ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 6, commi 1 e
1-ter, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per
la  ristrutturazione  industriale  di  grandi  imprese  in  stato  di
insolvenza),  convertito,  con modificazioni, nella legge 18 febbraio
2004,  n. 39,  come,  rispettivamente,  modificato  dall'art. 4-ter e
aggiunto  dall'art. 4-quater  del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119
(Disposizioni  correttive ed integrative della normativa sulle grandi
imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella
legge  5 luglio  2004,  n. 166,  nonche' del combinato disposto degli
artt. 6,  comma 1,  e  4-bis,  comma 10,  del  medesimo decreto-legge
n. 347  del 2003, come, rispettivamente, modificato dall'art. 4-ter e
sostituito  dall'art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati
dalla  legge  di  conversione  n. 166  del 2004, promossi con quattro
ordinanze  del  20 febbraio  2006  dal  Tribunale ordinario di Parma,
iscritte  ai  numeri 95, 164, 165 e 166 del registro ordinanze 2006 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 14 e 23,
1ª serie speciale, dell'anno 2006;
    Visti   gli   atti   di   costituzione   di  Parmalat  s.p.a.  in
amministrazione  straordinaria e Parmalat s.p.a, Sanpaolo IMI s.p.a.,
Banca  Popolare  dell'Etruria e del Lazio societa' cooperativa, Banca
Popolare  di  Cremona  s.p.a., Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a.,
Banca  Carige  s.p.a. - Cassa di risparmio di Genova e Imperia, Banca
Popolare  di  Verona  e  Novara  soc.  coop.  a  r.l.,  Credit Suisse
International   (gia'  Credit  Suisse  First  Boston  International),
nonche'  gli  atti  di intervento di Parmalat s.p.a. e del Presidente
del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio del 22 novembre 2006 il giudice
relatore Romano Vaccarella.
    Ritenuto  che,  nel corso di quattro giudizi civili, il Tribunale
ordinario  di  Parma,  con  distinte ordinanze di pressoche' identico
contenuto,  emesse  dal  medesimo  giudicante  il 20 febbraio 2006, -
premesso   che  Parmalat  s.p.a.,  con  decreto  del  Ministro  delle
attivita'  produttive  del  24 dicembre 2003, e' stata assoggettata a
procedura di amministrazione straordinaria e che lo stesso Tribunale,
con  sentenza  del  27 dicembre  2003,  ha  dichiarato  lo  stato  di
insolvenza  della  predetta  societa', con estensione della procedura
concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. e ad altre societa' facenti
parte  di  un  unico  gruppo - ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale:
        a) in  riferimento  agli  artt. 3  e  41  della Costituzione,
dell'art. 6,  comma 1,  del  decreto-legge  23 dicembre  2003, n. 347
(Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese
in  stato  di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge
18 febbraio   2004,   n. 39,   come  modificato  dall'art. 4-ter  del
decreto-legge  3 maggio  2004,  n. 119  (Disposizioni  correttive  ed
integrative   della  normativa  sulle  grandi  imprese  in  stato  di
insolvenza),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 5 luglio
2004,  n. 166,  nella  parte in cui consente l'esercizio delle azioni
revocatorie  previste  dagli  artt. 49  e  91 del decreto legislativo
8 luglio   1999,   n. 270   (Nuova   disciplina  dell'amministrazione
straordinaria  delle  grandi  imprese in stato di insolvenza, a norma
dell'articolo 1  della  legge 30 luglio 1998, n. 274), in costanza di
un programma di ristrutturazione;
        b) in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 6, comma 1-ter,
del    medesimo    decreto-legge    n. 347    del    2003,   aggiunto
dall'art. 4-quater del decreto-legge n. 119 del 2004, come modificato
