ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 4, comma 3,
5,  comma 5,  e  13,  comma 2,  lettera b),  del  decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  nel  testo  risultante  a seguito delle modifiche di cui
alla   legge   30 luglio   2002,   n. 189,   promosso  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia,  sul  ricorso
proposto da G. C. contro il Ministero dell'interno, con ordinanza del
22 settembre  2005,  iscritta al n. 558 del registro ordinanze 2005 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005.
    Udito  nella  Camera di consiglio dell'8 novembre 2006 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  giudizio  avente  ad  oggetto
l'annullamento   di  un  provvedimento  di  revoca  del  permesso  di
soggiorno    di   un   cittadino   extracomunitario,   il   Tribunale
amministrativo  regionale  del Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 4, 13 e 16 della Costituzione, questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 4,  comma 3,  «applicato  in
correlazione»  con  i  successivi  artt. 5,  comma 5,  e 13, comma 2,
lettera b),  del  decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e  norme  sulla  condizione  dello straniero), nel testo risultante a
seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189;
        che  il giudice a quo premette che il provvedimento di revoca
oggetto  del ricorso e' stato emesso in quanto lo straniero risultava
condannato, con sentenza del 27 novembre 2003 passata in giudicato il
23 gennaio  2004,  per  reati  in materia di stupefacenti commessi il
5 dicembre  2002,  e  che  il  ricorso  dovrebbe,  allo stato, essere
respinto siccome infondato;
        che  nel  caso  in esame, infatti, il provvedimento di revoca
costituisce  puntuale  applicazione  della normativa vigente, poiche'
tanto  i fatti per i quali il cittadino straniero e' stato condannato
quanto  la sentenza di condanna sono posteriori all'entrata in vigore
della legge n. 189 del 2002;
        che,  secondo il remittente, rimane tuttavia da scrutinare la
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286
del  1998,  ritenuto in contrasto con gli artt. 3 e 13 Cost. sotto il
profilo  della  ragionevolezza,  in  quanto  vieta  l'ingresso  o  la
permanenza dello straniero in Italia, senza alcuna verifica della sua
concreta pericolosita';
        che,   a   questo   proposito,  il  Tribunale  amministrativo
regionale  pone  a  raffronto  l'espulsione come misura di sicurezza,
consentita  dall'art. 15 del medesimo decreto n. 286 a condizione che
sussista  il  requisito  della pericolosita', ed il sistema delineato
dalle norme censurate;
        che  detto  confronto  appare rilevante «perche' l'espulsione
amministrativa   e'   configurata   dalla   legge   come  conseguenza
inevitabile ed automatica dell'impossibilita' di ottenere il permesso
di soggiorno», onde l'unica soluzione coerente con il sistema sarebbe
quella  di  anticipare  il  giudizio  sulla  pericolosita' sociale al
momento  in  cui  l'autorita' amministrativa e' chiamata a valutare i
requisiti per il rilascio o il rinnovo del titolo di soggiorno;
        che,  nel caso, risulterebbe ostativa al rinnovo del permesso
di  soggiorno  una  condanna  a  pena  patteggiata  per  il  reato di
detenzione e cessione illecita di stupefacenti;
        che  questa Corte, con sentenza n. 58 del 1995, ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale della norma che obbligava il giudice
penale,  in  caso  di condanna per reati inerenti gli stupefacenti, a
pronunciare,  contestualmente  alla  condanna, l'ordine di espulsione
dello  straniero,  con  un  principio  poi  recepito  dal legislatore
nell'art. 15 del d.lgs. n. 286 del 1998;
        che  da tanto deriva, secondo il remittente, l'illegittimita'
costituzionale,  per violazione del principio di ragionevolezza e per
disparita'   di  trattamento,  del  combinato  disposto  delle  norme
censurate,  poiche'  dall'impossibilita'  di  ottenere  un  titolo di
