IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 3686/06 R.G.N.R. e n. 837/06 R.G. Dib. a carico di Tfah Afit, nato in Marocco il 1° gennaio 1981, imputato: A) del delitto p. e p. dall'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990 per avere illecitamente detenuto, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso - senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 stessa legge - al fine di cederla a terzi, duplice sostanza stupefacente, del tipo cocaina ed eroina, di cui alla tabella I, per grammi complessivi pari a 0,8, contenuta in due involucri termosaldati (ciascuno per sostanza diversa del peso di grammi 0,4). In Prato l'11 luglio 2006. B) del reato di cui all'art. 648, II comma c.p. (fattispecie di lieve entita) per avere ricevuto, detenuto o comunque utilizzato una targa per ciclomotore n. 28ZMJ proveniente da delitto contro il patrimonio (art. 647 c.p. - appropriazione di cosa smarrita o art. 625 n. 7 c.p. - furto aggravato di cosa esposta alla pubblica fede) della quale era stato denunciato lo smarrimento dalla proprietaria Leone Rosa in data 24 luglio 2006 alla Stazione dei C.C. di Montecatini. Accertato in Prato l'11 ottobre 2006. Con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, con riferimento anche al nominativo (alias: Hafid Mohamid). Tfah Afit veniva arrestato e portato avanti a questo giudice per la convalida nelle forme dei rito direttissimo. L'arresto veniva convalidato e quindi l'imputato veniva ristretto in via cautelare in carcere. Il processo proseguiva con la richiesta del difensore e l'adesione del p.m., di applicazione della pena di mesi dieci di reclusione e di Euro 2.000,00 di multa, cosi' calcolata: previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva contestata; pena base: anni uno e mesi tre di reclusione ed Euro 2.700 di multa; aumentata per la continuazione ad Euro 3.000 di multa; ridotta di un terzo per la diminuente prevista dal rito. In relazione della richiesta di applicazione della pena si evidenziano tre problematiche: 1) - il p.m. ha considerato l'ipotesi di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 come autonoma fattispecie di reato; 2) - le attenuanti e in particolare il fatto di lieve entita' di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 non possono prevalere sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. in sede di giudizio di bilanciamento per effetto della modifica apportata dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 al quarto comma dell'art. 69 c.p. 3) - la congruita' della pena proposta. Anzitutto va precisato che in base alle indagini svolte e in particolare alla luce delle s.i.t. rese da Affinito Luigi (al quale l'imputato aveva prospettato di acquistare lo stupefacente sequestrato), non sono emerse in concreto situazioni che comportino il proscioglimento immediato dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Quanto alla fattispecie incriminatrice contestata, si rileva che la giurisprudenza di legittimita' e' univoca 1) nel qualificare l'ipotesi di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 come circostanza attenuante dell'ipotesi base descritta al primo comma dell'art. 73 stessa legge. Ne' la situazione puo' dirsi mutata per effetto del comma 5-bis dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 introdotto dalla novella del 21 febbraio 2006 con legge n. 49 2) per il sol fatto che la disposizione riferendosi al comma 5 parla genericamente di «ipotesi» e non specificatamente di circostanza attenuante. Da questa prima conclusione ne consegue che, se e' vero che nulla vieta al p.m. di contestare un reato nella sua forma circostanziata attenuata o aggravata, non per questo detta circostanza puo' essere esclusa da un eventuale giudizio di bilanciamento disciplinato dall'art. 69 del c.p. Peraltro, e' dal 1974 che nel nostro ordinamento penale il giudizio di bilanciamento e' esteso a tutte le circostanze e quindi anche a quelle ad effetto speciale, ad eccezione di quelle singole ipotesi 3) che il legislatore ha inteso espressamente sottrarre al predetto bilanciamento. Cio' premesso, e' certo che in considerazione del modestissimo quantitativo di sostanza stupefacente sequestrata all'imputato (ovvero 0,4 grammi lordi di cocaina e 0,4 grammi lordi di eroina) e avuto riguardo agli altri criteri elencati al comma 5 dell'art. 73 legge stupefacenti, il fatto da ascrivere all'imputato sarebbe da considerarsi di lieve entita'. Procedendo oltre, va considerato che all'imputato e' stata contestata la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. La