ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 410-bis, comma
secondo,  del  codice di procedura civile, promosso con ordinanza del
30 dicembre  2005  dal  Tribunale  di Treviso nel procedimento civile
vertente tra Simonetto Willmer e la Sinergo s.r.l., iscritta al n. 87
del  registro  ordinanze  2006  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 14, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio del 22 novembre 2006 il giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Ritenuto   che,  nel  corso  di  un  processo  intrapreso  da  un
dipendente  nei  confronti  del  proprio  datore  di  lavoro  per  il
risarcimento  dei  danni  derivatigli da un infortunio sul lavoro, il
Tribunale   di  Treviso,  con  ordinanza  del  30 dicembre  2005,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 410-bis,
comma  secondo,  del  codice  di  procedura  civile,  in  riferimento
all'articolo 111, comma secondo, della Costituzione;
        che  il  giudice  a quo riferisce che il deposito del ricorso
introduttivo  del  processo  non e' stato preceduto dall'espletamento
del  tentativo  obbligatorio  di  conciliazione  in quanto, avendo la
Commissione  di  conciliazione  presso  la  Direzione provinciale del
lavoro   di   Treviso   fissato   l'espletamento   del  tentativo  di
conciliazione oltre il termine di sessanta giorni dalla richiesta, il
lavoratore   aveva  comunicato  che  non  sarebbe  comparso  perche',
«trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si
considera comunque espletato ai fini dell'art. 412-bis» (art. 410-bis
cod. proc. civ.);
        che  il  giudice rimettente - ricordato che, secondo la Corte
costituzionale  (sentenza n. 276 del 2000), il tentativo obbligatorio
di  conciliazione legittimamente incide sul diritto di azione, con un
«impedimento obbiettivamente limitato e non irragionevole», in quanto
mira  a  soddisfare  l'interesse  generale ad evitare un sovraccarico
dell'apparato  giudiziario  ed  a  favorire  la  possibilita'  di  un
soddisfacimento  piu'  celere  dei  diritti  fatti valere in giudizio
attraverso  la  composizione  preventiva  della lite - osserva che la
tutela  di  superiori interessi pubblici non puo' tradursi in un mero
differimento   temporale  dell'esercizio  della  giurisdizione  sulla
domanda giudiziale, e cioe' consentendo che, trascorso il tempo della
sospensione, la parte sia comunque affrancata dal praticare un previo
tentativo di conciliazione;
        che,  pertanto,  non  sarebbe  manifestamente infondata - per
violazione dell'art. 111, comma secondo, Cost. laddove stabilisce che
la  legge  assicura  la  ragionevole  durata  di  ogni  processo - la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 410-bis, comma
secondo,  cod.  proc. civ., in quanto tale disposizione, in combinato
disposto  con  l'art. 412-bis,  comma primo, cod. proc. civ., impone,
senza  possibilita'  di  interpretazioni  adeguatrici, di considerare
legittima  la  condotta  della parte che abbia omesso di espletare il
tentativo  di  conciliazione  perche'  convocata dalla Commissione di
conciliazione ad oltre sessanta giorni dalla richiesta;
        che,  secondo  il  giudice  rimettente,  se  la  ratio  della
disposizione  e'  quella  di  consentire  all'interessato  una rapida
presentazione  del  ricorso  in  sede  giurisdizionale,  evitando  il
pregiudizio derivante da una intempestiva convocazione da parte della
Commissione   di   conciliazione,  non  sarebbe  consentito  omettere
completamente  l'esperimento del tentativo di conciliazione, se non a
prezzo della compromissione degli interessi generali che quella norma
dovrebbe presidiare;
        che  e'  intervenuto  nel  giudizio,  con  la  rappresentanza
dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei
ministri  il  quale  ha  concluso per la manifesta infondatezza della
questione  in  quanto, alla luce della sentenza costituzionale n. 276
del 2000, la dilazione sine die dell'esercizio dell'azione giudiziale
nell'attesa    dell'effettivo    espletamento    del   tentativo   di
conciliazione, oltre ad essere assolutamente illogica ed irrazionale,
finirebbe  per  confliggere  proprio con il principio, richiamato dal
giudice  a  quo  e sancito dall'art. 111, comma secondo, Cost., della
ragionevole durata di ogni processo;
        che,   infatti,   la   norma  censurata,  col  consentire  il
differimento   dell'esercizio   dell'azione  giudiziale  in  nome  di
condivisibili  interessi  generali,  ma solo entro il termine certo e
perentorio, del tutto ragionevole, di sessanta giorni dalla richiesta
di  espletamento  del  tentativo  di  conciliazione, costituirebbe il
punto di armonico contemperamento di tutti gli interessi in gioco;
        che,  diversamente  opinando,  «la pur commendevole finalita'
deflattiva delle controversie in materia di lavoro [...], se dilatata
irragionevolmente  oltre  ogni  certo limite temporale, finirebbe per
tradursi, con ogni probabilita', in denegata giustizia, in spregio ai
principi  costituzionali  di  certezza  dei  rapporti  giuridici e di
ragionevole durata di ogni processo, che proprio il rimettente assume
[...] violati».
    Considerato  che  il  Tribunale di Treviso dubita, in riferimento
all'art. 111,  comma  secondo, della Costituzione, della legittimita'
costituzionale  dell'art. 410-bis,  comma  secondo,  cod. proc. civ.,
nella  parte  in  cui prevede che, nel processo del lavoro, trascorso
inutilmente  il  termine di sessanta giorni dalla presentazione della
richiesta  del  tentativo  obbligatorio  di  conciliazione,  esso  si
considera  comunque  espletato  ai  fini dell'art. 412-bis cod. proc.
civ;
        che la questione e' manifestamente inammissibile alla luce di
quanto  enunciato  proprio dalla sentenza n. 276 del 2000, richiamata
dal  rimettente,  la  quale  ha  ribadito il principio, ripetutamente
affermato da questa Corte, che il legislatore puo' imporre condizioni
all'esercizio  del diritto di azione se queste, oltre a salvaguardare
interessi   generali,   costituiscono,   anche  dal  punto  di  vista
temporale, una limitata remora all'esercizio del diritto stesso;
        che   la  pretesa  del  rimettente,  secondo  la  quale  «gli
interessi   generali»   dovrebbero   comunque   prevalere   impedendo
l'esercizio  del  diritto  di  azione  fino  a quando il tentativo di
conciliazione  non  sia  stato  effettivamente espletato, non solo e'
contraddittoria  rispetto  al parametro costituzionale evocato, ma si
risolve  nel  contrapporre  una  propria  soggettiva  valutazione  al
bilanciamento  di interessi, operato dalla legge, che questa Corte ha
piu'  volte  ritenuto  non  solo  consentito,  ma  imposto dai valori
costituzionali implicati.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.