ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, commi 6 e
7,  e  10  della  legge  5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale  e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso con
ordinanza  del  6 febbraio  2006  dal  Tribunale  di  sorveglianza di
Catania,  iscritta al n. 183 del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 25, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006.
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 7 febbraio 2007 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -  Con  ordinanza  del  6 febbraio  2006,  il  Tribunale  di
sorveglianza  di  Catania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale   degli  artt. 7,  commi 6  e  7,  e  10  della  legge
5 dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche  al  codice penale e alla legge
26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti  generiche, di
recidiva,  di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per
i  recidivi,  di  usura  e di prescrizione), nella parte in cui dette
disposizioni,  modificando  l'art. 58-quater,  commi 1 e 7-bis, della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla  esecuzione delle misure privative e limitative della liberta),
prevedono  che  le  nuove  preclusioni  stabilite  per l'accesso alla
misura  dell'affidamento  in  prova al servizio sociale si applichino
anche  ai condannati per condotte punibili ai sensi dell'art. 385 del
codice  penale,  o  recidivi  reiterati,  per  delitti commessi prima
dell'entrata    in    vigore    della    legge   n. 251   del   2005,
«indipendentemente  dal  comportamento  tenuto  successivamente  alla
condanna  e  alla  casuale  data di irrevocabilita' delle sentenze da
eseguire».
    In  punto di rilevanza, il giudice rimettente riferisce di essere
chiamato  a  provvedere sull'istanza, proposta in data 2 maggio 2005,
di  applicazione  dell'affidamento  in  prova al servizio sociale con
riguardo  all'esecuzione  della pena di mesi nove di reclusione. Tale
pena  e'  stata inflitta al richiedente per il reato di evasione, con
sentenza  del  Tribunale  di Catania in data 12 dicembre 2001, che ha
ritenuto  sussistente  la  recidiva reiterata. Il rimettente precisa,
inoltre, che l'istante ha gia' fruito di un precedente affidamento in
prova  al  servizio  sociale, disposto con ordinanza in data 24 marzo
2004 e concluso, con esito positivo, in data 13 settembre 2004.
    La  rilevanza  della  questione  sarebbe  evidente in quanto, per
effetto  del  mutamento  di  quadro  normativo seguito all'entrata in
vigore della legge n. 251 del 2005, l'istanza, per quanto ammissibile
all'atto  della  proposizione,  non  lo  e'  piu'  al  momento  della
decisione,  risultando  ostativi sia il titolo del reato per il quale
e'  stata  inflitta  la  condanna  da  eseguire,  sia  la  precedente
ammissione  alla  misura  alternativa,  di  cui  l'istante,  recidivo
reiterato, ha fruito relativamente ad altra pena.
    Il  rimettente  ritiene,  in  particolare, che sia applicabile al
procedimento  in  corso  la piu' rigorosa disciplina introdotta dalla
legge  n. 251  del  2005,  osservando  come  l'art. 10  di tale legge
preveda  una  particolare  disciplina  transitoria  soltanto  per  le
disposizioni   contenute   nell'art. 6,   relative   ai   termini  di
prescrizione,  limitandosi, per tutte le altre, a richiamare l'art. 2
cod.  pen.,  norma  generale  in  materia  di successione delle leggi
penali  nel  tempo, la quale sancisce, al terzo comma (oggi, quarto),
la  prevalenza  della  legge  piu' favorevole al reo, salvo il limite
derivante dal giudicato.
    Secondo il giudice a quo tale ultima disposizione, riguardando le
norme  penali  sostanziali,  non  troverebbe  applicazione nella fase
esecutiva  della  pena. Ne' sarebbe utilmente invocabile il principio
di   irretroattivita'   della   legge   meno  favorevole,  posto  che
l'orientamento   consolidato   della   giurisprudenza  costituzionale
circoscriverebbe  alle  sole  norme  penali incriminatici l'ambito di
operativita' dell'art. 25, secondo comma, Cost.
    Il  rimettente  richiama  nondimeno la giurisprudenza della Corte
costituzionale   circa   i   limiti   che   il  legislatore  incontra
nell'adottare  norme dotate di efficacia retroattiva, le quali devono
trovare  «adeguata  giustificazione sul piano della ragionevolezza» e
non  possono  porsi  in  contrasto  «con  altri  valori  ed interessi
costituzionalmente protetti».
    Tali   limiti,   a  parere  del  giudice  a  quo,  risulterebbero
travalicati   dalle   disposizioni   censurate,   con   le  quali  il
legislatore,  modificando  con efficacia retroattiva l'art. 58-quater
della  legge  n. 354  del  1975,  ha  introdotto nuove presunzioni di
pericolosita',   fondate   l'una  sul  titolo  del  reato  e  l'altra
sull'avvenuta    applicazione   della   recidiva   reiterata,   senza
considerare  ne' il dato temporale dell'epoca del commesso reato, ne'
quello  della  condotta  successiva  del  condannato.  Di  qui la non
manifesta  infondatezza  della  questione concernente le disposizioni
censurate, sotto il profilo della irragionevolezza e della violazione
del  necessario  finalismo  rieducativo  della  pena.  La preclusione
dell'accesso  alla  misura  alternativa  dell'affidamento in prova al
servizio  sociale, in danno dei soggetti che, al momento dell'entrata
in  vigore  della  legge  n. 251 del 2005, abbiano gia' intrapreso un
percorso  riabilitativo,  si tradurrebbe infatti in un ingiustificato
arresto di tale percorso.