contestazione e' fondata sotto tutti i profili poiche' risulta che all'imputato, con il nome di Hafid Mohamid, e' stata applicata dal Tribunale di Prato la pena di mesi nove di reclusione e di lire 4.000.000 di multa per detenzione illecita di sostanze stupefacenti con sentenza emessa il 12 novembre 2001 e divenuta irrevocabile il 5 febbraio 2002 ed e' stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 400,00 di multa per ricettazione ed altro (reati commessi il 12 marzo 2003) con sentenza della Corte di appello di Firenze del 15 ottobre 2004 divenuta irrevocabile il 20 gennaio 2005. Ebbene, a seguito della modifica introdotta dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nei casi previsti dal quarto comma dell'art. 99 (recidiva cosiddetta reiterata) e' stato introdotto il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato. Cio' significa che nell'attuale formulazione dell'art. 69, quarto comma c.p. gli imputati recidivi reiterati all'esito di un giudizio di bilanciamento a loro favorevole (nei limiti consentiti dalla legge) potranno tutt'al piu' ottenere un «ritorno» alla fattispecieincriminatrice di base. In dettaglio, l'odierno imputato, siccome recidivo reiterato, anche in caso di bilanciamento delle circostanze in favor rei, dovrebbe rispondere della fattispecie del comma primo dell'art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 che, nella sua attuale formulazione, prevede una pena da sei a vent'anni di reclusione e una multa da euro 26.000 ad euro 300.000: tutto questo per 0,4 grammi di cocaina + 0,4 grammi di eroina, quantitativi lordi si intende. A questa pena andrebbero aggiunti almeno altri due anni di reclusione e poco meno di 9.000,00 E di multa per la continuazione che per i recidivi reiterati comporta un aumento non inferiore a un terzo della pena prevista per il reato piu' grave. Anche partendo dal minimo della pena edittale (sei anni e 26.000 euro), con l'aumento minimo di continuazione predeterminato per legge e con la riduzione massima prevista dal primo comma dell' art. 444 c.p.p., si perviene a una pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e di quasi euro 24.000 di multa. Una pena siffatta non puo' non apparire manifestamente sproporzionata rispetto alla gravita' dei fatti contestati e, in ultima analisi, al loro disvalore sociale. Prima della novella del 2005 questo giudice avrebbe certamente ritenuto i fatti di «lieve entita» e dette attenuanti - peraltro rigorosamente oggettive - sarebbero state ritenute prevalenti in sede di bilanciamento rispetto ad un'aggravante strettamente «inerente alla persona del colpevole» quale la recidiva. D'altronde, i limiti edittali della disposizione di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, ricompresi tra uno a sei anni di reclusione e tra 3.000 e 26.000 Euro di multa, ed un minimo aumento di continuazione per la ricettazione di una targa per ciclomotore, sarebbero stati sicuramente idonei ad esaurire il disvalore penale dei fatti per cui e' processo. Quindi, la pena proposta dalle parti sarebbe, secondo questo giudice, congrua e proporzionata rispetto alla gravita' dei reati contestati nonche' alla finalita' rieducativa della pena, ma non e' applicabile a causa della novella del 2005 che ha parzialmente «blindato» il giudizio di bilanciamento delle circostanze in relazione ad una certa categoria di rei (rectius: recidivi reiterati) e che non consente a costoro di «adire» in concreto l'attenuante della lieve entita' del fatto ai sensi del comma quinto dell'art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 e del cpv. dell'art. 648 del c.p. Aspetti di incostituzionalita' paiono profilarsi in relazione alle seguenti norme: a) all'art. 3 della Costituzione e quindi al principio di ragionevolezza e proporzionalita' della pena, quale accezione del principio di uguaglianza. Puo' darsi per acquisito che il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia al contempo alla funzione di difesa sociale e a quella di tutela delle posizioni individuali (cfr. Corte costituzionale n. 408/1989 e nello stesso senso sentenze nn. 343 e 422 del 1993). lI legislatore del 2005, precludendo ai recidivi reiterati ogni possibilita' di ottenere un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, pare avere oltrepassato il limite della ragionevolezza nell'esercizio del proprio potere discrezionale dando luogo ad una disparita' di trattamento che viola il principio di uguaglianza. L'attuale disciplina del quarto comma dell'art. 69 c.p. impedisce il riconoscimento dell'attenuante di cui al