ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 86 del decreto
del   Presidente   della   Repubblica   29 settembre   1973,   n. 602
(Disposizioni  sulla riscossione delle imposte sul reddito), promosso
con   ordinanza  del  24 maggio  2006  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  della Sicilia, sul ricorso proposto da Puccio Diego contro
la  S.p.a.  Montepaschi  Se.Ri.T.  -  Servizio riscossione tributi ed
altri,  iscritta  al  n. 535 del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 48, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 21 marzo 2007 il giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Ritenuto  che, con ordinanza in data 24 maggio 2006, il Tribunale
amministrativo  regionale  della Sicilia ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3,  24,  103  e  113  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 86  del  d.P.R.  29 settembre
1973,  n. 602  (Disposizioni  sulla  riscossione  delle  imposte  sul
reddito),  «nella  parte  in  cui  risulta  interpretato,  secondo il
diritto  vivente,  nel  senso  di  attribuire al giudice ordinario la
giurisdizione  sulle  controversie in materia di fermo tributario dei
veicoli   da   esso   previsto,  sul  presupposto  della  natura  non
autoritativa del potere esercitato»;
        che   -  premesso  che  il  giudizio  a  quo  ha  ad  oggetto
l'impugnazione  della  nota  emessa dalla concessionaria del servizio
riscossione tributi S.p.a. Montepaschi Se.Ri.T. di Palermo, avente ad
oggetto  il  preavviso  di  fermo  di beni mobili registrati ai sensi
dell'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, con cui e' stato ingiunto al
ricorrente  il  pagamento  di  un  credito  erariale  entro  un breve
termine, «pena l'applicazione della procedura di fermo amministrativo
di un bene mobile registrato di proprieta' del predetto ricorrente» -
il  Tribunale  amministrativo regionale rimettente rileva che nessuna
disposizione  individua  il  giudice giurisdizionalmente competente a
conoscere  le  liti relative all'applicazione dell'art. 86 del d.P.R.
n. 602  del  1973,  ma  ricorda  che  le Sezioni Unite della Corte di
cassazione, con la ordinanza 31 gennaio 2006, n. 2053, hanno statuito
che  il  giudice  amministrativo  e' privo di giurisdizione in ordine
all'esame  di  domande concernenti la legittimita' delle procedure di
fermo  amministrativo  (e,  conseguentemente,  delle connesse domande
cautelari),  essendo  queste  devolute alla giurisdizione del giudice
ordinario, in considerazione del fatto che il fermo amministrativo e'
atto   funzionale   all'espropriazione   forzata  (quindi,  mezzo  di
realizzazione del credito) e che il concessionario non esercita alcun
potere di supremazia in materia di pubblici servizi;
        che,  ad  avviso del rimettente, la dialettica interpretativa
circa   l'attribuzione   della   cognizione   delle  liti  sul  fermo
amministrativo al giudice ordinario o al giudice amministrativo si e'
doverosamente  arrestata  a  seguito della recente presa di posizione
del   giudice   del  riparto  della  giurisdizione:  l'esegesi  della
disposizione   censurata,   nel   senso   che   le  liti  concernenti
l'applicazione  dell'art. 86  del  d.P.R.  n. 602 del 1973, in quanto
relative  alla tutela di diritti soggettivi, devono essere conosciute
dal giudice ordinario, ha prodotto una norma che non si presta ad una
interpretazione   (adeguatrice)  difforme,  provenendo  essa  non  da
qualsiasi, ma appunto dal giudice del riparto;
        che  cio'  premesso,  per  lo  stesso  rimettente,  il  fermo
amministrativo   e'   uno  strumento  di  autotutela  della  pubblica
amministrazione,   posto   in  essere  mediante  atti  aventi  natura
provvedimentale,  non  essendo  possibile  rinvenire, ne' nel diritto
processuale  civile,  ne'  nel  diritto  privato (comune o speciale),
istituti che, nell'ambito dei rapporti iure privatorum, consentano ad
una  delle  parti  di aggredire il patrimonio della controparte senza
l'intervento  di  un  giudice,  con  le caratteristiche di disciplina
proprie del fermo di beni mobili registrati;
        che  il  giudice  a  quo  osserva  inoltre  che, con il fermo
amministrativo,   l'amministrazione  creditrice  aggredisce  un  bene
mobile  del  debitore  che  non  ha nulla a che vedere con le ragioni
della pretesa creditoria, solo perche' ritiene di indurre in tal modo
il  medesimo  debitore,  mediante le incisive limitazioni arrecate al
diritto   di   proprieta'   e   alla   liberta'  di  circolazione  di
quest'ultimo,   a  preferire  l'adempimento  del  debito:  un  simile
privilegio  si  giustificherebbe,  ad  avviso del rimettente, solo in
ragione della natura pubblica del soggetto creditore e della connessa
posizione  di  supremazia, e confermerebbe la natura autoritativa del
relativo   potere,   il  cui  esercizio  e'  idoneo  a  sottrarre  al
proprietario  di  un  bene i piu' significativi contenuti del diritto