dalla  legge  di  conversione  n. 166  del  2004,  nella parte in cui
dispone  che i termini stabiliti dalle disposizioni della sezione III
del  capo III  del  titolo  secondo  del regio decreto 16 marzo 1942,
n. 267   (Disciplina   del  fallimento,  del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  si  computano  a decorrere dalla data di emanazione
del   decreto   di   ammissione   dell'impresa   alla   procedura  di
amministrazione  straordinaria  e rende applicabile tale disposizione
anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento;
        c) in  riferimento  all'art. 42 Cost., del combinato disposto
degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge
n. 347  del 2003, come, rispettivamente, modificato dall'art. 4-ter e
sostituito  dall'art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati
dalla  legge  di  conversione  n. 166  del  2004,  nella parte in cui
prevede   «una   sostanziale   espropriazione  del  credito»  di  cui
all'art. 71 del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare);
        che  nella prima ordinanza di rimessione (n. 95 r.o. 2006) si
riferisce  che  Parmalat  s.p.a. in amministrazione straordinaria, in
persona  del  commissario  straordinario,  ha  convenuto  in giudizio
Sanpaolo  IMI s.p.a. e altre banche, che, riunite in «pool», avevano,
nel dicembre   1999,   concesso  alla  medesima  Parmalat  s.p.a.  un
finanziamento  del  complessivo  ammontare  di lire 300 miliardi, per
ottenere la revoca, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, della legge
fallimentare,  dei pagamenti eseguiti dalla debitrice, a favore delle
convenute, nel cosiddetto «periodo sospetto», e, conseguentemente, la
condanna  delle  stesse banche alla restituzione delle corrispondenti
somme da esse percepite;
        che  nella seconda ordinanza di rimessione (n. 164 r.o. 2006)
si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in
persona  del  commissario  straordinario,  ha  convenuto  in giudizio
Credit  Suisse  First  Boston  International,  con la quale la stessa
Parmalat  s.p.a. aveva intrattenuto un rapporto di finanziamento, per
sentir  revocare,  ai sensi dell'art. 67 della legge fallimentare, «i
pagamenti  ed  accrediti  in  genere effettuati nel corso del periodo
sospetto   per  l'importo  complessivamente  indicato  in  citazione,
chiedendo,  quindi,  la  condanna  della  banca  al  pagamento  della
corrispondente  somma  ovvero  di quella diversa risultante nel corso
del processo»;
        che nella terza ordinanza di rimessione (n. 165 r.o. 2006) si
riferisce  che  Parmalat  s.p.a. in amministrazione straordinaria, in
persona  del  commissario  straordinario,  ha  convenuto  in giudizio
Unipol  Banca  s.p.a.,  con  la quale la stessa Parmalat s.p.a. aveva
intrattenuto  un  rapporto  di  conto  corrente  bancario, per sentir
revocare,   ai   sensi   dell'art. 67,  secondo  comma,  della  legge
fallimentare,  «le  rimesse in conto corrente, pagamenti ed accrediti
in   genere  ed  in  particolare  l'accredito  di  euro  1.456.685,43
effettuato  sul  conto  in  epoca  in  cui  il rapporto faceva ancora
capo al  Banco  di  Sicilia,  al quale la convenuta era subentrata in
virtu'  di  cessione  di ramo d'azienda, tutti portati in diminuzione
dell'esposizione   debitoria  nel  corso  del  periodo  sospetto  per
l'importo  complessivamente indicato in citazione, chiedendo, quindi,
la  condanna  della  banca  al  pagamento  della corrispondente somma
ovvero di quella diversa risultante nel corso del processo»;
        che  nella  quarta ordinanza di rimessione (n. 166 r.o. 2006)
si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in
persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio Cassa
di  Risparmio  di Pisa s.p.a., con la quale la stessa Parmalat s.p.a.
