ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 8 e 10 del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199
(Semplificazione    dei    procedimenti   in   materia   di   ricorsi
amministrativi),  promosso  con  ordinanza  del  2 novembre  2005 dal
Tribunale  amministrativo  regionale dell'Emilia-Romagna, sul ricorso
proposto  da  Paola Martinelli contro il Ministero dell'istruzione ed
altri,  iscritta  al  n. 37  del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 8, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006.
    Udito  nella  Camera di consiglio dell'8 novembre 2006 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del  2 novembre  2005 il Tribunale
amministrativo  regionale  dell'Emilia-Romagna ha sollevato questione
di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 8 e 10 del decreto del
Presidente     della    Repubblica    24 novembre    1971,    n. 1199
(Semplificazione    dei    procedimenti   in   materia   di   ricorsi
amministrativi),  per assunta violazione degli articoli 3, 24, 97, 98
e 113 della Costituzione;
        che   il   giudice   rimettente  premette  che,  con  decreto
ministeriale  27 marzo  2000,  n. 123, veniva adottato il regolamento
recante  le  norme  sulle  modalita' di aggiornamento ed integrazione
delle  graduatorie  permanenti  degli insegnanti delle scuole medie e
superiori;
        che,  con  successivo  decreto  ministeriale  18 maggio 2000,
n. 146,  veniva  dettata  la  disciplina di definizione dei termini e
delle  modalita'  per  la  presentazione  delle domande di inclusione
nelle graduatorie permanenti;
        che  la  ricorrente  nel giudizio a quo, osserva il Tribunale
rimettente,  ha  chiesto  «l'inserimento nelle graduatorie permanenti
delle  classi  di  concorso  A345  Lingua straniera (inglese), Media,
della  Provincia  di  Modena,  e  A346  Lingua  e  civilta' straniera
(inglese),    Superiori,    sempre   della   Provincia   di   Modena,
classificandosi  rispettivamente  al  27° ed al 26° posto, senza aver
visto   valutare  il  servizio  svolto  nelle  scuole  medie  per  la
graduatoria  nelle  scuole  superiori,  nonche'  quello nella diversa
lingua  straniera  insegnata,  lamentandosi,  quindi,  di una mancata
attribuzione di punteggio per il servizio svolto»;
        che  la ricorrente ha impugnato, con ricorso straordinario al
Capo dello  Stato  «spedito  in  data  13 settembre 2000», entrambi i
decreti  ministeriali  n. 123  e  n. 146  del  2000,  deducendone  la
illegittimita'  perche'  gli stessi, nel disciplinare le modalita' di
attribuzione  del  punteggio da assegnare per il servizio svolto, non
consentirebbero  di  valutare  anche  il servizio svolto nelle scuole
medie  per  gli  aspiranti  all'insegnamento  nelle scuole superiori,
«viceversa,  prevedendo  (...)  una separazione del servizio, ai fini
dell'attribuzione del punteggio, tra le materie inglese e francese»;
        che,  con il ricorso giurisdizionale al Tribunale rimettente,
la  stessa  ricorrente,  che aveva proposto ricorso straordinario, ha
impugnato  le  citate graduatorie permanenti A345 e A346, deducendone
la  illegittimita'  derivata  dalla  invalidita' dei predetti decreti
ministeriali  e  prospettando,  conseguentemente, le medesime censure
sopra riportate;
        che,  dopo  avere  sottolineato che nel giudizio a quo non si
sono costituite ne' le Amministrazioni ne' le parti controinteressate
intimate,  il  Tribunale  rileva  come  la  definizione  del giudizio
innanzi allo stesso pendente dipenderebbe dall'esito dell'impugnativa
proposta con ricorso straordinario;
        che,  in  via preliminare, il giudice rimettente osserva come
l'istituto  della sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 del
codice  di  procedura  civile  trovi applicazione, per giurisprudenza
costante, anche nel processo amministrativo;
        che  tale  sospensione  presuppone  che  i  giudizi  pendenti
