ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10 della stessa legge, promossi con ordinanze del 17 marzo, del 31, del 20 (n. 2 ordd.) e del 15 marzo 2006 dalla Corte di appello di Torino, del 5 aprile 2006 dalla Corte di appello di Torino, del 3 maggio 2006 dalla Corte d'assise d'appello di Torino, del 31 marzo e del 2 maggio 2006 dalla Corte di appello di Torino, del 16 maggio 2006 dalla Corte d'assise d'appello di Torino, del 30, del 2, del 18 e del 31 maggio 2006 dalla Corte di appello di Torino, e del 2 maggio 2006 dalla Corte di appello di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 246, 249, da 251 a 253, 333, 334, 342, 387, 441, 442, 567 e 610 del registro ordinanze 2006 ed ai nn. 33 e 74 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 29, 34, 39, 41 nella edizione straordinaria del 2 novembre 2006, al n. 50, 1ª serie speciale, dell'anno 2006 ed ai nn. 3, 8, 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2007; Udito nella Camera di consiglio del 6 giugno 2007 il giudice relatore Giovanni Maria Flick; Ritenuto che, con quindici ordinanze, la Corte di appello e la Corte d'assise d'appello di Torino hanno sollevato, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall'art. 603, comma 2, del codice di procedura penale - ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado - e sempre che tali prove risultino decisive, e dell'art. 10 della medesima legge; che in tutte le ordinanze di rimessione la rilevanza della questione viene motivata con riferimento a quanto previsto dall'art. 10 della legge n. 46 del 2006 in ordine alla immediata applicabilita' delle nuove norme ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima legge; che, nel merito, e' denunciata la violazione di diversi parametri costituzionali: in particolare, in tutte le ordinanze di rimessione si lamenta la lesione del principio di ragionevolezza e del principio di parita' tra le parti, mentre in alcune viene ipotizzato anche il contrasto con il principio di uguaglianza, con il principio della ragionevole durata del processo e con quello dell'obbligatorieta' dell'azione penale; che, quanto al principio di ragionevolezza, i rimettenti evidenziano come sia palesemente irrazionale un sistema che riconosce al pubblico ministero il potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna in ordine all'entita' della pena, negandogli nel contempo il potere di appellare le sentenze di proscioglimento; che, con riferimento al principio di parita' tra le parti, i rimettenti osservano come la disciplina censurata, inibendo tanto al pubblico ministero che all'imputato l'appello avverso le sentenze di proscioglimento, realizzi una parificazione solo formale, dal momento che essa finisce nella sostanza per incidere esclusivamente sul potere di impugnazione di quella sola, fra le due parti, che ha interesse a dolersi di tali sentenze, ossia il pubblico ministero e cio' in assenza di qualsivoglia ragione giustificativa; che, sotto questo profilo, sarebbe altresi' evidente anche la disparita' di trattamento che viene introdotta tra il pubblico ministero e la parte civile, cui e' attualmente riconosciuto il potere di appellare le sentenze di proscioglimento; che in alcune ordinanze si lamenta anche la violazione del principio della ragionevole durata del processo, sulla base del rilievo che l'eliminazione del potere di appello del pubblico ministero, lungi dal favorire l'accelerazione del processo, determina, per effetto anche del contestuale ampliamento dei casi del ricorso per cassazione, un aumento dei gradi giudizio, con conseguente dilatazione dei tempi processuali; che, infine, alcuni rimettenti prospettano la violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale, sul presupposto che l'appello avverso le sentenze di assoluzione costituisca una «estrinsecazione» del dovere di repressione dei reati e di tutela della collettivita', attribuito al pubblico ministero. Considerato che il dubbio di costituzionalita' sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione, conseguente alla modifica dell'art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, dell'appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero e l'immediata applicabilita' di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima; che, stante l'identita' delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia; che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova e' decisiva», e dell'art. 10, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge e' dichiarato inammissibile»; che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni.