LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza. Letti gli atti di causa e sciogliendo la riserva assunta all'udienza collegiale del 28 settembre 2006, osserva quanto segue in fatto e in diritto. 1.1. - Deve in primo luogo esaminarsi l'istanza di sospensione ex art. 351 cod. proc. civ.: riguardo alla quale va subito rilevato che trattasi di sentenza dichiarativa, contenente quale capo di condanna soltanto quello in ordine alle spese, sempre che esso possa porsi in esecuzione separatamente, sul punto riscontrandosi qualche oscillazione della giurisprudenza di legittimita'. 1.2. - Di conseguenza, non, puo' concedersi la chiesta sospensione per il capo a contenuto meramente dichiarativo, difettando radicalmente un'efficacia esecutiva immediata, secondo l'interpretazione ormai prevalente dell'art. 282 cod. proc. civ. anche nel testo introdotto con la legge n. 353/1990. 1.3. - Inoltre, quanto al capo di condanna (sempre, per quanto detto, ove configurabile), in ordine ad esso manca qualunque affidabile prova del periculum, in difetto di supporti istruttori (quand'anche compatibili con la sommarieta' della presente fase) sulle condizioni patrimoniali ed economiche di parte appellante in relazione all'entita' della somma oggetto della condanna (nel caso di specie, obiettivamente non ingente), tali da configurare un grave danno all'appellante per l'ipotesi di effettiva esecuzione e comunque in un'ottica di contemperamento dei contrapposti interessi delle parti. La mera pendenza della procedura esecutiva immobiliare n. 90/01 rge del Tribunale di Salerno non ha rilevanza, trattandosi di semplice effetto dell'esecutivita' del titolo oggetto dell'opposizione e, comunque, non potendo il giudice dell'appello intervenire direttamente sulla esecuzione intrapresa in forza del titolo impugnato. 1.4. - Peraltro, sul presente gravame pende anche un serio dubbio di inammissibilita', che eliderebbe in radice anche il fumus boni iuris pure indispensabile per la sospensione. La causa ha infatti ad oggetto l'appello, dispiegato con atto notificato il 30 maggio 2006, avverso una sentenza - pubblicata il 30 maggio 2005 - resa a conclusione di un giudizio di opposizione ad esecuzione, intrapreso dall'odierno appellante Scarano Roberto nei confronti della creditrice precettante (e poi procedente) Banca Popolare di Salerno, con atto di citazione per contestazione del precetto, ma rivolto poi contro gli atti della procedura esecutiva immobiliare fondata sul titolo descritto nel precetto stesso (iscritta al n. 90/01 rge Trib. Salerno). Si tratta quindi un appello dispiegato avverso una sentenza resa in una causa di opposizione a precetto e poi all'esecuzione su di esso fondata, sicche' la fattispecie si sussume entro la previsione degli articoli 615 e 616 del codice di rito civile. 2. - Com'e' noto, tale ultima norma e' stata sostituita dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 febbraio 2006 ed entrata in vigore il giorno dopo, secondo quanto previsto al suo art. 22), tanto che il suo tenore testuale e' quindi ora il seguente: Art. 616. - (Provvedimenti sul giudizio di cognizione introdotto dall'opposizione). Se competente per la causa e' l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalita' previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui, all'art. 163-bis, o altri se previsti, ridotti della meta'; altrimenti rimette la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa. La causa e' decisa con sentenza non impugnabile. A questo riguardo, peraltro, di ufficio questa Corte rileva la questione di legittimita' costituzionale della norma come novellata: a) siccome rilevante, per essere immediatamente applicabile anche al caso di specie, ed idonea a definire, con una pronuncia di inammissibilita', il presente gravame; b) siccome non manifestamente infondata, alla stregua dei canoni degli artt. 3, comma 1, 24 e 111, comma 2 Cost. 3.1. - La piu' importante delle innovazioni riguarda senza dubbio l'eliminazione dell'ordinaria impugnabilita' della sentenza che definisce l'opposizione, resa manifesta dall'espresso inciso, inserito a guisa di ultimo periodo nell'unitario comma dello stesso art. 616 cod. proc. civ., per il quale una detta sentenza e' «non impugnabile». Analoghe espressioni sono state, nel vigore della Costituzione repubblicana, univocamente interpretate nel senso dell'esclusione assoluta dell'appello e della sola esperibilita' del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., limitatamente quindi all'ipotesi di violazione di legge. 