ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
18 ottobre    2001   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse dall'on. Silvio Berlusconi nei confronti del dott. Giancarlo
Caselli  ed  altri,  promosso  con  ricorso della Corte di appello di
Milano  -  sezione  quinta  penale,  notificato  il  12 gennaio 2005,
depositato  in cancelleria il 31 gennaio 2005 ed iscritto al n. 5 del
registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza   pubblica  dell'8 maggio  2007  il  giudice
relatore Sabino Cassese;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso dell'8-17 luglio 2002, la Corte di appello di
Milano  ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei  confronti  della Camera dei deputati, in relazione alla delibera
adottata  nella  seduta  del  18 ottobre  2001, con la quale e' stato
dichiarato che i fatti per i quali e' in corso il procedimento penale
per  il  reato  di  diffamazione  nei  confronti  del deputato Silvio
Berlusconi  devono  ritenersi  insindacabili,  ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione.
    1.1. - La Corte ricorrente premette che: a) in data 9 giugno 1999
i  magistrati  Giancarlo  Caselli,  Guido  Lo  Forte, Domenico Gozzo,
Antonio   Ingroia,   Mauro  Terranova,  Lia  Sava  e  Umberto  Giglio
(all'epoca  tutti  in  servizio  presso  la  Procura della Repubblica
presso   il  Tribunale  di  Palermo)  avevano  proposto  querela  nei
confronti del deputato Silvio Berlusconi, nonche' di Gianna Fregonara
e  Ferruccio  De Bortoli - questi ultimi giornalisti e l'ultimo anche
direttore   del   «Corriere   della  Sera»  -  per  le  dichiarazioni
asseritamente  diffamatorie  rese  in  loro danno da detto deputato e
pubblicate  in  una  intervista  dal titolo «Berlusconi: i DS usano i
magistrati  a  fini  politici»,  apparsa  sul  predetto quotidiano di
Milano  il  10 marzo  1999;  b)  con sentenza del 17 gennaio 2002, il
giudice  per  l'udienza  preliminare,  preso atto della deliberazione
della Camera dei deputati a norma dell'art. 68, Cost., dichiarava non
doversi  procedere nei confronti del deputato Berlusconi in ordine al
reato   ascrittogli,   ritenendo   sussistente  l'esimente  personale
dell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari e il pubblico ministero
proponeva  appello,  chiedendo  che  la  Corte  di appello sollevasse
conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati.
    1.2.  -  La  Corte milanese osserva che la Camera dei deputati ha
ritenuto  l'insindacabilita'  delle  opinioni  oggetto  del  processo
penale  in quanto riconducibili al ruolo svolto, all'epoca dei fatti,
dal   deputato  Berlusconi  quale  capo dell'opposizione  politica  e
parlamentare,  veste  in  cui egli avrebbe «denunciato quello che gli
appariva   come   un   oggettivo   squilibrio   nell'esercizio  della
giurisdizione [...]».
    Ad    avviso    della    Corte   ricorrente,   questa   attivita'
configurerebbe,  invece,  un'attivita'  politica  in riferimento alla
quale  non  sarebbe identificabile il «nesso di funzione», atteso che
l'unico  atto parlamentare dell'on. Berlusconi sarebbe «rappresentato
da  una  remota  interpellanza  in  tema  di  giustizia, datata 1996,
generica  e  non  collegata  (ne'  logicamente collegabile) al futuro
arresto  dell'On.  Dell'Utri»  e  che  non  vi  sarebbe quindi alcuna
connessione  tra  essa  e le specifiche accuse mosse ai magistrati di
Palermo,  ne'  potrebbero  essere  valorizzati «atti tipici» posti in
essere da altri parlamentari.
    In particolare, il nesso funzionale non sarebbe ravvisabile nelle
esternazioni ove si afferma che «il cancro della nostra democrazia e'
l'uso  della Giustizia a fini politici», che «la richiesta di arresto
dell'On.  Dell'Utri  era frutto di un complotto, poiche' si era ormai
in  campagna  elettorale  (di  fatto  anche  se  non  diritto)» e che
«normalmente  anche  nelle  altre  (campagne  elettorali)  sono state
avanzate procedure e notizie che hanno interferito pesantemente».
    La  ricorrente  conclude  sostenendo  che  la  delibera  in esame
sarebbe «illegittima ed ingiustamente menomativa dell'esercizio della
giurisdizione» e chiedendone, percio', l'annullamento.
