ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 10, comma 3,
della  legge  5 dicembre  2005,  n. 251 (Modifiche al codice penale e
alla   legge   26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi con
ordinanze  dell'8 febbraio  2006  dal  Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere  (sezione  distaccata di Piedimonte Matese), del 5 luglio 2006
dal  Tribunale  di Perugia, del 10 maggio 2006 dal Tribunale di Roma,
del  21 marzo  2006  dalla Corte di appello di Genova e dell'8 maggio
2006  dal giudice di pace di Pisa, rispettivamente iscritte al n. 510
del registro ordinanze 2006 ed ai nn. 45, 108, 133 e 170 del registro
ordinanze   2007   e   pubblicate   nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica,  1ª  serie speciale, dell'anno 2006 e nn. 9, 12, 13 e 14,
1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 20 giugno 2007 il Giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Ritenuto  che  i  Tribunali  di Santa Maria Capua Vetere (sezione
distaccata di Piedimonte Matese), Perugia e Roma, la Corte di appello
di Genova ed il Giudice di pace di Pisa, hanno sollevato questioni di
legittimita'  costituzionale  -  in  riferimento, nel complesso, agli
articoli 3,  10, 11, 25, secondo comma, 27, secondo comma, 111 e 117,
primo  comma, della Costituzione - dell'art. 10, comma 3, della legge
5 dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche  al  codice penale e alla legge
26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti  generiche, di
recidiva,  di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per
i recidivi, di usura e di prescrizione);
        che  tutti  i  rimettenti censurano tale norma nella parte in
cui prevede che l'applicazione delle piu' favorevoli disposizioni per
il  reo  in  ordine  al  termine di prescrizione del reato, contenute
nell'art. 6  della  medesima  legge  n. 251  del  2005, sia limitata,
quanto  ai  processi di primo grado gia' in corso di svolgimento alla
data  di  entrata  in vigore della stessa legge, a quelli per i quali
non «sia stata dichiarata l'apertura del dibattimento»;
        che,  in  particolare,  il  Tribunale  di  Santa  Maria Capua
Vetere,  sezione  distaccata  di  Piedimonte  Matese (r.o. n. 510 del
2006),  nel  premettere  che il delitto ex art. 349 del codice penale
sottoposto   al   suo  giudizio  risulterebbe  ormai  prescritto,  se
l'applicazione  della nuova disciplina sulla prescrizione del reato -
introdotta  dall'art. 6  della  legge  n. 251  del  2005  - non fosse
preclusa, nella specie, dalla gia' avvenuta dichiarazione di apertura
del  dibattimento,  e  dunque  dalla  previsione  di cui all'art. 10,
comma 3,   della   stessa   legge,   ipotizza  il  contrasto  tra  la
disposizione da ultimo menzionata e l'art. 3 Cost.;
        che,  difatti,  la  norma  censurata introdurrebbe «un regime
differente a fronte di situazioni identiche», e cioe' «un trattamento
soggettivamente diverso tra soggetti indagati e soggetti imputati, ma
ancora  peggio  tra  stessi  imputati nel giudizio di primo grado», e
cio'  sulla  base della mera circostanza che «il processo abbia o non
varcato  una certa soglia», costituita, oltretutto, da un adempimento
-  l'apertura del dibattimento - assolutamente «neutro» ai fini della
prescrizione,  «posto  che  non e' assimilabile alla pronuncia di una
sentenza   in   primo  grado»,  ne'  e'  -  come  invece  l'esercizio
dell'azione  penale  -  «espressione  della  pretesa  punitiva  dello
Stato»;
        che  inoltre,  piu'  in  generale,  se  la scelta compiuta «a
regime»  dal  legislatore  e'  quella  di ridimensionare i termini di
prescrizione  del  reato, non si vede come la sua efficacia nel tempo
possa  essere  condizionata  -  sempre a dire del rimettente - «dalla
qualita' e dalla quantita' degli avanzamenti processuali»;
        che,  infine, la norma censurata sarebbe «in contrasto con il
principio  della  retroattivita'  della  norma piu' favorevole al reo
costituzionalizzato  ai sensi dell'art. 25 Cost.», nonche' violerebbe
il  principio del giusto processo, il quale esige che si addivenga ad
una  «sentenza  giusta»,  evenienza  ipotizzabile solamente quando la
differenziazione del trattamento normativo si fondi - diversamente da
quanto  sarebbe  accaduto  nel  caso  in esame - su ragioni logiche e
razionali;
        che,  per  parte sua, il Tribunale di Perugia (r.o. n. 45 del
2007)  ipotizza che l'art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005 -
sempre  nella  parte in cui esclude, ratione temporis, l'applicazione
della  lex  mitior  in  tema  di  prescrizione  del reato, qualora il
dibattimento  di primo grado sia gia' stato dichiarato aperto - violi
il solo art. 3 della Carta fondamentale;
        che dal momento, infatti, che l'art. 25, secondo comma, Cost.