3.2. - Importante questione da affrontare e' quella dell'applicabilita' di tale norma novellata anche ai processi gia' in corso al momento della sua entrata in vigore. 3.2.1. - Orbene, la complessa vicenda normativa della riforma del processo civile del 2005/2006, portata avanti con le leggi nn. 80/2005, 263/2005 e 52/2006, ha visto notevoli oscillazioni in ordine alla disciplina transitoria. Per quel che qui rileva, la disciplina transitoria dei primi due interventi legislativi (leggi n. 80/2005 e n. 263/2005) e' stata riorganizzata, non solo spostandola al 1° marzo 2006, ma anche specificandosi il principio generale per il quale la riforma complessiva come introdotta dai medesimi interventi normativi non si applica alle cause di cognizione gia' pendenti, ma si applica invece anche ai processi esecutivi gia' in corso (salve le sole deroghe, che qui non rilevano, del regine degli interventi e della disciplina delle vendite gia' fissate): e tanto ai sensi dei commi 3-quater, 3-quinquies e 3-sexies dell'art. 2 del d.-l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, come sostituiti ed introdotti dall'art. 8 del d.-l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, e, successivamente, dall'art. 1, comma 6, della legge 28 dicembre 2005, n. 263, ulteriormente modificato dall'art. 1 del d.-l. n. 271/2005, decaduto si', ma trasfuso nell'art. 39-quater della legge n. 51/2006 (recante «Conversione in legge, con modificazioni, del d.-l. 30 dicembre 2005, n. 273, recante definizione e proroga di termini, nonche' conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi al-l'esercizio di deleghe legislative»). 3.2.2. - Se la situazione e' abbastanza chiara, almeno per le cause di cognizione, circa le modifiche introdotte complessivamente con le leggi nn. 80/2005 e 263/2005, nessuna normativa transitoria e' stata invece emanata per la successiva legge n. 52/2006. Quest'ultima prevede almeno due serie di interventi normativi: una prima, che interviene ancora una volta sulle norme gia' novellate dalle due precedenti leggi; una seconda, che interviene per la prima volta su articoli del codice di rito che non erano stati oggetto di precedenti modifiche ad opera delle leggi nn. 80/2005 e 263/2005. 3.2.3. - Per la prima serie di interventi, la normativa transitoria dovrebbe senza problemi individuarsi in quella dettata - e sopra complessivamente ricostruita - per le leggi nn. 80 e 263 del 2005, con la conseguenza che le cause di cognizione vi saranno assoggettate solo in quanto instaurate dopo il 1° marzo 2006. Per la seconda serie di interventi, cioe' quelli che modificano per la prima volta il testo degli articoli del codice, proprio come e' il caso dell'art. 616 cod. proc. civ., la carenza di normativa transitoria comporta la necessita' di ricavare il regime transitorio dai principi generali del processo. 3.2.4. - In primo luogo, una normativa transitoria, siccome eccezionale, non puo' essere applicata per analogia. Ogni intervento legislativo puo' legittimamente provvedere per i rapporti - anche, come nel caso in esame, processuali - pendenti; e, proprio in un medesimo contesto, non solo le leggi nn. 80/2005 e 263/2005, m anche ulteriori e sensibili modifiche sul processo civile, relative al grado di impugnazione per legittimita', sono state espressamente definite applicabili, con esplicita normativa transitoria, solo a determinate tipologie di processi: e' il caso del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (recante «modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 2006 - supplemento ordinario n. 40), che, al suo art. 27 (rubricato «disciplina transitoria»), detta in modo articolato ed espresso il regime della sua stessa applicabilita' ai processi gia' pendenti. Ma anche la complessiva riforma del processo civile di cui alla legge n. 353/1990 (e successive modifiche e integrazioni), ha espressamente previsto una disciplina transitoria, con la quale l'intero rito novellato e' applicabile esclusivamente ai processi instaurati (in primo grado, come chiarito dalla giurisprudenza consolidata del supremo Collegio) dopo l'entrata in vigore della riforma stessa, cioe' dopo il 1° maggio 1995 (art. 90, comma 1, legge n. 353/1990, come sostituito dall'art. 1, d.