ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge
18 febbraio  1999,  n. 28  (Disposizioni  in  materia  tributaria, di
funzionamento   dell'Amministrazione   finanziaria   e  di  revisione
generale  del  catasto),  promosso  con  ordinanza del 4 ottobre 2005
dalla  Commissione tributaria regionale della Lombardia, nel giudizio
vertente  tra il Comune di Milano e l'Agenzia delle Entrate - Ufficio
di   Milano,  iscritta  al  n. 140  del  registro  ordinanze  2006  e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006;
    Visto l'atto di costituzione del Comune di Milano, nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 25 ottobre 2006 il giudice
relatore Franco Gallo;
    Ritenuto  che,  nel  corso di un giudizio tributario di appello -
riguardante  il  ricorso  proposto  dal  comune  di Milano avverso il
silenzio-rifiuto  formatosi  sulla  sua  istanza  di  rimborso  della
ritenuta  effettuata a titolo di imposta da vari istituti di credito,
ai  sensi  dell'art. 26,  quarto  comma,  terzo  periodo,  del d.P.R.
29 settembre   1973,   n. 600  (Disposizioni  comuni  in  materia  di
accertamento delle imposte sui redditi), sugli interessi maturati nel
corso  dell'anno 1996 sui depositi, titoli e conti correnti intestati
all'AMSA   -   Azienda   Municipalizzata  per  i  Servizi  Ambientali
(all'epoca  priva  di  personalita'  giuridica distinta da quella del
Comune  di  Milano)  -,  la  Commissione  tributaria  regionale della
Lombardia,  con  ordinanza  del  4 ottobre 2005, pervenuta alla Corte
costituzionale  il  20 aprile 2006, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  23,  76,  77, primo comma, 101, secondo comma, e 104, primo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 14  della  legge  18 febbraio  1999, n. 28 (Disposizioni in
materia tributaria, di funzionamento dell'Amministrazione finanziaria
e   di   revisione   generale   del   catasto),  recante  la  rubrica
«Interpretazione  autentica  della disciplina concernente le ritenute
sugli  interessi  e  sui  redditi di capitale», nella parte in cui si
applica al testo dell'art. 26, quarto comma, «ultimo periodo» (recte:
terzo  periodo), del d.P.R. n. 600 del 1973, anche nella formulazione
anteriore alla sostituzione di detto art. 26 operata, con effetto dal
1° luglio   1998,  dall'art. 12,  comma 1,  del  decreto  legislativo
21 novembre  1997,  n. 461  (Riordino della disciplina tributaria dei
redditi  di  capitale  e  dei  redditi  diversi, a norma dell'art. 3,
comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);
        che,  per  il  giudice  rimettente, il citato art. 26, quarto
comma,  terzo  periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente
anteriormente  al 1° luglio 1998 ed applicabile ratione temporis alla
fattispecie  di causa - nel prevedere l'applicazione, in sostituzione
dell'ordinaria  imposizione  sul  reddito  delle  persone giuridiche,
della  suddetta ritenuta sugli interessi e sui redditi di capitale «a
titolo di acconto», nei confronti di quanti sono soggetti all'imposta
ordinaria,  nonche'  «a  titolo d'imposta, nei confronti dei soggetti
esenti  dall'imposta  sul reddito delle persone giuridiche ed in ogni
altro  caso»  -,  riguarderebbe  soltanto  i soggetti incisi e quelli
esenti dall'IRPEG e non i soggetti esclusi dall'imposta;
        che,  sempre  per  il  giudice  a  quo,  tale interpretazione
sarebbe  l'unica  possibile  alla luce dei criteri e principi dettati
dalla  legge  di  delegazione in base alla quale era stato emanato il
predetto  d.P.R.  n. 600  del 1973, cioe' dalla legge 9 ottobre 1971,
n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma
tributaria);
        che   infatti,   ad   avviso   della  Commissione  tributaria
regionale,  l'art. 10,  secondo  comma,  numero  5,  di tale legge di
delegazione - disponendo l'applicazione della menzionata ritenuta nei
confronti dei soggetti incisi od esenti dall'imposta e consentendo al
legislatore delegato la previsione di «particolari ritenute» solo per
redditi  corrisposti  a non residenti - imporrebbe di interpretare il
citato  art. 26,  quarto  comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del
1973  nel  senso  che  la  ritenuta  a  titolo d'imposta e' applicata
soltanto  nei  confronti dei «soggetti esenti» dall'IRPEG e di quelli
non  residenti  («in  ogni  altro caso»), non anche nei confronti dei
soggetti esclusi dall'imposta;
        che,  ad  avviso del rimettente, tale interpretazione sarebbe
confermata  dal  rilievo  che, nel periodo compreso tra il 1° gennaio
1974 (data di entrata in vigore del citato d.P.R. n. 600 del 1973) ed
il   31 dicembre  1990,  la  legislazione  tributaria  non  prevedeva
soggetti  esclusi dall'IRPEG, ad eccezione dello Stato, in quanto sia
l'art. 2,   lettera c),   del   d.P.R.   29 settembre   1973,  n. 598
(Istituzione  e  disciplina  dell'imposta  sul  reddito delle persone
giuridiche),  sia,  successivamente, l'art. 88 del d.P.R. 22 dicembre
1986,   n. 917  (Approvazione  del  testo  unico  delle  imposte  sui
redditi),  indicavano  come non «soggetti all'imposta» esclusivamente
gli organi e le amministrazioni dello Stato;
        che infatti - sottolinea il giudice a quo - la non soggezione
all'imposta  e'  stata  prevista  per  i  comuni  (e  per  altri enti
pubblici)  soltanto  a decorrere dal 1° gennaio 1991, a seguito della
modifica  apportata  al  suddetto  art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986
dall'art. 4,  comma 3-bis, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403;
        che,  proprio  in  considerazione della indicata sopravvenuta
esclusione  dall'IRPEG  dei  comuni e di altri enti, il legislatore -
secondo  il  medesimo  giudice  -  avrebbe  delegato  il Governo, con
l'art. 3, comma 160, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, a rivedere
la  disciplina  dell'imposta  sui  redditi  di  capitale,  al fine di
fornire una puntuale definizione delle singole fattispecie di reddito
e di prevedere «norme di chiusura volte a ricomprendere ogni provento
derivante dall'impiego di capitale»;
        che,  come  afferma  il  rimettente,  l'art. 12, comma 1, del
decreto legislativo n. 461 del 1997, in vigore dal 1° luglio 1998, in
attuazione  di  detta  legge di delegazione, ha sostituito l'art. 26,
quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, introducendo
per  la  prima  volta,  con  «norma  di  chiusura» («ed in ogni altro
caso»),  la ritenuta a titolo d'imposta sugli interessi e sui redditi
di capitale anche nei confronti dei soggetti esclusi dall'IRPEG;
        che   pertanto,   a   parere   della  Commissione  tributaria
regionale,  un  problema  interpretativo  dell'art. 26, quarto comma,
terzo   periodo,   del   d.P.R.   n. 600   del   1973   -  in  ordine
all'applicabilita'  della  ritenuta  a  titolo  d'imposta  anche  nei
confronti  dei  soggetti  esclusi  dall'IRPEG  -  si  e' posto solo a
decorrere  dal  1° luglio  1998, a seguito dell'entrata in vigore del
menzionato  art. 12,  comma 1,  del  d.lgs.  n. 461  del 1997 e della
menzionata «norma di chiusura»;
        che  la Commissione tributaria osserva che, in riferimento al
suddetto  problema  interpretativo  ed  in  presenza  di contrastanti
soluzioni  ermeneutiche  fornite  al  riguardo  dalla dottrina, dalla
giurisprudenza  e  dalla  prassi  amministrativa,  il  legislatore ha
emanato  il  censurato art. 14 della legge n. 28 del 1999 (entrato in
vigore  il  9 marzo  1999),  al  fine  di imporre una interpretazione
autentica  dell'art. 26,  quarto  comma,  terzo  periodo,  del d.P.R.
