ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 10, comma 1,
lettera c),  e  47, comma 1, lettera i), del d.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917  (Approvazione  del  testo  unico  delle imposte sui redditi),
promosso con ordinanza depositata il 23 giugno 2005 dalla Commissione
tributaria  provinciale  di Udine, nel giudizio vertente tra Giuseppe
De  Anna  e  l'Agenzia  delle entrate - Ufficio di Udine, iscritta al
n. 478  del  registro  ordinanze  2006  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7 marzo 2007 il giudice
relatore Franco Gallo;
    Ritenuto  che, nel corso di un giudizio tributario promosso da un
contribuente   avverso  una  cartella  di  pagamento  -  nella  quale
l'Agenzia   delle   entrate   di  Udine  non  aveva  riconosciuto  la
deducibilita',  ai  fini dell'IRPEF del 2000, dell'assegno di lire 50
milioni,  corrisposto  in  unica  soluzione dal medesimo contribuente
alla  propria  coniuge  -,  la  Commissione tributaria provinciale di
Udine,  con  ordinanza  pronunciata il 22 giugno 2005 e depositata il
giorno  successivo,  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3 e 53
della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale: a)
dell'art. 10,  comma 1,  lettera c)  [quale  sostituito  dall'art. 2,
comma 1,   del   decreto-legge   31 maggio   1994,   n. 330,  recante
«Semplificazione  di  talune  disposizioni  in  materia  tributaria»,
convertito,  con  modificazioni,  dall'art. 1,  comma 1,  della legge
27 luglio   1994,   n. 473],  del  d.P.R.  22 dicembre  1986,  n. 917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte
in  cui non prevede, ai fini dell'IRPEF, la deducibilita' dal reddito
imponibile  dell'assegno  (non  destinato  al mantenimento dei figli)
corrisposto   al  coniuge  in  unica  soluzione,  in  conseguenza  di
scioglimento  o  annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi
effetti   civili,  nella  misura  in  cui  risulta  da  provvedimenti
dell'autorita'    giudiziaria;    b)    «implicitamente»    e    «con
consequenzialita'  inevitabile»,  dell'art.  47,  comma 1, lettera i)
[come  modificata,  a  decorrere  dal  1° gennaio 2000, dall'art. 13,
comma 1, lettera a, del decreto legislativo 23 dicembre 1999, n. 505,
recante «Disposizioni integrative e correttive dei d.lgs. 2 settembre
1997,  n. 314,  d.lgs.  21 novembre  1997, n. 461, d.lgs. 18 dicembre
1997,  n. 466,  e  d.lgs.  18 dicembre  1997,  n. 467,  in materia di
redditi  di  capitale,  di imposta sostitutiva della maggiorazione di
conguaglio  e  di redditi di lavoro dipendente»], del medesimo d.P.R.