aveva intrattenuto un rapporto di conto corrente bancario, per sentir
revocare,   ai   sensi   dell'art. 67,  secondo  comma,  della  legge
fallimentare,  «le  rimesse in conto corrente, pagamenti ed accrediti
in genere portati in diminuzione dell'esposizione debitoria nel corso
del  periodo  sospetto  per  l'importo  complessivamente  indicato in
citazione,  chiedendo,  quindi,  la condanna della banca al pagamento
della  corrispondente  somma  ovvero di quella diversa risultante nel
corso del processo»;
        che   le   banche  convenute,  costituitesi  ritualmente  nei
rispettivi  giudizi, hanno resistito alla domanda, eccependo tutte in
via  pregiudiziale  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 6 del
decreto-legge n. 347 del 2003, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41
Cost;
        che,  quanto  alla  rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale,  il  giudice  rimettente  afferma  che essa e' insita
«nella   possibilita'   stessa   di  proporre  l'azione  revocatoria»
fallimentare,  «pur  in presenza di autorizzazione all'esecuzione del
programma  di  ristrutturazione», grazie alla previsione dell'art. 6,
comma 1,  del  decreto-legge  n. 347  del  2003,  e che «la rilevanza
riverbera,  poi,  anche  sotto il profilo del computo dei termini del
cosi'  detto periodo sospetto, in quanto e' evidente, che, qualora si
superasse  la  questione  precedente,  nel corso del processo sarebbe
indispensabile   esaminare  i  crediti  revocandi  a  partire  da  un
determinato  momento  storico  in  poi,  integrante, appunto, il gia'
detto  periodo  sospetto,  all'interno del quale deve ricadere l'atto
solutorio oggetto dell'azione revocatoria»;
        che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della prima
questione,  il  giudice  a  quo, riproducendo la motivazione di altre
ordinanze  di  rimessione  pronunciate dallo stesso Tribunale in data
18 novembre  2005, nonche' in date 16 e 23 febbraio 2006, osserva che
l'amministrazione  straordinaria  cosiddetta «accelerata» (introdotta
dal  decreto-legge n. 347 del 2003) e la procedura di amministrazione
straordinaria  «ordinaria»  (disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999)
si  differenziano  per  quanto  attiene alle «fasi di ingresso» ed ai
requisiti   dimensionali  concernenti  il  numero  dei  dipendenti  e
l'entita'  dei  debiti,  senza  che  le  innovazioni  introdotte  dal
decreto-legge  n. 347  del  2003 alterino i caratteri comuni a quelli
della procedura disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999;
        che  in  entrambe  le  procedure  e' prevista l'esperibilita'
dell'azione  revocatoria  fallimentare,  ma che essa, nella procedura
cosiddetta   «ordinaria»,   e'   consentita  «soltanto  se  e'  stata
autorizzata  l'esecuzione  di  un programma di cessione dei complessi
aziendali»  (art. 49,  comma 1,  del  d.lgs. n. 270 del 1999), e cio'
coerentemente  con  la  ratio dell'azione, che, secondo la concezione
«indennitaria»,  mira a ricostituire il patrimonio dell'imprenditore,
ovvero,   secondo   la   configurazione  «antindennitaria»,  tende  a
distribuire  le  perdite nell'ambito di una cerchia di creditori piu'
ampia  rispetto  a  quella che comprende soltanto i soggetti che sono
tali al tempo dell'apertura della procedura;
        che,  nonostante  questa  duplice  finalita', recuperatoria e
redistributiva,  non  sia  conciliabile con una procedura strumentale
alla    conservazione    dell'impresa,   la   norma   denunciata   ha
irragionevolmente  esteso a questa ipotesi l'ambito di applicabilita'
dell'azione  revocatoria fallimentare, interrompendo «immotivatamente
quel   legame   di  continuita'  [...]  tra  finalita'  concretamente
perseguita dalla procedura e strumenti alla stessa connessi»;
        che  l'ammissibilita'  dell'azione  nella fase di risanamento
dell'impresa  ha  «ampliato  il  sacrificio  dei terzi, ribaltando la
scelta  consapevolmente  operata con l'art. 49» del d.lgs. n. 270 del
1999,  in  violazione del canone di ragionevolezza, poiche' le azioni
disciplinate   dai   succitati  artt. 6  e  49  riguardano  procedure
analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo
obiettivo;
        che   non   vale   sostenere  la  compatibilita'  dell'azione
revocatoria  con  l'ipotesi  di  cessione  dell'attivita'  d'impresa,
realizzata  mediante un concordato, ad un soggetto terzo (l'assuntore
o una diversa societa), in quanto la norma censurata prevede in linea