n. 600  del 1973, nel testo all'epoca vigente, ed ha percio' statuito
che  quest'ultima  disposizione,  per quanto attiene all'applicazione
della  ritenuta  a  titolo  d'imposta sugli interessi, premi ed altri
frutti  delle  obbligazioni  e  titoli similari e sui conti correnti,
«deve  intendersi  nel  senso  che tale ritenuta si applica anche nei
confronti dei soggetti esclusi dall'imposta sul reddito delle persone
giuridiche»;
        che   -   rileva   ancora   il   rimettente   -  la  costante
giurisprudenza  di  legittimita',  in  contrasto  con  l'origine e la
funzione  di  detta  norma interpretativa, attribuisce a quest'ultima
una   efficacia   retroattiva  senza  limiti  temporali,  ritenendola
applicabile  non soltanto al testo dell'art. 26 del d.P.R. n. 600 del
1973  vigente  al 9 marzo 1999 (data di entrata in vigore della norma
censurata),  ma,  con riguardo ai rapporti tributari ancora in corso,
anche a quello vigente anteriormente al 1° luglio 1998;
        che,   invece,   il   giudice   a  quo  riconosce  la  natura
genuinamente  interpretativa del denunciato art. 14 della legge n. 28
del  1999 e la sua legittimita' costituzionale (quale accertata anche
dalla  Corte costituzionale con le ordinanze n. 174 del 2001 e n. 313
del  2002) solo in riferimento al testo del citato art. 26 del d.P.R.
n. 600 del 1973 vigente a decorrere dal 1° luglio 1998;
        che  il  medesimo  giudice  nega, conseguentemente, la natura
interpretativa  dello  stesso articolo 14, del quale afferma, invece,
la   natura   innovativa  e  retroattiva,  in  riferimento  al  testo
dell'art. 26  del  d.P.R. n. 600, vigente nel periodo compreso tra il
1° gennaio  1991  ed  il  30  giugno 1998 ed applicabile nel giudizio
principale;
        che  infatti,  ad  avviso  della  Commissione  tributaria, la
previsione,   contenuta   nella   norma  censurata,  dell'obbligo  di
effettuare  la  ritenuta  a titolo di imposta anche nei confronti dei
soggetti   «esclusi»   dall'IRPEG,   ivi   compresi   i  comuni,  non
rientrerebbe   tra   i  significati  attribuibili  alla  disposizione
applicabile nel giudizio a quo;
        che  per  il  rimettente, alla stregua di tali premesse e con
riguardo esclusivamente al periodo compreso tra il 1° gennaio 1991 ed
il  30  giugno 1998, la norma denunciata si porrebbe in contrasto: a)
con l'art. 3 Cost., per violazione dei principi della ragionevolezza,
dell'equita'  e del legittimo affidamento, perche' attribuirebbe alla
disposizione  oggetto  di  «interpretazione autentica» un significato
non  compatibile  con  il  testo normativo e pertanto, per effetto di
tale sua efficacia innovativa e retroattiva, lederebbe i diritti gia'
acquisiti  dal  contribuente,  a  suo  tempo  certo di essere escluso
dall'imposta;  b)  con gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., perche'
interpreterebbe   «capziosamente»   l'art. 26,  quarto  comma,  terzo
periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, attribuendogli un significato ed
un contenuto del tutto estranei ai principi e criteri direttivi posti
dalla legge di delegazione dello stesso art. 26 (cioe' dagli artt. 9,
numero  3,  e  10,  secondo  comma,  numero 5, della legge n. 825 del
1971);   c)  con  l'art. 23  Cost.,  perche',  simulando  una  natura
interpretativa  e  dissimulando  l'effettivo  intento  di  introdurre
retroattivamente  un  nuovo  prelievo,  con  effetti surrettiziamente
abrogativi ex tunc dell'originaria disciplina della ritenuta a titolo
di  imposta,  contravverrebbe  alla fondamentale esigenza di certezza
del   diritto  insita  nell'evocato  parametro  e  nel  principio  di
irretroattivita'  della  legge,  previsto,  in generale, dall'art. 11
delle disposizioni preliminari al codice civile e, specificamente per
le  norme  tributarie,  dall'art. 3,  comma 1,  della legge 27 luglio
2000,  n. 212  (Disposizioni  in  materia  di statuto dei diritti del
contribuente);  d)  con  gli  artt. 101,  secondo comma, e 104, primo
comma,    Cost.,    perche',    pur    qualificandosi   come   «norma
interpretativa»,   non  sarebbe  diretta  a  chiarire  una  questione
giuridica,   ne'   a   dirimere   dubbi   interpretativi   e  neppure
rispetterebbe  le  funzioni  costituzionalmente  riservate  al potere