«non  impone  la  retroattivita'  di  norme  penali  piu' favorevoli»
(ricavabile  semmai  -  osserva  il  rimettente - «da una valutazione
complessiva   del   sistema»,  il  quale  la  farebbe  dipendere,  in
particolare,  «da  un  mutamento  della valutazione sociale del fatto
tipico»),   la   contestata   disciplina   risulterebbe   censurabile
esclusivamente  sotto  il  profilo  della irragionevole disparita' di
trattamento cui darebbe vita;
        che,  invero,  la  norma  censurata,  lungi  dal correlare il
regime  della  prescrizione  alla «considerazione del tipo di reato»,
risulta  aver  attribuito  rilievo  a  «fattori del tutto estrinseci,
estranei  alla  logica  del  trattamento  sanzionatorio,  e,  piu' in
generale  della  disciplina  di  carattere sostanziale», quali quelli
legati all'andamento del processo;
        che  cio'  premesso,  e  non senza rilevare che «in base alla
nuova  disciplina  il  reato oggetto dell'imputazione sarebbe estinto
per  prescrizione»,  il  Tribunale  di Perugia ha chiesto dichiararsi
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 10,  comma 3, della legge
n. 251 del 2005;
        che  il  Tribunale  di  Roma  (r.o.  n. 108 del 2007) assume,
invece, che il predetto art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005
-  sempre nella parte in cui esclude, dall'ambito di operativita' del
nuovo  e  piu'  favorevole  regime  sulla  prescrizione del reato, le
fattispecie  criminose oggetto di giudizi di primo grado in relazione
ai quali risulti gia' espletato l'adempimento processuale ex art. 492
del  codice  di  procedura  penale - violi gli artt. 3, 10, 11 e 117,
primo comma, Cost.;
        che    il    rimettente    capitolino   -   nell'evidenziare,
preliminarmente,  che  i delitti di cui agli artt. 319 e 319-bis cod.
pen.  (contestati  a  taluni  degli  imputati  nel  giudizio  a  quo)
risulterebbero  prescritti,  se l'applicazione della nuova disciplina
sulla  prescrizione  del reato non fosse preclusa dalla gia' avvenuta
dichiarazione   di   apertura  del  dibattimento  in  primo  grado  -
sottolinea  che  secondo  la  Corte costituzionale (e' menzionata, in
particolare,  la  sentenza  n. 80  del  1995) la garanzia ex art. 25,
secondo   comma,  Cost.  deve  intendersi  limitata  al  «divieto  di
retroattivita'  della  norma  penale  incriminatrice», non investendo
«anche  il  principio  della  retroattivita'  della norma penale piu'
favorevole»;
        che  tuttavia,  secondo  il  giudice a quo, le deroghe a tale
ultimo  principio (sancito in via generale dall'art. 2, quarto comma,
cod.  pen.)  debbono  comunque  essere  «sorrette  da  valutazioni  e
giustificazioni non irragionevoli»;
        che  cio',  pero',  non  si  sarebbe  verificato  nel caso di
specie,  atteso che la scelta compiuta dalla censurata disposizione -
individuare,    quale   discrimine   temporale   per   l'applicazione
retroattiva  della  lex  mitior,  il  momento  della dichiarazione di
apertura  del  dibattimento,  e  non  quello  della  pronuncia  della
sentenza da parte del giudice di prime cure - non appare giustificata
dalla  «necessita' di «neutralizzare» un accertamento giurisdizionale
gia' effettuato sotto il vigore della precedente disciplina»;
        che  la descritta opzione legislativa, per contro, «determina
una  selezione  tra  le  due  normative»  (in  tema  di prescrizione)
«collegata  a  profili  di aleatorieta', non dipendenti da un atto di
impulso   processuale  avente  obiettiva  rilevanza»,  donde  la  sua
irrazionalita', ed il conseguente contrasto con l'art. 3 Cost.;
        che e' ipotizzata, inoltre, la violazione anche dei parametri
costituzionali di cui agli artt. 10, 11 e 117, primo comma, Cost.;
        che   il   rimettente   sottolinea,  innanzitutto,  come  «il
principio  di  necessaria applicazione retroattiva della norma penale
piu'  favorevole» sia enunciato dall'art. 15 del Patto internazionale
relativo  ai  diritti  civili  e  politici  adottato  a  New  York il
16 dicembre  1966  (ratificato  e  reso esecutivo in Italia con legge
25 ottobre  1977,  n. 881),  trovando  - non casualmente - quale solo
limite  quello del passaggio in giudicato della sentenza di condanna,
che   «rappresenta   un   principio   anch'esso  recepito  a  livello
internazionale, quale idonea garanzia della certezza del diritto» (e'
richiamata,  sul  punto, la sentenza della Corte costituzionale n. 74
del 1980);