-l. 21 aprile 1995, n. 121, piu' volte reiterato, da ultimo dall'art. 9, d.-l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 534, a mente del quale «ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data», mentre soltanto altri articoli, specificamente indicati, «come modificati dalla presente legge, si applicano anche ai giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 1993»). 3.2.5. - In secondo luogo, la disciplina processuale e' generalmente retta dal principio generale tempus regit actum, vale a dire dell'immediata applicabilita' della legge processuale. Un tale principio generale in materia di procedimento, generalmente applicato anche al processo civile che di quello e' una specie, e' quello per il quale, in caso di sopravvenienza di nuove normative, ciascun atto di ogni serie o fase all'interno del procedimento deve uniformarsi alla disciplina vigente al momento della sua adozione; la normativa sopravvenuta resta inapplicabile soltanto ai procedimenti gia' conclusi, ovvero in riferimento ai quali sia stato gia' emanato l'atto conclusivo, o sia maturato il termine entro il quale questo doveva essere adottato. 3.2.6. - Il principio tempus regit actum e' talmente generale che solo per le questioni di giurisdizione e di competenza e' appunto prevista una esplicita deroga dall'art. 5 del codice di rito civile: dalla quale cosa e' lecito inferire, sulla base di principi altrettanto generali in tema di interpretazione delle leggi (inclusio unius exclusio alterius, ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, e cosi' via), la assoluta eccezionalita' della c.d. perpetuatio iurisdictionis e l'impossibilita' di una applicazione analogica della normativa che la prevede. Il principio e' stato anche di recente riaffermato con riguardo ad ipotesi di nuovi termini per il compimento di singoli atti procedimentali (Cass. 17 marzo 2005, n. 5820, ovvero, con la distinzione tra procedimenti amministrativi in senso stretto e procedimenti amministrativi in senso lato ovvero articolati in piu' subprocedimenti, Cass. 1° aprile 1996, n. 2973), con riferimento alle procedure per gli appalti pubblici (Cass. 4 settembre 2004, n. 17906), in relazione a modifiche sul regime di procedibilita' di impugnazioni previste da normative per le regioni a statuto speciale (Cass. 14 aprile 2004, n. 7053), circa le modifiche sugli effetti della proposizione della revocazione (Cass. 12 maggio 2000, n. 6099), in ordine alla immediata applicabilita' dell'art. 654 nuovo codice procedura penale (efficacia di giudicato, nei confronti del responsabile civile non costituitosi in sede penale, della sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione a conclusione del dibattimento in ordine all'accertamento dei fatti materiali: Cass. 12 agosto 1994, n. 7405). 3.2.7. - Di un tale principio generalissimo e' stata fatta applicazione ad altra - e recente - fattispecie di limitazione del regime originario di impugnabilita' (e proprio di esclusione dell'appellabilita', singolarmente analoga a quella oggi all'esame di questa Corte), sia pure indiretta in quanto derivante dalla devoluzione al giudice di pace delle cause prima di competenza del pretore e quindi anche di quelle di valore inferiore a lire 2 milioni, ai sensi dell'art. 2, legge 16 dicembre 1999, n. 479: ne consegue che dette cause, perfino nel corso dello svolgimento del processo di primo grado, subiscono la sorte della limitazione della impugnazione al ricorso per cassazione (Cass. 6 maggio 2003, n. 6877). 