giudiziario  ed il principio costituzionale del diritto di difesa, ma
sarebbe  diretta  solo ad indurre i giudici tributari a respingere le
domande  di  rimborso  delle  ritenute  a  titolo  di  imposta  sugli
interessi,   applicate   nei  confronti  degli  enti  locali  esclusi
dall'IRPEG;
        che,  infine,  la Commissione tributaria regionale afferma la
rilevanza  della sollevata questione, ribadendo che, nella specie, la
ritenuta  applicata a titolo imposta nei confronti dell'AMSA riguarda
gli interessi maturati nell'anno 1996;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto la dichiarazione di infondatezza della
sollevata  questione,  con  riferimento  a tutti i parametri evocati,
perche' la norma denunciata non e' in contrasto: a) con gli artt. 3 e
23 Cost., in quanto ha natura interpretativa e non travalica i limiti
della  non arbitrarieta' e della ragionevolezza, tenuto conto sia del
contenzioso   formatosi   e   dei   contrasti   interpretativi  sorti
successivamente  all'entrata  in vigore dell'art. 4 del decreto-legge
n. 310  del  1990,  sia  del  fatto che l'esclusione o l'esenzione da
imposta  non  sono sintomo di mancanza di capacita' contributiva, sia
dell'assenza  (proprio  in  relazione  al predetto contenzioso) di un
legittimo  affidamento  degli  enti locali circa la non imponibilita'
dei  predetti  redditi  da capitale ; b) con gli artt. 76 e 77, primo
comma,  Cost.,  in  quanto e' stata posta con legge formale e non con
decreto  legislativo delegato; c) con gli artt. 101, secondo comma, e
104,   primo   comma,  Cost.,  in  quanto  la  sua  natura  di  norma
interpretativa  non  contrasta  ne' con il principio della soggezione
dei giudici soltanto alla legge, ne' con l'autonomia e l'indipendenza
della magistratura nell'esercizio delle sue funzioni giudiziarie;
        che  si  e'  costituito  in  giudizio  il  Comune  di Milano,
chiedendo  l'accoglimento  della  sollevata questione e deducendo: a)
che la modifica dell'art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R.
n. 600   del  1973,  apportata  dall'art. 12,  comma 1,  del  decreto
legislativo  n. 461  del  1997,  ha effetto a decorrere dal 1° luglio
1998  e  non  ha,  percio',  efficacia  retroattiva;  b) che la norma
denunciata  -  in  quanto ritenuta applicabile non solo alla predetta
disposizione  del  citato  art. 26  vigente  alla  data di entrata in
vigore   della  legge  interpretativa,  ma  anche  a  quella  vigente
anteriormente  al  1° luglio  1998  -  viola  l'art. 3 Cost., perche'
esplica   una  irragionevole  efficacia  retroattiva  all'infinito  e
perche',  prevedendo  la  ritenuta  d'imposta  anche nei confronti di
soggetti  esclusi  dall'IRPEG,  non  solo  contraddice  la scelta del
legislatore   di   considerare   quei  soggetti  privi  di  capacita'
contributiva,  ma,  in  violazione  delle  piu'  elementari regole di
affidamento,  prescinde altresi' da quel collegamento tra presupposto
ed  obbligo  d'imposta  richiesto  dalla  Corte costituzionale per la
legittimita' costituzionale delle norme retroattive di tassazione; c)
che  la  portata  innovativa  della  norma  censurata, per il periodo
anteriore al 1° luglio 1998, contrasta con l'autoqualificazione della
norma  stessa  come  di «interpretazione autentica» e viola, percio',
l'art. 23  Cost;  d)  che il denunciato art. 14 della legge n. 28 del
1999  viola gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., perche' e' diretto
ad  «interpretare» una norma delegata (l'art. 26, quarto comma, terzo
periodo,  del  d.P.R.  n. 600  del  1973)  in modo contrastante con i
principi e criteri direttivi posti dalla norma delegante (cioe' dalla
legge  n. 825  del  1971),  secondo  i  quali la ritenuta a titolo di
imposta  non  puo'  applicarsi ai soggetti esclusi dall'IRPEG, come i
comuni;  e)  che  la  norma  denunciata viola anche gli artt. 3, 101,
secondo  comma, e 104, primo comma, Cost., perche' risulta emanata al
fine non gia' di chiarire una questione giuridica o di dirimere dubbi
interpretativi,  ma  solo  di influenzare il giudizio dell'interprete
sulle   istanze   di   rimborso   relative   ad   interessi  maturati
anteriormente  al  1° luglio  1998  e  di  far cosi' illegittimamente
cancellare il correlativo onere gravante sullo Stato.