innanzi   a   giudici   diversi   siano   legati   da   un  nesso  di
pregiudizialita'  tecnico-giuridica,  nel  senso  che  la definizione
della  controversia  pregiudiziale deve assumere valenza determinante
per la decisione della causa pregiudicata;
        che  il  Tribunale  osserva,  pero', come questo istituto non
possa  essere  utilizzato  per  la  soluzione della questione ad esso
sottoposta, attesa la natura amministrativa del ricorso straordinario
(si  citano la sentenza n. 254 del 2004 e l'ordinanza n. 357 del 2004
di  questa  Corte):  si  osserva,  infatti,  come  la  sospensione ex
art. 295  c.p.c.,  per  potere operare, presuppone la pendenza di due
procedimenti giurisdizionali;
        che  non  sarebbe  neanche possibile postulare l'applicazione
analogica   della   predetta   norma   processuale,  in  quanto  cio'
comporterebbe  l'introduzione «di una sorta di pregiudizialita' di un
ricorso  amministrativo,  sia pure di natura straordinaria davanti al
Capo dello  Stato,  rispetto  a  quello  giurisdizionale,  piu' volte
ritenuta  incostituzionale  dalla  Corte  costituzionale» (si cita la
sentenza n. 42 del 1991);
        che,   inoltre,  si  aggiunge,  applicando  l'istituto  della
sospensione   si   determinerebbe   una   «preferenza   del   ricorso
amministrativo  su  quello  giurisdizionale»,  mentre, allo stato, e'
vigente  il  principio  generale  dell'alternativita'  «temperato dal
principio  della preferenza della sede giurisdizionale ove optino per
quest'ultima sede le amministrazioni o i controinteressati intimati»;
        che  il  giudice a quo osserva, altresi', come «la situazione
si  complica  ulteriormente»,  allorquando  la  tutela  cautelare sia
chiesta soltanto innanzi al giudice amministrativo, «come e' naturale
in  quanto  spesso  il  pregiudizio  per i destinatari dell'attivita'
amministrativa  diventa  grave  ed  irreparabile  nel  momento in cui
vengono   posti   in   essere   atti   conclusivi   del  procedimento
amministrativo»;
        che in questo caso non sarebbe possibile svolgere un giudizio
sulla sussistenza del fumus boni iuris, atteso che «la illegittimita'
concerne   l'atto   presupposto   impugnato   in   sede  del  ricorso
straordinario al Capo dello Stato da cui deriverebbe l'illegittimita'
derivata  dei  successivi  atti  consequenziali  impugnati davanti al
Tribunale amministrativo regionale»;
        che,  svolta  questa  premessa,  il  Tribunale  ritiene  «che
l'unica  strada, conforme ai principi costituzionali, coerente con la
necessita'  di  una rapida definizione dei giudizi e con il principio
della  preferenza della sede giurisdizionale, sia quella di prevedere
la  trasposizione  d'ufficio,  davanti al giudice amministrativo, del
ricorso  straordinario  al Capo dello Stato gia' pendente avverso gli
atti  presupposti,  come  nel  caso  in  esame, quando siano proposte
censure   d'illegittimita'   derivata  per  gli  atti  consequenziali
impugnati davanti al Tribunale amministrativo regionale»;
        che, per queste ragioni, il rimettente prospetta questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 8 e 10 del d.P.R. n. 1199 del
1971,  nella  parte in cui non prevederebbero tale trasposizione, per
contrasto con gli articoli 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione;
        che   la   questione  sarebbe,  secondo  il  giudice  a  quo,
rilevante,  in  quanto  al  Tribunale  amministrativo regionale adito
sarebbe  impedita  ogni  decisione  in ordine alla legittimita' degli
atti  presupposti  impugnati  con ricorso straordinario «se non si ha
una  rimozione  (ovvero  un'integrazione)  delle norme attualmente in
vigore»;
        che,  in  relazione  alla  non  manifesta  infondatezza della
questione,   il   rimettente   deduce,  innanzitutto,  la  violazione
dell'art. 3 della Costituzione;
        che,  in  particolare,  si  premette che l'art. 10 del d.P.R.
n. 1199  del  1971  consente  ai  controinteressati  di  chiedere  la
trasposizione  del  ricorso  in sede giurisdizionale, mentre l'art. 8
dello   stesso  decreto  stabilisce  che  «quando  l'atto  sia  stato
impugnato  con  ricorso  giurisdizionale,  non  e' ammesso il ricorso
straordinario da parte dello stesso interessato»;
        che,  nel  caso in esame, invece, ne' l'amministrazione ne' i
controinteressati   potrebbero   esercitare  l'opzione  per  la  sede
giurisdizionale  per  quanto  concerne gli atti presupposti impugnati
con  ricorso  straordinario  al  Capo  dello  Stato, essendo per loro
scaduto il termine previsto dalla legge;
        che  cio'  creerebbe  «un regime differenziato che non appare
giustificato  dalla  mera  circostanza che gli atti presupposti siano
stati  impugnati  in sede giurisdizionale o con ricorso straordinario
al Capo dello Stato»;
        che  «cio'  non  puo'  neanche  giustificarsi  con  la scelta
originaria  della  parte  di  utilizzare  il  rimedio alternativo del
ricorso  straordinario  al  Capo dello  Stato  in  quanto, al momento
dell'impugnativa dell'atto presupposto, non e' sempre ipotizzabile la
futura attivita' amministrativa e, quindi, la necessita' di ulteriori
future impugnative»;
        che  il Tribunale rimettente assume anche la violazione degli
articoli 24, 97, 98 e 113 della Costituzione;
        che,  in  particolare,  si  ritiene  che l'attuale normativa,
impedendo  al  giudice  amministrativo  di conoscere pienamente degli
atti  presupposti  in  sede  amministrativa,  non  consentirebbe allo
stesso di «decidere cognita causa»;
        che,  sul  piano della tutela cautelare, cio' comporterebbe o
che  la  stessa  venga  negata  «determinando  una  carenza di tutela
giurisdizionale,   in   violazione  degli  articoli 24  e  113  della
Costituzione»,  ovvero  che la stessa venga «automaticamente concessa
rischiando  di determinare il blocco dell'attivita' amministrativa in
violazione   del   principio  del  buon  andamento  e  dell'efficacia
dell'azione  amministrativa,  in  violazione  degli  articoli 97 e 98
della Costituzione»;
        che  la  normativa impugnata, oltre ad essere «irrazionale ed
illogica  in  violazione  del canone costituzionale di cui all'art. 3
della  Costituzione»,  violerebbe  anche  gli  articoli 24  e 113, in
quanto  determinerebbe  la possibilita' che nelle due differenti sedi
giustiziali  il  giudizio  possa  avere  esiti  diversi o addirittura
contrastanti,  «nel  senso  che  in  una sede possono essere ritenuti
fondati i vizi di legittimita' dedotti avverso gli atti presupposti e
nell'altra  sede  (...)  ritenuti  infondati nel momento in cui sugli
stessi  vizi  il  Tribunale amministrativo regionale si pronunci, sia
pure  con  palese  forzatura  dell'attuale  sistema,  a seguito delle
censure di illegittimita' derivata»;
        che,  infine,  si  osserva come il fatto di non assicurare la
concentrazione dei giudizi presenterebbe anche profili di illogicita'
ed   irrazionalita',   a   ulteriore   violazione  dell'art. 3  della
Costituzione, «in quanto il sistema attuale, il quale consente che si
possa  pervenire  a  giudizi opposti o diversi sulla stessa questione
nelle  due  differenti  sedi,  amministrativa  e giurisdizionale, non
appare  perseguire  alcuna  utile  finalita»,  essendo  la stessa «il
frutto  soltanto  di  un  mancato  coordinamento del sistema e di una
mancata previsione, non voluta, da parte del legislatore».
    Considerato    che    il   Tribunale   amministrativo   regionale
dell'Emilia-Romagna  solleva questione di legittimita' costituzionale
degli  articoli 8  e  10  del decreto del Presidente della Repubblica
24 novembre   1971,  n. 1199  (Semplificazione  dei  procedimenti  in
materia di ricorsi amministrativi), per violazione degli artt. 3, 24,
97, 98 e 113 della Costituzione;
        che  il  Tribunale rimettente ritiene, in particolare, che le
norme impugnate violerebbero gli evocati parametri costituzionali, in
quanto   non   contemplerebbero   la   possibilita'  per  il  giudice
amministrativo  di  poter disporre d'ufficio il trasferimento in sede
giurisdizionale  dei ricorsi proposti al Capo dello Stato nei casi in
cui,  con  il  ricorso  straordinario,  sia  stato  impugnato un atto
presupposto, connesso o collegato rispetto a quello censurato in sede
giurisdizionale;
        che,  in  via preliminare, occorre ricordare come il rapporto
