ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito
della  richiesta  di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica
di Venezia del 13 ottobre 2005 e del decreto di fissazione di udienza
preliminare   del   Tribunale   di   Venezia,   ufficio  del  giudice
dell'udienza  preliminare,  del  20 ottobre  2005  nei  confronti del
Presidente-consigliere  della  Regione  Veneto Giancarlo Galan per il
reato  di  diffamazione  aggravata  nei  confronti  di  Diego  Gallo,
promosso  con  ricorso  della Regione Veneto notificato il 9 dicembre
2005  e il 26 febbraio 2007, depositato in cancelleria il 15 dicembre
2005 e il 1° marzo 2007, iscritto al n. 30 del registro conflitti tra
enti 2005.
    Udito   nell'udienza   pubblica  dell'8 maggio  2007  il  giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
    Uditi  gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione
Veneto.

                          Ritenuto in fatto

    1. - La Regione Veneto, con ricorso notificato il 9 dicembre 2005
e  depositato  il  successivo  15 dicembre, ha sollevato conflitto di
attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla richiesta di
rinvio a giudizio emessa dalla Procura della Repubblica di Venezia il
13 ottobre  2005  nei  confronti  del  dott.  Giancarlo  Galan  e  al
successivo  decreto di fissazione dell'udienza preliminare emesso dal
Tribunale  di  Venezia, ufficio del giudice dell'udienza preliminare,
il  20 ottobre 2005, ravvisando nei detti provvedimenti la violazione
degli artt. 121, 122, quarto comma, e 123 della Costituzione.
    1.2.  - La Regione premette, in fatto, che il procedimento penale
che  ha  determinato il conflitto ha ad oggetto la querela sporta dal
segretario  della  camera  del  lavoro  di  Venezia, Diego Gallo, nei
confronti  del  Presidente  della Regione Veneto Galan per alcune sue
dichiarazioni rese agli organi di stampa.
    In  particolare,  riferisce  la  ricorrente,  il Presidente della
Regione  con  le  espressioni  oggetto  della  querela  aveva  inteso
rispondere  ad  alcune affermazioni fatte dal querelante nel corso di
una  manifestazione  di  solidarieta'  tenutasi a Venezia subito dopo
l'attentato  dell'11 settembre  2001 con la partecipazione delle piu'
alte  cariche  civili  e religiose. Nel corso di tale manifestazione,
tra  gli  altri,  prendevano  la  parola  lo stesso Galan, che poneva
l'accento  sulla  differenza  tra  una societa' civile e una societa'
fondata  sul fanatismo e l'integralismo, e il segretario della camera
del  lavoro,  Diego  Gallo,  che  invece  diceva testualmente: «no al
fondamentalismo  religioso  e  al  fondamentalismo di mercato, non ci
sara'    mai    pace   senza   giustizia.   E'   crollato   il   mito
dell'inviolabilita'  della piu' grande potenza del mondo e adesso non
possiamo  combattere  il  terrorismo  con  eserciti fantasma. Servono
forme  democratiche  nuove  in cui i popoli possano decidere del loro
destino. Finche' c'e' un Golia ci sara' sempre un Davide».
    Il  Presidente  della  Regione  in  replica  a  tali affermazioni
rilasciava   le   seguenti   dichiarazioni  all'emittente  televisiva
«Televenezia»:  «sentire un intervento come quello del rappresentante
della   CGIL   ...   ecco  mi  indigno.  Mi  indigno  perche'  e'  un
atteggiamento  non  condivisibile ... stupido fino a ieri, da oggi e'
un  atteggiamento  demenziale ... peggio delinquenziale». Tali parole
venivano  poi riportate anche il giorno successivo, 13 settembre, sui
quotidiani «il Gazzettino» e «la Nuova Venezia».
    A  seguito  della  querela sporta dal segretario della camera del
lavoro di Venezia, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Venezia  chiedeva  il  rinvio  a  giudizio  del presidente Galan e il
giudice  dell'udienza  preliminare  emanava  il decreto di fissazione
dell'udienza preliminare.