comma quinto dell'art. 73, d.P.R. a prescindere dal dato quantitativo e qualitativo della sostanza stupefacente detenuta illecitamente, facendo dipendere siffatta valutazione dalla ricorrenza di elementi personalistici che nulla hanno a che vedere con la struttura di una circostanza che il legislatore aveva definito facendo esclusivo riferimento ad indicatori di tipo oggettivo (ovvero: mezzi, modalita', circostanze dell'azione, ovvero qualita' e quantita' delle sostanze). Dalla previsione normativa novellata nel 2005 possono conseguire non solo disparita' di trattamento sanzionatorio per situazioni fattuali obiettivamente omogenee: e' il caso di un quantitativo minino di sostanza stupefacente detenuta in concorso da due soggetti di cui uno sia recidivo reiterato e che quindi non potrebbe usufruire dell'attenuante della lieve entita'; ma, financo, risposte sanzionatorie piu' gravi per casi indiscutibilmente meno gravi: e' il caso di chi, recidivo reiterato, pur detenendo quantitativi minimi di stupefacente non possa ottenere il riconoscimento dell'attenuante piu' volte citata rispetto a chi, incensurato, ne detenga quantitativi assolutamente superiori. Nel caso in esame, ad esempio, non c'e' dubbio che potrebbero usufruire dell'attenuante della lieve entita' del fatto coloro che detenessero illecitamente anche quantitativi cento volte superiori (i.e. 60 grammi lordi che di norma contengono una percentuale di principio attivo molto piu' limitata) dell'imputato odierno sol perche' incensurati. Ancora, in linea con l'eccezione difensiva, si consideri che analoga preclusione vale per i tossicodipendenti e per gli assuntori di sostanze stupefacenti o psicotrope che abbiano riportato precedenti condanne e ai quali sia stata contestata la recidiva reiterata. Parita' di trattamento imposta dalla disposizione di cui al comma 4 dell'art. 69 c.p. e che prescinde dalla particolare situazione personale di questi soggetti, che il legislatore ha gia' dimostrato di considerare in altre disposizioni a fondamento di previsioni piu' miti volte ad agevolare il recupero sociale di queste particolari categorie di rei. b) all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. La Consulta in diverse pronunce ha riconosciuto la costituzionalizzazione del principio di necessaria lesivita' dell'illecito penale 4). In mancanza di una norma espressa in tal senso, detto principio e' stato ricavato dalle lettura combinata non solo dagli artt. 25 e 27 Cost. ma anche da un complesso di altri principi, quale in specie quello di inviolabilita' della liberta' personale ex art. 13 Cost., di liberta' di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., di liberta' morale sul piano politico, religioso ed etico e via dicendo. In tal senso si e' posto l'accento sulla locuzione «fatto commesso» contenuta nell'art. 25, secondo comma Cost. valorizzando il suo stretto collegamento sia con l'art. 27, primo comma che, sancendo il carattere personale della responsabilita' penale, impone altresi' un limite strutturale dell'illecito penale 5), sia con il terzo comma che, attribuendo alla pena funzione rieducativa, implica necessariamente una delimitazione dell'illiceita' penale ad una sfera selezionata di valori. In relazione alle conseguenze del reato, mentre l'art. 25 Cost. distingue le pene (secondo comma) dalle misure di sicurezza (terzo comma), l'art. 27, terzo comma pone in luce la funzione rieducativa della pena complementare alla ineliminabile funzione retributiva. Un illustre insegnamento 6) ha segnalato da tempo l'incostituzionalita' delle norme che configurino ipotesi di criminose tali da compromettere la duplice funzione della pena e, in particolare, di norme che creino fattispecie tali da impedire o rendere piu' difficoltoso il reinserimento sociale di determinate categorie di soggetti gia' sottoposti a sanzione penale. Benche' nel caso di specie non venga direttamente in rilievo una sanzione penale bensi' la preclusione imposta al giudice di formulare un giudizio di prevalenza di una o piu' circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, nondimeno la nuova formulazione dell'art. 69 comma 4 c.p. pare censurabile sotto il profilo della violazione della funzione rieducativa della pena. E' palese infatti lo squilibrio tra le due funzioni presente nel nuovo disposto normativo dove alla contrazione dell'aspetto retributivo e' corrisposta una vera e propria invasione della sfera di operativita' delle misure di sicurezza e/o, finanche, di prevenzione. Ora, poiche' il potere discrezionale conferito al giudice nella scelta