n. 917  del  1986,  nella  parte  in  cui non comprende tra i redditi
assimilati  a  quelli  di  lavoro  dipendente  e, quindi, nel reddito
imponibile, l'importo del predetto assegno percepito dal coniuge;
        che,  dopo  aver  premesso  che  la  medesima  questione - in
relazione  all'art. 10,  comma 1,  lettera c),  del d.P.R. n. 917 del
1986  - e' stata gia' dichiarata manifestamente infondata dalla Corte
costituzionale con l'ordinanza n. 383 del 2001, il giudice rimettente
afferma  di  voler  prospettare  «nuovi  motivi e diversi profili» di
illegittimita'  costituzionale, tali da indurre la Corte a «rivedere»
detta decisione;
        che,  ad  avviso  del giudice a quo, la Corte costituzionale,
nella citata ordinanza, non avrebbe adeguatamente considerato: a) che
l'accordo raggiunto dalle parti, ai sensi dell'art. 5, comma 8, della
legge  1° dicembre  1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento
del  matrimonio)  [comma  introdotto dall'art. 10 della legge 6 marzo
1987,  n. 74,  recante  «Nuove  norme  sulla  disciplina  dei casi di
scioglimento  di matrimonio»], circa l'adempimento in unica soluzione
- invece che mediante assegni periodici - dell'obbligazione derivante
dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, «vale
[...] a determinare il «modo» di estinzione dell'obbligazione, ma non
ne  muta  la  natura», data la «perfetta equivalenza sotto il profilo
giuridico  e  funzionale»  di  tale  forma  di adempimento con quella
rappresentata da esborsi periodici, rispetto alla comune finalita' di
sovvenire il coniuge economicamente piu' debole, in conformita' ad un
provvedimento  giudiziario;  b) il pagamento una tantum di un assegno
al  coniuge  -  in  misura corrispondente alla capitalizzazione di un
assegno  periodico  -  e' fatto idoneo a ridimensionare l'entita' dei
rilevatori  di ricchezza di chi ha effettuato l'esborso e, quindi, ad
incidere  sulla  capacita'  contributiva  del  solvens,  al  pari del
pagamento  di  assegni  periodici;  c) l'indeducibilita' dell'assegno
corrisposto  una  tantum,  prevista  dal  censurato art. 10, comma 1,
lettera c),  del  d.P.R. n. 917 del 1986, comporta una ingiustificata
disincentivazione  del  ricorso  dei  coniugi a tale tipo di assegno,
rispetto  agli  assegni  periodici,  dalla legge considerati, invece,
deducibili;
        che,  per il rimettente, tali considerazioni evidenzierebbero
il  contrasto  tra il citato art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R.
n. 917  del 1986 e gli evocati parametri costituzionali, senza che in
contrario  possano  valere  i due argomenti a suo tempo addotti dalla
Corte  costituzionale  nella  menzionata  ordinanza n. 383 del 2001 e
basati,  il  primo,  sul  fatto  che  il  legislatore  gode  di ampia
discrezionalita'  nel prevedere o nell'escludere la deducibilita' dal
reddito imponibile di oneri e spese, e, il secondo, sulla circostanza
che  l'importo  dell'assegno  corrisposto una tantum non potrebbe mai
essere  considerato  deducibile  dal  reddito  imponibile  di  chi lo
corrisponde,  non  risultando  detto  importo  compreso  -  ai  sensi
dell'art. 47, comma 1, lettera i), del d.P.R. n. 917 del 1986 - tra i
redditi  assimilati  a  quelli  di  lavoro  dipendente e, quindi, nel
reddito imponibile di chi lo ha percepito;
        che,  in  proposito,  il giudice rimettente replica, al primo
argomento, che la discrezionalita' del legislatore incontra, appunto,
il limite della ragionevolezza; al secondo, che «nulla osta affinche'
la Corte dichiari l'illegittimita' costituzionale tanto della mancata
previsione  di  deducibilita'  [...]  quanto,  con  consequenzialita'
inevitabile,  la mancata previsione di imponibilita», e cio' perche',
«nel  chiedere  la  declaratoria di incostituzionalita' della mancata
previsione  di deducibilita', implicitamente viene richiesto anche la
declaratoria della mancata previsione di imponibilita»;
        che,  quanto  alla  rilevanza  delle  sollevate questioni, il
giudice a quo si limita ad affermarne la sussistenza;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che la Corte dichiari: a) l'inammissibilita' della
questione  relativa  all'art. 10,  comma 1,  lettera c),  del  d.P.R.