3.2.8. - Il principio tempus regit actum e' stato escluso, ma proprio per la diversita' strutturale della fattispecie rispetto a quella dell'abrogazione per successione di leggi nel tempo, solo per l'ipotesi di declaratoria di illegittimita' costituzionale, che determina l'immediata inapplicabilita' ex tunc della norma colpita, con la sola salvezza del definitivo consolidamento dei rapporti giuridici e il graduale formarsi del giudicato e delle preclusioni nell'ambito del processo (per tutte e quanto alle piu' recenti: Cass. 14 novembre 2003, n. 17184, Cass. 7 maggio 2003, n. 6926, Cass. 23 settembre 2002, n. 13839). Ed e' del pari stato escluso soltanto in presenza di norme esplicite in tal senso (v. Cass. s.u. 7 novembre 2000, n. 1153, in materia di trasferimento al giudice ordinario delle controversie di pubblico impiego privatizzato) o di nullita' assolute ed insanabili (Cass. 3 febbraio 1999, n. 944 e Cass. 28 luglio 1998, n. 7412, in tema di esercizio delle funzioni di procuratore extra districtum). 3.3. - Va dunque affermato che, in difetto di esplicite previsioni, il principio dell'immediata applicazione della sopravvenuta legge processuale ha riguardo «soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della legge stessa». Questa non incide, invece, su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere. 3.4. - Non puo', ad avviso di questa Corte, ritenersi che una sentenza emanata prima dell'entrata in vigore della norma (nel caso di specie, il nuovo testo dell'art. 616 cod. proc. civ.) che ne sopprime la appellabilita' abbia come effetto il mantenimento del regime delle sue impugnazioni. La normativa sulle impugnazioni, nell'individuare i mezzi in concreto esperibili, stabilisce i presupposti processuali dei relativi giudizi di gravame, i quali ultimi quindi non sono certamente effetti della sentenza, che possano rimanere fermi (per un caso, v. Cass. n. 6099/2000) anche dinanzi alla normativa sopravvenuta che regola l'impugnazione. Ora, un giudizio di appello vede senza dubbio, quale suo presupposto processuale specifico, la vigenza di una norma che l'appello stesso consenta: ne consegue che e' al momento in cui l'appello e' proposto che va verificato se esso sia previsto - e quindi ammissibile - in riferimento ad una determinata pronuncia. La conclusione e' che, senza potere distinguere tra procedure e giudizi civili gia' in corso, hanno immediata applicazione - tra le a1tre - le norme sostitutive degli artt. 616, 618, 618-bis, 619 del codice di rito, nonche' all'art. 185 disp. att. cod. proc. civ.: pertanto, una sentenza che decide un'opposizione ad esecuzione, soprattutto se dispiegata dopo l'inizio della procedura esecutiva, non e' impugnabile e, per quel che qui rileva, non e' appellabile. 3.5. - E, nel caso di specie, l'appello e' stato proposto con atto di citazione notificato il 30 maggio 2006, vale a dire successivamente alla data di entrata in vigore della norma modificativa dell'art. 616 cod. proc. civ., sopra richiamata. Ne consegue che, in applicazione di quanto fin qui argomentato, l'appello andrebbe dichiarato inammissibile per l'immediata applicabilita' della nuova norma: ma proprio una tale interpretazione di quest'ultima rende immediatamente rilevante (siccome idonea a definire in rito il presente giudizio di impugnazione) la questione della conformita' di quest'ultima alla Carta costituzionale, in riferimento agli artt. 3 comma 1, 24 e 111, comma 2 Cost. 4. - Ritiene questa Corte che una tale questione e', oltre - per quanto detto - rilevante, altresi' non manifestamente infondata. 4.1. - In un sistema che introduce sensibili innovazioni legislative, intervenendo su quasi la meta' della disciplina del processo esecutivo previsto dal codice di rito e rendendolo - coerentemente con la nuova impostazione di una funzionalizzazione del processo civile alle esigenze dell'economia moderna - molto piu' efficiente a vantaggio del creditore, si limita sensibilmente la tutela del debitore - e, benche' tanto non rilevi immediatamente nel presente giudizio, del terzo ex art. 619 cod. proc. civ. - con la soppressione di un grado di giudizio di merito e l'equiparazione delle opposizioni ad esecuzione a quelle ad atti esecutivi, nonostante l'ontologica diversita' dei presupposti e degli oggetti delle prime e delle seconde. 