IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di primo
grado iscritta al numero 208154 del Ruolo generale affari contenziosi
dell'anno 2005 (alla quale e' stata riunita la n. 208155/05) vertente
tra   Scardala   Bernardino,   Pieriste'  Anna  Maria,  elettivamente
domiciliati  in  Roma  in viale delle Milizie n. 76, presso lo studio
dell'avv. Claudio Andreozzi che li rappresenta e difende in virtu' di
deleghe    a    margine   dei   ricorsi,   ricorrenti   e   Ministero
dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca  scientifica  -
Ufficio scolastico regionale per Lazio, in persona del rappresentante
legale  pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma presso la sede
di  via Luigi Pianciani n. 32, rappresentato e difeso ex art. 417-bis
c.p.c.  dalla  sig.ra  Luciana  Gabrieli,  e dal dott. Giovanni Bruno
Amato e dalla dott.ssa Anna Maria Vox, convenuto.
    Sciogliendo  la  riserva  formulata all'udienza del 21 marzo 2006
osserva quanto segue.

                          Ritenuto in fatto

    I  ricorrenti  Bernardino  Scardala  e  Anna Maria Pieriste' sono
stati  dipendenti  del  comune  di  Roma con profilo professionale di
operatore  servizi  socio  educativi  (quarta  qualifica  funzionale)
rispettivamente,  dall'1°  marzo  1976  al 31 dicembre 1999 e dall'1°
gennaio 1976 al 31 dicembre 1999.
    Il  comma  2  dell'art. 8  della  legge  n. 124 del 3 maggio 1999
recante  «Disposizioni  urgenti  in  materia di personale scolastico»
(pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999), ha
disposto   che   il   personale  A.T.A.  (amministrativo,  tecnico  e
ausiliario)   dipendente   dagli   enti  locali,  in  servizio  nelle
istituzioni  scolastiche statali alla data di entrata in vigore della
legge,  sia  «trasferito  nei  ruoli  del personale A.T.A. statale ed
inquadrato  nelle  qualifiche  funzionali e nei profili professionali
corrispondenti  per  lo  svolgimento  dei compiti propri dei predetti
profili.».  Lo  stesso  comma ha inoltre statuito che detto personale
vengono  riconosciuti  ai  fini  giuridici  ed economici l'anzianita'
maturata presso l'ente locale di provenienza.».
    In attuazione del comma 4 del citato articolo 8 «il trasferimento
del  personale  di  cui  ai commi 2 e 3 avviene gradualmente, secondo
tempi  e  modalita'  da  stabilire  con  decreto  del  Ministro della
pubblica    istruzione    di   concerto   con   [...],   il   decreto
interministeriale  23  luglio 1999, n. 184 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  del  21  gennaio  2000,  n. 16)  ha  disposto  l'effettivo
trasferimento  del  personale  A.T.A.  degli  enti  locali  presso  i
corrispondenti  ruoli  statali,  demandando  a  un successivo decreto
interministeriale  la  definizione  dei  «criteri  di  inquadramento,
nell'ambito  del  Comparto Scuola, finalizzati all'allineamento degli
istituti retributivi del personale in questione a quelli del comparto
medesimo,   con   riferimento   alla   retribuzione  stipendiale,  ai
trattamenti  accessori  e  al  riconoscimento  ai  fini  giuridici ed
economici,   nonche'   dell'incidenza   sulle   rispettive   gestioni
previdenziali,  dell'anzianita'  maturata  presso  gli  Enti,  previa
contrattazione  collettiva,  da  svolgersi  entro  il mese di ottobre
1999,  fra  l'Aran  e le Organizzazioni sindacali rappresentative dei
comparti  Scuola  ed  Enti  Locali,  ai sensi dell'art. 34 del d.lgs.
n. 29/1993  e dell'art. 47 della legge n. 428/1990. Gli inquadramenti
individuali verranno realizzati con decreti disposti dai Provveditori
agli studi.».
