ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 2,
del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza dell'8 marzo
2005  dal  Tribunale  di  Ragusa  nel procedimento penale a carico di
P.G.,  iscritta  al  n. 251  del registro ordinanze 2005 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 19,  prima  serie
speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 gennaio 2007 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
    Ritenuto  che  il Tribunale di Ragusa, con ordinanza dell'8 marzo
2005,  ha  sollevato  -  con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37,
comma  2,  del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui non
prevede  che  il  giudice  ricusato  non possa pronunciare, all'esito
dell'udienza preliminare, il decreto che dispone il giudizio;
        che il Tribunale procede alla celebrazione di un dibattimento
a  seguito  del  rinvio  a  giudizio deliberato, in esito all'udienza
preliminare,  da  un  giudice  nei  cui  confronti era stata proposta
dichiarazione  di  ricusazione  da  parte  dell'imputato  e  del  suo
difensore;
        che,  secondo  quanto  riferito dal rimettente, la competente
Corte  di  appello  ha  rigettato la domanda di ricusazione, in epoca
successiva   alla  decisione  di  rinvio  a  giudizio  e  antecedente
all'avvio   del   dibattimento,   con   provvedimento  impugnato  per
cassazione mediante un ricorso non ancora definito;
        che, in apertura del dibattimento, il difensore dell'imputato
ha  eccepito la nullita' del decreto di rinvio a giudizio, in base ad
una  asserita  analogia  fra tale provvedimento e la sentenza - nella
specie,  quella  di  non  luogo  a  procedere  - la cui deliberazione
sarebbe  stata  preclusa  al  giudice  ricusato  secondo  il disposto
dell'art. 37, comma 2, cod. proc. pen.;
        che,  secondo  il  giudice a quo, non potrebbe essere accolta
una  «interpretazione estensiva» del divieto posto nel citato comma 2
dell'art. 37,  alla  luce  delle  differenze  di  forma,  funzione  e
contenuto tra il decreto che dispone il giudizio e la sentenza;
        che  tuttavia,  sempre  secondo il rimettente, le valutazioni
richieste   in   esito   all'udienza  preliminare  dovrebbero  essere
garantite,  sotto il profilo dell'imparzialita' e della terzieta' del
giudice,  a  prescindere dal tenore della decisione assunta (rinvio a
giudizio  o  non  luogo a procedere), e dunque attraverso un generale
divieto di definire «nel merito la fase del giudizio»;
        che,   infatti,   questa  stessa  Corte  avrebbe  piu'  volte
evidenziato  come  l'alternativa  decisoria posta al giudice in esito
all'udienza  preliminare  debba  ormai  essere  sciolta  mediante una
valutazione   sul   merito   dell'accusa,   con   una   deliberazione
«pregiudicabile»  alla  luce di precedenti provvedimenti sul medesimo
oggetto,  e  con  conseguente  rilevanza  delle  norme  in materia di
incompatibilita'  (sono  citate  le sentenze n. 335 del 2002 e n. 224
del 2001);
        che  l'ammissibilita' della decisione di rinvio a giudizio da
parte  del  giudice  ricusato,  in  particolare,  contrasterebbe  con
l'art. 3 Cost. sotto un duplice profilo: sarebbe «irragionevole», per
un verso, che il giudice dell'udienza preliminare possa deliberare il
relativo  decreto  ma  non  la sentenza di non luogo a procedere; una
disparita'  ingiustificata  di  trattamento, per altro verso, sarebbe
istituita  tra imputati in posizione suscettibile di proscioglimento,
costretti  ad  attendere la decisione sull'istanza di ricusazione, ed
imputati  da  rinviare  a giudizio, per i quali l'udienza preliminare
potrebbe  essere  definita  senza  alcuna  necessita'  di  preventiva
conclusione del procedimento incidentale;
        che  la  norma  censurata  contrasterebbe anche con l'art. 24
Cost.,  poiche'  nell'udienza  preliminare devono essere formulate, a
pena  di  decadenza,  le  domande  di  accesso  ai  riti  speciali, e
l'opportunita'  di  proporle non potrebbe essere serenamente vagliata
da  chi  assuma  di  trovarsi  di  fronte ad un giudice non terzo ne'
imparziale, mentre la disciplina vigente non assicura, con il divieto
del  rinvio a giudizio, che la fase in corso resti aperta (e con essa
resti aperta la possibilita' dell'accesso ai riti) fino all'eventuale
sostituzione del magistrato procedente;
        che  la  disciplina  censurata  contrasterebbe, infine, con i
principi del «giusto processo» sanciti nell'art. 111 Cost., a partire
dalla terzieta' ed imparzialita' del giudice, posto che il decreto di
rinvio a giudizio chiude una fase divenuta per se stessa fondamentale
