ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 27, commi 1, 3,
lettera d),  e  4,  del  decreto  legislativo  28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni   sulla   competenza  del  Giudice  di  pace,  a  norma
dell'art. 14  della  legge  24 novembre  1999,  n. 468), promosso con
ordinanza  del  14 marzo  2005  dal  Giudice  di  pace  di  Roma  nel
procedimento  penale  a  carico  di  D.R.G.,  iscritta  al n. 350 del
registro  ordinanze  2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica - 1ª serie speciale - n. 29 dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 10 gennaio 2007 il giudice
relatore Giuseppe Tesauro.
    Ritenuto  che  il  Giudice  di  pace  di  Roma, con ordinanza del
14 marzo   2005,   ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 3  della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 27,
commi 1 e 2, lettera d) (recte: art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del
decreto   legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla
competenza  del  Giudice  di  pace,  a norma dell'art. 14 della legge
24 novembre 1999, n. 468); in subordine, ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3  e  111,  primo  e  secondo  comma, della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 1, del
decreto  legislativo  n. 274 del 2000; inoltre, ha proposto questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 27,  comma 4, del decreto
legislativo  n. 274  del  2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 111,
primo e terzo comma, della Costituzione;
        che  il  giudice  a  quo,  adito  con ricorso immediato della
persona  offesa  a norma dell'art. 21 del d.lgs. n. 274 del 2000, non
condivide  il  parere  contrario  espresso  dal pubblico ministero in
ordine  alla  citazione  a  giudizio  della  persona  cui il reato e'
attribuito  ed  assume,  pertanto,  di  dover  emettere il decreto di
convocazione delle parti;
        che,  a  suo  avviso, l'art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del
citato  decreto  legislativo,  stabilendo che il giudice, nel caso in
cui  il pubblico ministero sia rimasto inerte o abbia espresso parere
contrario,   recepisce   nel  decreto  di  convocazione  delle  parti
l'addebito  formulato  dalla  persona  offesa,  viola  l'art. 3 della
Costituzione,  poiche'  determina  una  ingiustificata  disparita' di
trattamento   ai  danni  «dell'indagato  che  vede  vagliata  la  sua
posizione  da  una  parte  portatrice  di  interessi  quale e' quella
ricorrente, rispetto all'imputato nei cui confronti viene emesso atto
di  citazione  a  giudizio  della  polizia  giudiziaria  dopo  che il
pubblico  ministero,  parte  estranea  a qualsiasi rapporto di natura
personale, ha esercitato l'azione penale formulando l'imputazione»;
        che,  dunque,  censura  l'art. 27,  commi 1  e 3, lettera d),
nella  parte  in  cui non stabilisce che l'imputazione da trascrivere
nel  decreto  di  convocazione  delle parti sia quella «formulata dal
pubblico  ministero»  e  non  permette  al  giudice  di  disporre con
ordinanza  «che  entro  dieci  giorni  il  pubblico ministero formuli
l'imputazione»,  in  analogia  con  quanto  prescritto  dall'art. 17,
comma 4,  del  d.lgs.  n. 274  del  2000  per  l'ipotesi  del mancato
accoglimento della richiesta di archiviazione;
        che  incidentalmente  richiama  l'orientamento della Corte di
cassazione,  in base al quale il Giudice di pace deve trasmettere gli
atti  al  pubblico  ministero che ha espresso il diniego o e' rimasto
inerte affinche' questi proceda nelle forme ordinarie (Cass., sez. IV
pen.,  5 agosto  2004,  n. 33675),  limitandosi ad osservare che esso
«non risponde alla lettera dell'art. 21 e segg.»;
        che,  in  subordine, il giudice a quo si duole che l'art. 27,
comma 1,  del d.lgs. n. 274 del 2000 non preveda l'incompatibilita' a
celebrare  il  dibattimento  del  giudice che ha emesso il decreto di
convocazione,  nonostante  lo  stesso  giudice,  recependo l'addebito
formulato  dalla  persona offesa, si trovi a «valutare l'aderenza del
fatto  narrato  con quello da contestare», con lesione delle garanzie
di   terzieta'   ed   imparzialita'   dell'organo  giurisdizionale  e
conseguente  violazione  degli  artt. 3 e 111, primo e secondo comma,
della Costituzione;
        che,  inoltre,  il  rimettente  dubita,  in  riferimento agli
artt. 3,  24  e  111,  primo e terzo comma, della Costituzione, della
legittimita'  dell'art. 27,  comma 4,  del d.lgs. n. 274 del 2000, il
quale  dispone che il decreto di convocazione delle parti, unitamente
al  ricorso,  e'  notificato,  a  cura  del  ricorrente,  al pubblico
ministero,  alla  persona  citata  in  giudizio  ed al suo difensore,
nonche'  alle altre persone offese di cui conosca l'identita', almeno
venti giorni prima dell'udienza;
        che,  dopo  aver  ricordato  che  per  la citazione diretta a
giudizio  innanzi al tribunale in composizione monocratica «i termini
sono  di  sessanta  giorni»  e per la citazione a giudizio dinanzi al
Giudice di pace disposta dalla polizia giudiziaria «i termini sono di
trenta giorni» (art. 20 del d.lgs. n. 274 del 2000, nel testo vigente
anteriormente alle modifiche apportate dall'art. 17 del decreto-legge
27 luglio  2005, n. 144, recante «Misure urgenti per il contrasto del
terrorismo»,  convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 31 luglio
2005,  n. 155), il giudicea quo assume che l'esiguita' del termine di
comparizione   fissato  dalla  disposizione  impugnata  sia  tale  da
impedire  all'imputato  l'esercizio  del  diritto alla prova in tempi
congrui e da ostacolare l'accesso a condotte riparatorie;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   concludendo   per   l'inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 27,  commi 1 e 3, lettera d),
del  d.lgs.  n. 274 del 2000 e, comunque, per l'infondatezza di tutte
le  questioni  di  costituzionalita' sollevate dal Giudice di pace di
Roma.