    La   Regione   Veneto,   ritenendo   l'iniziativa  dell'autorita'
giudiziaria  lesiva  dell'autonomia  del  Presidente  della  Regione,
sancita  dagli  artt. 121,  122  e  123  Cost.,  decideva di proporre
ricorso  per conflitto di attribuzioni avanti la Corte costituzionale
con delibera di Giunta n. 3546/2005.
    1.3.  -  In  diritto  la ricorrente, dopo aver richiamato i punti
fermi  della  giurisprudenza  costituzionale  in  tema  di immunita',
evidenzia  che,  nel  caso di specie, quel che rileva e' la posizione
peculiare  del  consigliere-Presidente  di  Regione, figura del tutto
diversa  da quella del semplice consigliere, in quanto ha la funzione
di rappresentanza della Regione e di direzione politica della Giunta,
alla   quale  si  accompagna  istituzionalmente  la  possibilita'  di
«esternazione  politica»,  potere che, tanto piu' oggi che l'elezione
del Presidente avviene a suffragio universale e diretto, va al di la'
delle  puntuali  competenze  previste  per legge. Il Presidente della
Regione,  ad avviso della ricorrente, avrebbe una sorta di diritto di
rendere  pubblici il significato e la ragione degli atti propri e del
proprio governo dato che ne risponde politicamente. In altri termini,
l'esternazione di valutazioni e orientamenti sui temi dell'attualita'
politica  sarebbe  diretta espressione del munus publicum di cui egli
e' titolare.
    Su  tale  base  dovrebbero considerarsi coperte dall'immunita' le
dichiarazioni  presidenziali,  anche  se  non  ascrivibili a funzioni
tipizzate,  per  il  solo  fatto di essere riferibili o genericamente
connesse   alla   carica   rappresentativa   e   alla   realizzazione
dell'indirizzo  politico  che il corpo elettorale ha scelto quando ha
espresso la sua preferenza.
    1.4  -  La ricorrente, inoltre, sostiene che l'art. 3 della legge
20     giugno 2003,    n. 140    (Disposizioni    per    l'attuazione
dell'articolo 68  della  Costituzione  nonche' in materia di processi
penali  nei  confronti  delle  alte  cariche  dello Stato), ha esteso
l'applicazione sia dell'art. 68, primo comma, Cost. sia, con i dovuti
aggiustamenti,  dell'art. 122,  quarto comma, Cost. ad ogni attivita'
di  ispezione,  di  divulgazione,  di  critica e di denuncia politica
connessa  alla  funzione  parlamentare,  anche se espletata fuori dal
Parlamento.   Ne   consegue  che,  ai  fini  dell'applicazione  della
guarentigia,  per  il legislatore non ha piu' rilievo il fatto che si
discorra  di  atti  tipici  ovvero di atti non tipici e che, quanto a
questi  ultimi,  e'  sufficiente che essi siano contrassegnati da una
semplice connessione (non piu' da uno specifico nesso funzionale) con
la funzione pubblica esercitata.
    La legge n. 140 del 2003, continua la Regione, nell'introdurre la
cosiddetta «pregiudizialita' parlamentare», ha previsto l'obbligo per
il giudice, qualora nel giudizio sia sollevata la relativa eccezione,
di   investire,   previa  sospensione  del  processo,  la  Camera  di
appartenenza  del parlamentare della decisione circa l'applicabilita'
dell'art. 68,   primo   comma,  Cost.  Del  resto,  la  stessa  Corte
costituzionale  ha  affermato  che  «le  prerogative parlamentari non
possono  non  implicare un potere dell'organo a tutela del quale sono
disposte»,  facendone  derivare  che  «la  prerogativa  in  questione
attribuisce  alla  Camera  di  appartenenza  il potere di valutare la
condotta  addebitata ad un proprio membro, con l'effetto, qualora sia
qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in
ordine  ad  essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita»
(sentenze n. 265 del 1997, n. 443 del 1993, n. 1150 del 1988).
