ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 13, comma 6,
secondo  e  terzo  periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000,
n. 38  (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni
sul  lavoro  e  le malattie professionali, a norma dell'art. 55 della
legge 17 maggio 1999, n. 144), promossi con ordinanze del 24 febbraio
2004  dal  Tribunale  di  Pisa  nel  procedimento civile vertente tra
Ottavio  Daniele  Pardossi  e  l'Inail  e  del  21 novembre  2005 dal
Tribunale  di  Trieste  nel  procedimento civile vertente tra Giorgio
Filippi  e  l'Inail,  rispettivamente iscritte al n. 431 del registro
ordinanze  2004  e  al n. 55 del registro ordinanze 2006 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria del
3 giugno 2004 e nel n. 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;
    Visti  gli  atti di costituzione dell'Inail, di Giorgio Filippi e
del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  7 novembre  2006  il  giudice
relatore Luigi Mazzella;
    Uditi gli avvocati Giorgio Antonini per Giorgio Filippi, Luigi La
Peccerella per l'Inail e l'Avvocato dello Stato Francesco Lettera per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio,  promosso da Ottavio Daniele
Pardossi  -  gia' titolare di rendita ragguagliata al 14 per cento di
inabilita' lavorativa, in conseguenza di un precedente infortunio sul
lavoro   verificatosi   prima  dell'entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo  23 febbraio  2000,  n. 38  (Disposizioni  in  materia di
assicurazione   contro   gli  infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
professionali,  a  norma  dell'art. 55  della  legge  17 maggio 1999,
n. 144)  -  nei confronti dell'Istituto nazionale per l'assicurazione
contro  gli  infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL)
per  il  conseguimento  delle  prestazioni assicurative dovute per un
successivo  infortunio  sul lavoro subito il 31 maggio 2001, in esito
al  quale  era  residuata una menomazione della sua integrita' fisica
pari  al  4,5 per cento, come tale inferiore al minimo indennizzabile
ai  sensi dell'art. 13 del citato d.lgs. n. 38 del 2000, il Tribunale
di  Pisa,  rilevato che il secondo e terzo periodo del sesto comma di
quest'ultimo  articolo non consentono di procedere ad una valutazione
complessiva   dei   postumi   conseguenti  ad  infortuni  o  malattie
professionali  disciplinati dal citato decreto legislativo con quelli
conseguenti  ad  infortuni  o  malattie  professionali verificatesi o
denunciate  prima  dell'entrata  in  vigore  del medesimo decreto, ha
sollevato,   con   ordinanza   del  24 febbraio  2004,  questione  di
legittimita' costituzionale delle citate disposizioni, per violazione
degli   artt. 3,  secondo  comma,  38,  secondo  comma,  e  76  della
Costituzione.
    Quanto  alla  dedotta  violazione  dell'art. 76 Cost., lamenta il
rimettente  che  il  legislatore  delegato ha superato i limiti della
delega  di cui all'art. 55 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure
in  materia  di investimenti, delega al Governo per il riordino degli
incentivi  all'occupazione  e della normativa che disciplina l'INAIL,
nonche'  disposizioni  per  il  riordino  degli  enti previdenziali):
mentre  questa  affidava  al  Governo il preciso compito di estendere
l'oggetto  dell'assicurazione  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
malattie  professionali,  ricomprendendovi  la  copertura del rischio
«danno biologico», fermi restando i livelli di sicurezza sociale fino
ad  allora  garantiti,  di  fatto  si e' realizzato un vero e proprio
«intervento  demolitore» del meccanismo gia' prefigurato dall'art. 80
del  d.P.R.  30 giugno 1965,  n. 1124 (Testo unico delle disposizioni
per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie  professionali)  tutte  le  volte  in cui - come nel caso in
esame  -  la  percentuale  di  inabilita'  riportata  nell'infortunio
successivo  non  sia idonea ne' a garantire un ristoro capitalizzato,
perche' inferiore al 6 per cento, ne' un incremento della rendita.
    Quanto  alla  denunciata  violazione dell'art. 38, secondo comma,
Cost.,  osserva  il  rimettente che la previsione della franchigia di
indennizzo  da  parte  del  legislatore  delegato  non e' conforme al
parametro  evocato  risolvendosi  in una vera e propria ablazione del
diritto  ad  ottenere i «mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso
di  infortunio,  malattia,  invalidita'  e  vecchiaia, disoccupazione
involontaria».