n. 917  del  1986, perche' il rimettente ripropone pedissequamente le
stesse   problematiche   gia'   esaminate   e   risolte  dalla  Corte
costituzionale  con  l'ordinanza  n. 383  del  2001;  b) la manifesta
inammissibilita'   della  questione  relativa  all'art. 47,  comma 1,
lettera i), del medesimo d.P.R. n. 917 del 1986, sia perche' estranea
all'oggetto  del  giudizio  principale,  sia  perche'  il  rimettente
propone un intervento additivo non compreso tra le attribuzioni della
Corte  costituzionale; c) la manifesta infondatezza, in ogni caso, di
entrambe   le  questioni,  perche'  il  giudice  a  quo  erroneamente
identifica, sia in relazione al principio di uguaglianza che a quello
della  capacita' contributiva, due situazioni giuridicamente diverse,
assimilando  il  pagamento  periodico  dell'assegno  (situazione  che
configura  una  componente  reddituale,  imponibile per l'accipiens e
deducibile  per  il  solvens)  al  pagamento  dell'assegno  in  unica
soluzione   (situazione   che,   invece,   realizza  uno  spostamento
patrimoniale  di  ricchezza,  non riferibile ad un singolo periodo di
imposta  e  non  configurabile  quale componente del reddito, ne' dal
punto di vista dell'accipiens ne' da quello del solvens).
    Considerato  che  la  Commissione tributaria provinciale di Udine
dubita,  in  riferimento  agli artt. 3 e 53 della Costituzione, della
legittimita'   sia  dell'art. 10,  comma 1,  lettera c),  del  d.P.R.
22 dicembre  1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte
sui  redditi), nella parte in cui non prevede, ai fini dell'IRPEF, la
deducibilita'  dal  reddito imponibile dell'assegno (non destinato al
mantenimento dei figli) corrisposto al coniuge in unica soluzione, in
conseguenza  di  scioglimento  o  annullamento  del  matrimonio  o di
cessazione  dei  suoi  effetti civili, nella misura in cui risulta da
provvedimenti  dell'autorita'  giudiziaria;  sia - «implicitamente» e
«con   consequenzialita'   inevitabile»   -   dell'art. 47,  comma 1,
lettera i),  del  medesimo d.P.R. n. 917 del 1986, nella parte in cui
non  comprende tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente
e,  quindi,  nel  reddito  imponibile, l'importo del predetto assegno
percepito dal coniuge;
        che  il  giudice  rimettente,  nel riproporre, in riferimento
alla  prima  delle due disposizioni denunciate, la medesima questione
gia'   dichiarata   da  questa  Corte  manifestamente  infondata  con
l'ordinanza  n. 383  del 2001, afferma di prospettare «nuovi motivi e
diversi  profili» di illegittimita' costituzionale, rispetto a quelli
a suo tempo esaminati dalla Corte;
        che,   secondo  la  Commissione  tributaria  provinciale,  il
vigente  testo  dell'art. 5,  comma 8,  della legge 1° dicembre 1970,
n. 898   (Disciplina   dei  casi  di  scioglimento  del  matrimonio),
evidenzierebbe  che il pagamento al coniuge di un assegno una tantum,
stabilito - sempre secondo la stessa Commissione - per effetto di «un
accordo tra privati i quali decidano di capitalizzare la somma dovuta
da   uno   all'altro»,   e'  perfettamente  equivalente,  per  natura
giuridica,  finalita'  e  fondamento  normativo,  al  pagamento di un
assegno periodico, stabilito iussu iudicis, perche' tali due forme di
pagamento  costituiscono  modi  diversi  di estinzione della medesima
obbligazione   ed   entrambe   presuppongono,   «a  monte  [...],  un
provvedimento   giudiziario   che   dispone   tanto  l'obbligo  della
corresponsione quanto l'entita' della stessa»;
        che,  per  il  rimettente,  il  denunciato  art. 10, comma 1,
lettera c),   del   d.P.R.   n. 917   del   1986,  nel  prevedere  la