    A  parere  della  ricorrente,  sulla  base  di  siffatto impianto
normativo-giurisprudenziale, si potrebbe concludere che, analogamente
alla  delibera  della  Camera, l'atto con cui la Regione interviene a
tutela  del  consigliere  regionale abbia un'efficacia inibitoria del
procedimento giurisdizionale in corso.
    Tale   ultima  soluzione  sarebbe  necessitata  perche':  a)  gli
artt. 122,  quarto  comma, e 68, primo comma, Cost. hanno il medesimo
tenore  letterale;  b) il principio affermato dalla Corte, secondo il
quale  «le  prerogative  parlamentari  non  possono  non implicare un
potere  dell'organo  a  tutela  del  quale  sono disposte» ha portata
generale  applicabile tanto all'assemblea legislativa nazionale che a
quella  regionale; c) attualmente, tutti i soggetti istituzionali che
vengono   a   costituire   la  Repubblica  godono  di  pari  dignita'
costituzionale (art. 114 della Costituzione).
    In  ogni  caso, sostiene la Regione, le dichiarazioni in oggetto,
anche  a  voler  superare  tali  argomentazioni,  sono funzionalmente
connesse  con l'esercizio della funzione legislativa e di indirizzo e
controllo politico oltre che con specifici atti in concreto adottati.
La  Corte  costituzionale  piu'  volte  ha affermato che l'esonero da
responsabilita',   previsto   dall'art. 122,   quarto   comma,  della
Costituzione  per  la  salvaguardia dell'autonomia costituzionalmente
riservata  al Consiglio regionale, ricomprende tutte quelle attivita'
che costituiscono esplicazione di una funzione affidata a tale organo
dalla  stessa  Costituzione  o  da  altre  fonti normative cui questa
rinvia.  Ha  altresi'  precisato,  in  via  generale, che le funzioni
legislative e di indirizzo politico, nonche' quelle di controllo e di
organizzazione,  connotano  il  livello costituzionale dell'autonomia
garantita  alle  Regioni  e  che  l'esercizio  di  esse, riservato al
Consiglio  regionale,  non puo' essere sindacato da organi giudiziari
al   fine  di  accertare  l'eventuale  responsabilita'  dei  soggetti
deputati ad adempierle.
    Le  dichiarazioni  del  Presidente  Galan,  pertanto,  secondo la
Regione,  non  possono ritenersi estranee alle funzioni e al campo di
azione   del   Presidente  della  Regione.  Non  solo  per  il  ruolo
istituzionale  che questi riveste ma anche perche' tali dichiarazioni
sono  correlate  con  atti espressi formalmente dalla Regione, subito
dopo  l'attentato  dell'11 settembre  2001, quali: 1) la decisione di
tenere  le bandiere a mezz'asta in segno di lutto; 2) il telegramma e
la nota di solidarieta' inviati all'ambasciatore americano in Italia;
3)  il  documento  «la  Regione  del Veneto per la civilta» approvato
dalla Giunta regionale in composizione allargata con i rappresentanti
del   Consiglio  regionale  e  dei  gruppi  consiliari  con  delibera
12 settembre 2001, n. 2322.
    A  parere  della  ricorrente,  inoltre, le dichiarazioni di Galan
sono   oggettivamente   correlabili  anche  alle  competenze  tipiche
dell'ente  che  rappresenta,  stante  la competenza concorrente della
Regione in materia di «rapporti internazionali».
    1.5.  -  In prossimita' dell'udienza la Regione ha depositato una
memoria  con la quale chiede che venga dichiarata la cessazione della
materia  del  contendere  in  quanto  il giudizio che ha originato il
conflitto  si  e'  concluso  con  sentenza  del  giudice dell'udienza
preliminare  di  non  luogo  a  procedere  nei confronti di Giancarlo
Galan,  in ordine al delitto di diffamazione aggravata ascrittogli in
danno  del  Gallo,  per  essersi  lo  stesso  estinto per intervenuta
remissione di querela.