generale  la proponibilita' dell'azione revocatoria anche qualora sia
stato autorizzato il programma di ristrutturazione, indipendentemente
dalla  circostanza  che  questo  sia  realizzato secondo le modalita'
ordinarie (art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2003), ovvero mediante
un  concordato, che puo' costituire uno degli strumenti del programma
di ristrutturazione (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge citato);
        che,  in  riferimento  all'art. 41  Cost.,  il  giudice a quo
osserva    che   il   risanamento   dell'impresa   attuato   mediante
l'esperimento  dell'azione  revocatoria  fallimentare  costituisce un
ingiustificato  privilegio  per  l'impresa  ammessa  alla procedura e
realizza  un  effetto  distorsivo  della  concorrenza,  in  quanto il
ricavato  dell'azione revocatoria non e' destinato al soddisfacimento
dei  creditori,  ma  costituisce una forma di finanziamento forzoso a
favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi;
        che,  quanto  alla non manifesta infondatezza della questione
relativa  all'art. 6, comma 1-ter, del decreto-legge n. 347 del 2003,
il  quale  fa decorrere il cosiddetto periodo sospetto «dalla data di
emanazione  del decreto di cui al comma 2 dell'articolo 2», ossia dal
decreto  ministeriale  di  ammissione  alla  procedura, e «si applica
anche  in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento»,
il Tribunale - rilevato che l'art. 49, comma 2, del d.lgs. n. 270 del
1999  fa decorrere i medesimi termini dalla dichiarazione dello stato
di  insolvenza,  e  dunque da un momento successivo a quello indicato
dalla  norma denunciata - osserva che tale anticipazione sarebbe «del
tutto ingiustificata e irragionevole», si' da violare l'art. 3 Cost;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
sollevata  in  riferimento  all'art. 42  Cost., relativa al combinato
disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del decreto-legge
n. 347  del  2003,  il  giudice rimettente - premesso che, in caso di
vittorioso   esperimento  dell'azione  revocatoria  fallimentare,  il
creditore  soccombente,  che  abbia  restituito  la  somma percepita,
diviene   «titolare   di   un   corrispondente  diritto  di  credito,
d'ammontare  pari  a  quello  della  soccombenza»,  e  che  il citato
art. 4-bis,  comma 10,  stabilisce  che,  in caso di approvazione del
concordato,  «la  sentenza  e'  provvisoriamente  esecutiva e produce
effetti nei confronti di tutti i creditori per titolo, fatto, ragione
o  causa  anteriore  all'apertura  della procedura di amministrazione
straordinaria»  -  osserva  che  la  lettera di tale disposizione non
consente  al  creditore  convenuto, che risulti soccombente a seguito
dell'esercizio  dell'azione  revocatoria fallimentare, di far valere,
ex  art. 71 della legge fallimentare, nei confronti dell'assuntore il
suo  credito  in quanto originato da «un fatto sicuramente posteriore
all'apertura della procedura»;
        che  nel  primo giudizio dinanzi alla Corte (n. 95 r.o. 2006)
si sono costituiti Sanpaolo IMI s.p.a., Banca Popolare dell'Etruria e
del  Lazio  societa'  cooperativa,  Banca Popolare di Cremona s.p.a.,
Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a., Banca Carige s.p.a. - Cassa di
risparmio di Genova e Imperia, Banca Popolare di Verona e Novara soc.
coop.  a  r.  l.,  parti  convenute nel processo principale, le quali
tutte   hanno   concluso   per   l'accoglimento  delle  questioni  di
costituzionalita';
        che  nel  secondo  giudizio  dinanzi  alla Corte (n. 164 r.o.
2006)  si  e'  costituita  Credit  Suisse  International (gia' Credit
Suisse  First  Boston  International),  parte  convenuta nel processo
principale,  chiedendo  che  le questioni siano accolte e lamentando,
inoltre,  «un vizio di eccesso di potere legislativo sotto il profilo
dello  sviamento  (o del vizio del fine o della causa), nel senso che
la  normativa  considerata,  al  di  la'  del suo apparente contenuto
dispositivo,  e'  stata  adottata  soltanto ex post facto, al fine di
sovvenire  alle  esigenze  via  via  manifestate dall'amministrazione
straordinaria   di   Parmalat,   ed   e',   pertanto,   da  ritenersi
incostituzionale  per  il fatto di aver perseguito un fine diverso da
quello desumibile dal suo contenuto dispositivo»;
        che  nel  secondo, terzo e quarto giudizio dinanzi alla Corte
si  e',  altresi',  costituita  Parmalat  s.p.a.  in  amministrazione
straordinaria,  in persona del commissario straordinario, la quale ha