deducibilita'  dall'imponibile  dell'IRPEF  dell'assegno  periodico e
l'indeducibilita' dell'assegno corrisposto una tantum, determinerebbe
una  «irrazionale disparita' di trattamento» fiscale di due modalita'
di    pagamento    equivalenti,    finendo   «irragionevolmente   per
disincentivare»,  mediante  la  creazione  di  «svantaggi  di  ordine
economico»,  il  ricorso ad un «istituto previsto dalla legge», quale
il pagamento dell'assegno in unica soluzione, con conseguente lesione
dei   principi   costituzionali   di  uguaglianza,  ragionevolezza  e
capacita' contributiva;
        che,  ad  avviso  del  giudice a quo, contrariamente a quanto
affermato  dalla  Corte  costituzionale nella citata ordinanza n. 383
del  2001, la censurata disposizione non puo' trovare giustificazione
nella  discrezionalita' del legislatore in tema di individuazione dei
casi di deducibilita' dall'imponibile di oneri e spese, perche' anche
tale discrezionalita' incontra il limite della ragionevolezza;
        che  il  giudice  rimettente, al rilievo (anch'esso contenuto
nella  suddetta  ordinanza della Corte costituzionale) secondo cui la
richiesta   deducibilita'   dell'assegno   corrisposto   una   tantum
comporterebbe  la  necessita'  di  regolare,  con scelte spettanti al
legislatore,  la  corrispondente  obbligazione  tributaria in capo al
percipiente,   oppone   che,   «nel   chiedere   la  declaratoria  di
incostituzionalita'   della   mancata  previsione  di  deducibilita',
implicitamente  viene  richiesto  anche la declaratoria della mancata
previsione di imponibilita»;
        che,    per    la   Commissione   tributaria,   deve   essere
consequenzialmente  dichiarata  l'illegittimita' costituzionale anche
dell'art. 47,  comma 1, lettera i), del d.P.R. n. 917 del 1986, nella
parte  in  cui  non  comprende  tra  i redditi assimilati a quelli di
lavoro  dipendente  e,  quindi,  nel  reddito  imponibile,  l'importo
dell'assegno percepito in unica soluzione dal coniuge;
        che  la questione concernente l'art. 10, comma 1, lettera c),
del  d.P.R.  n. 917 del 1986 e' manifestamente infondata, non essendo
stati  prospettati profili diversi da quelli gia' esaminati da questa
Corte  nell'ordinanza  n. 383  del  2001 o comunque tali da indurre a
mutare orientamento;
        che,  in  particolare,  la Commissione tributaria provinciale
ripropone   l'erronea   tesi  della  «perfetta  equivalenza»  tra  il
pagamento  tramite  un  assegno periodico e quello tramite un assegno
corrisposto  in  unica  soluzione ed afferma che quest'ultimo assegno
sarebbe  l'effetto  di  «un  accordo  tra privati i quali decidano di
capitalizzare la somma dovuta da uno all'altro»;
        che  invece,  come questa Corte ha gia' rilevato nella citata
ordinanza,  le due suddette forme di adempimento, pur avendo entrambe
la  funzione  di  regolare  i  rapporti  patrimoniali derivanti dallo
scioglimento  o  dalla  cessazione  del  vincolo  matrimoniale, hanno
connotazioni  giuridiche  e  di fatto diverse, tali da legittimare il
legislatore  a  prevedere, nella sua discrezionalita', diversi regimi
fiscali;
        che,  infatti,  mentre l'assegno periodico e' determinato dal
giudice  in  base ai parametri indicati dal comma 6 dell'art. 5 della
legge n. 898 del 1970, con possibilita' di revisione (in aumento o in
diminuzione),  ai  sensi  dell'art. 9,  comma 1,  della stessa legge,
invece  l'assegno  versato una tantum non corrisponde necessariamente
alla  capitalizzazione  dell'assegno  periodico,  ma  e'  liberamente
concordato  dalle  parti  -  sia  pure con soggezione al controllo di
equita'  da  parte  del giudice -, al fine di fissare un definitivo e
complessivo   assetto   degli   interessi   personali,   familiari  e