    Con  il  successivo  decreto  interministeriale del 5 aprile 2001
(pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  del 14 luglio 2001, n. 162),
mediante  il recepimento dell'Accordo del 20 luglio 2000 fra l'ARAN e
le   organizzazione   sindacale   di  settore,  e'  stato  stabilito,
all'art. 3,   che   al  personale  trasferito  «viene  attribuita  la
posizione  stipendiale,  fra quelle indicate nell'allegata tabella B,
d'importo  pari  o  immediatamente  inferiore al trattamento annuo in
godimento  al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione
individuale di anzianita' (...)».
    Con decreto n. 24223 del 26 febbraio 2002 i ricorrenti Bernardino
Scardala  e  Anna  Maria  Pieriste'  sono  stati trasferiti dall'Ente
locale   di   appartenenza   allo   Stato   e   inquadrati  nell'area
professionale  del personale A.T.A., qualifica funzionale dei servizi
tecnici, profilo professionale A/2 - collaboratore scolastico.
    Con  i  ricorsi introduttivi, depositati in data 6 aprile 2005, i
ricorrenti   lamentano   che   l'Amministrazione   statale,  all'atto
dell'inquadramento,   ha   proceduto   a   un   limitato  e  parziale
riconoscimento  dell'anzianita'  maturata  alle  dipendenze dell'Ente
locale,  con  conseguente decurtamento dell'importo stipendiale e dei
relativi istituti economici e giuridici spettanti.
    Diversamente,  secondo  quanto  sostenuto dalle parti ricorrenti,
statale,  ai  sensi  dell'art. 8,  comma  2  della legge n. 124/1999,
sarebbe  stata  invece  tenuta ad applicare, dall'1° gennaio 2000, il
C.C.N.L. del comparto Scuola al personale trasferito tenendo conto di
tutta  l'anzianita'  maturata  alle  dipendenze dell'Ente locale, non
risultando  conforme  al  dettato  della  fonte primaria l'attuazione
datane  (mediante decreto interministeriale e accordo collettivo) con
il   collocamento   di   detto  personale  nella  fascia  stipendiale
corrispondente  alla  retribuzione  in  godimento al 31 dicembre 1999
(c.d.   principio   del   maturato   economico)   e   non  in  quella
corrispondente all'effettiva anzianita' di servizio.
    In   particolare,   al   ricorrente   Scardala   con  il  decreto
dirigenziale n. 141 del ( 15 luglio 2002, a fronte di ventitre anni e
dieci  mesi  di  servizio  effettivamente  prestato  alle  dipendenze
dell'Ente  locale sono stati riconosciuti solamente 19 anni 10 mesi e
4  giorni  e  un  trattamento  stipendiale  di Euro 8.298,35 in luogo
dell'importo di Euro 9.373,09 spettante sulla base dell'anzianita' di
servizio  effettivamente maturata; mentre alla ricorrente Pieriste' a
fronte  di ventiquattro anni di servizio effettivamente prestato alle
dipendenze   dell'Ente   locale  sono  stati  riconosciuti  solamente
diciannove  anni  dieci  mesi  e  quattro  giorni  e  un  trattamento
stipendiale  di  Euro 8.298,35 in luogo dell'importo di Euro 9.373,09
spettante  sulla  base  dell'anzianita'  di  servizio  effettivamente
maturata.
    I  ricorrenti,  sulla  base  di  tali  premesse, hanno chiesto al
giudice  l'accertamento  del  loro  diritto al riconoscimento ai fini
giuridici  ed  economici a decorrere dall'1° gennaio 2000 dell'intera
anzianita'  maturata  presso l'Ente locale di appartenenza, in misura
pari    al    periodo   di   servizio,   con   conseguente   condanna
dell'Amministrazione    statale   al   pagamento   delle   differenze
retributive  maturate  a  partire  dall'1°  gennaio  2000  e  sino al
riconoscimento giudiziale.