    Secondo il giudice a quo, anche il parametro dell'eguaglianza tra
cittadini  risulterebbe  leso dalla norma censurata, potendo accadere
che,  per  patologie  identiche,  si  abbiano  trattamenti diversi, a
seconda  che  la loro coesistenza si ponga a cavallo tra il vecchio e
il  nuovo  regime,  ovvero  esclusivamente nel nuovo. In particolare,
restano   irragionevolmente   penalizzati   quei  lavoratori  le  cui
inabilita'  ricevono trattamento dalle due discipline, mentre per gli
altri   il  meccanismo  di  calcolo  e'  unicamente  quello  indicato
dall'art. 80  del  testo  unico,  riformulato  nell'art. 13, comma 5,
della legge n. 38 del 2000.
    2.  -  Identica questione di legittimita' costituzionale e' stata
sollevata  -  con  riferimento  alla  medesima  norma  ed ai medesimi
parametri costituzionali - dal Tribunale di Trieste con ordinanza del
21 novembre  2005,  nel  corso  di  un  giudizio  promosso da Giorgio
Filippi,  gia' titolare di una rendita per «broncopatia» ragguagliata
al  15  per cento di inabilita' lavorativa, nei confronti dell'INAIL,
per   il  conseguimento  delle  prestazioni  assicurative  dovute  in
dipendenza  di  una  patologia asbestosica, di origine professionale,
produttiva  di  un  danno  biologico  nella  misura  del 5 per cento,
denunciata in data posteriore al 25 luglio 2000.
    In  aggiunta  alle  argomentazioni  gia' esposte dal Tribunale di
Pisa,  il  rimettente  osserva  che  il  d.lgs. n. 38 del 2000 non ha
modificato  affatto  il  principio  generale in tema di assicurazione
antinfortunistica  secondo  cui,  ove  gli infortuni o le malattie si
verifichino in tempi diversi, non si procede a piu' rendite, ma se ne
eroga  una  sola,  al  fine  di  valutare  globalmente  la  riduzione
dell'attitudine lavorativa sulla base di un apprezzamento unitario di
tutti gli esiti invalidanti, e cio' tanto nel caso in cui l'ulteriore
evento  lesivo  abbia una valenza autonoma ai fini della costituzione
della  rendita,  quanto  nel caso in cui esso non raggiunga la soglia
invalidante;   principio   che   trova   applicazione   anche  quando
l'inabilita'  sia  derivata  in  parte  da infortunio sul lavoro e in
parte  da  malattia  professionale  (art. 132  del d.P.R. n. 1124 del
1965).
    3.  - In entrambi i giudizi si e' costituito l'INAIL, concludendo
per l'infondatezza della questione sotto tutti i profili prospettati.
    Con  riferimento  al  denunciato  eccesso  di  delega, l'Istituto
osserva  che  i principi e criteri direttivi enunciati dalla legge di
delegazione   vanno   ricostruiti   tenendo  conto  della  disciplina
complessiva  e  delle  finalita'  che  ispirano la delega, laddove il
rimettente si e' riferito alla sola lettera s) dell'art. 55, comma 1,
della  legge  n. 144  del  1999, avulsa dal suo contesto. Nel caso di
specie,  la  complessiva  revisione  del  sistema di indennizzo prima
vigente  si  poneva come imprescindibile presupposto logico-giuridico
per  il  razionale esercizio della delega, al fine di evitare che una
operazione  meramente  additiva  producesse  eccessi di indennizzo in
alcuni casi, o vuoti di tutela in altri.
    Ad  avviso  dell'Istituto  previdenziale,  la  norma impugnata, a
differenza  di quanto previsto dall'art. 74 del testo unico del 1965,
che   poneva  a  fondamento  del  diritto  alla  rendita  la  perdita
dell'attitudine  al  lavoro, commisura le prestazioni indennitarie al
grado  di accertata menomazione dell'integrita' psico-fisica. D'altra
parte,  diverse  sono  anche  le conseguenze - sotto il profilo della
misura, della tipologia e dell'oggetto delle prestazioni indennitarie
-   delle   distinte   tipologie   di  postumi  permanenti  prese  in
considerazione  dai  due  regimi.  Ne  consegue che la situazione del
soggetto  colpito da due eventi lesivi ricadenti in diverso regime, e
quindi  portatore  di inabilita' disomogenee, non e' sovrapponibile a
quella  del  soggetto  che  sia  stato  colpito da piu' eventi lesivi
ricadenti nello stesso regime.
