ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 324 del codice
di  procedura penale, promosso con ordinanza del 20 dicembre 2004 dal
Tribunale  di  Parma  sulla  richiesta di riesame proposta da P.E. ed
altri,  iscritta  al  n. 240 del registro ordinanze 2005 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 19, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7 marzo 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che, con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Parma
ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 111,  secondo  comma, della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 324
del  codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui  - secondo
l'interpretazione  fornita  dalla Corte di cassazione, vincolante per
il giudice a quo perche' espressa, quale principio di diritto, in una
sentenza  di  annullamento con rinvio - limita i poteri del tribunale
del  riesame,  nel  caso  di  impugnazione di un decreto di sequestro
preventivo,  alla  verifica  della  «sola  astratta  possibilita'  di
sussumere  il  fatto  attribuito  ad  un  soggetto in una determinata
ipotesi  di  reato,  senza  alcuna  possibilita'  di  verificare, nel
singolo  caso  concreto  - sulla base dei fatti per come indicati dal
pubblico  ministero  ed  esaminati  alla  luce  delle  argomentazioni
difensive  -  se  sia  ravvisabile  il  fumus  del  reato prospettato
dall'accusa»;
        che  il  rimettente  premette,  in fatto, che il Tribunale di
Parma  aveva  revocato,  in  sede di riesame, il decreto di sequestro
preventivo  di  un  complesso  immobiliare  - disposto in relazione a
supposte  irregolarita'  dell'aggiudicazione  di  una gara pubblica -
ritenendo  insussistente  il «fumus» dell'ipotizzato delitto di abuso
di  ufficio, stante l'assenza di prova circa l'intento della pubblica
amministrazione  di  procurare  un  ingiusto  vantaggio alla societa'
aggiudicataria;
        che,  in  accoglimento  del  ricorso  proposto  dal  pubblico
ministero,   la  Corte  di  cassazione  aveva  annullato  con  rinvio
l'ordinanza  di revoca, sul rilievo che il Tribunale aveva esorbitato
dai  limiti della cognizione del giudice in sede di riesame di misure
cautelari  reali,  arrogandosi  compiti  propri dell'accertamento sul
merito dell'imputazione;
        che,  al riguardo, la Corte di cassazione aveva enunciato, in
particolare,  il principio di diritto in forza del quale «la verifica
della  legittimita'  del  provvedimento  con cui e' stato disposto un
sequestro preventivo non puo' sconfinare nel sindacato sulla concreta
fondatezza  dell'accusa,  dovendosi contenere nella valutazione della
astratta possibilita' di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto
in  una determinata ipotesi di reato (fumus delicti)» e nel riscontro
del   periculum   in   mora,   ossia   del  pericolo  che  la  libera
disponibilita'  della  cosa  pertinente  al  reato  possa agevolare o
protrarre  le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri
reati;
        che, in tale prospettiva - sempre alla stregua dell'enunciato
principio di diritto - «esula [...] dal controllo affidato al giudice
della   cautela   reale  non  solo  il  concreto  accertamento  delle
circostanze  di  fatto su cui l'accusa e' fondata, ma anche l'analisi
dell'elemento  psicologico  del  reato, a meno che la carenza di esso
sia  rilevabile ictu oculi» (evenienza, quest'ultima, non ravvisabile
nel caso di specie, stando agli stessi dati argomentativi offerti dal
Tribunale):  e  cio'  in  quanto,  diversamente opinando, si verrebbe
impropriamente ad anticipare alla fase cautelare «una decisione sulle
questioni di merito, in un contesto in cui lo sviluppo delle indagini
in corso non consente ancora una focalizzazione dell'imputazione e le
determinazioni  del  pubblico ministero circa l'esercizio dell'azione
penale»;
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  l'interpretazione offerta
dalla  Corte  di  cassazione - vincolante per il rimettente stesso in
quanto  giudice  del  rinvio,  ai  sensi dell'art. 627, comma 3, cod.