dominicale,   con   effetti   limitativi   anche  sulla  liberta'  di
circolazione  (trattandosi  di  autoveicoli e motoveicoli), senza una
connessione qualificata con il credito azionato;
        che   secondo   il  giudice  a  quo,  diversamente  opinando,
ritenendo  cioe'  -  con le Sezioni Unite della Corte di cassazione -
che  l'istituto  del  fermo  amministrativo sia un ordinario mezzo di
realizzazione  del  credito, si legittimerebbe sul piano teorico e su
quello  costituzionale  la  possibilita'  di  introdurre, anche nella
disciplina dei rapporti tra privati, mezzi di autotutela conservativa
ed esecutiva del credito non limitati ai beni oggetto dello specifico
rapporto,  senza  necessita'  di  intervento del giudice: il che - si
sostiene  -  priverebbe della sua funzione, e della sua stessa ragion
d'essere, il processo esecutivo, o quanto meno lo relegherebbe in una
prospettiva del tutto residuale;
        che,  cio'  premesso  sulla  natura  dell'atto  impugnato, il
giudice  a  quo  ritiene  che  la sollevata questione si incentri sui
poteri  di  cognizione del giudice, funzionali ad assicurare un pieno
ed  efficace  diritto di difesa al debitore sottoposto alla procedura
di  fermo  amministrativo, tenuto conto che il giudice amministrativo
esercita un controllo di legittimita' molto piu' penetrante di quello
esercitato dai giudici ordinari;
        che,  secondo  il  giudice  a  quo,  la' dove il legislatore,
derogando  allo  schema  - non costituzionalizzato, ma rispondente ad
una  precisa  ratio  legis  collegata  alla  diversita' del sindacato
giurisdizionale  -  introdotto dalla legge abolitrice del contenzioso
amministrativo,  intenda devolvere al giudice ordinario la cognizione
sulla  legittimita'  dell'esercizio  del  potere  autoritativo,  deve
espressamente stabilirlo con una disposizione che comunque garantisca
una  efficace  tutela  dell'interesse  legittimo  che fronteggia tale
potere  (altrimenti  la tutela, per Costituzione, non puo' che essere
data  dal  giudice  che  invece  e'  dotato  dei  necessari poteri di
cognizione  e  di  decisione): infatti, la' dove il legislatore (come
nel  caso  previsto  dall'art. 214 del codice della strada) ha inteso
attribuire    al    giudice   ordinario   la   cognizione   di   liti
sull'applicazione  del fermo amministrativo, derogando al criterio di
riparto  fondato  sulla natura della situazione giuridica soggettiva,
lo ha fatto espressamente;
        che  la  scelta  del  legislatore,  esplicitata  dal suddetto
diritto  vivente,  sarebbe,  ad avviso del rimettente, irragionevole,
perche',   di   fronte   all'attribuzione   normativa  di  un  potere
autoritativo, assegnerebbe il sindacato sull'esercizio di tale potere
al giudice dei diritti, come se gli effetti riguardassero un rapporto
paritario;
        che, sotto un diverso profilo, l'interpretazione dell'art. 86
del  d.P.R.  n. 602 del 1973, che attribuisce al giudice ordinario la
cognizione  delle  controversie concernenti la legittimita' del fermo
amministrativo  e  la tutela delle situazioni soggettive del debitore
esecutato,  sarebbe  in  contrasto  con gli artt. 24, 103 e 113 della
Costituzione,  giacche'  la  devoluzione  al  giudice ordinario della
giurisdizione  sugli  atti  di esercizio del potere amministrativo in
materia  di  fermo  amministrativo,  realizzata  non  attraverso  una
espressa  disposizione  di  legge, ma in via surrettizia, mediante la
qualificazione di un mezzo di tutela amministrativa come strumento di
diritto comune, sarebbe viziata ab origine dal condizionamento che la
detta qualificazione opera sulla causa petendi;
        che, ad avviso del rimettente, il segnalato deficit di tutela
non  concerne  solo  il tipo di azioni proponibili davanti al giudice
ordinario e i limiti dei poteri decisori di quest'ultimo, ma anche il
tipo di sindacato sull'atto che dispone il fermo;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale ha concluso per l'inammissibilita' o l'infondatezza
della questione;
        che,  secondo  la difesa erariale, l'insegnamento della Corte
di   cassazione   non   sarebbe   vincolante   quando   il  Tribunale
amministrativo  regionale  ritenga di poter affrontare l'argomento da
un angolo visuale diverso da quello seguito dalla Corte medesima;
        che    nella   specie   ricorrerebbe   proprio   quest'ultima
situazione,  in  quanto il Tribunale amministrativo regionale afferma
che, a fronte del potere di fermo, vi sarebbe un interesse legittimo;
        che,  ad  avviso  dell'Avvocatura, il giudizio incidentale di
costituzionalita'  non  potrebbe essere strumentalizzato e ridotto ad
una   sorta   di  «appello»  avverso  le  decisioni  della  Corte  di
cassazione;
        che sarebbe appunto questo il petitum sostanziale rivolto dal
giudice  a  quo  alla  Corte  costituzionale: affermarsi la natura di
interesse  legittimo  della  posizione  del soggetto destinatario del