concluso per l'inammissibilita' o, in subordine, l'infondatezza delle
questioni;
        che  in  tutti  e  quattro  i  giudizi  dinanzi alla Corte e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura   generale  dello  Stato,  che  ha  eccepito
l'inammissibilita'  e,  comunque,  l'infondatezza  delle questioni di
legittimita'   costituzionale,  richiamando  le  considerazioni  gia'
svolte nei precedenti giudizi e in particolare in quelli definiti con
la   sentenza   n. 172   del   2006  di  questa  Corte,  e  deducendo
l'irrilevanza della seconda e della terza questione;
        che  nei  quattro  giudizi dinanzi alla Corte e' intervenuta,
altresi',  Parmalat  s.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore, la quale ha concluso per l'inammissibilita' o, in subordine,
per l'infondatezza delle questioni;
        che  nel giudizio n. 95 r.o. 2006 Banca Popolare dell'Etruria
e  del  Lazio  societa'  cooperativa,  Banco di Brescia San Paolo CAB
s.p.a.,  Banca  Popolare  di  Verona  e  Novara  soc. coop. a r. l. e
Sanpaolo  IMI  s.p.a.  hanno  presentato  memorie  illustrative delle
rispettive conclusioni;
        che   Banca   Popolare  dell'Etruria  e  del  Lazio  societa'
cooperativa,   riguardo  alla  prima  questione,  osserva  che  nella
procedura  di  amministrazione  straordinaria  ex «legge Marzano» una
fase  liquidatoria  ha  inizio  solo  quando,  a  seguito del diniego
dell'autorizzazione  all'esecuzione del programma di ristrutturazione
proposto  dal commissario straordinario, venga approvato un programma
di   cessione   dei   complessi  aziendali  ovvero  sia  disposta  la
conversione  della  procedura in fallimento (art. 4, commi 4 e 4-bis,
del  decreto-legge  n. 347 del 2003), mentre, qualora si dia corso ad
un  programma  di  ristrutturazione,  di  cui sia parte integrante un
concordato,  si rimane nella fase conservativa della procedura, e che
un  tale  concordato «differisce pertanto dal concordato fallimentare
ex  art. 124  l.f. che si inserisce, per sua natura, in una procedura
liquidatoria (avviata con la sentenza dichiarativa di fallimento)»;
        che, poiche' la procedura di amministrazione straordinaria ex
«legge  Marzano»  e'  una  «sottospecie»  della  procedura  ex «legge
Prodi-bis»,   non   sussistono   motivi   che  possano  giustificare,
obiettivamente,   quanto   a  decorrenza  dei  termini  del  «periodo
sospetto»,  una  diversita'  di  regime fra le due procedure, sicche'
«tale diversita' risulta irragionevole e pertanto in contrasto con il
principio sancito dall'art. 3 della Costituzione»;
        che  Banco  di  Brescia  San  Paolo  CAB  s.p.a.  critica  le
motivazioni   della   sentenza  di  questa  Corte  n. 172  del  2006,
osservando  che  «la  prosecuzione dell'attivita' di impresa, attuata
con  il  concordato  con  assuntore,  non  e'  affatto  temporanea  e
finalizzata  alla  dismissione  dei beni aziendali, ma e' finalizzata
alla  ristrutturazione del medesimo complesso imprenditoriale nel suo
insieme  (integralmente  ceduto  ad un terzo)», sicche' manca «quella
finalita'  liquidatoria che costituisce il presupposto indispensabile
per l'esercizio dell'azione revocatoria»;
        che  il  richiamo  all'art. 124  della legge fallimentare non
sarebbe  pertinente, dal momento che tale norma «ha quale presupposto
l'esistenza di una fase liquidatoria mancante nel caso di specie», in
quanto  il  concordato  previsto  dall'art. 4-bis  del  decreto-legge
n. 347  del  2003,  «e'  pur  sempre  una  attuazione  del  piano  di
ristrutturazione economica e non trasforma» la procedura in questione
in una procedura liquidatoria;
        che  Banca  Popolare  di  Verona e Novara soc. coop. a r. l.,
ribadito che il concordato previsto dall'art. 4-bis del decreto-legge
n. 347  del  2003  «appartiene  sempre  e  comunque  al  programma di
ristrutturazione,   e   giammai  ad  una  "fase  liquidatoria"  della
procedura»,  osserva che soltanto quando sia adottato un programma di
cessione dei complessi aziendali «si evita l'irragionevole disparita'
di  trattamento  con il regime di cui alla legge Prodi-bis, oltreche'
la violazione del principio di liberta' economica»;
        che,  riguardo  alla  seconda  questione, osserva che «non e'
dato  comprendere  che  cosa abbia a che vedere l'inizio «accelerato»
della  procedura di amministrazione straordinaria per l'insolvenza di
una   grande   impresa  con  il  computo  del  periodo  sospetto  per
l'impugnazione  di  atti  lesivi  della  par condicio precedentemente
compiuti»;