tra  ricorso  straordinario e ricorso giurisdizionale si caratterizzi
per  la  sussistenza  del  cosiddetto  principio  dell'alternativita'
(art. 8 del d.P.R. n. 1199 del 1971);
        che  questa  Corte  ha gia' avuto modo di ritenere non lesiva
delle    regole    costituzionali,   che   presiedono   alla   tutela
giurisdizionale  dei  diritti  e  degli  interessi  lesi  da  un atto
amministrativo,  la  facolta'  per  il  ricorrente  di  optare per il
rimedio  di  natura  non  giurisdizionale,  atteso che l'esercizio di
questa  facolta'  costituisce  il  risultato  di  una  libera scelta,
effettuata  sulla  base  di  una  valutazione  di convenienza con cui
l'interessato  decide  di  prescindere  dalla  garanzia  della tutela
giurisdizionale (sentenze n. 148 del 1982 e n. 78 del 1966);
        che  la medesima facolta' di scelta e' assicurata dal sistema
ai controinteressati e all'amministrazione non statale che ha emanato
l'atto   impugnato,   i   quali   possono,   attraverso  una  formale
opposizione,  optare  per  il trasferimento del ricorso straordinario
nella  sede  giurisdizionale  ovvero restare nella sede straordinaria
prescelta  dal  ricorrente (art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971), con
cio'  rinunciando alla stessa tutela giurisdizionale (sentenza n. 148
del 1982);
        che,  in  definitiva, il rapporto tra ricorso straordinario e
ricorso  giurisdizionale  si  caratterizza  per la sussistenza di una
facolta'   di   opzione   attribuita   dal  legislatore  alla  libera
determinazione   di  tutte  le  parti  interessate  e  non  del  solo
ricorrente;
        che  il  giudice  a quo, in sostanza, chiede che questa Corte
introduca  in  via additiva, nel sistema, una nuova «norma», la quale
dovrebbe   consentire   al   giudice  amministrativo,  d'ufficio,  di
trasferire  nella  sede giurisdizionale il ricorso straordinario, nel
caso  in cui innanzi a se' sia stato impugnato un atto consequenziale
rispetto  a  quello  oggetto  del ricorso straordinario al Capo dello
Stato;
        che  la  questione  cosi'  come prospettata e' manifestamente
inammissibile,   in  quanto  l'intervento  additivo  sollecitato  dal
Tribunale  remittente  e'  sostanzialmente  volto  - senza, peraltro,
indicare   lo   strumento   processuale  idoneo  allo  scopo  -  alla
introduzione  nel  sistema  di  giustizia  amministrativa di forme di
coordinamento  tra  i  due  rimedi  in  esame,  quello  straordinario
proposto  avverso  l'atto  presupposto e quello giurisdizionale mosso
nei  confronti  dell'atto  applicativo,  nei  casi  in cui vengano in
rilievo  atti  legati  da  nesso  di  presupposizione,  connessione o
collegamento, attivabili, tra l'altro, mediante l'esercizio di poteri
d'ufficio da parte del giudice;
        che  le  concrete modalita' di coordinamento tra i due rimedi
potrebbero  essere plurime e rispondere a finalita' divergenti, cosi'
come diversi potrebbero essere i presupposti e le condizioni in grado
di  giustificare il trasferimento ipotizzato dal giudice a quo, senza
che nessuna di esse possa considerarsi costituzionalmente obbligata;
        che  la stessa previsione di poteri da esercitarsi d'ufficio,
essendo  fondata  sul  convincimento  che  dovrebbe  essere  comunque
attribuita  al  rimedio  giurisdizionale  una  preferenza sul ricorso
straordinario, comporterebbe una incidenza sul sistema complessivo di
disciplina dei rapporti tra i due rimedi;
        che,  pertanto,  la  soluzione,  come prospettata dal giudice
rimettente,  richiederebbe  per  i  motivi ora esposti, il necessario
intervento  del  legislatore,  il  quale,  nell'esercizio  della  sua
discrezionalita', dovrebbe optare eventualmente per una piuttosto che
per  un'altra  forma  di  coordinamento, identificandone condizioni e
presupposti,  mediante  una disciplina che puo' spingersi sino ad una
completa  rivisitazione del ricorso straordinario e dei suoi rapporti
con il rimedio giurisdizionale (cfr. sentenza n. 298 del 1986);
        che,  in definitiva, dovendosi necessariamente riconoscere la
sussistenza  di  spazi di valutazione normativa caratterizzati da una
elevata  discrezionalita'  legislativa,  la  questione  sollevata  si
risolverebbe  nella richiesta di un adeguamento a Costituzione che si
presenta   non   a   rime   obbligate,   con   conseguente  manifesta
inammissibilita' della stessa.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.