    2.  -  Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Camera dei deputati,
sostenendo  che  il  ricorso sarebbe inammissibile in quanto la Corte
ricorrente avrebbe omesso di esaminare e specificamente valutare ogni
singola  dichiarazione  dell'on. Berlusconi. In particolare, la Corte
milanese  non avrebbe considerato che al deputato venivano attribuite
anche  «frasi  sintetiche  e  di  collegamento»  adoperate solo dalla
giornalista   «per   riferire   della   conversazione   con  l'allora
capo dell'opposizione,  come,  per  esempio:  «provocazione,  cancro,
falsita',  teoremi,  macigni, invenzioni, attacco alla democrazia: il
Cavaliere  sfodera  tutta la sua grinta per difendere dalla richiesta
di  arresto  Marcello  Dell'Utri,  amico  dai tempi dell'universita',
fondatore di Forza Italia»; «successione di termini che» «l'onorevole
Berlusconi  non  ha  usato  e  che, pertanto, non gli dovrebbe essere
attribuita».  Ne'  la  stessa  avrebbe  valutato  la  circostanza che
«l'onorevole Berlusconi non abbia mai, nell'intervista, fatto nomi di
chicchessia  e,  in  ispecie, dei magistrati che lo hanno querelato».
Inoltre,  la  Camera  dei deputati eccepisce la contraddittorieta' di
impostazione del gravame.
    Nel merito, la Camera dei deputati chiede il rigetto del ricorso,
attesa  la  sussistenza del nesso funzionale tra opinioni manifestate
extra  ed  intra  moenia.  Nell'articolo  di stampa l'on. Berlusconi,
difatti,  aveva affermato non solo che vi sarebbe stato un eccesso di
credito   offerto   ai  «pentiti»,  ma  anche  che  una  parte  della
magistratura  avrebbe  agito mossa da intenti squisitamente politici,
anche nel contesto di un rapporto organico con il PCI-PDS-DS, e che i
tempi  di  talune  iniziative  giudiziarie avrebbero dovuto indurre a
riflettere, a causa della loro connessione e interferenza con i tempi
della  politica.  Secondo  la  Camera  dei  deputati,  il «fondamento
politico»  di  tali  affermazioni  «e'  di  decisiva  importanza  nel
presente  giudizio, poiche' (al contrario di quanto puo' accadere per
affermazioni  ritenute di carattere schiettamente personale: sentenza
n. 421  del 2002) in simili ipotesi e' assai probabile la sussistenza
di  un  nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia e gli
atti tipici di funzione».
    Sottolinea  la  difesa  della  Camera  dei  deputati  come  l'on.
Berlusconi  avesse «gia' molto tempo addietro» manifestato l'opinione
che  l'azione  della  magistratura  fosse animata da intenti politici
(interpellanze  n. 2/00252  del  21 ottobre  1996  e  n. 2/00748  del
14 novembre 1995, nonche' le dichiarazioni programmatiche del Governo
rese alla Camera il 18 giugno 2001).
    Inoltre,  la  Camera  dei deputati richiama il contenuto di altri
numerosi atti tipici che provengono da componenti del medesimo gruppo
parlamentare dell'on. Berlusconi.
    2.1. - In prossimita' della data fissata per l'udienza, la Camera
dei  deputati  ha  depositato  memoria  con  la  quale,  nel ribadire
l'eccezione  di  inammissibilita' del conflitto, osserva che la Corte
ricorrente   non   solo  ha  operato  un  «ritaglio»  delle  numerose
dichiarazioni  rese  dall'on.  Berlusconi  nell'articolo di stampa in
esame,   ma   ha   anche   operato   una  «libera  interpretazione  e
rielaborazione»   di  esse,  attribuendo  allo  stesso  deputato,  ad
esempio, una frase mai da questi pronunciata e pubblicata, ovvero che
«la  richiesta  di  arresto  dell'on.  Dell'Utri  era il frutto di un
complotto».