        che,  riguardo  alla  terza  questione,  osserva che, poiche'
secondo   la  giurisprudenza  di  legittimita'  l'azione  revocatoria
fallimentare  ha  natura  «costitutiva»,  «onde  il credito del terzo
revocato  nasce  con  la  sentenza  di  revoca,  e quindi in corso di
procedura»,  la  norma  dell'art. 4-bis,  comma 10, del decreto-legge
n. 347  del  2003  «sacrifica  irrimediabilmente il credito del terzo
revocato», in violazione dell'art. 42 Cost;
        che  Sanpaolo  IMI  s.p.a.  osserva  -  riguardo  alla  prima
questione  -  che,  proprio  in base alla sentenza n. 172 del 2006 di
questa Corte, «si deve ritenere che la soluzione concordataria con la
quale  si  determini l'evoluzione di un programma di ristrutturazione
in  un programma di cessione sia quella che assicura la soddisfazione
dei   creditori   non   attraverso  la  mera  ristrutturazione  delle
originarie  risorse  (attive  e  passive)  dell'impresa  decotta,  ma
mediante  l'intervento  di  un  soggetto  terzo,  e  dunque  estraneo
all'originaria  impresa»  e  che  «questi, a fronte del trasferimento
degli attivi paghi con risorse proprie, e dunque, nuovamente estranee
alle risorse originarie dell'impresa, un corrispettivo da distribuire
ai  creditori  nel  rispetto  delle regole del concorso»; laddove nel
«caso  Parmalat» il recupero dell'equilibrio economico «e' assicurato
mediante  l'utilizzo  esclusivo  delle  risorse proprie delle imprese
decotte  e  senza  intervento  di  alcun soggetto terzo ne' di alcuna
risorsa esterna»;
        che,   al   momento   dell'approvazione   della  proposta  di
concordato,  i  creditori non hanno ricevuto «alcun corrispettivo per
il   trasferimento  delle  revocatorie»  all'assuntore,  «poiche'  le
partecipazioni  azionarie  che sono state loro assegnate in pagamento
sono  state calcolate sulla base di un rapporto di cambio determinato
in  ragione  del  rapporto  (cosiddetta  recovery ratio o percentuale
concordataria)  tra  la  massa  passiva  di  ciascuna  delle societa'
debitrici  interessate  dalla  proposta  e la relativa massa attiva»,
individuata   sulla   base   di  criteri  «che  hanno  esclusivamente
valorizzato  gli  asset  patrimoniali, senza tenere alcun conto delle
eventuali  sopravvenienze recuperabili dall'esito delle revocatorie»;
di  modo  che  i  benefici  delle revocatorie non hanno in alcun modo
concorso  «a  comporre  il  patrimonio  in  relazione  al quale viene
determinato  il quantum da corrispondere ai creditori chirografari e,
conseguentemente,  a  ridurre  la  falcidia  del loro credito» (come,
invece, ritenuto dalla citata sentenza n. 172 del 2006);
        che,  con  memorie  depositate  in  tutti i giudizi, Parmalat
s.p.a.  in  amministrazione straordinaria e Parmalat s.p.a., riguardo
alla prima questione, osservano che l'art. 6 del decreto-legge n. 347
del  2003,  «considerato nel suo insieme [...] non fa che ribadire un
principio  generale  accolto  nel  nostro  ordinamento, principio che
consente  l'esercizio  delle  azioni  revocatorie  in  presenza di un
risanamento   oggettivo   e  cioe'  del  trasferimento  ad  un  nuovo
imprenditore  del  complesso  produttivo  operante,  e  non  consente
l'esercizio  di tali azioni in presenza di un risanamento soggettivo,
e   cioe'  della  permanenza  dell'impresa  in  capo all'imprenditore
originario»; lo stesso art. 6 «non confligge, peraltro, con l'art. 41
della  Costituzione perche', quando il terzo assuntore del concordato
abbia  sostenuto  un  costo per la cessione delle azioni revocatorie,
non  e'  configurabile  un  raffronto  con altri operatori economici,
presenti sul mercato, che tale costo non abbiano sostenuto»;
        che,  riguardo  alla  seconda  questione,  le  suddette parti
osservano  che  l'art. 6,  comma 1-ter,  del decreto-legge n. 347 del
2003  «non  confligge  con  l'art. 3  della  Costituzione  perche' e'
perfettamente   in   linea  con  un  principio  generale  del  nostro
ordinamento concorsuale che fa decorrere il c.d. periodo sospetto dal
"primo" provvedimento di apertura della procedura»;
        che,   riguardo   alla  terza  questione,  osservano  che  il
combinato  disposto  degli  artt. 6,  comma 1,  e 4-bis, comma 1, del
decreto-legge  n. 347  del  2003  non  confligge con l'art. 42 Cost.,
perche' nella procedura ex «legge Marzano» e' assicurato «ai soggetti
che  siano divenuti creditori, per effetto delle restituzioni operate
in  sede  revocatoria,  lo  stesso  trattamento  riservato agli altri
creditori concorrenti».