soggiorno   deriva  l'obbligo,  per  l'autorita'  amministrativa,  di
procedere all'espulsione senza alcun vaglio della pericolosita';
        che,  pur  essendo  diversi  i  due  procedimenti,  l'uno  di
carattere amministrativo e l'altro di carattere giurisdizionale, cio'
non  toglie  che  il  risultato  sia  lo  stesso, ossia l'espulsione;
trattandosi,   poi,  di  pena  patteggiata,  nel  caso  specifico  lo
straniero  non  potrebbe  subire  l'espulsione  per  via giudiziaria,
atteso  il  dettato  dell'art. 445  cod.  proc.  pen., il quale vieta
l'irrogazione  di misure di sicurezza in caso di patteggiamento della
pena,  mentre dovrebbe necessariamente subirla in via amministrativa,
«vanificando   cosi'   l'effetto   premiale   riconosciuto   in  sede
giudiziaria»;
        che,  costituendo  entrambi  i  tipi di espulsione misure che
incidono  sulla  liberta'  personale,  sussiste, secondo il Tribunale
amministrativo  regionale  remittente,  una  violazione  dell'art. 13
Cost., parametro applicabile anche agli stranieri;
        che, in riferimento all'art. 3 Cost., le censure si rivolgono
nei  confronti  del  cosiddetto  «automatismo»,  in  base al quale la
commissione  di  reati anche lievi e' legata alla revoca del permesso
di soggiorno ed alla conseguente espulsione.
    Considerato   che   il  Tribunale  amministrativo  regionale  del
Friuli-Venezia  Giulia  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4,
13  e 16 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 4,  comma 3,  «applicato  in correlazione» con i successivi
artt. 5,  comma 5, e 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  nel  testo  risultante dalle modifiche di cui alla legge
n. 189 del 2002;
        che  il  contrasto  con  gli  evocati parametri risulterebbe,
secondo  il  Tribunale amministrativo regionale remittente, dal fatto
che, mentre nel caso di condanna per reati inerenti agli stupefacenti
il  giudice  penale  puo' pronunciare, contestualmente alla condanna,
l'ordine  di  espulsione  dello straniero solo a condizione di averne
valutato  in  concreto  la  pericolosita'  sociale,  altrettanto  non
avviene nel caso di specie, in cui il mancato rinnovo del permesso di
soggiorno   discende  come  conseguenza  obbligatoria  ex  lege  alla
condanna  per  certi  reati, con l'effetto automatico dell'espulsione
amministrativa,   senz'alcuna   possibilita'   di   controllo   della
pericolosita',  ne'  da  parte  dell'autorita'  amministrativa ne' da
parte  del  giudice  amministrativo,  in  tal modo determinandosi una
violazione  della  liberta' personale e dei principi di uguaglianza e
ragionevolezza;
        che la questione e' priva di rilevanza nel giudizio a quo per
le  medesime  ragioni  a  suo tempo poste a fondamento dell'ordinanza
n. 9 del 2005 di questa Corte;
        che   il  Tribunale  amministrativo  regionale,  infatti,  e'
investito  dell'esame  di  un  ricorso,  con  il  quale  un cittadino
extracomunitario  impugna  il  provvedimento  di  revoca  del proprio
permesso  di  soggiorno,  emesso  in  quanto  lo  straniero risultava
condannato,  con  sentenza passata in giudicato, per reati in materia
di stupefacenti;
        che le argomentazioni poste dal remittente a fondamento della
presunta  illegittimita'  costituzionale  delle  norme censurate, pur
essendo  formalmente  rivolte  contro  la disciplina della revoca del
permesso  di  soggiorno, si dimostrano in realta' dirette a censurare
l'automatismo espulsivo che consegue alla predetta revoca;
        che,  pertanto,  il  giudice  a  quo solleva una questione di
legittimita'   costituzionale  che  esula  dall'ambito  del  giudizio
amministrativo  in  corso,  com'e' confermato dall'espressa menzione,
tra  le  norme  denunciate,  dell'art. 13,  comma 2,  lettera b), del
d.lgs. n. 286 del 1998 (v. sentenza n. 240 del 2006);
        che la questione e', quindi, manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.