proc.  pen.  -  porrebbe  l'art. 324  cod.  proc. pen. (che regola il
procedimento  di  riesame  delle misure cautelari reali, in forza dei
richiami  ad  esso operati dagli artt. 318 e 322 dello stesso codice)
in contrasto con l'art. 111, secondo comma, Cost;
        che,  alla  luce  della regula iuris enunciata dalla sentenza
rescindente,  il  compito  del  giudice  del  riesame  del decreto di
sequestro  preventivo  sarebbe  limitato,  infatti,  ad  una  mera ed
astratta «verifica cartolare» della corrispondenza tra le imputazioni
concretamente   formulate   dall'accusa   e  «la  rubrica  dei  reati
presupposti»:  ossia  ad  una  indagine  basata  su  indici puramente
estrinseci  e  formali,  che non consentirebbe, di fatto, il doveroso
controllo  delle  condizioni  che  legittimano  l'applicazione  della
misura di cautela reale;
        che,  in  tal modo, detto giudice verrebbe dunque privato del
potere-dovere  di  esercitare  -  sia  pure  nell'ambito  delle  «non
censurabili  indicazioni  di  fatto offerte dal pubblico ministero» -
quel controllo di legalita' che e' insito nel principio di «terzieta»
della  giurisdizione:  vulnus,  questo, desumibile, in assunto, anche
dalla  sentenza n. 48 del 1994 di questa Corte, che - pur dichiarando
non  fondata  una  analoga  questione  di legittimita' costituzionale
degli  artt. 321 e 324 cod. proc. pen. - ha basato tale decisione sul
rilievo  che  «neppure e' a dirsi che il controllo del giudice» della
cautela  reale «non possa in alcun modo spingersi all'esame del fatto
per il quale si procede»;
        che  il  giudice a quo invoca, di conseguenza, una «pronuncia
additiva»   che   permetta   al   giudice  del  riesame  -  sia  pure
incidentalmente  ed  ai  soli  fini  del  sequestro  -  «la  puntuale
verifica, nel contraddittorio delle parti, della concreta commissione
di un fatto oggettivamente antigiuridico»;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura     generale    dello    Stato,    concludendo    per
l'inammissibilita' della questione: cio' in quanto, secondo la difesa
erariale,   il  problema  evocato  dal  giudice  a  quo  ammetterebbe
molteplici  soluzioni, la scelta fra le quali resterebbe rimessa alla
discrezionalita' del legislatore.
    Considerato  che  il  Tribunale  di  Parma dubita, in riferimento
all'art. 111,  secondo  comma, della Costituzione, della legittimita'
costituzionale  dell'art. 324  cod.  proc. pen., nella parte in cui -
secondo   l'interpretazione   offerta   dalla  Corte  di  cassazione,
vincolante  per il rimettente in quanto giudice del rinvio - limita i
poteri del tribunale del riesame, in caso di impugnazione del decreto
di   sequestro   preventivo,  «alla  sola  astratta  possibilita'  di
sussumere  il  fatto  attribuito  ad  un  soggetto in una determinata
ipotesi  di reato, senza possibilita' di verificare, nel singolo caso
concreto  -  sulla  base  dei  fatti  per  come indicati dal pubblico
ministero  ed esaminati alla luce delle argomentazioni difensive - se
sia ravvisabile il fumus del reato prospettato dall'accusa»;
        che,  ad avviso del rimettente, una simile configurazione dei
poteri   del   giudice   del   riesame   -   limitando   la  funzione
giurisdizionale  di  quest'ultimo  alla  sola verifica della astratta
configurabilita'  del reato ipotizzato dall'accusa a fondamento della
cautela   reale  -  non  consentirebbe  un  effettivo  «controllo  di
legalita»  sulla  misura,  alterando  cosi'  la condizione di parita'
delle  parti  e  compromettendo,  in  pari  tempo,  la  terzieta' del
giudice;
        che  la  questione proposta finisce, tuttavia, per risolversi