nel   rito  accusatorio,  cosi'  da  non  potersi  ammettere  che,  a
differenza  del provvedimento di definizione alternativa della stessa
fase, venga deliberato dal giudice ricusato;
        che,  in  punto  di  rilevanza, il rimettente osserva che «la
nullita' conseguente ad una eventuale pronuncia di accoglimento della
dichiarazione   di  ricusazione  rientra  nelle  nullita'  di  ordine
generale  ed assolute di cui all'art. 178, lettera a), c.p.p.», e che
il  vizio  in  questione,  una  volta  rilevato  nel  giudizio a quo,
comporterebbe una regressione del procedimento;
        che,  a  parere  del  Tribunale,  il provvedimento di rigetto
della  dichiarazione  di  ricusazione intervenuto dopo il decreto che
dispone  il  giudizio  sarebbe  irrilevante,  in  quanto non idoneo a
sanare   «con   efficacia   retroattiva»  la  nullita'  eventualmente
verificatasi,   anche   considerando   che   l'attuale  pendenza  del
procedimento  incidentale - dovuta al ricorso per cassazione proposto
dall'imputato   contro   l'ordinanza   della   corte   di  appello  -
comporterebbe  la  perdurante  possibilita'  di un accoglimento della
relativa domanda;
        che  nel  giudizio, con atto depositato il 31 maggio 2005, e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato;
        che ad avviso della difesa erariale la questione, nella parte
in cui prospetta un pregiudizio per il pieno esercizio del diritto di
difesa   mediante  domanda  di  accesso  ai  riti  speciali,  sarebbe
inammissibile  per  difetto di rilevanza, posto che nessuna richiesta
in tal senso risulta proposta nel giudizio a quo;
        che  il rimettente, piu' in generale, avrebbe giustificato la
rilevanza della questione in base ad un'erronea interpretazione della
legge, dato che l'accoglimento della dichiarazione di ricusazione non
implica  necessariamente  una  regressione  del  giudizio,  spettando
piuttosto al giudice del procedimento incidentale l'indicazione degli
atti che conservano efficacia;
        che  infine,  sempre  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato, la
questione  sarebbe  infondata,  posto  che  il divieto per il giudice
ricusato   di   definire  il  merito  dell'imputazione  non  potrebbe
estendersi al decreto di rinvio a giudizio, il quale, pur concludendo
una fase processuale, non esprimerebbe una valutazione funditus circa
il fondamento dell'accusa.
    Considerato  che  il  Tribunale di Ragusa solleva, in riferimento
agli  artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 37, comma 2, del codice di procedura penale
nella  parte  in  cui  non  prevede che il giudice ricusato non possa
pronunciare,  all'esito  dell'udienza  preliminare,  il  decreto  che
dispone il giudizio;
        che il rimettente fonda la rilevanza della questione proposta
sull'assunto  che  la  sentenza  emessa  dal  giudice in pendenza del
giudizio  incidentale  sulla  ricusazione  sia  nulla,  ed  invoca di
conseguenza  una  pronuncia  additiva di questa Corte che comporti lo
stesso trattamento giuridico per il decreto che dispone il giudizio;
        che  lo  stesso  rimettente  riferisce  di  come, nel caso di
specie,  l'istanza di ricusazione sia stata rigettata dopo il decreto
che ha disposto il giudizio e prima dell'inizio del dibattimento;
        che   il  giudice  a  quo,  con  riferimento  a  tale  ultima
circostanza, non fornisce alcuna motivazione circa l'applicabilita' o
meno,  nel  caso  sottoposto  al  suo  esame, della giurisprudenza di
legittimita' che ritiene valido il provvedimento emesso in violazione
del  divieto  di  cui  all'art. 37,  comma  2,  cod.  proc.  pen., se
l'istanza  di  ricusazione  sia  stata  successivamente rigettata (ex
plurimis,  sentenza  della  Corte  di  cassazione,  sezione sesta, 18
gennaio 2000, n. 275);
        che   risulta  impropria  e  apodittica,  a  tale  proposito,
l'affermazione  secondo cui la pronuncia di rigetto del giudice della
ricusazione   non   «consente   di   ritenere  sanata  con  efficacia
retroattiva» la nullita' del provvedimento emesso dal giudice nei cui
confronti  era stata proposta istanza di ricusazione, sia perche' non
chiarisce  per  quale  ragione  sarebbe nullo l'atto cui riferire una
ipotetica  «sanatoria»,  sia  perche',  ove  fosse  configurabile, la
sanatoria stessa sarebbe, per sua natura, retroattiva;
        che  l'assenza  di  adeguata  motivazione circa i presupposti
interpretativi che condizionano la rilevanza della questione e' causa
di  inammissibilita' della questione medesima (ex plurimis, ordinanze
n. 346 del 2006 e n. 298 del 2005).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.