    Nel  merito,  la  Camera  dei  deputati  esprime l'auspicio di un
ripensamento  dell'orientamento giurisprudenziale assunto dalla Corte
costituzionale  secondo  cui  «sono  irrilevanti  gli  atti  di altri
parlamentari» (sentenza n. 97 del 2006) in ordine alla verifica della
sussistenza, o meno, del nesso funzionale; insiste, pertanto, perche'
il sollevato conflitto venga respinto.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato,
promosso   dalla   Corte   di   appello   di   Milano   con   ricorso
dell'8-17 luglio  2002  avverso la Camera dei deputati, ha ad oggetto
la  delibera  adottata nella seduta del 18 ottobre 2001, con la quale
e'  stato  dichiarato  che  i  fatti  per  i  quali  e'  in  corso il
procedimento  penale  per  il reato di diffamazione nei confronti del
deputato  Silvio  Berlusconi devono ritenersi insindacabili, ai sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Le  espressioni  ritenute offensive erano state pubblicate in una
intervista  dal  titolo  «Berlusconi:  i DS usano i magistrati a fini
politici» apparsa sul quotidiano «Il Corriere della Sera» il 10 marzo
1999  e  si  riferivano  - nel contesto della vicenda scaturita dalla
richiesta  di arresto nei confronti del deputato Marcello Dell'Utri -
alla gestione dei collaboratori di giustizia e all'uso delle indagini
svolte  da  una  certa  parte  della magistratura a fini politici nel
corso della campagna elettorale.
    2.  - Con ordinanza n. 435 del 2004, questa Corte ha ritenuto, in
sede  di  prima  e  sommaria  delibazione,  ammissibile il conflitto,
riservando  espressamente  alla  fase  del merito nel contraddittorio
delle    parti    ogni    ulteriore    decisione,    anche   relativa
all'ammissibilita' del ricorso.
    3. - Il ricorso e' inammissibile.
    La    difesa    della    Camera    dei   deputati   ha   eccepito
l'inammissibilita'  del  ricorso  per  conflitto  sotto vari profili,
sostenendo,   tra  l'altro,  che  la  Corte  ricorrente  non  avrebbe
esaminato  e  specificamente  valutato  ogni singola esternazione del
deputato.
    In  effetti,  la Corte di appello ricorrente non ha riprodotto in
modo  testuale  il  contenuto  delle  dichiarazioni  esterne rese dal
parlamentare  interessato,  ma  si  e' limitata a dar conto di alcuni
stralci delle dichiarazioni ritenute diffamatorie.
    Inoltre,  ha  omesso  di  compiere  un'analitica ricognizione del
contenuto  delle esternazioni del parlamentare. Gli ha attribuito una
frase  («la  richiesta di arresto dell'on. Dell'Utri era frutto di un
complotto»),  che  non  compare nel capo di imputazione a suo carico,
cosi' effettuando una rielaborazione delle dichiarazioni.
    Infine, non ha esaminato una serie di espressioni («provocazione,
cancro,   falsita',   teoremi,   macigni,  invenzioni,  attacco  alla
democrazia»),  che  l'imputazione  riferisce  sia al parlamentare sia
alla  giornalista  che  ha  eseguito  l'intervista,  ne'  ha valutato
un'altra  frase  («il  Cavaliere  sfodera  tutta  la  sua  grinta per
difendere  dalla  richiesta  di arresto Marcello Dell'Utri, amico dei
tempi  di  universita', fondatore di Forza Italia»), richiamata dalla
difesa  della  Camera  dei  deputati  e  citata nella relazione della
Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere  in giudizio, anch'essa
attribuita ad entrambi indistintamente.
    Il   riferimento   solo  parziale  della  Corte  ricorrente  alle
dichiarazioni esterne del parlamentare, la rielaborazione di parte di
esse  e  la mancata individuazione di quelle sicuramente attribuibili
al deputato rendono inammissibile il ricorso.
    La  mancata riproduzione testuale delle dichiarazioni esterne, la
sovrapposizione  tra  il  contenuto delle esternazioni del deputato e
l'interpretazione    dell'autorita'   giudiziaria   ricorrente,   non
consentono  di  cogliere  in  modo  completo l'oggetto del contendere
(sentenze n. 383 del 2006 e n. 79 del 2005).
    Le  carenze descritte comportano la non autosufficienza dell'atto
introduttivo  che  si  traduce,  a  norma  degli artt. 37 della legge
11 marzo  1953,  n. 87  (Norme sulla Costituzione e sul funzionamento
della  Corte  costituzionale),  e  26  delle  norme integrative per i
giudizi   davanti  alla  Corte  costituzionale,  nel  difetto  di  un
requisito  essenziale  del  ricorso, che deve essere conseguentemente
dichiarato inammissibile.