4.2. - In particolare, nonostante l'ampliamento del catalogo dei titoli esecutivi stragiudiziali (come si evince dal nuovo testo dell'art. 474 cod. proc. civ.) con l'inclusione - tra essi - delle scritture private autenticate (suscettibili di essere poste in esecuzione con la loro mera trascrizione nel testo del precetto) e quindi la notevole agevolazione dell'avvio della procedura esecutiva (o della partecipazione ad essa attraverso l'intervento) a favore del titolare del credito anche prima ed a prescindere da un controllo giurisdizionale sul contenuto del titolo, le possibilita', per il debitore, di contestare il merito del rapporto - che potrebbe non essere mai stato appunto in precedenza sottoposto al vaglio del giudice, come invece accade normalmente nell'ipotesi di un titolo esecutivo giudiziale - vengono drasticamente ridotte e limitate ad un solo grado, potendo semmai egli dolersi per esclusivi motivi di legittimita' (e quindi, stando alla consolidata giurisprudenza del supremo Collegio, solo per violazione di legge e non anche per gli altri motivi di cui all'art. 360 cod. proc. civ.) dell'unica pronuncia di merito che potra' conseguire sul punto. 4.3. - La questione, pero', non viene affatto posta in riferimento alla pretesa di un doppio grado di giurisdizione di merito in assoluto, ma in relazione al rapporto tra la soppressione di un grado di merito con il complessivo contesto normativo del processo esecutivo riformato. 4.3.1. - Infatti, non ignora questa corte che la giurisprudenza del giudice delle leggi e' ferma nell'escludere che il principio del doppio grado di giurisdizione di merito sia coperto da garanzia costituzionale (di recente: Corte cost., ord. n. 585/2000; ma il principio e' affermato gia' in Corte cost., sent. n. 238/1976 e, via via, in Corte cost. sent. n. 62/1981, sent. n. 8/1982, sent. n. 69/1982, sent. n. 52/1984, sent. n. 301/1986, ord. n. 395/1988). 4.3.2. - In particolare, si afferma che il diritto di difesa e' comunque adeguatamente tutelato quando la causa sia sottoposta alla cognizione anche solo di due giudici diversi in gradi successivi, a nulla rilevando che uno di essi abbia esaminato soltanto questioni pregiudiziali o di rito ovvero che il merito sia stato preso in considerazione solo da uno, alla stregua di situazioni processuali preclusive, ma soltanto dall'altro (quale piu' recente asserzione del principio, si veda Corte cost., ord. n. 585/2000, cit.; per una fattispecie analoga di modifica restrittiva del regime di impugnabilita' di categorie di sentenze - legge 30 luglio 1984, n. 399, recante l'aumento dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore - in modo espresso Corte cost., sent. n. 301/1986, che richiamava ampi stralci della motivazione di Corte cost. n. 52/1984 e la sua precedente pronuncia n. 69/1982). 4.3.3. - Ne' puo' tacersi il fatto che, nel contesto di generale riaffermazione della esclusione di una garanzia costituzionale del secondo grado di merito nel processo civile, la Corte costituzionale giustifica anzi l'unicita' del grado finanche nella materia del procedimento giurisdizionale amministrativo, in ragione della peculiarita' dell'oggetto (nel caso di specie, i ricorsi per ottemperanza del giudicato civile ed amministrativo: ord. n. 395/1988; a contrario, la duplicita' del grado di merito nella sola giurisdizione amministrativa aveva fondato la diversa pronuncia di Corte cost. n. 8/1982, con la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'esclusione della appellabilita' al Consiglio di Stato delle ordinanze dei tribunali amministrativi regionali con cui si pronunciava in ordine alla sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati). 4.3.4. - Anche nella giurisprudenza di legittimita' si esclude l'esistenza di una garanzia costituzionale di un doppio grado di merito nel processo civile, spesso soggiungendosi che il principio di uguaglianza consente il trattamento diverso di fattispecie differenti: per limitarsi ad alcune delle pronunce dell'ultimo decennio, basti un richiamo a Cass. 13 dicembre 2005, n. 27411, Cass. 15 settembre 2004, n. 18571, Cass. 20 luglio 2004, n. 13426, Cass. s.u. 9 luglio 2004, n. 12749, Cass. s.u. 15 ottobre 2003, n. 15399, Cass. 5 giugno 2003, n. 8993, Cass. 3 agosto 2000, n. 10190, Cass. 6 aprile 2000, n. 4326, Cass. s.u. 26 febbraio 1999, n. 104, Cass. 13 marzo 1997, n. 2251, Cass. 10 agosto 1996, n. 7436, Cass. 20 marzo 1996, n. 2361. 