    Considerato   che   la  Commissione  tributaria  regionale  della
Lombardia  dubita,  in  riferimento  agli  artt. 3, 23, 76, 77, primo
comma,  101,  secondo  comma, e 104, primo comma, della Costituzione,
della  legittimita'  dell'art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28
(Disposizioni     in    materia    tributaria,    di    funzionamento
dell'Amministrazione   finanziaria   e   di  revisione  generale  del
catasto),   recante   la  rubrica  «Interpretazione  autentica  della
disciplina  concernente  le ritenute sugli interessi e sui redditi di
capitale»;
        che,  ad avviso del giudice rimettente, la norma denunciata -
nel  disporre  che l'art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R.
29 settembre   1973,   n. 600  (Disposizioni  comuni  in  materia  di
accertamento  delle  imposte  sui redditi), deve intendersi nel senso
che la suddetta ritenuta sugli interessi e sui redditi di capitale si
effettua  «anche  nei confronti dei soggetti esclusi dall'imposta sui
redditi  delle persone giuridiche» - si porrebbe in contrasto con gli
evocati  parametri costituzionali, la' dove pretende di «interpretare
autenticamente»  il  testo dell'art. 26, quarto comma, terzo periodo,
del  citato d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione anteriore alla
sostituzione  di  tale testo operata, con effetto dal 1° luglio 1998,
dall'art. 12,  comma 1,  del  decreto  legislativo  21 novembre 1997,
n. 461;
        che,  per  la  Commissione  tributaria  regionale,  il  terzo
periodo del quarto comma dell'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel
testo vigente anteriormente al 1° luglio 1998, deve interpretarsi nel
senso  che  l'indicata  ritenuta a titolo di imposta si effettua solo
nei confronti dei soggetti «esenti» dall'IRPEG e non nei confronti di
quelli  esclusi,  come  -  sempre secondo la Commissione tributaria -
dovrebbero  considerarsi  i comuni a seguito della modifica apportata
all'art. 88  del  d.P.R.  22 dicembre  1986,  n. 917, con effetto dal
1° gennaio   1991,   dall'art. 4,   comma 3-bis,   del  decreto-legge
31 ottobre  1990,  n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge
22 dicembre  1990,  n. 403,  il  quale  li  ha,  per  la prima volta,
considerati «non soggetti all'imposta»;
        che  tale  interpretazione  sarebbe  l'unica  coerente  con i
principi  e  criteri  direttivi  dettati  dalla legge di delega della
riforma   tributaria   9 ottobre   1971,  n. 825,  i  quali  limitano
l'applicazione  della  ritenuta  a  titolo  di  imposta  ai «soggetti
esenti» dall'IRPEG (art. 10, secondo comma, numero 5);
        che,  a  parere  del  rimettente,  la  sostituzione del testo
dell'art. 26  del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera del citato art. 12,
comma 1,  del  d.lgs.  n. 461  del  1997, emanato in attuazione della
legge  di  delegazione 23 dicembre  1996, n. 662, pur avendo lasciato
pressoche'  immutata  la  lettera  del terzo periodo del quarto comma
dell'indicato   art. 26,  avrebbe  tuttavia  comportato  un  radicale
mutamento  normativo,  perche'  avrebbe reso applicabile ai comuni la
ritenuta sui redditi di capitale a decorrere dal 1° luglio 1998, data
dell'entrata in vigore di detta norma sostitutiva;
        che  infatti,  ad  avviso  del  giudice a quo, il nuovo testo
dell'art. 26  va  considerato come una delle «norme di chiusura» che,
in  forza  della  citata  legge  di  delegazione  n. 662 del 1996, il
Governo  ha  emanato  al  fine  di assoggettare per la prima volta ad
IRPEG  «ogni  provento  derivante  dall'impiego di capitale» (art. 3,
comma 160);
        che  pertanto, sempre per il giudice a quo, essendo questa la
sopravvenuta  finalita' del terzo periodo del quarto comma del citato
art. 26,  l'applicazione della ritenuta a titolo di imposta anche nei
confronti  dei  soggetti  esclusi  dall'IRPEG, come i comuni, sarebbe
consentita,  appunto, solo dalla data di entrata in vigore del d.lgs.