    Nelle  more  del  giudizio,  con  l'art. 1  comma 218 della legge
n. 266  del  23 dicembre 2005 recante «Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (Legge finanziaria
2006)»  (pubblicata  sul  S.O. n. 211 della Gazzetta Ufficiale del 29
dicembre  2005, n. 302) il legislatore ha introdotto nell'ordinamento
una norma di interpretazione autentica del disposto di cui al comma 2
dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124.
    In  particolare, si e' previsto che «il comma 2 dell'art. 8 della
legge 3 maggio 1999, n. 124, si interpreta nel senso che il personale
degli  enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo,
tecnico   ed   ausiliario   (A.T.A.)  statale  e'  inquadrato,  nelle
qualifiche  funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti
ruoli  statali  sulla  base  del trattamento economico complessivo in
godimento   all'atto  del  trasferimento,  con  l'attribuzione  della
posizione  stipendiale  di importo pari o immediatamente inferiore al
trattamento  annuo  in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo
stipendio,  dalla  retribuzione  individuale di anzianita' nonche' da
eventuali   indennita',   ove   spettanti,   previste  dai  contratti
collettivi  nazionali  di  lavoro  del  comparto  degli  enti locali,
vigenti  alla  data  dell'inquadramento.  L'eventuale  differenza tra
l'importo   della   posizione   stipendiale  di  inquadramento  e  il
trattamento  annuo  in  godimento  al  31  dicembre  1999, come sopra
indicato,  viene  corrisposta ad personam e considerata utile, previa
temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione
stipendiale. E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla
data di entrata in vigore della presente legge.».
    All'udienza  di  prima  comparizione e discussione del 17 gennaio
2006, rilevata l'intervenuta novita' legislativa, il giudice rinviava
la  causa  per la decisione alla successiva udienza del 21 marzo 2006
con termine per note difensive.
    Nelle  more  si  costituiva  in giudizio il Ministero convenuto e
all'udienza  del  21  marzo 2006 le parti ricorrenti hanno denunciato
profili  di illegittimita' costituzionale della norma di cui al comma
218  dell'art. 1  della  citata  legge  n. 266/2005  attinenti:  alla
violazione dei principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale
quali   limiti   delle   norme  di  interpretazione  autentica;  alla
violazione  dei  parametri  di  ragionevolezza  ed uguaglianza di cui
all'art. 3  della  Costituzione  sotto il profilo della disparita' di
trattamento  e irrazionale compromissione del legittimo affidamento e
della   certezza   dei  rapporti  preteriti;  alla  violazione  degli
artt. 101,  102  e  104  della Costituzione per invasione della sfera
riservata al potere giudiziario.

                       Considerato in diritto

    Il tribunale ritiene di dover rimettere alla Corte costituzionale
il  giudizio  sulla legittimita' costituzionale della norma di cui al
comma 218 dell'art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 recante
«Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  (Legge finanziaria 2006)» per violazione degli articoli
3, 102, 103 e 104 della Costituzione.
    Va anzitutto precisato che la questione e' rilevante nel presente
processo.
    Infatti, sulla base della previgente disciplina di cui all'art. 8
della    legge    n. 124/1999   al   lavoratore   trasferito   presso
l'Amministrazione  statale deve essere riconosciuta ai fini giuridici
ed   economici   l'anzianita'   maturata   presso  l'ente  locale  di
provenienza.».  La fonte primaria (art. 8 della legge n. 124/1999) ha
trovato  una  parziale  e  limitata attuazione nelle fonti secondarie
(decreti  interministeriali  del 23 luglio 1999 e del 5 aprile 2001),
laddove  il  precetto  dell'integrale  riconoscimento dell'anzianita'
(giuridica ed economica) effettivamente maturata presso l'Ente locale
di  provenienza  e'  stato sostituito dal c.d. principio del maturato
economico,  con  conseguente  riduzione  del  periodo  di  anzianita'
riconosciuto   ai   fini   dell'inquadramento   nei  nuovi  ruoli  di
appartenenza.