4.4. - Eppure, il principio per il quale il doppio grado di giurisdizione nel merito e' privo di usbergo costituzionale non ha natura assoluta. 4.4.1. - In particolare, esso e' talvolta temperato, ad escludere i sospetti di non conformita' ai principi degli artt. 3 e 24 della Carta fondamentale, dalla necessita' del riscontro di ulteriori elementi, come la correlazione alla scarsa consistenza economica della controversia ed alla sua decisione secondo equita': solo in tal modo l'inappellabilita' non si espone a sospetti di violazione delle citate norme costituzionali, tenendo conto che il parametro del valore, quale possa essere la rilevanza del dibattito, rende giustificata e ragionevole l'opzione di accelerare il procedimento (negando il rimedio dell'appello) sulla scorta di un apprezzamento di predominanza dell'interesse (individuale e generale) ad una sollecita definizione della causa, e che inoltre la tutela del diritto di difesa va coordinata con l'esigenza, di pari livello costituzionale, di disciplinare i modi ed i limiti del suo esercizio in concreto, al fine di assicurare la conclusione della lite entro un congruo termine (Cass. s.u. 12749/2004 cit.). 4.4.2. - Del resto, la stessa Corte costituzionale, in relazione al regime di impugnabilita' delle sentenze di opposizione a stato passivo, aveva, in tempi piu' remoti, ritenuto possibile un sindacato della razionalita' dell'ambito dell'appellabilita' in riferimento all'art. 3 Cost., dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 99, ultimo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui sanciva l'inappellabilita' delle sentenze rese su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, contemplati negli artt. 409 e 442 c.p.c. (Corte cost., sent. n. 69/1982). In quest'occasione, invero, una tale esclusione non e' stata ritenuta giustificata da esigenze di celerita' intrinseche alla peculiarita' della procedura (nella specie, quella concorsuale) e idonea ad integrare una disparita' di trattamento. 4.5. - Ritiene questa Corte che i principi elaborati dall'appena richiamata pronuncia della Corte costituzionale possano attagliarsi anche al caso di specie, alla stregua di quelli in base ai quali anche la giurisprudenza di legittimita' ha in piu' occasioni richiesto la presenza di particolarita' delle fattispecie per giustificare l'inappellabilita' di categorie di sentenze. 4.5.1. - Certo, lo spirito dei complessivi interventi riformatori del 2005/2006 va certamente nel recupero di snellezza, velocita' ed efficienza del processo esecutivo ed in questa chiave potrebbe suggestivamente leggersi la scelta di abolire un grado di merito nelle parentesi cognitive piu' importanti, quali proprio le cause di opposizione ad esecuzione (ma la stessa sorte e' toccata alle opposizioni di terzo e, a ben vedere, alle controversie distributive, ridotte ad un subprocedimento sommario endoesecutivo concluso con ordinanza impugnabile ex art. 617 cod. proc. civ.). Ed altro, pure suggestivo argomento, e' la presenza; nel sistema dei rimedi impugnatori endoesecutivi, di un'altra azione, gia' - e da sempre - articolata su di un solo grado di merito, quale l'opposizione ad atti esecutivi. 4.5.2. - A cominciare dal primo argomento, va pero' osservato in contrario che, con l'opposizione ad esecuzione e secondo un'interpretazione consolidata, il debitore potrebbe comunque soltanto: a) quando si tratta di titolo esecutivo giudiziale (provvisoriamente esecutivo o definitivo poco importa), fare valere fatti impeditivi o modificativi o estintivi del diritto azionato, che siano successivi alla formazione del titolo esecutivo (o alla conclusione del processo in cui esso si e' formato e avrebbe potuto essere modificato): ma non anche quei fatti che, in quanto verificatisi in epoca precedente, avrebbero potuto essere dedotti nel giudizio di cognizione preordinato alla costituzione del titolo giudiziale (sul punto, v. per tutte: Cass. 25 settembre 2000, n. 12664, Cass. 28 agosto 1999, n. 9061, Cass. 25 febbraio 1994, n. 1935, Cass. 12 marzo 1992, n. 3007, Cass. 18 giugno 1991, n. 6893, Cass. 5 dicembre 1988, nn. 6605-6608, Cass. 15 ottobre 1985, n. 5062, Cass. 20 maggio 1987, n. 4617, Cass. 22 