    Considerato  che  il  Tribunale  ordinario  di Parma, con quattro
ordinanze   del   20 febbraio   2006,   dubita   della   legittimita'
costituzionale:
        a) dell'art. 6,  comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003,
n. 347  (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi
imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella
legge  18 febbraio  2004,  n. 39, come modificato dall'art. 4-ter del
decreto-legge  3 maggio  2004,  n. 119  (Disposizioni  correttive  ed
integrative   della  normativa  sulle  grandi  imprese  in  stato  di
insolvenza),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 5 luglio
2004,  n. 166,  nella  parte in cui consente l'esercizio delle azioni
revocatorie  previste  dagli  artt. 49  e  91 del decreto legislativo
8 luglio   1999,   n. 270   (Nuova   disciplina  dell'amministrazione
straordinaria  delle  grandi  imprese in stato di insolvenza, a norma
dell'articolo 1  della  legge 30 luglio 1998, n. 274), in costanza di
un  programma di ristrutturazione; questione sollevata in riferimento
agli artt. 3 e 41 della Costituzione;
        b) dell'art. 6,   comma 1-ter,   del  medesimo  decreto-legge
n. 347 del 2003, aggiunto dall'art. 4-quater del decreto-legge n. 119
del 2004, come modificato dalla legge di conversione n. 166 del 2004,
nella parte in cui dispone che i termini stabiliti dalle disposizioni
della  sezione  III del capo III del titolo secondo del regio decreto
16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento, del concordato
preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della liquidazione
coatta  amministrativa),  si  computano  a  decorrere  dalla  data di
emanazione  del  decreto di ammissione dell'impresa alla procedura di
amministrazione  straordinaria  e rende applicabile tale disposizione
anche  in  tutti i casi di conversione della procedura in fallimento;
questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost;
        c) del  combinato  disposto  degli artt. 6, comma 1, e 4-bis,
comma 10,   del   medesimo   decreto-legge  n. 347  del  2003,  come,
rispettivamente,  modificato dall'art. 4-ter e sostituito dall'art. 3
del   decreto-legge  n. 119  del  2004,  modificati  dalla  legge  di
conversione  n. 166  del  2004,  nella  parte  in  cui  prevede  «una
sostanziale  espropriazione del credito» di cui all'art. 71 del regio
decreto  n. 267 del 1942 (legge fallimentare); questione sollevata in
riferimento all'art. 42 Cost;
        che,  ponendosi  con  tutte  le  ordinanze  di  rimessione le
medesime questioni, i relativi giudizi devono essere riuniti;
        che,  relativamente  alle  questioni sollevate in riferimento
agli  artt. 3  e  41  Cost., concernenti l'esperibilita' delle azioni
revocatorie  nel  corso  di una procedura il cui programma preveda ab
initio  un concordato con assuntore, non sono addotte argomentazioni,
nemmeno  negli  scritti  difensivi  delle  parti private, che possano
indurre  questa  Corte a pervenire a conclusioni diverse da quelle di
cui alla sentenza n. 172 del 2006 ed alla successiva ordinanza n. 409
del 2006;
        che  tali  questioni,  dunque, sono manifestamente infondate,
dovendosi  ribadire che la procedura di amministrazione straordinaria
ex  «legge  Marzano»,  ove  nel  programma  di  ristrutturazione  sia
inserito  un  concordato  con assunzione, quale «parte integrante» di
esso  (art. 4-bis,  comma 5,  del  decreto-legge n. 347 del 2003), al
fine  di  provvedere  alla «soddisfazione dei creditori» (art. 4-bis,
comma 1,  del  decreto-legge  n. 347  del 2003), si caratterizza come
procedura  liquidatoria,  e  non  gia' di risanamento, sin dalla fase
iniziale,  posto  che  il complesso delle attivita' dell'imprenditore
insolvente viene ad essere trasferito all'assuntore - necessariamente
dotato  di soggettivita' giuridica distinta dal debitore -, dietro il
corrispettivo  di  attribuzioni  patrimoniali destinate ai creditori,
sicche'  e'  escluso  in  radice  che  la procedura sia indirizzata a
consentire  allo  stesso  debitore  di  recuperare  «la  capacita' di
soddisfare  regolarmente  le  proprie obbligazioni» alla scadenza del
programma  (artt. 70,  comma 1,  lettera b, e 74, comma 1, lettera b,
del d.lgs. n. 270 del 1999);
        che,   in   tale   quadro,   il  promovimento  delle  «azioni
revocatorie  previste  dagli  articoli 49 e 91» del d.lgs. n. 270 del
1999  (art. 6,  comma 1,  del  decreto-legge  n. 347  del  2003),  in
funzione  della  cessione delle medesime all'assuntore «come patto di
concordato»  (art. 4-bis,  comma 1,  lettera c-bis, del decreto-legge
n. 347  del  2003),  non  puo'  che  tradursi  «in un vantaggio per i
creditori», e non certo per l'imprenditore insolvente, espropriato di
tutti i suoi beni;
        che,   pertanto,   conclusivamente,  deve  dirsi  che  di  un
risultato  di risanamento, senza liquidazione dei beni, puo' parlarsi
solo  quando  sia  il  medesimo  originario imprenditore a riprendere
l'attivita' economica;
        che   analoga   pronuncia   di  manifesta  infondatezza  deve
emettersi riguardo alle altre questioni sollevate in ordine al dies a
quo  del cosiddetto «periodo sospetto» ed in ordine alla «sostanziale
espropriazione»  che,  del suo credito, subirebbe il soggetto nei cui
confronti sia stata vittoriosamente esperita l'azione revocatoria;
        che,  quanto  alla  prima  delle  due questioni ricordate, la
scelta  del  legislatore  di  far  decorrere il termine per le azioni
revocatorie,  a  ritroso, dal decreto ministeriale di ammissione alla
procedura  in  luogo  che  dalla sentenza dichiarativa dello stato di
insolvenza  non  puo'  dirsi  lesiva  del  principio  di  parita'  di
trattamento  di  situazioni analoghe, dal momento che la procedura di
cui  al  d.lgs.  n. 270  del 1999 inizia con la sentenza dichiarativa
dello stato di insolvenza, la quale sentenza, invece, nella procedura
ex  decreto-legge  n. 347  del 2003, segue il decreto ministeriale di
ammissione;
        che  la  scelta di far coincidere il dies a quo per le azioni
revocatorie  con  l'emanazione  del  provvedimento  di apertura della
procedura non puo' certamente dirsi irragionevole, specialmente se si
considera  che  nel  decreto-legge  n. 347  del  2003  e' tale atto -
analogamente  a  quanto  e'  previsto per la sentenza dichiarativa di
fallimento  (art. 42  della  legge  fallimentare) - a determinare «lo
spossessamento   del   debitore   e   l'affidamento   al  commissario
straordinario  della gestione dell'impresa e dell'amministrazione dei
beni    dell'imprenditore    insolvente»    (art. 2,   comma 2,   del
decreto-legge  n. 347  del  2003)  e  che  nella  liquidazione coatta
amministrativa  il  termine  per l'esercizio delle azioni revocatorie
decorre dal provvedimento di apertura della procedura (art. 203 della
legge  fallimentare) e, pertanto, dal decreto ministeriale che ordina
la  liquidazione, se questo precede la sentenza di accertamento dello
stato di insolvenza;
        che  la  questione  -  posta  sulla  base  di  una  letterale
interpretazione  delle  norme  censurate  ed  invocando  un parametro
costituzionale  (art. 42 Cost.) di dubbia pertinenza (sentenze n. 401
del  1987 e n. 99 del 1976) - relativa alla pretesa «espropriazione»,
che  subirebbe  il  terzo  soccombente  in  revocatoria,  e' priva di
fondamento,  essendo principio giurisprudenziale incontroverso quello
secondo  il quale la revoca del pagamento elimina l'effetto estintivo
dell'adempimento  e,  pertanto,  non  crea  ex novo un credito, ma fa
risorgere, insoddisfatto, il credito originario, con il suo carattere
concorsuale,  e,  conseguentemente,  rende  applicabile  il  disposto
dell'art. 71 della legge fallimentare.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.