n. 461 del 1997, e cioe' dal 1° luglio 1998;
        che  da  tali  premesse  il  rimettente  deduce la natura non
interpretativa,  ma  innovativa e retroattiva, del denunciato art. 14
della  legge  n. 28  del  1999, nella parte in cui questo e' ritenuto
applicabile  al testo dell'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 vigente
anteriormente  al 1° luglio 1998 e, conseguentemente, assume che tale
applicabilita'  -  affermata  con  numerose  pronunce  dalla Corte di
cassazione,  tanto  da  costituire  diritto  vivente - violerebbe gli
evocati  parametri  costituzionali,  perche':  a) lederebbe i diritti
gia'  acquisiti  dal  contribuente; b) si porrebbe in contrasto con i
principi  e  criteri  direttivi  fissati  dalla  originaria  legge di
delegazione,  in  base alla quale e' stato emanato lo stesso art. 26,
cioe' con gli artt. 9, numero 3, e 10, secondo comma, numero 5, della
legge n. 825 del 1971; c) contravverrebbe ai principi di certezza del
diritto  e  di  irretroattivita'  della  legge;  d)  sarebbe  diretta
esclusivamente ad indurre i giudici tributari a respingere le domande
di  rimborso  delle  ritenute  a  titolo  di  imposta sugli interessi
applicate nei confronti degli enti locali esclusi dall'IRPEG;
        che la questione e' manifestamente infondata;
        che il rimettente muove dalla immotivata ed erronea premessa,
comune  a  tutte  le proposte censure, secondo cui gli enti pubblici,
compresi  i comuni, che l'art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986 dichiara
«non soggetti all'imposta» sul reddito delle persone giuridiche, sono
da qualificare, univocamente e necessariamente, come soggetti esclusi
dall'imposta  e,  pertanto,  non  possono  essere  annoverati  tra  i
«soggetti  esenti»  dalla  medesima  imposta,  per  i quali il quarto
comma,  terzo  periodo,  dell'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel
testo  in  vigore  dal  29 marzo  1975  al  30  giugno 1998,  dispone
l'applicazione della ritenuta a titolo di imposta («Nei confronti dei
soggetti  esenti  dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche e
in ogni altro caso le ritenute sono applicate a titolo di imposta»);
        che,  invece,  la  circostanza  che  il  citato art. 88, come
modificato  dall'art. 4,  comma 3-bis,  del  decreto-legge n. 310 del
1990,  abbia  dichiarato  tali  enti  «non soggetti all'imposta», con
decorrenza  dal  1° gennaio  1991,  non  comporta  che  essi  debbano
ritenersi esclusi dall'imposta;
        che,  al  riguardo,  il  giudice  rimettente  avrebbe  dovuto
considerare  che  i  comuni, fino al 31 dicembre 1990, erano soggetti
passivi  dell'IRPEG,  ai sensi dell'art. 87, comma 1, lettera c), del
d.P.R. n. 917 del 1986, e che soltanto dal 1° gennaio 1991 sono stati
considerati  non piu' soggetti all'imposta per effetto del menzionato
art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 310 del 1990;
        che  pertanto,  in  base alla definizione di «esenzione» gia'
accolta da questa Corte - secondo cui l'esenzione tributaria concreta
«una  ipotesi  di agevolazione concessa a soggetti che ordinariamente
sarebbero  sottoposti  all'obbligazione tributaria» e che non lo sono
solo  in  quanto sussistono specifiche ragioni agevolative fondate su
valori  componibili  con il principio di capacita' contributiva -, il
giudice a quo avrebbe dovuto ritenere non implausibile che il vigente
art. 88  del  d.P.R.  n. 917 del 1986 si possa interpretare nel senso
che  i  comuni,  a decorrere dall'anno 1991, sono «soggetti esenti» e
non  esclusi  dall'imposta  (ordinanze  n. 174  del 2001 e n. 313 del
2002,  le  quali, proprio con riguardo a fattispecie in cui i redditi