aprile 1981, n. 2385, Cass. 23 novembre 1978, n. 5496; nonche', con ampie note di riferimenti: Pret. Chioggia 13 dicembre 1990, in Foro it. 1991, I, 3253; Pret. Buccino 20 giugno 1989, in Arch. civ. 1990, 172; Pret. Catania 28 gennaio 1991, ibid. 1991, 736; Pret. Torino, ord. 6 marzo 1996, in Foro it. 1997, I, 3072); b) quando si tratta di titolo esecutivo stragiudiziale, contestare per la prima volta i fatti costitutivi del diritto consacrato nel titolo o dedurre fatti impeditivi o modificativi o estintivi, proprio perche' - trattandosi di titolo formatosi al di fuori di un processo - in precedenza bene potrebbe non essersi mai data l'occasione di dedurre in giudizio gli uni o persino l'altro. 4.5.3. - Deve allora osservarsi che la semplice sussistenza, in favore del creditore, del titolo esecutivo, ricostruito oltretutto quale condizione dell'azione esecutiva necessaria ma anche sufficiente, non garantisce affatto il debitore proprio per i casi in cui egli debba fare valere queste particolarissime situazioni, ancora piu' delicate se si pensa che oramai l'aggressione al suo patrimonio, dopo la notifica del precetto, e' prossima, quando non gia' iniziata con il pignoramento. Il semplice possesso del titolo esecutivo, insomma, reso oltretutto sensibilmente piu' semplice dagli interventi riformatori del 2005/2006, non rende certo la posizione del debitore piu' garantita proprio quando egli avrebbe bisogno di una tutela cognitiva piena avente ad oggetto diritti. 4.5.4. - Anzi, al debitore competerebbe comunque, prima dell'opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., una ordinaria azione di cognizione, strutturata negli ordinari due gradi di merito e in quello successivo di legittimita', volta all'accertamento dell'estinzione del diritto del creditore in caso di titolo giudiziale e per fatti ad esso successivi ovvero alla contestazione del diritto stesso in caso di titolo stragiudiziali. La semplice circostanza dell'avvenuto avvio della esecuzione non giustifica, ad avviso di questa corte, il diverso trattamento che alle ragioni di merito del debitore deriverebbe con il dimezzamento dei gradi di cognizione di merito riservato alle opposizioni ad esecuzione. 4.5.5. - Il suggestivo argomento dell'esigenza di celerita' e' a questo riguardo inconferente: questa e' garantita oramai da un compiuto sistema di strumenti interinali o persino cautelari in senso lato, del tutto idoneo a garantire le ragioni delle parti, e strutturati anche su di un sistema di impugnazioni e di anticipazione del finale effetto della cancellazione del vincolo imposto con il pignoramento, di cui alla nuova formulazione dell'art. 624 cod. proc. civ.; la stessa pendenza del giudizio di opposizione e di un suo secondo grado di merito e' quindi inidonea a produrre effetti sulla prosecuzione della procedura esecutiva, il cui celere svolgimento, se non precluso dai detti strumenti interinali o cautelari, e' indipendente dalla causa di opposizione in quanto tale. 4.5.6. - Ne' potrebbe pensarsi, in applicazione del brocardo per il quale vigilantibus non dormientibus iura succurrunt, ad un onere del debitore di precipitarsi ad avviare un'ordinaria azione di accertamento negativo, ogniqualvolta abbia sentore della possibilita' di una esecuzione in suo danno, per fare valere le due tipologie di fattispecie sopra ricordate (deduzione di fatti modificativi, estintivi o impeditivi del diritto del creditore, ma successivi al titolo ed al processo in cui si e' formato, se il titolo e' giudiziale; deduzione degli stessi fatti senza limiti, se il titolo e' stragiudiziale): si tratterebbe con tutta evidenza di imporre al debitore un gravoso onere di prevenzione giudiziale delle avverse iniziative, sanzionato oltretutto con la perdita di un grado di giudizio di merito, comunque sproporzionato rispetto ai risultati in quanto renderebbe certo e necessario un giudizio, ad iniziativa del debitore. 4.5.7. - Risulta quindi un trattamento obiettivamente ed ingiustificatamente differenziato per fattispecie sostanzialmente identiche: con evidente violazione del canone dell'uguaglianza formale di cui all'art. 3 della Carta fondamentale. 