in  una impropria richiesta, a questa Corte, di «interpretazione» del
principio di diritto che il rimettente e' chiamato ad applicare, come
dimostra  anche  il  carattere  meramente  «discorsivo»  del petitum,
insuscettibile di tradursi nei contenuti necessariamente specifici di
una «pronuncia additiva» di illegittimita' costituzionale;
        che  il  rimettente non si adopera, in effetti, per ricercare
un'interpretazione  di  detto  principio  conforme  a  quella  che il
rimettente  stesso  reputa  essere  una  lettura  «costituzionalmente
orientata» dei poteri dell'organo del riesame;
        che  il  giudice  a  quo  assume,  difatti, in modo del tutto
apodittico,  che  -  per  effetto del vincolo scaturente dalla regula
iuris  enunciata  dalla  Corte  di  legittimita'  - il proprio potere
giurisdizionale  resterebbe  circoscritto  ad un riscontro, puramente
«estrinseco» e «cartolare», dei presupposti di adozione del sequestro
preventivo,  senza  alcuna  possibilita'  di  verificare se, nel caso
concreto,   «sia   ravvisabile   il   fumus   del  reato  prospettato
dall'accusa»;
        che,  in  realta'  - alla luce delle indicazioni della stessa
ordinanza  di  rimessione - il principio di diritto, cui il giudice a
quo  e'  tenuto  ad uniformarsi, si limita a fissare, nel solco di un
risalente  e consolidato indirizzo giurisprudenziale, la preclusione,
per  il  giudice  del riesame delle cautele reali, di un accertamento
sul  merito  dell'azione  penale, nella precipua ottica di evitare un
sindacato  sulla  concreta fondatezza dell'accusa compiuto nella fase
delle indagini preliminari;
        che, piu' in particolare, il nucleo centrale del principio in
parola  -  per  quel  che  espone  lo  stesso  giudice a quo - non si
discosta  dal tradizionale (e incontestato) rilievo secondo il quale,
riguardo alle misure cautelari reali, non e' richiesto il presupposto
della  gravita'  indiziaria,  postulato,  invece,  in tema di cautele
personali,   in   correlazione   alla  diversita'  -  pure  di  rango
costituzionale - dei valori coinvolti;
        che  una  simile  ratio  si riflette anche sulla ampiezza del
sindacato   giurisdizionale   relativo   alla  verifica  della  «base
fattuale» richiesta per l'adozione delle misure cautelari: valendo il
paradigma  della  «elevata  probabilita'  di responsabilita» nel caso
delle  misure  cautelari  personali;  ed  il diverso metro del «fumus
commissi delicti» in tema di sequestri: e cio' tenuto conto anche del
fatto    che    il   nesso   di   pertinenzialita'   che,   ai   fini
dell'applicabilita'  della  cautela,  deve sussistere tra oggetto del
sequestro  e  reato, puo' prescindere - secondo il corrente indirizzo
giurisprudenziale  -  da  qualsiasi  profilo  di  responsabilita' del
titolare del bene sequestrato;
        che,  in  questa  prospettiva, il principio di diritto de quo
non  risulta  dunque  prescrivere  soltanto  un  controllo  meramente
«cartolare» e formale; ne', correlativamente, esso risulta impedire -
negli  ovvi  limiti, dianzi ricordati, propri del giudizio di riesame
delle  misure  cautelare  reali  -  la  verifica,  «nel  singolo caso
concreto», del «fumus» del reato ipotizzato dall'accusa, come risulta
evidente,  nella  specie, dall'esplicito riferimento del principio di
diritto stesso alla rilevabilita' del difetto di elemento soggettivo,
purche' ictu oculi;
        che  la  mancata  verifica,  da  parte  del rimettente, delle
effettive  preclusioni  scaturenti dal principio di diritto affermato
nella    sentenza   rescindente   rende,   pertanto,   la   questione
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.