    4. - Si e' costituito in giudizio uno dei due ricorrenti, Giorgio
Filippi,  il  quale  ha condiviso in pieno le motivazioni addotte dal
Tribunale di Trieste.
    5.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
invocando  la  declaratoria  di  inammissibilita',  o,  comunque,  di
infondatezza della questione.
    L'Avvocatura erariale rileva che i nuovi criteri di calcolo degli
indennizzi  per inabilita' permanente connessi al danno biologico non
sono  affatto  confrontabili  con  quelli  previsti  dalla precedente
normativa.  L'unificazione delle inabilita' - secondo l'interveniente
-   puo'   avvenire  solo  a  parita'  di  parametri  di  calcolo  e,
conseguentemente,  per  eventi  verificatisi  in  vigenza della nuova
disciplina.
    Secondo  l'Avvocatura, lungi dall'eccedere l'ambito della delega,
la  norma  impugnata  si  inquadra  armonicamente  nel  nuovo sistema
caratterizzato  da  una  rimodulazione delle rendite e dell'ammontare
dei  premi  che  sono stati ricalibrati in vista della risarcibilita'
del  danno biologico, scelta questa del tutto ragionevole e come tale
insindacabile della Corte costituzionale.

                       Considerato in diritto

    1.  -  I  Tribunali  di  Pisa  e di Trieste, con due ordinanze di
identico    contenuto,    sollevano    questione    di   legittimita'
costituzionale  -  in  riferimento  agli  artt. 3, secondo comma, 38,
secondo  comma,  e  76  della  Costituzione  - dell'art. 13, comma 6,
secondo  e  terzo  periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000,
n. 38  (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali a norma dell'art. 55, comma 1,
della  legge 17 maggio 1999, n. 144), nella parte in cui non consente
di  procedere  ad una valutazione complessiva dei postumi conseguenti
ad  infortuni  sul  lavoro  o  malattie  professionali verificatisi o
denunciati  prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto
ministeriale   12 luglio   2000   (Approvazione   di  «Tabella  delle
menomazioni»;  «Tabella  di indennizzo danno biologico»; «Tabella dei
coefficienti»;  relative  al  danno  biologico  ai  fini della tutela
dell'assicurazione  contro gli infortuni e le malattie professionali)
e di quelli intervenuti dopo tale data.
    Secondo  i  rimettenti,  la disposizione censurata violerebbe sia
l'art. 76  Cost.,  per  aver ecceduto i limiti fissati dalla legge di
delega;  sia  l'art. 38,  secondo  comma,  Cost., perche', attraverso
l'introduzione  di  franchigie di indennizzo, avrebbe pregiudicato il
diritto dell'assicurato ad ottenere i mezzi adeguati alle esigenze di
vita  in  caso  di infortunio o malattia professionale; sia l'art. 3,
secondo comma, Cost., per aver irrazionalmente previsto, per medesime
patologie  conseguenti all'attivita' lavorativa, trattamenti diversi,
a seconda che esse si manifestino a cavallo fra il vecchio e il nuovo
regime, ovvero solo nel nuovo.
    2.  -  In  via  preliminare,  dev'essere disposta la riunione dei
giudizi aventi ad oggetto la medesima questione.
    3. - La questione non e' fondata.
    3.1.  -  Quanto  al denunciato eccesso di delega, va rilevato, in
via  generale,  che  i  principi  e criteri direttivi enunciati dalla
legge  di delegazione vanno ricostruiti tenendo conto del complessivo
contesto   normativo   e   delle  finalita'  che  hanno  ispirato  il
provvedimento.  Peraltro,  l'art. 76 Cost. non impedisce l'emanazione
di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche
un  completamento  delle  scelte  espresse  dal legislatore delegante
(sentenze n. 198 del 1998 e n. 117 del 1997).
    In  questa  ottica,  dev'essere considerato l'art. 55 della legge
17 maggio  1999, n. 144. Esso, nel delegare il Governo ad emanare uno
o  piu'  decreti  legislativi  al  fine  di ridefinire taluni aspetti
dell'assetto   normativo  in  materia  di  assicurazione  contro  gli
infortuni  sul  lavoro e le malattie professionali, ha indicato, alla
lettera s),  tra  i  principi  ed i criteri direttivi, la previsione,
nell'ambito  del sistema di indennizzo e di sostegno sociale, proprio
del  d.P.R.  30  giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni
per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie   professionali),  «di  un'idonea  copertura  e  valutazione
indennitaria  del  danno biologico, con conseguente adeguamento della
tariffa dei premi».