4.5.8. - Ma risulta violato anche il medesimo canone sotto il profilo dell'incongrua equiparazione delle opposizioni ad esecuzione a quelle ad atti esecutivi: eppure, le prime hanno ad oggetto, per quanto detto, diritti soggettivi, mentre le seconde riguardano irregolarita' formali di atti della procedura e difficilmente possono riverberare effetti sul diritto posto a base dell'esecuzione. La sottoposizione delle due categorie di azioni di cognizione, ontologicamente diverse, al medesimo regime processuale risulta quindi incongrua e non rispettosa del canone richiamato, che impone il trattamento differenziato di fattispecie diverse. 5. - In definitiva, nel complessivo contesto della riforma del processo esecutivo, la soppressione di un grado di giudizio di merito potrebbe porsi in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24 e 111, secondo comma della Carta fondamentale. 5.1. - Quanto al primo profilo, la norma qui sospettata di incostituzionalita': tratta incongruamente in modo diverso situazioni oggettivamente uguali, quali le modalita', per il debitore, di fare valere fatti impeditivi o modificativi o estintivi del fatto costitutivo del credito azionato (successivi al titolo giudiziale od al processo in cui esso si e' formato e va consolidato, ovvero anche anteriori, se si tratta di titolo stragiudiziale), a seconda che non sia stato nemmeno ancora intimato il precetto (caso in cui il debitore potrebbe ottenere un ordinario giudizio di accertamento in due gradi di merito ed uno di legittimita) oppure si' (caso in cui, ex artt. 615-6 cod. proc. civ., il debitore potrebbe ottenere soltanto un giudizio di cognizione in un solo grado di merito); equipara incongruamente le opposizioni ad esecuzione a quelle ad atti esecutivi nonostante la complessita' dei rapporti sottesi alle prime (soprattutto nel mutato regime di ampliamento del catalogo dei titoli esecutivi stragiudiziali, come nel caso di specie) e la limitazione delle seconde ad aspetti meramente formali della procedura esecutiva giustifichino con tutta evidenza un trattamento diverso. 5.2. - Quanto al secondo ed al terzo profilo (contrasto con gli artt. 24 e 111, comma 2 Cost.), congiuntamente esaminati, la norma qui sospettata di incostituzionalita' comporta la compressione del diritto del debitore alla piena tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive in modo da garantirne l'effettivita', in un processo equo e giusto, nonostante a suo danno sia grandemente incrementata l'efficienza del processo esecutivo nel suo complesso e, in particolare, siano aumentate le ipotesi di aggressione del suo patrimonio in forza di titoli esecutivi non giudiziali e quindi senza un preventivo controllo da parte del giudice: e tanto nonostante la semplice presenza del titolo esecutivo, quale condizione dell'azione esecutiva, non possa in alcun modo garantire al debitore un'adeguata tutela dei suoi diritti proprio per le fattispecie generalmente riservate alla opposizione ad esecuzione, tutte generalmente non sorrette da una previa verifica giurisdizionale. 5.3. - Di conseguenza, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 616, ultimo periodo, cod. proc. civ., come novellato dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, in riferimento ad un possibile contrasto con gli artt. 3, 24 e 111, comma 2 della Costituzione, va qualificata rilevante e non manifestamente infondata. Ne deriva la necessita' di rimetterne la risoluzione e la disamina al giudice delle leggi, con le modalita' e gli adempimenti di cui in dispositivo e con la conseguente sospensione del presente giudizio - una volta esaurita la fase relativa alla disamina dell'istanza di sospensiva con il suo rigetto per il difetto del periculum in mora e per l'intrinseca natura dichiarativa della pronuncia - fino alla decisione della Corte costituzionale. E' appena il caso di precisare che la sospensione della presente opposizione ad esecuzione, una volta conclusa la fase della delibazione dell'istanza di sospensione della sentenza gravata di appello, non comporta alcun effetto ne' su quest'ultima, ne' - tanto meno - sull'esecuzione oggetto di opposizione, attesa la richiamata e ribadita natura dichiarativa della sentenza che oggi e' oggetto di impugnazione.