                       Considerato in diritto

    1. - La Regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei
confronti  dello  Stato  per  violazione degli artt. 121, 122, quarto
comma,  e  123  della  Costituzione,  in  relazione alla richiesta di
rinvio  a  giudizio emessa dalla Procura della Repubblica di Venezia,
in data 13 ottobre 2005, nei confronti del dott. Giancarlo Galan e al
successivo  decreto di fissazione dell'udienza preliminare emesso dal
Tribunale  di  Venezia, ufficio del giudice dell'udienza preliminare,
in data 20 ottobre 2005.
    Ritiene   la   ricorrente   che  tali  atti  siano  lesivi  della
prerogativa di insindacabilita' garantita ai componenti del Consiglio
regionale  dall'art. 122,  quarto comma, della Costituzione, nonche',
in   via   mediata,   delle  attribuzioni  regionali  in  materia  di
organizzazione e di funzioni degli organi della Regione, riconosciute
dagli artt. 121 e 123 della Costituzione.
    Cio', in sintesi, sulla base di tre motivi:
        a) perche'  il  Presidente-consigliere della Regione non puo'
essere  sottoposto  a  giudizio  per  dichiarazioni,  rilasciate alla
stampa,    costituenti    valutazioni   e   orientamenti   sui   temi
dell'attualita'  politica,  in  quanto  tali  attivita'  sono diretta
espressione  del  munus  publicum  di cui lo stesso e' titolare, e in
quanto  la  partecipazione  alla  discussione  su  un  tema  politico
all'ordine  del giorno, nella quale viene esternato il punto di vista
del  Governatore,  consigliere  del  gruppo  politico di maggioranza,
rientra     nelle     modalita'     di    esercizio    dell'attivita'
politico-istituzionale  relativa alla funzione di indirizzo politico,
riconducibile  alla  garanzia  sancita  dall'art. 122,  quarto comma,
della  Costituzione,  anche  in  relazione agli artt. 121 e 123 della
Costituzione;
        b) perche'   l'art. 3  della  legge  20  giugno 2003,  n. 140
(Disposizioni  per  l'attuazione  dell'articolo 68 della Costituzione
nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei  confronti delle alte
cariche   dello  Stato),  al  comma 1,  avrebbe  esteso  l'ambito  di
applicazione  dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.  e,  per  analogia,
dell'art. 122,  quarto comma Cost., ad ogni attivita' di critica e di
denuncia politica attinente ai compiti istituzionali, anche se non in
connessione  con  l'attivita'  consiliare  tipica,  e, al comma 8, ha
previsto  il  cosiddetto  «effetto inibitorio» come conseguenza della
delibera parlamentare;
        c) perche',  in  ogni  caso,  le dichiarazioni del Presidente
della  Regione  sono,  nella  specie,  inscindibilmente  connesse con
l'esercizio  della  funzione  legislativa  e di indirizzo e controllo
politico  oltre  che  con  atti  tipici  in  concreto  adottati dalla
Regione.
    2.  -  Il giudizio avente ad oggetto il conflitto di attribuzione
in questione e' improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
    La  stessa  Regione  ricorrente,  infatti,  chiede  che  la Corte
dichiari  cessata  la  materia  del contendere, non avendo piu' alcun
interesse  ad  ottenere  una  decisione  sul  merito  del conflitto a
seguito  della  sentenza  emessa dal Giudice dell'udienza preliminare
del  Tribunale  di  Venezia, in data 21 novembre 2006, di non doversi
procedere  nei  confronti di Giancarlo Galan, in ordine al delitto di
diffamazione aggravata ascrittogli in danno del Gallo, per essersi lo
stesso estinto per intervenuta remissione di querela.
    Si    deve,    pertanto,    constatare    che,    successivamente
all'instaurarsi  del giudizio, e' venuto meno l'interesse delle parti
ad avere una pronunzia di merito.
    La  sopravvenuta  carenza  di  interesse  alla pronuncia preclude
l'esame  del merito del ricorso in relazione alla dichiarazione sulla
spettanza delle attribuzioni costituzionalmente garantite ai soggetti
confliggenti (sentenza n. 204 del 2005).