        che  analogo  principio  e'  ribadito  - sottolinea sempre il
rimettente   -   dall'art. 49,   comma 1,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali,  approvata  a  Nizza  il  7 dicembre  2000,  riprodotto
nell'art.  II-109,  comma 1, del Trattato che adotta una Costituzione
per l'Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004 (ratificato in Italia
con la legge 7 aprile 2005, n. 57);
        che tale principio, inoltre, e' stato qualificato dalla Corte
di   giustizia  delle  comunita'  europee  (sentenza  3 maggio  2005,
C-387/2002,   C-391/2002   e   C-403/2002)  come  appartenente  «alle
tradizioni  costituzionali comuni agli Stati membri», e dunque «parte
integrante  dei  principi  generali  del  diritto  comunitario che il
giudice nazionale deve osservare»;
        che  costituendo, pertanto, detto principio sia una «norma di
diritto   internazionale   generalmente   riconosciuta»  (alla  quale
«l'ordinamento   interno  deve  conformarsi,  ai  sensi  dell'art. 10
Cost.»),   sia   un  «principio  generale  del  diritto  comunitario»
(rilevante come tale «ai sensi dell'art. 11 Cost.»), il giudice a quo
evoca, oltre a tali parametri costituzionali, anche l'art. 117, primo
comma,  Cost.,  il  quale  esige  che  la  potesta' legislativa venga
esercitata  «nel  rispetto  della  Costituzione,  nonche' dei vincoli
derivanti    dall'ordinamento    comunitario    e    dagli   obblighi
internazionali»;
        che,  infine,  in senso contrario neppure potrebbe addursi la
possibilita'  di  «disapplicare  direttamente  la  norma  interna per
contrasto   con   la  disciplina  comunitaria»,  non  essendo  questa
soluzione  prospettabile - secondo il Tribunale di Roma - rispetto «a
principi  di  carattere  generale»,  cioe' a dire «non consacrati» in
«strumenti   legislativi  dell'Unione  europea  dotati  di  efficacia
diretta ed immediata»;
        che  anche  la  Corte  di  appello di Genova (r.o. n. 133 del
2007)  assume,  del pari, l'illegittimita' costituzionale del comma 3
dell'art. 10 della legge n. 251 del 2005, «nella parte in cui esclude
dai  nuovi  termini di prescrizione i processi gia' pendenti in primo
grado,   ove   vi   sia   stata  la  dichiarazione  di  apertura  del
dibattimento»;
        che   il   rimettente   genovese   -   sul   presupposto  che
l'accoglimento  della  questione comporterebbe, nei riguardi di tutti
gli imputati nel giudizio a quo, «la declaratoria di improcedibilita'
dell'azione  penale per estinzione dei reati perche' prescritti» gia'
in primo grado - deduce, quanto alla non manifesta infondatezza della
questione,  che la censurata disposizione violerebbe gli artt. 3 e 27
Cost.;
        che     essa,     difatti,     comporta    «un    trattamento
ingiustificatamente  differenziato  tra imputati che si trovino nelle
stesse  condizioni  processuali»,  facendo  dipendere  l'applicazione
della  nuova disciplina sulla prescrizione, «non da un dato oggettivo
predeterminato,  ma  da un riferimento temporale mobile e affidato al
caso»;
        che,     conseguentemente,     «il     dato    giustificativo
dell'estinzione   che  dovrebbe  essere  identico,  a  seconda  delle
categorie  di  reati, per tutti i cittadini, non e' piu' tale», donde
la violazione del principio di eguaglianza;
        che, d'altra parte, tale evenienza neppure potrebbe ritenersi
giustificata  «attraverso i diversi presupposti razionali sottesi dal
secondo   comma   dell'art. 27  della  Costituzione,  che  conferisce
rilevanza   costituzionale   al  principio  della  definitivita'  del
giudicato»;
        che,  infine,  anche  il giudice di pace di Pisa (r.o. n. 170
del  2007) censura - in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma,
Cost. - il predetto art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005;
        che  il  rimettente  pisano  premette - quanto alla rilevanza
della  questione  di  costituzionalita' - che per i reati di cui agli
artt. 594  e  612  cod.  pen.  (sui quali e' chiamato a pronunciarsi)
sarebbe maturata, in applicazione della nuova disciplina recata dalla
legge  n. 251  del 2005, «la prescrizione triennale», e cio' «anche a
tener  conto della interruzione» del corso della prescrizione, atteso
che  «il  termine di tre anni e sei mesi» sarebbe, comunque, venuto a
scadenza;
        che,  tuttavia,  la  scelta  del  legislatore  di  precludere
l'applicazione della sopravvenuta lex mitior ai giudizi nei quali sia
gia' intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento, oltre
«a   ledere  il  principio  della  retroattivita'  della  legge  piu'
favorevole  che per rango costituzionale si riferisce solo ai casi di
leggi  eccezionali  o  temporanee»,  darebbe  vita ad un sistema «del
tutto   immotivato   ed   esiziale   perche'   viene  ad  evidenziare
applicazioni   privilegiate»,   in  contrasto  con  il  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.;
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nei
giudizi  che  traggono origine dai provvedimenti di rimessione emessi
dal  Tribunale  di  Santa  Maria  Capua Vetere, sezione distaccata di
Piedimonte Matese, e dalla Corte di appello di Genova;
        che   la   difesa   erariale,   nel  rilevare  che  la  Corte
costituzionale,  con  sentenza  n. 393  del  2006,  ha  medio tempore
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 10,  comma 3,
della  legge n. 251 del 2005, limitatamente alle parole «dei processi
gia'  pendenti  in  primo  grado ove vi sia stata la dichiarazione di
apertura    del    dibattimento,    nonche»    (espungendo,   dunque,
dall'ordinamento  la  norma  censurata  dagli odierni rimettenti), ha
chiesto   che   venga  dichiarata  la  manifesta  infondatezza  della
questione sollevata.
    Considerato  che i Tribunali di Santa Maria Capua Vetere (sezione
distaccata di Piedimonte Matese), Perugia e Roma, la Corte di appello
di Genova ed il Giudice di pace di Pisa, hanno sollevato questioni di
legittimita'  costituzionale  -  in  riferimento, nel complesso, agli
articoli 3,  10, 11, 25, secondo comma, 27, secondo comma, 111 e 117,
primo  comma, della Costituzione - dell'art. 10, comma 3, della legge
5 dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche  al  codice penale e alla legge
26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti  generiche, di
recidiva,  di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per
i recidivi, di usura e di prescrizione);
        che  tutti  i  rimettenti censurano tale norma nella parte in
cui prevede che l'applicazione delle piu' favorevoli disposizioni per
il  reo  in  ordine  al  termine di prescrizione del reato, contenute
nell'art. 6  della  medesima  legge  n. 251  del  2005, sia limitata,
quanto  ai  processi  di primo grado, unicamente a quelli per i quali
non «sia stata dichiarata l'apertura del dibattimento»;
        che,  data la connessione esistente tra i vari giudizi, se ne
impone la riunione ai fini di un'unica pronuncia;
        che,  successivamente  alle  ordinanze  di rimessione, questa
Corte,  chiamata  a  pronunciarsi  su  questione identica a quelle in
esame,  con  sentenza n. 393 del 2006, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  del predetto art. 10, comma 3, della legge n. 251 del
2005,  limitatamente alle parole «dei processi gia' pendenti in primo
grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento,
nonche»;
        che,  secondo  la  citata  sentenza,  la scelta «compiuta dal
legislatore - in relazione ai processi di primo grado gia' in corso -
di  subordinare l'efficacia, ratione temporis, della nuova disciplina
sui  termini di prescrizione dei reati (quando piu' favorevole per il
reo)  all'espletamento  dell'incombente  ex art. 492 cod. proc. pen.»
non si conforma «al canone della necessaria ragionevolezza»;
        che,  difatti,  tale  incombente processuale non e' idoneo «a
correlarsi  significativamente  ad  un istituto di carattere generale
come   la   prescrizione,   e  al  complesso  delle  ragioni  che  ne
costituiscono   il   fondamento»,   in   quanto   esso  «non  connota
indefettibilmente   tutti  i  processi  penali  di  primo  grado  (in
particolare  i riti alternativi - e, tra essi, il giudizio abbreviato
-  che  hanno  la  funzione  di «deflazionare» il dibattimento)», ne'
risulta  «incluso  tra  quelli  ai  quali  il legislatore attribuisce
rilevanza ai fini dell'interruzione del decorso della prescrizione ex
art. 160  cod.  pen., il quale richiama una serie di atti, tra cui la
sentenza  di  condanna  e  il  decreto  di condanna, oltre altri atti
processuali anteriori»;
        che   alla   luce   di  tale  sopravvenuta  decisione  (ed  a
prescindere  da  ogni  rilievo  in  ordine  all'ammissibilita'  della
questione  sollevata  dal  Giudice di pace di Pisa), vanno restituiti
gli  atti ai giudici rimettenti, ai fini di una rinnovata valutazione
della  rilevanza  e  non manifesta infondatezza delle questioni dagli
stessi sollevate.