    Orbene,   considerato   che   l'originario   sistema  di  calcolo
dell'indennizzo  per  inabilita'  permanente  erogato  dall'Istituto,
configurato  dal  d.P.R. n. 1124 del 1965, era modellato su parametri
mutuati   dal   tradizionale   meccanismo   di   calcolo   del  danno
patrimoniale,  l'attuazione  della  delega,  con l'introduzione della
categoria  del  danno  biologico nell'ambito indennitario, non poteva
non  comportare  una profonda revisione del sistema complessivo delle
prestazioni economiche da inabilita' permanente.
    Mentre,   infatti,   nel   precedente   sistema  l'INAIL  erogava
prestazioni economiche riferite all'attitudine al lavoro che di fatto
gia'  comprendevano,  in  parte  o per intero, il danno biologico, la
nuova   disciplina   copre  esplicitamente  tale  danno  all'art. 13,
precisando  che  «le  prestazioni  per il ristoro del danno biologico
sono determinate in misura indipendente dalla capacita' di produzione
del  reddito del danneggiato» (art. 13, comma 1). Il d.lgs. n. 38 del
2000, in coerente attuazione della delega, considera i rapporti della
nuova   normativa   con   le   situazioni  pregresse  disciplinandoli
compiutamente.  E'  chiaro,  quindi, che cosi' facendo il legislatore
non  ha  ecceduto  i limiti della delega, ma ha solo dato ad essa uno
sviluppo coerente.
    3.2.  -  Quanto  alla  dedotta  violazione  dell'art. 3 Cost., e'
sufficiente  osservare  che  la  separata considerazione degli eventi
lesivi  ricadenti sotto la disciplina dell'art. 13, rispetto a quelli
pregressi, e' conseguenza di una ragionevole scelta discrezionale del
legislatore   e  quindi  rispettosa  del  principio  di  eguaglianza.
L'obiettiva  differenza  dei parametri valutativi e delle conseguenze
indennizzabili  richiedeva  un'articolazione  che tenesse conto delle
diversita'  ed al tempo stesso non lasciasse, nell'ambito di ciascuno
dei  diversi  regimi,  alcun  vuoto  di  tutela (sul punto si veda la
sentenza  n. 71  del  1990, concernente la legittimita' della mancata
valutazione  complessiva  di  piu' inabilita' permanenti contratte in
settori lavorativi diversi, rispettivamente industriali e agricoli, e
cio'  proprio  in  considerazione delle difformita' esistenti nei due
settori  in termini sia di presupposti del rapporto assicurativo, sia
di  obblighi  contributivi,  nonche'  di criteri di valutazione della
efficacia  invalidante  delle  menomazioni  fisiche  in  ciascuno dei
contesti lavorativi).
    La   ragionevolezza   della  norma  censurata  va  affermata  con
riferimento non soltanto alle opzioni di fondo poste a base del nuovo
sistema,  ma  anche  alla particolare disciplina, dettata dalla norma
medesima,   per   le   menomazioni  preesistenti  rispetto  a  quelle
intervenute dopo l'entrata in vigore del nuovo sistema.
    In  ordine  a  quest'ultimo aspetto, compatibile con il principio
dettato  dall'art. 3,  secondo  comma,  Cost.  deve  considerarsi  la
diversa  disciplina  riservata  agli  eventi lesivi ratione temporis,
atteso che il fluire del tempo costituisce elemento di per se' idoneo
a  differenziare  le  situazioni soggettive (v. ex plurimis, sentenza
n. 342 del 2006).
    Giova  rammentare,  del resto, che questa Corte, nel decidere una
fattispecie  analoga  a quella in esame, ha dichiarato non fondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 14 del decreto
legge   22 maggio   1993,  n. 155  (Misure  urgenti  per  la  finanza
pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1993,
n. 243,   nella  parte  in  cui  individua,  con  decorrenza  dal  1°
giugno 1993,  ai  fini del riconoscimento del diritto a prestazioni e
del  calcolo  della  rendita  da  infortunio  sul  lavoro  o malattia
professionale  in  agricoltura,  condizioni  e  parametri  diversi da
quelli  previsti  dalla  precedente  normativa  (ordinanza n. 108 del
2002).