    La stessa giurisprudenza di legittimita' (Cass. 17 febbraio 2005,
n. 3224  e  Cass.  27  settembre  2005,  n. 18829)  si  e'  orientata
univocamente  nel senso dell'illegittimita' dell'applicazione al caso
di  specie  del principio del maturato economico per contrasto con le
disposizioni  di  rango  primario  di  cui  agli articoli 2112 codice
civile, 31 del d.lgs. n. 165/2001 e 8 della legge n. 124/1999.
    Invero,  la  nuova normativa introdotta dal comma 218 dell'art. 1
della  legge  n. 266/2005 impone di interpretare l'art. 8 della legge
n. 124/1999  nel senso della legittimita' dell'adozione del principio
del   maturato   economico,  contrariamente  alla  chiara  risultanza
testuale  e  ai  principi  generali  previsti  dagli art. 2112 codice
civile e 31 del d.lgs. n. 165/2001 in materia di traferimento.
    Appare    allora    evidente    che    laddove    si    ritenesse
costituzionalmente  illegittima la norma di cui comma 218 dell'art. 1
della  legge  n. 266,  conformemente  al  principio  di  diritto gia'
enunciato  in  materia dalla Corte di Cassazione e a cui il tribunale
remittente  ritiene  di aderire, le domande dei ricorrenti dovrebbero
trovare accoglimento.
    Diversamente,    laddove    si    affermasse    la   legittimita'
costituzionale  della  norma  in  esame,  le  domande  dei ricorrenti
andrebbero  rigettate a cagione della conseguente conformita' a legge
dell'operato dell'Amministrazione statale nell'attuazione della norma
di rango primario di cui al citato art. 8 della legge n. 124/1999.
    Per  tali  ragioni,  la  questione  appare rilevante nel presente
giudizio.
    Quanto  alla non manifesta infondatezza della questione (giacche'
il  tribunale  puo' evitare di rimettere alla Corte costituzionale la
questione   di   costituzionalita'   eccepita  solo  ove  la  ritenga
manifestamente infondata) si osserva quanto segue.
    Ritiene questo giudice che la norma di cui all'art. 1, comma 218,
della legge n. 266/2005, nell'imporre l'interpretazione predetta, con
effetti   innovativi   sulla  disciplina  concretamente  applicabile,
presenti   profili   di   assai  dubbia  costituzionalita',  tali  da
determinare  una  possibile  lesione,  sotto  molteplici profili, del
principio  di  uguaglianza  e  ragionevolezza di cui all'art. 3 della
Costituzione.
    Anzitutto   si   rileva   l'introduzione  di  una  non  razionale
disparita'  di  trattamento fra i lavoratori A.T.A. provenienti dagli
enti  locali,  che  pur  continuando  a svolgere le medesime mansioni
presso  le  medesime  strutture scolastiche si vedono riconosciuta ai
fini   giuridici   ed   economici   solo  una  parte  dell'anzianita'
effettivamente   maturata,   e   i  lavoratori  A.T.A.  inseriti  sin
dall'origine  del  rapporto nei ruoli dell'Amministrazione statale, i
quali   beneficiano   dell'integrale  riconoscimento  dell'anzianita'
maturata. Tale disparita' non trova, a parere del Tribunale congrue e
razionali  giustificazioni,  se  non  in  una  motivazione  meramente
economica  volta  al contenimento della finanza pubblica il cui onere
deve  necessariamente  gravare  sulla  fiscalita' generale o, tutt'al
piu',  avere riflessi in sede di contrattazione economica collettiva,
ma con esclusivo riferimento a categorie e settori omogenei. Nel caso
di  specie,  la  disparita',  oltre  a  trasmodare  dalla  dimensione
meramente  economica  verso  la  complessiva  posizione giuridica dei
lavoratori    discriminati,    ha   comportato   un'   ingiustificata
discriminazione  all'interno  di  un medesimo comparto produttivo (il
comparto  Scuola)  fra  lavoratori  le  cui  posizioni  e mansioni si
relazionano  in  termini  di  assoluta identita'. Con riguardo a tale
rilievo,  il  tertium  comparationis  appare  allora costituito dagli
intangibili principi del diritto comune del lavoro in forza dei quali
al  lavoratore,  laddove  la  legge  o  la  contrattazione collettiva
attribuiscano   diritti   e   trattamenti   retributivi   in  ragione
dell'attivita'  prestata  e  dell'opera  profusa, esse siano valutate
nella loro interezza temporale e sostanziale.