fermo,  e  dunque  superarsi  la pronuncia delle Sezioni Unite ovvero
sollecitarne il riesame;
        che  nel  merito,  secondo  la  difesa erariale, la questione
sarebbe  manifestamente  infondata, giacche' nel fermo amministrativo
di   cui   all'art. 86   del   d.P.R.   n. 602   del  1973  sarebbero
indubitabilmente coinvolti diritti soggettivi perfetti: la proprieta'
e  il  credito  sono diritti e la misura del debito tributario non ha
nulla  a  che vedere con la discrezionalita' amministrativa; il fermo
e'  momento  prodromico  dell'esecuzione  forzata, la quale si svolge
dinanzi al giudice ordinario; il ricorso contro il fermo ha natura di
accertamento  negativo della legittimita' dell'iniziativa per difetto
nell'an o nel quantum del credito azionato;
        che  il  giudice ordinario disporrebbe di tutti gli strumenti
processuali,  anche  d'urgenza,  per garantire la piena realizzazione
del   diritto  di  difesa  e  la  disapplicazione  del  fermo,  cioe'
l'accertamento  della  sua  invalidita',  sarebbe  misura idonea alla
soddisfazione dell'interesse della parte privata;
        che,  ad avviso dell'Avvocatura, i riferimenti del rimettente
alla  insufficienza  dei  poteri  del giudice ordinario sarebbero «un
fuor d'opera» per manifesto difetto di rilevanza.
    Considerato  che  la  questione  di  legittimita' costituzionale,
sollevata  dal  Tribunale  amministrativo  regionale della Sicilia in
riferimento  agli  artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, investe
l'art. 86  del  d.P.R.  29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla
riscossione  delle  imposte sul reddito), «nella parte in cui risulta
interpretato,  secondo il diritto vivente, nel senso di attribuire al
giudice  ordinario  la giurisdizione sulle controversie in materia di
fermo  tributario dei veicoli da esso previsto, sul presupposto della
natura non autoritativa del potere esercitato»;
        che  - a norma dell'art. 5 del codice di procedura civile, ai
cui  sensi  la  giurisdizione  si  determina  con riguardo alla legge
vigente  al  momento  della  proposizione  della domanda - non incide
sulla  rilevanza  della  questione  la  circostanza  che, dopo la sua
proposizione   con   l'ordinanza   del   24 maggio  2006,  l'art. 35,
comma 26-quinquies,   del   decreto-legge   4 luglio   2006,   n. 223
(Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio economico e sociale, per il
contenimento  e  la  razionalizzazione  della spesa pubblica, nonche'
interventi   in  materia  di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione
fiscale), inserito dalla relativa legge di conversione 4 agosto 2006,
n. 248,  abbia  integrato  il  disposto  dell'art. 19,  comma 1,  del
decreto   legislativo  31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul
processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30  della  legge  30 dicembre  1991, n. 413), prevedendo la
ricorribilita'   davanti   alle   commissioni  tributarie  anche  del
provvedimento  di «fermo di beni mobili registrati di cui all'art. 86
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29 settembre  1973,
n. 602, e successive modificazioni» (lettera e-ter);
        che,  pur  formalmente  premettendo  di volersi uniformare al
diritto  vivente,  ossia  alla regola di riparto della giurisdizione,
stabilita  dalle  Sezioni  Unite  della  Corte  di cassazione, che ha
affermato  la  giurisdizione  del  giudice  ordinario  a conoscere le
controversie  in  tema di fermo amministrativo dei veicoli, di cui al
citato  art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, in realta' l'ordinanza di
rimessione critica alla radice la scelta interpretativa delle Sezioni
Unite,  sostenendo  -  diversamente  da  queste ultime - che il fermo
amministrativo  non  e' atto funzionale all'espropriazione forzata (e
quindi   mezzo   di  realizzazione  del  credito),  ma  provvedimento
amministrativo   di   natura   autoritativa,  senza  una  connessione
qualificata con il credito azionato;
        che  proprio  in  questa prospettiva, che sviluppa attraverso
una  diversa ricostruzione della natura sostanziale dell'istituto, il
rimettente  perviene  a  censurare  il  diritto  vivente  che,  a suo
giudizio,  attribuirebbe  in  via  surrettizia,  in  assenza  di  una
previsione   di   legge,   la  giurisdizione  al  giudice  ordinario,
qualificando  un mezzo di tutela amministrativa come uno strumento di
diritto comune;
        che  siffatta incongruenza tra la detta formale premessa e il
concreto  svolgimento  del  dubbio di costituzionalita' fa trasparire
che  la  questione  configura  un  improprio tentativo di ottenere da
questa Corte l'avallo della (diversa) interpretazione e ricostruzione
della natura giuridica dell'istituto che il giudice a quo dimostra di
condividere,  cosi' rendendo chiaro un uso distorto dell'incidente di
costituzionalita' (cfr. ordinanza n. 114 del 2006);
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.