    Dalla  rilevata  legittimita'  costituzionale della delimitazione
temporale   dell'applicabilita'   dell'art. 13,   discende   la   non
contrarieta' a Costituzione del sesto comma della stessa disposizione
nella  parte  in  cui non prevede la possibilita' di unificazione dei
postumi  di  eventi  ricadenti sotto il regime del d.P.R. n. 1124 del
1965  con quelli di eventi disciplinati dall'art. 13 del d.lgs. n. 38
del 2000.
    La  scelta  del  legislatore  trova  spiegazione  nella oggettiva
impossibilita'  -  nel  caso  contemplato  dalla norma impugnata - di
considerare  unitariamente  i postumi permanenti disomogenei, essendo
valutati, gli uni, in termini di riduzione dell'attitudine al lavoro,
e  gli  altri, in termini di menomazione dell'integrita' psicofisica,
con  criteri  necessariamente  diversi  tra  loro  (cfr.  le  tabelle
allegate  al  d.P.R. n. 1124 del 1965, e le tabelle delle menomazioni
per gli eventi disciplinati dall'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000).
    3.3. - Quanto all'art. 38 secondo comma, Cost., si deve osservare
che   esso   rimette   alla   discrezionalita'   del  legislatore  la
determinazione  dei  tempi, dei modi e della misura delle prestazioni
sociali   sulla   base   di   un  razionale  contemperamento  con  la
soddisfazione   di   altri   diritti,   anch'essi  costituzionalmente
garantiti,  e nei limiti delle compatibilita' finanziarie. Del resto,
l'assicurazione  contro gli infortuni e le malattie professionali non
e'  ispirata  al  criterio  della  piena socializzazione del rischio,
giacche'  il  d.P.R.  n. 1124 del 1965 circoscrive l'ambito della sua
operativita'  in  relazione  sia  all'aspetto oggettivo, che a quello
soggettivo (sentenze n. 17 del 1995 e n. 310 del 1994).
    In  tale  prospettiva  l'adeguatezza  della tutela assicurata dal
d.lgs.   n. 38   del   2000   dev'essere  valutata  tenendo  presente
l'innovazione legislativa nel suo complesso.
    Sotto  questo aspetto non puo' negarsi che la nuova disciplina e'
migliorativa  rispetto al precedente regime, prevedendo essa non solo
l'abbassamento del grado minimo indennizzabile dall'11 per cento al 6
per cento, ma anche l'estensione della copertura a tipologie di danni
prima  non  contemplate,  oltre  ad  una  maggiore  personalizzazione
dell'indennizzo.
    Parimenti  non  contrastante  con  il parametro costituzionale in
esame,  appare  la  disciplina  particolare  della  valutazione delle
inabilita'  preesistenti  all'entrata  in vigore del nuovo regime, in
occasione   di   un   nuovo   infortunio  o  di  una  nuova  malattia
professionale.
    In  caso  di evento lesivo posteriore al 25 luglio 2000 preceduto
da altra menomazione gia' indennizzata, il nuovo sistema assicura una
prestazione  aggiuntiva  ove  la  lesione  posteriore  sia  di  grado
superiore  al  5  per  cento.  In questa ipotesi, l'assicurato, oltre
all'indennizzo in capitale o rendita, spettante ai sensi dell'art. 13
del  d.lgs.  n. 38  del  2000,  continuera'  a  percepire  la rendita
corrisposta  ai sensi della disciplina precedente; rendita alla quale
si applicheranno tutti gli istituti giuridici gia' previsti dal testo
unico del 1965 (revisione, rivalutazione, quote integrative).
    Se  invece, la menomazione precedente non sia stata indennizzata,
il  danno  biologico sopravvenuto sara' rapportato non all'integrita'
psico-fisica   completa,  ma  a  quella  ridotta  per  effetto  della
preesistente menomazione.
    Da  un  simile  quadro  complessivo  risulta dunque che la tutela
approntata   dal   nuovo   sistema   non   configge   con  il  canone
costituzionale invocato.
    3.4.  -  In  conclusione, la separata considerazione degli eventi
lesivi  ricadenti sotto la disciplina dell'art. 13, rispetto a quelli
pregressi, costituisce una logica conseguenza di una razionale scelta
discrezionale del legislatore, nel pieno rispetto degli artt. 76, 3 e
38  Cost., fondata sull'obiettiva differenza dei parametri valutativi
e  delle conseguenze indennizzabili ed articolata in modo tale da non
lasciare,  nell'ambito di ciascuno dei diversi regimi, alcun vuoto di
tutela (si veda la sentenza n. 71 del 1990).