erano  stati  percepiti  in  data  successiva  al  1° gennaio 1991 ed
anteriore  al 1° luglio 1998, hanno altresi' individuato nell'intento
agevolativo   perseguito   dal   legislatore   la   ratio  della  non
imponibilita' dei redditi di capitale percepiti dai comuni);
        che,  per  quanto sopra detto, il giudice rimettente erra nel
negare  che  tra le interpretazioni del testo del quarto comma, terzo
periodo,   dell'art. 26   del   d.P.R.   n. 600   del   1973  vigente
anteriormente  al 1° luglio 1998 vi puo' essere quella secondo cui la
suddetta  ritenuta  e' applicabile nei confronti dei comuni in quanto
soggetti   «esenti»   dall'IRPEG   e,   di  conseguenza,  erra  anche
nell'affermare  che  solo  il  nuovo  testo di tale disposizione puo'
essere  inteso  nel  senso  che la ritenuta a titolo di imposta e' ad
essi applicabile;
        che,  dati  i  contrasti  interpretativi sorti in ordine alla
qualificazione  dei  comuni, successivamente al 1° gennaio 1991, come
soggetti  esenti  o  esclusi  dall'IRPEG,  la censurata norma risolve
detti  contrasti,  chiarendo, con interpretazione autentica, che tali
enti  - siano essi considerati esenti od esclusi dall'imposta - vanno
ricompresi  tra quelli, «non soggetti all'imposta», nei cui confronti
e' applicabile la suddetta ritenuta;
        che  l'errore  in  cui e' incorso il rimettente nel negare la
natura  interpretativa  della  norma  denunciata  e'  sufficiente per
dichiarare la manifesta infondatezza della sollevata questione;
        che,   dunque,   la   denunciata   norma  di  interpretazione
autentica:  a)  quanto alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost., non
lede  alcun affidamento dei contribuenti, data l'obiettiva incertezza
dell'interpretazione  del  quarto  comma, terzo periodo, dell'art. 26
del  d.P.R.  n. 600 del 1973; b) quanto alla dedotta violazione degli
artt. 76  e 77, primo comma, Cost., non si pone in contrasto con tali
parametri,  sia  perche',  essendo contenuta in una legge ordinaria e
non   in  un  decreto  delegato  del  Governo,  non  puo'  costituire
attuazione  di  una legge di delegazione, sia perche', oltretutto, si
limita  ad  imporre  «»-  come gia' osservato - l'applicazione di una
delle  possibili  varianti  di senso plausibilmente attribuibili alla
formulazione  letterale  della  citata  legge  di  delegazione  e del
correlativo  decreto  delegato  di attuazione (legge n. 825 del 1971;
d.P.R.  n. 600  del  1973);  c)  quanto  alla  dedotta violazione del
principio   di   irretroattivita'   della   legge,   con  riferimento
all'art. 23  Cost.,  non  e'  illegittima, perche' non sussiste alcun
principio   di   irretroattivita'   della  legge  tributaria  fondato
sull'evocato  parametro,  ne'  hanno rango costituzionale - come piu'
volte  affermato  da  questa  Corte  -  l'art. 11  delle disposizioni
preliminari  al  codice  civile  e  l'art. 3,  comma 1,  della  legge
27 luglio  2000,  n. 212  (ex  plurimis,  sentenza  n. 376  del 1995,
ordinanza   n. 216   del  2004);  d)  quanto,  infine,  alla  dedotta
violazione degli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.,
non  interferisce  sull'esercizio della funzione giudiziaria, perche'
pone  una disciplina generale ed astratta sull'interpretazione di una
norma   e,   quindi,  si  colloca  su  un  piano  diverso  da  quello
dell'applicazione  giudiziale  delle  norme  a  singole fattispecie e
perche',  comunque,  l'incidenza  di  una  norma  interpretativa  sui
giudizi  in corso e' fenomeno fisiologico (sentenze n. 376 del 2004 e
n. 26  del  2003)  e  non vietato dai parametri evocati (ex plurimis,
sentenza n. 229 del 1999).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.