    Vi  e'  altresi' disparita' di trattamento fra la generalita' dei
lavoratori,  sia  del  settore  privato che pubblico, che beneficiano
della disciplina - da ritenersi in tal caso termine di raffronto - di
cui  all'art. 2112 codice civile e all'art. 31 del d.lgs. n. 165/2001
in  materia  di  trasferimento  (laddove  viene statuito il principio
generale   del   mantenimento  dei  diritti  acquisiti  nel  caso  di
successione  del datore di lavoro nella titolarita' del rapporto) - e
i  lavoratori  A.T.A.  trasferiti  ai  sensi  dell'art. 8 della legge
124/1999,  che  all'atto  di  trasferimento  presso l'Amministrazione
statale  vedono  ora  compromessi  i  diritti acquisiti nel corso del
tempo.
    Ulteriori  profili  di  irrazionale  disparita'  vengono  inoltre
ravvisati   nella  diversa  disciplina  riservata,  da  un  lato,  ai
lavoratori  A.T.A. che al momento dell'entrata in vigore della citata
norma  di  interpretazione autentica hanno gia' ottenuto un giudicato
favorevole,  e  dall'altro,  ai  lavoratori  A.T.A.  che  al  momento
dell'entrata in vigore non avevano avviato alcuna azione giudiziaria,
pur non essendo decaduti dall'azione e non essendo decorso il termine
di  prescrizione  dei diritti in oggetto, con conseguente indicazione
dello   specifico   tertium   comparationis   nelle   diverse   norme
ordinamentali   attributive  del  diritto  all'incomprimibile  tutela
giurisdizionale dei diritti.
    Invero,  l'art. 1,  comma n. 218, legge n. 266/2005 espressamente
dispone:  «E'  fatta  salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla
data  di entrata in vigore della presente legge.». Tale disposizione,
a  parere di questo giudice, comporta un'ingiustificata disparita' di
trattamento,  basata  sulla mera circostanza del mancato promovimento
dell'azione  giudiziaria,  senza  che  ad  essa  si  accompagni alcun
profilo  di colpa, essendo i lavoratori non beneficiari del giudicato
ancora in termini, al momento dell'entrata in vigore della legge, per
azionare   i  diritti  acquisiti  e  ora  compressi  dall'intervenuta
disciplina  normativa. A maggior ragione sussiste irragionevolezza in
relazione  alla disciplina ora applicabile a quei lavoratori, quali i
ricorrenti  del  presente  giudizio,  che  abbiano  iniziato l'azione
anteriormente  all'entrata  in vigore della legge e che nel corso del
giudizio  vedano  irrazionalmente mutare la disciplina applicabile al
caso  di  specie,  cosi'  introducendo,  quale elemento selettivo del
trattamento   giuridico  dispiegato  a  due  situazioni  specularmene
identiche, un dato estemporaneo di assoluta aleatorieta'.
    Al  riguardo  va peraltro rilevato che la Corte costituzionale ha
piu' volte affermato che, linea generale, l'affidamento del cittadino
nella  sicurezza  giuridica  -  essenziale  elemento  dello  Stato di
diritto  -  non  puo'  essere  leso  da disposizioni retroattive, che
trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale  di identiche situazioni
sostanziali  fondate su leggi anteriori (v. ex multis sentenza n. 446
del 2002).