patrimoniali  dei coniugi, tale da precludere ogni successiva domanda
di contenuto economico (comma 8 del citato art. 5);
        che  tali  differenze - le quali hanno indotto parte cospicua
della  dottrina  e della giurisprudenza ad attribuire all'accordo per
il   pagamento  una  tantum  una  peculiare  natura  «transattiva»  o
«novativa»,  oltre che «aleatoria» - sono state non irragionevolmente
prese  in  considerazione  dal  legislatore  fiscale nella denunciata
disciplina   della  deducibilita'  di  tali  assegni  dall'imponibile
dell'IRPEF;
        che,  infatti,  il legislatore, nel caso di corresponsione di
un  capitale  una  tantum  -  sicuramente  di  importo maggiore di un
assegno  periodico  -,  ha  preferito  tutelare l'accipiens (cioe' il
coniuge  economicamente  piu'  debole  che,  ai  sensi  dell'indicato
comma 6  dell'art. 5  della  legge  n. 898  del  1970,  «non ha mezzi
adeguati o comunque non puo' procurarseli per ragioni oggettive») non
assoggettandolo  a  tassazione  per  il  relativo importo e lasciando
simmetricamente  immutato  l'ordinario  carico  fiscale  del solvens,
senza prevedere, quindi, alcuna deduzione per tale esborso;
        che  lo stesso legislatore, nel caso degli assegni periodici,
ha  invece  ritenuto  di  assimilarli ai redditi di lavoro dipendente
assoggettandoli  a  tassazione in capo al coniuge che li percepisce e
correlativamente,  al  fine  di  evitare  doppie  imposizioni,  li ha
considerati oneri deducibili da parte del coniuge che li corrisponde;
e cio', in ragione sia della loro periodicita' (e, quindi, della loro
pertinenza  a  piu'  periodi d'imposta) sia della possibilita' di una
loro revisione economica per sopraggiunti giustificati motivi;
        che,   data   la   diversita'  delle  evidenziate  situazioni
giuridiche  e  di  fatto,  la  discrezionalita' del legislatore circa
l'individuazione  dei  casi  di  deducibilita'  di  oneri e spese dal
reddito  imponibile del solvens e' stata esercitata, nella specie, in
modo  non  irragionevole  al  fine di perseguire finalita' sociali di
tutela  differenziata  dei  coniugi,  tenendo  conto della diversita'
delle situazioni;
        che    l'accoglimento    della    sollevata    questione   di
illegittimita'  costituzionale  non  farebbe, comunque, venir meno la
denunciata   disincentivazione   del   ricorso   all'istituto   della
corresponsione    una    tantum    dell'assegno,    ma    addirittura
l'aggraverebbe,  perche'  il  carico fiscale, concentrato in un unico
periodo   d'imposta,  verrebbe  trasferito  all'accipiens  (cioe'  al
coniuge   economicamente  piu'  debole)  e  quest'ultimo  -  date  la
progressivita'  dell'IRPEF  e  l'assenza  di  un regime di tassazione
separata  per  la  somma  cosi'  percepita  in  unica  soluzione - si
vedrebbe  assoggettato  ad  aliquote  marginali d'imposta superiori a
quelle  applicabili,  in una pluralita' di periodi d'imposta, con gli
assegni periodici;
        che,  infine,  alla  dichiarazione  di manifesta infondatezza
della  questione  concernente  l'art. 10,  comma 1,  lettera c),  del
d.P.R.  n. 917 del 1986 consegue identica pronuncia con riguardo alla
questione  concernente  l'art. 47,  comma 1, lettera i), dello stesso
d.P.R. n. 917 del 1986;
        che,  infatti,  quest'ultima questione e' stata sollevata dal
giudice  a  quo  sulla  premessa  della illegittimita' costituzionale
dell'indicato  art. 10,  comma 1,  lettera c),  del d.P.R. n. 917 del
1986,  con  la conseguenza che la sopra accertata erroneita' di detta
premessa comporta la manifesta infondatezza della questione medesima.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.