    Considerato che il Giudice di pace di Roma dubita, in riferimento
all'art. 3  della  Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 27,  commi 1  e  3,  lettera d),  del  decreto  legislativo
28 agosto  2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza del Giudice di
pace,  a  norma  dell'art. 14  della legge 24 novembre 1999, n. 468),
nella parte in cui non consente al giudicedi ordinare la formulazione
dell'imputazione al pubblico ministero che sia rimasto inerte o abbia
espresso parere contrario alla citazione a giudizio della persona cui
e'  attribuito  l'addebito nel ricorso immediato; in via subordinata,
censura,  in  riferimento  agli artt. 3 e 111, primo e secondo comma,
della  Costituzione,  l'art. 27, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000,
nella  parte  in  cui  non  prevede l'incompatibilita' a celebrare il
dibattimento del giudiceche abbia adottato il decreto di convocazione
delle  parti  nonostante l'inerzia o il parere contrario del pubblico
ministero;
        che,  inoltre,  denuncia, in relazione agli artt. 3, 24, 111,
primo  e  terzo  comma,  della  Costituzione, l'art. 27, comma 4, del
d.lgs.  n. 274  del  2000,  nella  parte  in  cui  fissa un termine a
comparire  di  soli venti giorni, ritenendo tale termine incongruo ai
fini della predisposizione della difesa dell'imputato;
        che il giudice a quo fonda le proprie censure sul presupposto
che  egli,  non  condividendo  l'opposizione  del pubblico ministero,
debba   emettere   l'atto  di  vocatio  in  iudicium,  ivi  recependo
l'addebito descritto dalla persona offesa nel ricorso immediato;
        che  il rimettente non tiene nel debito conto, tuttavia, che,
come  gia'  rilevato  da  questa Corte (ordinanze n. 381 e n. 361 del
2005),   il   giudicedi   legittimita',  per  il  caso  indicato,  ha
prospettato,  in  via interpretativa, la diversa opzione, compatibile
con i parametri costituzionali evocati, della trasmissione degli atti
al  pubblico  ministero  affinche' questi possa procedere nelle forme
ordinarie  (Cass.,  sez.  IV  pen.,  27 maggio 2004, n. 33675; sez. V
pen.,   25 ottobre   2005,  n. 12;  sez.  V  pen.,  17 gennaio  2006,
n. 20559);
        che,  inoltre,  non  considera  che  l'art. 17,  comma 4, del
d.lgs.   n. 274  del  2000  gli  consente  comunque  di  ordinare  la
formulazione  dell'imputazione  al  pubblico  ministero  che, dopo la
trasmissione   degli  atti  da  parte  del  giudice,  abbia  avanzato
richiesta di archiviazione;
        che, non essendosi il giudicea quo conformato al canone della
sperimentazione   dell'interpretazione  secundum  Constitutionem,  le
questioni  aventi  ad oggetto l'art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del
d.lgs. n. 274 del 2000 sono manifestamente inammissibili;
        che   la   ragione   dell'inammissibilita'  delle  prime  due
questioni     sollevate     dal    rimettente    comporta    altresi'
l'inammissibilita'  della terza, per difetto di motivazione in ordine
all'applicabilita' nel giudizio principale dell'art. 27, comma 4, del
d.lgs. n. 274 del 2000 (ordinanza n. 346 del 2006);
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.