e nella quantificazione della pena da irrogare in concreto e' strettamente funzionale a garantire l'adeguamento della sanzione alle condizioni personali del reo e alla sua colpevolezza e quindi, in ultima analisi, a garantire il perseguimento della funzione rieducativa indicata dal terzo comma dell'art. 27 Cost., una riduzione del potere in questione trova il suo limite naturale nell'impossibilita' per il giudice di irrogare o applicare al reo una pena proporzionata alla gravita' del fatto commesso. Si intende significare che una pena sproporzionata non puo' ontologicamente assolvere a quella particolare funzione che la Carta costituzionale le demanda ma, al contrario, la compromette irrimediabilmente. Pare a questo giudice che codesta corte, sulla scorta di considerazioni similari, sia giunta a dichiarare costituzionalmente illegittime previsioni di sanzioni penali ritenendo che la loro manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai fatti-reato si traducesse in violazioni dell'art. 27, terzo comma, Cost. In particolare, la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale», provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito, «produce (...) una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione». A partire almeno dalla sentenza della Corte cost. 2 luglio 1990, n. 313 la finalita' rieducativa della pena non e' «limitata alla sola fase dell'esecuzione» ma deve ritenersi costituire «una delle qualita' essenziali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue». Cio' implica che la finalita' rieducativa impronta di se' anche il momento applicativo della pena che e' presidiato dagli strumenti normativi offerti al giudice per adeguare, con la maggiore puntualita' e rispondenza al fatto e alle caratteristiche del soggetto, il trattamento sanzionatorio. Confligge quindi, a parere di chi scrive, con tale finalita' la norma dell'art. 69 comma 4, c.p. che, privando il giudice di un fondamentale strumento attuativo della finalita' rieducativa della pena, comporta l'applicazione di pene microscopicamente inique e irragionevoli rispetto al reale disvalore del fatto-reato commesso. La questione sollevata appare rilevante nel giudizio de quo dato che questo giudicante ritiene congrua la pena richiesta dalle parti che hanno adottato come cornice edittale di base quella prevista dal comma quinto dell'art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 ma che non puo' trovare applicazione per effetto della modifica del quarto comma dell'art. 69 del c.p. operata dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. 1) Cfr. da ultimo Cass. sez. 4, Sentenza n. 18377 del 12 aprile 2006 Ud. (dep. 25 maggio 2006 ) ed ancora Cass. sez. 4, sentenza n. 38879 del 29 settembre 2005 Ud. (dep. 21 ottobre 2005 ) Rv. 232429 che ha espressamente affermato come, «in tema di stupefacenti, la concessione dell'attenuante del fatto di lieve entita' (articolo 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) non modifica il titolo del reato, ma incide solo sulla valutazione della gravita' del fatto». 2) Vedi sul punto le osservazioni esposte dal giudice Paternostro di questo tribunale nell'ordinanza di rimessione del 20 luglio 2006 nel procedimento penale n. 2301/06 R.G.N.R. e n. 567/06 R.G. Dib. a carico di Cherraki Said. 3) E' il caso dell'art. 7 comma 2 del d.l. n. 152 del 1991 che vieta la prevalenza o l'equivalenza delle attenuanti sull'aggravante per aver commesso un delitto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo; e' ancora il caso del terzo comma dell'art. 1 legge n. 15 del 1980 in relazione all'aggravante della commissione di un reato per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. 4) Cfr. da ultimo Corte cost. sent. n. 0265 del 2005 che ha ribadito come il principio di offensivita' operi su due piani, rispettivamente, della previsione nonnativa sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo e dell'applicazione giurisprudenziale (offensivita' in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice (vedi pure le sentenze citate nn. 360/1995, 263 e 519/2000, ove viene definita la duplice sfera di operativita' in astratto e in concreto, del principio di necessaria offensivita', quale criterio di conformazione legislativa delle fattispecie incrimmatici e quale canone interpretativo per il giudice. 5) Detto limite si traduce nell'esigenza di ricorrere alla responsabilita' da illecito civile (o amministrativo) per realizzare esigenze di tutela incompatibili con l'esigenza di colpevolezza. 6) Cfr. F. Bricola, Teoria Generale del reato p. 82.