    Viene  allora  in  rilievo un ulteriore profilo di illegittimita'
costituzionale,   ritenuto   da  questo  giudice  non  manifestamente
infondato,  attinente alla violazione dei limiti posti allo strumento
della legge di interpretazione autentica.
    La  Corte  costituzionale ha piu' volte chiarito che anche ove la
legge  sia  qualificabile  come di interpretazione autentica, occorre
verificare  se,  esercitando il potere di lumeggiare la portata della
precedente norma, il legislatore abbia rispettato i principi generali
di   ragionevolezza   e   di   uguaglianza,   quello   della   tutela
dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento
giuridico  e  quello  del  rispetto delle funzioni costituzionalmente
riservate al potere giudiziario (sentenze n. 525 del 2000 e n. 26 del
2003)  e  che,  pertanto,  in  tali  casi  il  problema da affrontare
riguarda,  non gia' la natura della legge, bensi' i limiti che la sua
portata  retroattiva  incontra  alla  luce  dei  predetti  canoni  di
ragionevolezza  e  del  necessario  rispetto  degli  altri  valori  e
interessi costituzionalmente protetti (cfr. sentenze n. 291 del 2003,
n. 525  del  2000,  n. 229  del  1999,  n. 421 e n. 376 del 1995). Lo
stesso  giudice  delle  leggi ha inoltre affermato che il legislatore
puo'  in  effetti  porre  norme  che  retroattivamente  precisino  il
significato  di  altre norme preesistenti, ovvero impongano una delle
possibili  varianti di senso del testo originario, purche' esse siano
compatibili  con  il  tenore  letterale  di esso (v. sent. n. 168 del
2004).
    Nel  caso  di  specie  si  riscontra,  invero, una vera e propria
incompatibilita'  precettiva  fra  la  norma interpretata (che impone
l'integrale  riconoscimento  dell'anzianita' economica e giuridica) e
la  norma  interpretativa  (che  adotta il diverso principio del solo
maturato  economico).  In  altri  termini, la norma interpretativa in
esame  non  si limita a selezionare le opzioni ermeneutiche possibili
della   norma   interpretata,   al   fine  di  chiarirne  la  valenza
dispositiva,  ma pone una differente e divergente statuizione, la cui
portata  risulta  di segno diverso e contrario alla norma originaria,
selezionando  un  contenuto  dispositivo che il precetto interpretato
non  ha  mai  avuto,  poiche' in palese e chiaro contrasto con la sua
formulazione  testuale.  Non  e'  infatti  consentito  al legislatore
distorcere  la tipica funzione dell'interpretazione autentica, con il
connaturato effetto retroattivo, attribuendo carattere interpretativo
a  disposizioni  che hanno, invece, portata innovativa, o addirittura
contraria alla norma interpretata (cfr. sentenza n. 155 del 1990). Ne
consegue una lesione del legittimo affidamento dei consociati e della
certezza  dei  rapporti  giuridici, di per se' contraria ai canoni di
uguaglianza  e  ragionevolezza,  la  cui  ricorrenza  non trova nella
fattispecie  in  esame  nessuna  razionale giustificazione, se non la
necessita' del contenimento della spesa pubblica che pero', come gia'
ribadito,  non  puo' di per se' dar luogo ad arbitrarie disparita' di
trattamento  di  situazioni ontologicamente eguali, dovendo piuttosto
gravare  sulla  fiscalita'  generale  ovvero  su  settori o categorie
interamente considerate e trattate.
    Peraltro,  va  evidenziato che nessun dubbio interpretativo sulla
portata  dispositiva  dell'art. 8  della  legge n. 124/1999 era ed e'
riscontrabile  nella giurisprudenza di merito e legittimita'. Si deve
piuttosto  constatare  come  il  diritto vivente, abbia pacificamente
recepito  l'inequivoca  portata  della  predetta norma disattendendo,
senza   alcuna   incertezza,   le   tesi  dell'Amministrazione  circa
l'asserita  capacita'  derogatoria  (ex  art.  2,  comma 2 del d.lgs.
n. 165/2001) dell'accordo sindacale recepito nel decreto ministeriale
del 5 aprile 2001, attuativo della legge n. 124/1999.