    Il  rimettente  evidenzia  come  nel  caso di specie, per effetto
delle   disposizioni   censurate,   l'istante   incorrerebbe  in  una
«sopravvenuta  inammissibilita» della nuova richiesta di affidamento,
pur  riguardando  detta  richiesta  una  pena  irrogata  per un fatto
risalente   nel   tempo,   coevo  a  quello  in  relazione  al  quale
l'interessato  ha  gia' fruito, con esito positivo, di analoga misura
alternativa.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di sorveglianza di Catania ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma, della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 7, commi 6 e 7,
e  10 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale
e  alla  legge  26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in
cui,  modificando  l'art. 58-quater,  commi 1  e  7-bis,  della legge
26 luglio  1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta),
prevedono  che  le  nuove  preclusioni  stabilite  per l'accesso alla
misura  dell'affidamento  in  prova al servizio sociale si applichino
anche  ai  condannati  per  condotte  punibili ai sensi dell'art. 385
codice  penale,  o  recidivi  reiterati,  per  delitti commessi prima
dell'entrata    in    vigore    della    legge   n. 251   del   2005,
«indipendentemente  dal  comportamento  tenuto  successivamente  alla
condanna  e  alla  casuale  data di irrevocabilita' delle sentenze da
eseguire».
    2. - La questione e' fondata.
    2.1.    -   Va   ribadito   che   -   secondo   un   orientamento
giurisprudenziale  costante ed univoco di questa Corte - la finalita'
rieducativa  della  pena, stabilita dall'art. 27, terzo comma, Cost.,
deve   riflettersi   in   modo  adeguato  su  tutta  la  legislazione
penitenziaria.  Quest'ultima  deve  prevedere  modalita'  e  percorsi
idonei  a  realizzare l'emenda e la risocializzazione del condannato,
secondo  scelte  del  legislatore,  le quali, pur nella loro varieta'
tipologica  e nella loro modificabilita' nel tempo, devono convergere
nella  valorizzazione  di  tutti  gli  sforzi  compiuti  dal  singolo
condannato    e    dalle   istituzioni   per   conseguire   il   fine
costituzionalmente sancito della rieducazione.
    La  massima  valorizzazione  dei percorsi rieducativi compiuti da
chi  deve  espiare  una pena mal si concilia con la vanificazione, in
tutto  o  in parte, degli stessi, per effetto di una mera successione
delle leggi nel tempo. Le diverse valutazioni di carattere generale e
preventivo,  operate  dal  legislatore  in  ordine alla previsione di
misure  alternative  alla  detenzione o di benefici penitenziari, non
possono incidere negativamente sui risultati gia' utilmente raggiunti
dal  condannato.  Nell'ipotesi  di  una  sopravveniente normativa che
escluda   da   un   beneficio   una   data   categoria  di  soggetti,
l'applicazione  della  nuova  restrizione  a chi aveva gia' maturato,
secondo  la  previgente  disciplina,  le  condizioni  per  godere del
beneficio  stesso,  rappresenta,  rispetto all'iter rieducativo, «una
brusca   interruzione,   senza  che  ad  essa  abbia  in  alcun  modo
corrisposto  un  comportamento  colpevole  del  condannato» (sentenza
n. 445  del  1997).  Tale  interruzione  pone  nel  nulla le positive
esperienze  gia'  registrate  ed  ostacola  il  raggiungimento  della
finalita'   rieducativa  della  pena  prescritta  dalla  Costituzione
(sentenza n. 137 del 1999). In tal modo «l'opzione repressiva finisce
per  relegare  nell'ombra il profilo rieducativo [...] al di fuori di
qualsiasi  concreta  ponderazione  dei  valori  coinvolti»  (sentenza
n. 257 del 2006).
    2.2.  -  Le norme censurate - da intendersi circoscritte, secondo
la   motivazione   dell'ordinanza   di  rimessione,  alle  previsioni
contenute  nell'art. 7,  commi 6  e  7, della legge n. 251 del 2005 -
incorrono  nel  medesimo  vizio  di  legittimita' costituzionale gia'
riscontrato  da  questa  Corte  nelle norme che hanno formato oggetto
delle  pronunce sopra citate, in quanto escludono i condannati per il
reato di evasione (art. 385 cod. pen.) dalla possibilita' di ottenere
i  benefici  di  cui  all'art. 47  dell'ordinamento  penitenziario ed
escludono,  altresi', che l'affidamento in prova al servizio sociale,
la  detenzione  domiciliare e la semiliberta' possano essere concessi
piu'  di una volta ai recidivi reiterati. Non e' previsto infatti che
i  benefici  in  questione  possano essere concessi, sulla base della
normativa  previgente,  nei  confronti  dei condannati i quali, prima
dell'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto
un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto.
    L'identita'   della   ratio   decidendi  comporta  che  si  debba
dichiarare,  come  nelle  pronunce  di  questa  Corte  sopra  citate,
l'illegittimita'  costituzionale delle norme censurate nella presente
sede, per violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost.