l'espletamento del tentativo di conciliazione e per i venti
giorni   successivi   alla   sua  conclusione,  cioe'  per  un  tempo
sufficiente  ad  instaurare  la  lite;  b) che il giudice adito prima
dell'esperimento  del  tentativo,  o  in  pendenza del termine di cui
sopra,  si  limita  a  sospendere il processo ed a fissare il termine
perentorio  di  sessanta  giorni per promuovere il tentativo, dopo di
che  il processo deve essere riassunto entro centottanta giorni, pena
l'estinzione  (art. 412-bis,  terzo,  quarto e quinto comma); c) che,
prima  dell'espletamento  del tentativo di conciliazione e durante il
termine  per  il  suo  espletamento,  la  situazione  sostanziale  e'
comunque  tutelabile  in  via  cautelare,  onde e' posta al riparo da
eventuali pregiudizi derivanti dalla durata del processo a cognizione
piena (art. 412-bis, ultimo comma)».
    Si  ritiene  pertanto  che  un  siffatto  sistema  di garanzia di
superiori   interessi   pubblici   non   puo'  tradursi  in  un  mero
differimento   temporale  dell'esercizio  della  giurisdizione  sulla
domanda  giudiziale,  come  invece  accadrebbe,  in palese violazione
dell'art. 111  Cost.,  ove si ammettesse che trascorso il tempo della
sospensione  la parte sia comunque affrancata dal praticare un previo
tentativo di conciliazione.
    Rileva   il   Giudicante   che   nella   fattispecie  non  appare
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 410-bis, secondo comma c.p.c. per violazione art. 111 della
Costituzione - laddove al secondo comma prevede che la legge assicura
la  ragionevole  durata  di  ogni  processo  -, in quanto la suddetta
disposizione,  in base alla quale trascorso inutilmente il termine di
sessanta  giorni  dalla presentazione della richiesta di tentativo di
conciliazione   esso   si   considera   comunque  espletato  ai  fini
dell'art. 412-bis,  nel  combinato disposto con quest'ultima norma e'
tale  da  imporre (senza possibilita' di interpretazioni adeguatrici)
di  considerare legittima la condotta della parte che abbia omesso di
espletare il tentativo di conciliazione.
    Infatti  se  la  ratio  della  norma appare chiaramente quella di
consentire  all'interessato  una  rapida presentazione del ricorso in
sede   giurisdizionale,  senza  che  egli  possa  subire  pregiudizio
dall'eventuale non tempestiva convocazione da parte della Commissione
di  conciliazione,  non  sembra consentito invece ammettere anche che
l'espletamento  del  tentativo  di conciliazione possa essere omesso,
trattandosi  come sopra gia' detto di un istituto posto a presidio di
interessi  generali quali la deflazione delle controversie attribuite
al  giudice  ordinario  in  materia  di  lavoro  e la possibilita' di
assicurare all'interessato un soddisfacimento piu' immediato rispetto
a quello conseguibile attraverso il processo.
    Sussiste  altresi'  la  rilevanza  della  questione  nel presente
giudizio,  richiamate  le circostanze in fatto e le argomentazioni in
diritto suesposte.