    Vanno  a  tal  proposito  richiamate  le  due gia' citate recenti
pronunce  (Cass.  n. 3224/2005 e n. 18829/2005) con le quali la Corte
disazione   ha  affermato  l'illegittimita'  dell'adozione  da  parte
dell'Amministrazione   del  principio  del  c.d.  maturato  economico
nell'attuazione  della  normativa  di rango primario di cui al citato
art. 8 della legge 124/1994. A conferma di cio' si evidenzia come gli
aspetti  controversi trattati nel predetto contenzioso non abbiano in
alcun   modo   riguardato   la   circostanza   pacificamente  ammessa
dell'affermazione  nell'art. 8  della  legge 124/1999 del diritto dei
lavoratori   A.T.A.,   provenienti   dai  ruoli  degli  enti  locali,
all'integrale riconoscimento dell'anzianita' effettivamente maturata.
Piuttosto,   l'elemento  su  cui  si  e'  controverso  ha  riguardato
esclusivamente  la  possibilita' di considerare la normativa di rango
secondario,  con la quale e' stato accolto il contrario principio del
maturato   economico   (oggi  indicato  quale  soluzione  ermeneutica
prescelta  per la soluzione di un contrasto interpretativo in realta'
mai  sorto),  come  avente  capacita' derogatoria proprio della norma
(l'art. 8    della   legge   n. 124/1999)   successivamente   oggetto
dell'interpretazione  autentica di cui al comma 218 dell'art. 1 della
legge n. 266 del 23 dicembre 2005.
    Emerge  allora,  con  tutta  la  sua  evidenza,  la non manifesta
infondatezza  di  un  ulteriore  profilo  di  sospetta illegittimita'
costituzionale della succitata norma, attinente alla violazione degli
art. 102,  103  e  104 della Costituzione per l'invasione della sfera
riservata al potere giudiziario.
    Appare  invero  palese,  sulla  base  delle  considerazioni sopra
svolte,  l'intento  legislativo,  in  assenza  di  un reale e fondato
contrasto interpretativo, di incidere sull'esito dei giudizi mediante
l'imposizione di una soluzione giurisdizionale contraria agli univoci
pronunciamenti  delle  Corti  di  merito  e  legittimita', nonche' al
chiaro dato testuale della legge n. 124/1999.
    La  stessa  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte  affermato che
sussiste  un'invasione  della  sfera riservata al potere giudiziario,
con  conseguente  violazione  degli  articoli  102,  103  e 104 della
Costituzione,   laddove   il   legislatore   imponga  con  una  norma
interpretativa,  avente  in  realta'  portata  innovativa, una scelta
ermeneutica  non  rientrante  fra  le  possibili  varianti  di  senso
(compatibili  col  tenore  letterale)  del  testo  interpretato,  con
l'intento  esclusivo di incidere direttamente su concrete fattispecie
sub  iudice  (cfr.  ex  multis  le  sentenze n. 6/1994, n. 480/1992 e
n. 155/1990).  Tale  intento  legislativo  si  evince chiaramente dal
contenuto della disposizione in esame la quale, pur in presenza di un
univoco  pronunciamento della Corte di legittimita', che aveva negato
l'idoneita'  della  norma  di rango secondario a derogare il disposto
della norma primaria di cui doveva costituirne attuazione, ha elevato
a  soluzione  ermeneutica  da  prescegliere,  nell'applicare la norma
primaria,   proprio  il  contenuto  della  norma  secondaria  che  si
presentava  in  palese  e  non  controverso contrasto con la norma da
attuare.
    Per  tali  ragioni, apparendo la questione rilevante nel presente
giudizio  e,  nei limiti suindicati, non manifestamente infondata, si
impone la remissione della stessa a codesta Corte.